Italiani «il più cinico dei popolacci», l’opinione di Giacomo Leopardi.

Pregi e difetti dell’essere italiani – Parte 2

Nella celebre opera Discorso sopra lo stato presente de’ costumi degl’italiani del 1824, Leopardi affronta le questioni citate da Mme De Staël, puntualizzando gli effetti dell’assenza di una nazione e quindi di una società italiana, caratterizzata da usi e costumi comuni.
Vedremo quindi, nello specifico, come Leopardi interpreti questa e molte altre questioni a lui care e concluderemo con un breve excursus relativo all’evoluzione della discussione sul carattere degli italiani.

LINK alla Parte 1: Il carattere degli italiani nel racconto di Mme De Staël ’Corinna o l’Italia’.

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Ritratto di Giacomo Leopardi (1798–1837) di A. Ferrazzi (Casa Leopardi, Recanati, Italia, 1820)

Giacomo Leopardi e il carattere degli italiani

Per gli autori trattati, la prima e inevitabile conseguenza della mancanza di società è l’assenza della morale fra gli uomini, dato che la De Staël interpreta come la causa del fallimento della storia d’amore fra Corinna e Nelvil, e Leopardi come il principale motivo di assenza di illusioni fra gli uomini, lasciati in balia del disincanto e in una sorta di anarchia politica e intellettuale.

Come risaputo l’immaginazione è, per Leopardi, l’attività creatrice delle illusioni e l’unico espediente per raggiungere la felicità. Egli dichiara d’essere un forte avversore del progresso e del razionalismo illuministico, nella convinzione che la conoscenza uccida l’immaginario e la dimensione onirica. Leopardi ci mostra infine il paradosso della modernità, facendo coincidere il progresso della scienza con il regresso dei nobili ed illusori valori come il bene, la giustizia, l’amore, la gloria, la morale, la religione e la metafisica, tutti indispensabili alla vita di ogni uomo. La società rappresenta l’unica salvezza poiché portatrice della morale che, tramite il principio di emulazione, viene diffusa fra gli uomini e tramandata di generazione in generazione. La società è anche conservatrice della sua stessa essenza in quanto «stretta, regolata, uniforme ed evoluta vita di relazione, con tutti i simulacri dell’illusione che essa genera: l’ambizione, l’onore, la conversazione, l’opinione pubblica».

È così che la mancanza della società fa degli italiani «il più cinico dei popolacci», irridenti e disprezzanti nei confronti del prossimo. Gli italiani vivendo nel disincanto, in quanto estranei alle illusioni sociali presenti nelle altre nazioni, sono indifferenti a ciò che gli ruota intorno e, mentre gli altri sono filosofi nella teoria, essi sono filosofi nella pratica.

Quali sono le ragioni per le quali l’Italia non ha società? Anche nell’analisi del poeta, l’assenza della nazione è centrale, come la mancanza di amor proprio e senso dell’onore. L’assenza di unità nazionale si manifesta così in una sorta di anarchia sociale di cui le principali manifestazioni comuni di vita collettiva sono «il passeggio» e «le chiese». In una situazione del genere, l’italiano non può essere un cittadino ma un individuo allo stato di natura.

«Il tuono sociale di questa nazione non esiste: ciascuno ha il suo. Infatti non v’é tuono di società che possa dirsi italiano.»

Gli italiani: “il più cinico dei popolacci”

Dopo una breve premessa nella quale esprime la sua volontà di effettuare un’analisi più obbiettiva possibile dell’Italia, Leopardi pone in primo luogo il tema della «conservazione della società» e della sua importanza al fine di salvaguardare la moralità e le illusioni, necessarie alla felicità di ogni uomo. In effetti il poeta è il primo disilluso nei confronti della vita e non vede altra possibilità di uscirne psicologicamente intatto che immaginando una diversa natura del mondo o facendosi dilettare dalle frivolezze dei costumi sociali. Il raziocinio e il progresso della scienza costituiscono, perciò, un pericolo per la sopravvivenza della stessa società che li ha creati. Egli pone l’esempio di paesi come la Francia, l’Inghilterra e la Germania che, pur avendo anch’essi largamente rinunciato ai principi morali e alle illusioni, dispongono di leggi e di un apparato statale che permette la trasmissione dei comuni costumi e di una morale collettiva che ancora esiste sotto un’altra veste (seppur in misura minore).

