L’eredità di Dante, a 750 anni dalla nascita del Poeta

Il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri è stato solennemente rievocato in un importante Convegno Internazionale a Roma, a Villa Altieri, nel Centro Studi per la Ricerca Letteraria, Linguistica e Filologica “Pio Rayna”, in concomitanza con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dal 27 settembre al 1° Ottobre 2015.


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Si sono alternati a discutere i vari temi, relativi alla formazione intellettuale del Poeta, alla produzione, alla tradizione ed all’interpretazione delle opere, validi studiosi di numerose università italiane. Ha aperto le giornate di studio con un lungimirante discorso Luciano Canfora, emerito dell’Università di Bari, sull’ardore della conoscenza in Dante ed ha concluso il Cardinale Ravasi con il suggestivo: Il messaggio ai posteri.

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A distanza di così tanti anni il nome e la fama del Poeta sono intatti, quest’ultima sicuramente accresciuta.

La sua parola ha scavato nel corso di questi secoli più che mai nelle coscienze umane ed ha suscitato selve di itinerari critici, molto originali, segno della vitalità e dell’intensità della sua poesia. Egli resta il Sommo Poeta non solo per aver dato inizio, dopo vari tentativi, alla lingua del nostro paese, nobilitandola ed elevandola ad eloquio illustre, ma soprattutto perchè ha saputo dare un senso ai tanti problemi dell’uomo di ieri e di oggi, indirizzando verso un alto fine i dubbiosi e gli erranti.

La sua è un’eredità tutta spirituale, ricchissima che, al di là degli strumenti usati, linguistici, metrici, allegorici, artistici, vuole parafrasare il riscatto e la redenzione dopo l’errore per una più alta perfezione.

Luciano Canfora inaugura il convegno con una lectio magistralis su Ulisse

Il suo poema è corredato da inviti frequenti ad approfondire la consapevolezza dei propri limiti naturali ed elevarsi all’imitazione di Dio, indiarsi, com’egli dice con un neologismo.

Basterebbero i versi: “Considerate la vostra semenza: / Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” con cui ha esordito il Prof. Canfora. Parole di ammonimento che il poeta pone sulla bocca di Ulisse (XXVI 118-120) che annunziano già il futuro nel periplo dei viaggi suggestivi di scoperta e richiamano le antiche fonti greche e latine da Omero ad Aristotele, a Fozio, ad Orazio, a Seneca e ad altri puntualmente indicati.

Peccato di superbia o atto di ribellione a Dio il volo dopo le Colonne d’Ercole? Nè l’uno, nè l’altro. Ulisse è nell’Inferno per la sua colpa terrena di fraudolento. L’ostacolo che si frappone alla sua ultima scoperta da vivo e dei suoi compagni, da lui stesso narrato, è la vicenda dell’esploratore sfortunato, per essere incorso, dopo lunga peregrinazione in una montagna bruna,

”….e parvemi alta tanto, Quanto veduta non avea alcuna”.

Era il Purgatorio.

Lo sconfinamento nel mondo metafisico è uno stadio di conoscenza a cui egli non può giungere.

Eppure a Catone nel I del Purgatorio è possibile e così pure a Stazio nel XXI del Purgatorio ed a Traiano, nell’occhio dell’Aquila del XX del Paradiso.

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Cosa c’è che distingue alcuni pagani meritevoli della salvezza per grazia divina da altri esclusi, nonostante siano vissuti nella stessa temperie di tempo? Intendiamoci! È sempre la libertà del Poeta che ha voluto selezionare personaggi assurti a simbolo da altri autenticamente vissuti. La sua scelta non è dipesa dalla simpatia per gli uni o dalla condanna per altri. Perchè altrimenti condannare al Limbo Virgilio, cui è legato da profonda amicizia e stima? Senza dubbio ha voluto accostare i segni del discorso allegorico-figurale alla contingenza reale, innestando l’uno nell’altra, come l’esterno all’interno d’un processo evolutivo che aveva nel Medioevo le sue regole.

Ed egli in questo è un maestro e sperimenta nel contempo cosa voglia dire avvicinarsi a Dio. Prova a giudicare le anime dall’alto della sua dottrina cristiana, ad assegnare loro castighi e premi, infelicità e beatitudini, secondo un disegno complesso e volutamente labirintico. Così alcuni pagani sono salvi, quelli che hanno conosciuto la Grazia in anteprima ed altri no.

Si legge nel Purgatorio (III, 37-45) il grande turbamento di Virgilio:

State contenti, umana gente, al quia: [……]……E disiar vedeste senza frutto / Tai, che sarebbe loro disio quetato,/ Ch’etternamente è dato lor per lutto:/ Io dico d’Aristotile e di Plato,/ E di molt’altri.”E qui chinò la fronte,/ E più non disse e rimase turbato.

Così è pure per Stazio (Purgatorio XXI,82 e sgg.), anima redenta che sale all’Empireo, e Traiano e Rifeo nel canto dell’Aquila (XX del Paradiso, 100 e sgg.) graziati da Dio.

