Ah l’Italia…che non cambia mai di epoca !

Nei giorni scorsi anch’io, come tanti, ho trascorso il mio periodo invernale di libertà obbligatoria : la settimana bianca. A Limone Piemonte, provincia di Cuneo. Il che mi ha dato la possibilità di sciare (malissimo, peraltro, ma questo è un altro discorso) e di riassaporare, per qualche giorno, il gusto del mio paese, l’Italia. L’Italia, porca miseria, patria tanto amata ! Perché, sapete, il fatto è che io manco ormai da parecchi anni.

Mi sono trasferito in Francia (giuro che è vero) il 13 maggio 2001, giorno in cui Silvio Berlusconi vinse trionfalmente le elezioni. Avevo votato (non vi svelo per chi, perché, come dice il neo-ministro Federica Guidi e prima di lei mia nonna, «il voto è segreto»), e poi me l’ero filata. Lo so: potrei essere accusato di un atteggiamento pregiudizievolmente ostile nei confronti del governo Berlusconi, ma intanto non è vero (le elezioni e la mia partenza, come avrebbe detto Carlo Verdone, erano due cose avulse) e comunque il reato di pregiudizio sarebbe ormai caduto in prescrizione, grazie alle numerose riforme sul tema del succitato governo.

Da quel giorno sono trascorsi quasi tredici anni ; e in occasione di ogni mio ritorno in Italia, guardo cosa c’è di nuovo, cosa è cambiato, cosa è successo. Timoroso, in fondo, di non riconoscere più il mio paese, un po’ come capitava a certi antichi emigranti, che tornavano al paesello e trovavano tutto cambiato, non capivano più la lingua, non trovavano più la vecchia fontana a cui si erano abbeverati da ragazzi, e lì dove c’era l’erba ora trovavano una città.

È con questo spirito di nostalgico affetto che, anche questa volta, mi sono riaccostato all’Italia. Ho persino acceso la televisione. Una passione nazional-popolare, una passione italiana. Quando ero bambino in televisone c’erano Raffaella Carrà e le gemelle Kessler. A pensarci, che follia. Io ero innamorato della Carrà. (E lo sono ancora adesso). Delle Kessler no. Niente da dire, massimo rispetto per le Kessler, però ecco, non so, le trovavo un pochetto rigide. Tipo la Angela Merkel sugli Eurobond, per capirci.

Poi, qualche anno più tardi, in televisione era arrivato Fabio Fazio. Mio conterraneo (ligure) e soprattutto correligionario calcistico (sampdoriano). Me lo ricordo, alla fine degli anni Novanta, al Festival di Sanremo, a fare il lumacone con la Lætitia Casta.

Laetitia Casta e Fabio Fazio - San Remo 1999

E poi c’era anche (ma come si chiamava ?) un tipo pieno di buon senso, che « non era bello ma aveva mille donne » accanto a sé perché presentava quelle trasmissioni della tarda mattinata, molto seguite da un certo tipo di pubblico femminile, quello più tradizionalista… Ecco, sì, Magalli. Pieno di buon senso, Magalli. E c’era… Ma come si chiamava ? Ah ecco, sì : Maria de Filippi con quella faccia da lupa, da professoressa con gli stivaloni che ispira certi pensieracci agli adolescenti.

Ecco cos’era la televisione ai tempi miei. E poi c’erano i dibattiti politici. Pieni di gente che, come nella canzone di De Gregori, « sapeva benissimo cosa fare ». C’erano – ricordo – dei tipacci cattivi, degli orchi, come Paolo Guzzanti e Giuliano Ferrara. E c’era uno che pareva un bambolotto, ah ecco sì : Enrico Mentana. Che parlava come una mitraglia – un trapano, pareva. E c’era Barbara Palombelli, aspirante first lady di sinistra, con quella sua aria bamboleggiante, da donna elegante ; di sinistra sì, ma di una sinistra moderna. La Palombelli che sembrava sempre incazzata con il resto del mondo, reo di non voler capire come stavano le cose. E c’era una specie di invasato, come si chiamava ? Ah ecco, Vittorio Sgarbi ; uno che insultava tutti, perché lui aveva studiato tante cose e letto tanti libri e si ricordava cosa c’era scritto dentro, e sapeva riconoscere i quadri antichi così, con uno schioccar di dita, senza nemmeno implorare gli « aiutini », e quindi si sentiva in diritto di trattare tutti gli altri per quello che erano al suo confronto, cioè dei vermi ignoranti.