Nell’espletazione dei propri bisogni naturali, l’uomo non può fare a meno della «stretta società» e, di conseguenza, è indotto a ricercare l’apprezzamento altrui e a sviluppare una stima di sé. La stima, però, passa necessariamente da parametri comunemente riconosciuti dall’opinione pubblica, elemento che, in assenza di società, non può esistere. L’ambizione e l’onore sono due caratteristiche indispensabili dell’animo affinché si mantenga un equilibrio sociale di stima reciproca. Il rispetto dell’opinione pubblica subentra perciò in sostituzione alla morale (qualora essa venga meno), in quanto attitudine indispensabile per discernere il bene dal male.

Oltre all’assenza di uno stato nazionale, Leopardi individua altre ragioni che fanno sì che in Italia non esista una società, riconducendole alle caratteristiche fisiche del paese e all’attitudine degli italiani.

«Il clima, che gl’inclina naturalmente a vivere gran parte del dì allo scoperto, e quindi a’passeggi e cose tali, la vivacità del carattere italiano che fa loro preferire i piaceri degli spettacoli e gli altri diletti de’ sensi a quelli più particolarmente propri dello spirito, e che gli spinge all’assoluto divertimento scompagnato da ogni fatica dell’animo, e alla negligenza e pigrizia.»

Ma la critica verso gli italiani si spinge ben oltre affermando che vivono alla giornata e che non hanno una prospettiva di «miglior sorte futura», mancando in essi il principio di amor proprio e la tendenza all’emulazione.

«La perpetua e piena dissimulazione della vanità delle cose, dissimulazione che tutti fanno verso ciascuno nelle parole e nei fatti in una società stretta (..) inganna in qualche guisa il pensiero, e mantiene come che sia e per quanto è possibile l’illusione dell’esistenza.»

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Gli italiani sono dei filosofi, ragionevoli e razionali, individualisti e indifferenti nei confronti dell’altro: non che nella società stretta non esista il raziocinio, ma tale attitudine viene soffocata dalla vanità di se stesso e dalla frivolezza altrui.

«Se non altro l’immaginativa che per natura ci porta a concedere qualche valore alla vita, ha pure un pascolo nella società stretta, e facoltà di conservar qualche parte della sua azione ed influenza sull’uomo.»

Essi a causa del loro disincanto hanno perso il bello della vita: la propensione illusoria dell’immaginazione dei confronti del futuro e della realtà circostante. Ma come giustificare, al contrario, l’atteggiamento benefico e prettamente italiano di prendere le cose con leggerezza e di lasciarsi andare ai piaceri epicurei della vita? Secondo l’autore, l’unica reazione possibile alla drammaticità dell’esistenza è quella di riderci su, compiacendosi indistintamente e abitualmente d’ogni cosa e d’ognuno, incominciando da se stessi.

«Gli italiani ridono della vita (…) Questo è ben naturale, perché la vita per loro val meno assai che per gli altri.»

È chiaro quindi come, sia Leopardi che la De Staël, individuino le caratteristiche di ilarità, esuberanza, istintività e irriverenza nelle attitudini italiane, ma con accezioni completamente opposte: mentre per il poeta ogni caratteristica sopra citata è origine di altri spregevoli comportamenti, per l’autrice, che parla per bocca di Corinna, sono sintomi della purezza dell’animo, estraneo alle ipocrisie della società. Inoltre, mentre Corinna vede nei popoli meridionali un certo calore umano e una fredda attitudine calcolatoria in quelli settentrionali, Leopardi afferma:

«I settentrionali sono oggi i più caldi di spirito, i più immaginosi in fatto, i più mobili e governabili dalle illusioni, i più sentimentali e di carattere e di spirito e di costumi, i più poeti nelle azioni e nella vita, e negli scritti e letterature.»

Entrambi sono d’accordo sul fatto che non esista una società italiana ma tale inesistenza dà luogo, a loro avviso, a conseguenze sociali contrapposte: la perdita delle illusioni e quindi l’assenza di felicità per Leopardi e la libertà artistica, nonché ricchezza culturale regionale, per la De Staël.

Qual è stato lo sviluppo della riflessione sul carattere degli italiani?

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Dopo la creazione della Repubblica (1946), l’idea dell’esistenza di un carattere nazionale italiano si affermò sopratutto attraverso i mass media. Vennero proposti due tipi di immagini: una complessivamente positiva, improntata sul mito degli «italiani brava gente» (nel quale avevano luogo il sentimentalismo, la mancanza di una forte identificazione nazionale e l’indolenza) e una decisamente critica di cui si fecero portatori i giornalisti, non perdendo l’occasione di ricordare gli effetti socialmente nefasti dell’indole italiana.

