Il nuovo che avanza…lentamente.

L’espressione è rude ma efficace: Votando no al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, gli italiani si sono sparati nei coglioni. Credevano di fare un dispetto a Renzi e invece facevano un piacere a Berlusconi, D’Alema, Grillo e soci, che grazie a quell’esito sono risorti a nuova vita, potendo cosi impedire ogni rinnovamento e ringiovanimento della politica e dell’amministrazione italiana.

Se gli italiani avessero capito che per votare contro Renzi occorreva, a prescindere dalle dichiarazioni sbagliate dall’allora premier, aspettare le elezioni politiche ed avessero votato, come era utile al Paese per il si, oggi avremmo delle istituzioni rinnovate ed efficaci, una macchina parlamentare più dinamica e governi in grado di scelte responsabili e non frutto di perenni compromessi peggiorativi. Avremmo avuto una nazione nuova con una situazione socio-economica ben più positiva dell’attuale.

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Per fare un esempio: il governo Non sarebbe stato costretto ai ricatti imposti da un partitino che ha l’1% dei consensi e che puo’ oggi imporre, alla democrazia italiana, di glissare sullo « Ius soli ». Avremmo avuto scelte più coraggiose ed incisive in economia, avremmo una riforma della scuola come nel progetto iniziale e non come quello finale, frutto di mille compromessi con la casta dei sindacati, che alla fine hanno reso quella riforma da emendare e ricca di situazione non valide e non utili.

Il nuovo, il cambiamento, sono termini vanamente ricorrenti in tante stagioni della nostra politica, ma per l’attuale momento del paese, effettivamente parlano i numeri. Nei mille giorni di Renzi si sono realizzate più riforme che negli ultimi 20 anni, quando il paese era ormai fermo, incapace di parlare di cose concrete e si era ridotto solo a discutere di un uomo, Berlusconi. Si arrivo’ cosi tra incapacità ed immobilismo alla quasi banca rotta italiana con le lettere dell’Europa e della banca centrale che ci intimavano di fare le riforme, pena il commissariamento come minacciato già alla Grecia.

Quel balletto di bronzo fatto da Forza Italia e da una sinistra vecchia negli uomini e nelle idee e che aveva l’unica ragion d’essere nell’antiberlusconismo (come oggi nell’antirenzismo), non fu interrotto né dalla Lega, che contribui alla rovina italiana fino al 2011, essendo al governo con il cavaliere, né da Fratelli d’Italia per lo stesso motivo, né successivamente da Grillo, che riesumando la vecchia politica del “tanto peggio, tanto meglio” si limiterà a criticare, gridare, sputare sarcasmi, senza proporre nulla.

Il rinnovamento, anche simbolico, è iniziato con la trasformazione definitiva del PD da un partito che era la diffidente somma di ex democristiani ed ex comunisti, ad un partito di una moderna sinistra, liberale, laico e socialista o, direi io, solidale. Questo rinnovamento avviato da Veltroni ebbe il suo acme, con il Nazzareno. Quando Berlusconi, fu costretto a recarsi nella sede del PD per discutere della riforma elettorale e costituzionale. Non puo’ sfuggire a nessuno il fatto che da quel momento il PD divenne centro della scena politica, non limitandosi più a rincorrere il birichino cavaliere.

Diversi fattori hanno rallentato quel rinnovamento ed è indubbio che gli italiani ci hanno messo del loro. Siamo maestri nel lamentarci, urliamo contro lo zoppo barone che ha le sue clientele all’Università, oppure dei troppi lavativi che affollano la pubblica amministrazione, chiediamo meno tasse per tutti a viva voce, ma poi impariamo a zoppicare, chiediamo la raccomandazione, al lavoro appena possiamo, scappiamo (specie, proprio nella PA) e le tasse? Ne studiamo di mille maniere per pagarne il meno possibile o addirittura per eluderle.

Anche per questo credo, che certamente molti di quel 59% dei votanti che si è presa la responsabilità di dire no a quella riforma, siano stati manipolati, siano stati affascinati da un sistema di informazione vecchio e che certo non era favorevole al rinnovamento del paese, se non altro per puro spirito di conservazione, ricordate la televisione degli ultimi anni? Giannini, Floris, Santoro, Bianca Berlinguer, per citare qualche esempio.

Tutti uomini e donne del vecchio establishment, non ce n’era uno che facesse informazione. Erano tutti a fare formazione, direi a plasmare, le coscienze italiche.
Ma è pur vero che a prescindere dalla qualità dell’informazione italiana, per non parlare degli spaventosi social, autentico giardino delle menzogne, molti italiani hanno temuto un reale processo di rinnovamento del paese. Siamo ancora servi, non di poteri forti, ma di caste ben solide che nei loro orti la vogliono fare da padrone, e con le quali qualsiasi governo deve fare i conti.