Ci sono dunque eccezioni tra gli spiriti nati prima di Cristo rispetto a quelli vissuti dopo la redenzione, naturalmente invitati al banchetto della Grazia e questa doveva essere da loro condivisa secondo S.Tommaso. Ma il mondo pagano doveva entrare nell’universale visione per tutto il ricco patrimonio culturale che aveva espresso. Da qui l’espediente usato da Dante che Auerbach ha definito: “La rappresentazione figurale del poema”, concezione largamente diffusa nel Medioevo europeo, relativa ad opere teologiche, di letteratura e di arte. La figura era un’umbra, rinviava cioè ad una realtà storica per superarla, come per esempio il Catone del I del Purgatorio, rappresentazione della libertà cristiana, trasformato in custode del regno dell’espiazione, che pur resta il Catone terreno.

Dante collega così l’antico al nuovo in nome di quella libertà il cui elogio era già in Cicerone, in Virgilio, in Lucano, in Seneca, in Valerio Massimo. La sua visione vuole essere non solo terrena, ma come l’occhio di Dio che dall’alto vede senza condizionare l’azione umana. Attenzione però!

L’espressione: Seguir virtute nelle parole di Ulisse non vuol dire conformarsi al volere della virtù divina, scegliere il bene dell’anima, ma quello che è l’impulso tutto naturale, lo sprezzo del pericolo, l’audacia senza ragione, l’ardimento che può portare alla morte, con una sola parola la curiositas che può apparire nel mondo terreno encomiabile, ma che è motivo di rimprovero nei detti paolini e per Ulisse momento di amarezza e disagio, alla luce della verità.

Che differenza dunque c’è tra virtù comunemente intesa e quella spirituale?

Nel prosieguo del poema saranno chiarite le virtù cardinali che il cristiano deve avere, che brillano nel cielo del Purgatorio, e le teologali che accompagnano come ninfe l’arrivo di Beatrice: “Noi siam qui ninfe, e nel ciel siamo stelle” (Purg. XXXI, 106 e segg.). Sono tappe d’un unico processo che va dalla terra al cielo, dall’aspetto sensibile a quello celeste.

Dante ha disseminato esempi d’interrelazione tra cultura antica e nuova, in tutta la sua Commedia, come detto d’altronde nella lettera a Cangrande: che nella scriptura paganorum si può trovare conferma della verità rivelata. L’errore di Ulisse nel compiere il folle volo è di non aver conosciuto la prudenza e la temperanza.

Ulisse nell'Inferno di Dante, anonimo lombardo

Moltissimi altri aspetti della figura dantesca sono stati successivamente evidenziati, non solo della grande Commedia, ma pure delle opere minori, delle Lettere ed anche di altri studi collaterali, dai quali emergono particolari della vita, degli studi, degli ambienti frequentati, delle Letture fatte, dei dibattiti e politici ed etici sostenuti sempre con grande impegno, coraggio e genialità encomiabile. Dante era parco, dignitoso e molto riservato. Quando Giovanni del Virgilio lo chiamò a Bologna nello studio che il poeta prima aveva frequentato di Medicina ed Arti (Prof. Andrea Tabarroni), per onorarlo e presentarlo ai discepoli che ardevano di discutere con lui, Dante ne fu lieto (definì l’invito “un canto di sirena”), ma poi rifiutò per non incorrere in pericoli politici.

Egli apre l’itinerario della nostra letteratura e traccia in essa un solco profondo che dura fino a noi ed oltre, come fa un Padre, attento a lasciare ai suoi figli una grande eredità di affetti e di parole che fanno vivere ed operare.

Gaetanina Sicari Ruffo

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Programma del Convegno internazionale Dante fra il settecentocinquantenario della nascita (2015) e il settecentenario della morte (2021)

Roma, Villa Alteri / Palazzetto degli Anguillara

28 settembre -1 ottobre 2015

Sito Centenaridanteschi.it

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Gaetanina Sicari Ruffo
Gae(tanina) Sicari Ruffo è purtroppo venuta a mancare nel 2021. Viveva a Reggio Calabria. Già docente di Italiano, Latino e Storia, svolgeva attività giornalistica, collaborando con diverse riviste, tra cui Altritaliani di Parigi, Calabria sconosciuta e l’associazione Nuovo Umanesimo, movimento culturale calabrese. Si occupava di critica letteraria, storica e d’arte. Ha pubblicato i saggi Attualità della Filosofia di D.A. Cardone, in Utopia e Rivoluzione in Calabria (Pellegrini, 1992); La morte di Dio nella cultura del Novecento, in Il Santo e la Santità (Gangemi, 1993); La Congiura di Tommaso Campanella, in Quaderni di Nuovo Umanesimo (1995); Il Novecento nel segno della crisi, in Silarus (1996); Le donne e la memoria (Città del Sole Edizioni, 2006, Premio Omaggio alla Cultura di Villa San Giovanni); Il voto alle donne (Mond&Editori, 2009, Premio Internazionale Selezione Anguillara Sabazia). Suoi anche i testi narrativi Là dove l’ombra muore (racconti Premio Internazionale Nuove Lettere, 2010); Sotto le stelle (lulu.com, 2011); La fabbrica dei sogni (Biroccio, 2013); la raccolta di poesia Ascoltando il mare (Pungitopo, 2015).

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