Tuttavia, fu solamente con il genere cinematografico della Commedia all’italiana, negli anni Cinquanta e Sessanta, che si definirono le peculiarità caratteriali degli italiani: il « mammismo », il « familismo » e il trasformismo (sinonimo di opportunismo).

Ciò che cambiò rispetto al passato fu l’obbiettivo della riflessione sul carattere nazionale: non si trattava più di un’analisi volta a migliorarne gli aspetti negativi, al contrario la discussione sul temperamento degli italiani ne confermò le caratteristiche, dando origine allo stereotipo e convincendo ogni cittadino della penisola di essere proprio così.

Quale giudizio avrebbe dato Leopardi a tale situazione di completo disinteresse nei confronti dell’opinione pubblica (anche straniera)? L’Italia, nella metà del ‘900, in pieno sviluppo economico, non aveva alcun interesse nel modificare tale condotta, se non quello di contribuire alla radicalizzazione di tali ed altri comportamenti che avevano avuto origine nel passato e che ormai identificavano, nel bene o nel male, l’italiano agli occhi del mondo.

Negli ultimi due decenni, infine, la discussione si è limitata ad una mera dissertazione sui vizi di cui la classe politica si è fatta diretta rappresentante, strumentalizzandoli a proprio piacere, principalmente allo scopo di deresponsabilizzarsi da scandali economici e sentimentali di vario tipo, riabilitando così atti moralmente discutibili in costumi socialmente riconosciuti.

Giulia Del Grande
Università per Stranieri di Perugia

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Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, di Giacomo Leopardi
(Bur Rizzoli, classici moderni)
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Il genere letterario della descrizione dei costumi di un popolo era assai praticato in Europa all’inizio dell’800: Leopardi, nel confrontarsi con questa forma di scrittura, unico nella tradizione letteraria nostrana rattrappita nella memoria della grandezza passata, traccia un quadro desolato dell’Italia e dei suoi abitanti: troppo disincantati per nutrire illusioni, ma troppo poco civili per farsi guidare dal senso civico, dal dovere, dalla morale; ridotti a essere custodi di un passato glorioso, perché nel presente privi di qualsiasi vitalità. La causa viene individuata nella mancanza di un’unità nazionale, che non deve essere solo unità politica, ma anche, e non secondariamente, condivisione di tradizioni, di intenti, di costumi, di mentalità. Un testo profondamente radicato nel suo tempo, dunque, ma anche di sorprendente attualità, che esamina il carattere degli Italiani del primo XIX secolo, ma nel farlo ritrae difetti di cui la nostra società soffre tuttora.

Aggiornamento (marzo 2021):
Segnaliamo il nuovo saggio di Vincenzo Guarracino, Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, La Nave di Teseo, Milano, 2021:
http://www.lanavediteseo.eu/item/discorso-sopra-lo-stato-presente-dei-costumi-deglitaliani/

“Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani è un’appassionata riflessione sulla mentalità, il carattere e la moralità della società italiana. Dall’osservatorio privilegiato della sua solitudine recanatese, Leopardi guarda ai suoi contemporanei per smascherarne vizi e limiti. Eppure questo testo, scritto tra la primavera e l’estate del 1824, sembra profeticamente parlare dell’oggi. Lucido e impietoso, disincantato, il ritratto che ne emerge degli italiani, nel progressivo tramonto di ogni illusione e grandezza, con sullo sfondo, a specchio, le altre nazioni europee, “con più vita” e “con più società” rispetto al nostro paese, della cui anomalia forse davvero è meglio “ridersi”, come fanno gli italiani stessi. A meno di non ricorrere all’“immaginazione”, superando ogni individualismo e sfiducia nel presente, per aprire a diverse speranze e prospettive, a una rinnovata civiltà.
La nuova edizione di un classico del pensiero, con un ampio commento di Vincenzo Guarracino che mette in luce le intuizioni profetiche che fanno dell’opera di Leopardi un testo utile per capire gli italiani ancora oggi”.

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Giulia Del Grande
Giulia Del Grande, toscana di origini, dopo una lunga permanenza in Francia, dal 2018 risiede stabilmente a Copenhagen. Dopo aver ottenuto la laurea in Relazioni Internazionali ha specializzato la sua formazione nelle relazioni culturali fra Italia e Francia in epoca moderna e contemporanea lavorando a Bordeaux come lettrice e presso varie associazioni e istituti del settore, svolgendo, in ultimo, un dottorato in co-tutela con l'Università per Stranieri di Perugia e quella di Toulouse 2 Jean Jaurès. Collabora con Altritaliani dal 2016.

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