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Si possono fare ottime riforme, come quella della pubblica amministrazione licenziata dalla Maida, ma poi le leggi devono applicarle quegli stessi dirigenti della PA che non hanno interesse a mettere in discussione le loro prerogative e privilegi. Questo determina, in sede di applicazione, mille impaludamenti, vere e proprie disapplicazioni della norma, con complicatissimi processi di controllo che spesso sono vanificati dalla terribile estensione della PA e delle sue diramazioni.

Puoi fare un’ottima riforma della scuola, anche se poi peggiorata, in larga misura, dall’obbligo di cedere ai ricatti dei sindacati, che lungi dall’interessarsi dei problemi dei lavoratori sembrano più occupati dalle vicende interne alla politica nostrana. Un po’ come certa magistratura, si veda il caso Consip, o certi funzionari della Benemerita, che svolgono azioni deviate per condizionare il futuro politico del paese.

Ma anche quella riforma, bella a metà (vogliamo essere generosi) alla fine va applicata in una scuola dove nella quotidianità i rapporti tra insegnanti, amministrazioni e dirigenti non sono spesso trasparenti, ma opachi, e quindi puoi scrivere le cose più belle del mondo, ma poi vanno applicate e in generale gli italiani amano piegarsi alle regole? Certo molti si, ma quanti? E le caste sono pronte ad accogliere le novità, a dare spazio ai giovani? A far funzionare seriamente la macchina dello Stato?

Eppure, malgrado questo clima di guerriglia continua, Gentiloni è riuscito a far avanzare il paese. Tutti gli indicatori economici, dicono che i consumi sono in crescita, che l’esportazioni hanno avuto un boom, che per la prima volta da anni l’occupazione è in calo, sotto l’11% (ben sei punti meno della Spagna). Il turismo ha avuto un successo enorme, malgrado terremoti, incendi e poi inondazioni.

La crescita sale nelle previsioni all’1,6% dato dell’OCSE, sempre meno dell’Europa ma finalmente si cresce. Quasi un miracolo se si considera il dolce far niente che ha caratterizzato tutta la politica della seconda repubblica.

Prima di Gentiloni, il PD, sempre a guida Renzi (allora anche presidente del consiglio) aveva fatto cose di “sinistra”, ma soprattutto utili e innovative, che gli attuali suoi critici, pur avendone mezzi e potere non si erano mai permessi di fare. Facciamo qualche esempio: L’allineamento delle tassazioni per le operazioni finanziarie in borsa che non hanno più il privilegio di pagare meno che nel resto d’Europa; la legge sulle unioni civili che ha permesso di equiparare nei diritti le coppie omo con quelle etero, un progresso di civiltà; la fissazione di un tetto per i guadagni dei super-manager nella pubblica amministrazione; la fine del privilegio per i politici dei vitalizzi; una moderna legge sul caporalato contro lo sfruttamento, ma si dovrebbe parla di schiavizzazione, degli immigrati; norme a tutela delle lavoratrici madri; un piano casa che consente a tutti, anche i piccoli proprietari di adeguare le proprie case con criteri antisismici con la possibilità di detrazioni fino all’85% delle tasse; un assegno di 500 euro da spendere in cultura per tutti diciottenni che ne abbiano fatto richiesta, che ha consentito un grande incremento nelle vendite di libri. Da sola in Europa ha retto ad una politica di accoglienza che fuori da ogni populismo è stata considerato e apprezzata da tutti. Una politica resa necessaria dai fatti e dai valori che quella moderna sinistra ha coltivato; infine, sempre in chiave europea la scelta d’iscriversi al Partito Socialista Europeo, una cosa semplice semplice ma di cui gli ultra rossi Bersani e D’Alema, al loro tempo furono incapaci.

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Sono solo alcuni esempi, ma che rendono chiaro il fatto che il rinnovamento del paese avrebbe potuto essere più veloce ed in linea con i progressi di altri paesi europei se solo gli italiani non si fossero sparati nei coglioni il 4 dicembre.

Ed allora accontentiamoci di questo nuovo che avanza, seppure lentamente, tenendo presente che tutti i dati dicono che Gentiloni, comunque sta lavorando bene e che evidentemente questi sono i tempi italici, un paese che, come detto, tra i populisti e una destra in ripresa e i dinosauri della vecchia sinistra, fatica a modernizzarsi.

Ma proprio l’opera di Gentiloni, pone un tema al nuovo PD, se sia o meno il caso di ricandidare alle imminenti elezioni Matteo Renzi come premier, con un sistema elettorale, che peraltro si preannuncia sostanzialmente di tipo proporzionale e che quindi inevitabilmente porrà il tema della formazione di coalizioni, o piuttosto, non convenga restare sul pezzo candidando alla guida del governo, ancora una volta il paziente ed efficace Gentiloni.

Veleno

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