E costoro parlavano, invariabilmente, tutti assieme e ripetevano in coro, all’unisono, una stessa identica litanìa, che faceva così : « primo, abbassare le tasse sul lavoro, perché è il lavoro la ricchezza del paese, la nostra benedizione e la consolazione, basta con le tasse che penalizzano il lavoro ! Secondo, ridurre la spesa, quella improduttiva, gli sprechi insomma, perché è una vergogna che la gente che lavora sia bastonata da un fisco oppressivo e poi si sprechino i soldi, basta ! ». E tutti a fare cenni di assenso con il capo : giusto, sacrosanto, ridurre le tasse e tagliare la spesa improduttiva, è urgente, urgentissimo, fare queste due cose !

Ecco cos’era l’Italia ai tempi miei, ecco cosa si sentiva, cosa si diceva. Poi il tempo è andato e diciamo siam vecchi, ma cosa siamo : ed ecco che in queste sere in montagna, mentre fuori fischiava il vento e infuriava la bufera, dopo aver sciato (malissimo. Ma l’ho già detto, questo è un altro discorso, questo non c’entra), ho acceso la televisione, spinto da curiosità.

Vediamo un po’ quest’Italia nuova, quest’Italia che non conosco per presa diretta, mi sono detto; quest’Italia che mi sorprenderà e mi stupirà, ne sono certo. L’Italia di Matteo Renzi. E ho acceso la televisione. C’era il Festival di Sanremo. A un certo punto mi è parso di vedere uno che assomigliava a Fabio Fazio. Gli assomigliava, ma proprio tanto tanto. E faceva il lumacone con una che, manco a dirlo, sembrava proprio Lætitia Casta.

Laetitia Casta e Fabio Fazio - San Remo 2014

Mi son detto : ah ho capito, è una replica. C’è sciopero e allora trasmettono una replica. O forse sarà una trasmissione dal titolo «Come eravamo», o
«Ieri e oggi », sì, c’era una trasmissione così ai miei tempi : «Ieri e oggi». Invece no.

Era oggi e basta; però, giuro, a me pareva che ci fossero proprio gli stessi che mi ricordavo io. Poi ho avuto una visione: era la Carrà. La Raffa ! E lì nel rivederla ho capito di amarla ancora, dell’identico sentimento. E dopo la visione ho avuto pure un’allucinazione più grave, perché ho creduto di vedere le gemelle Kessler. Sempre un po’ rigide, Vabbé dai, mi sono ripetuto per farmi coraggio : è una serata così.

Serata nostalgia. Nei giorni successivi ho ripetuto l’esperimento, anche ad ore diverse. E ho avuto altre allucinazioni. Ho visto un tipo pieno di buon senso, che « non era bello ma-aveva-mille-donne » accanto a sé, e quel tipo era Magalli. Cioè, proprio quel Magalli che mi ricordavo io. E ho visto una tipa torva, che sembra sempre incazzata, una professoressa di quelle con gli stivaloni, ed quella tipa era la Maria de Filippi, la stessa che c’era ai tempi miei. E ho visto una signora sempre bella ed elegante, a dire la verità, e sempre incazzata con il mondo che si ostina a non capire. (Secondo me è solo perché suo marito, Francesco Rutelli, da grande voleva fare il Matteo Renzi e non c’è riuscito). E quella signora era Barbara Palombelli, che una volta faceva « Otto e mezzo » con l’orco Ferrara e parlava delle grandi crisi internazionali, e invece adesso che non è più aspirante first lady della sinistra fa la trasmissione piagnucolosa su Rete 4. Ma a parte quello, nulla è cambiato. E poi mi è sembrato pure di vedere proprio l’orco uno, Giuliano Ferrara, e l’orco due, Paolo Guzzanti, e ho sentito una mitraglia, e quella mitraglia era Mentana, e ho visto un invasato che gridava, e quell’invasato era Sgarbi.

A quel punto ho cominciato ad avere un dubbio, a guardare attorno a me, per capire in che epoca mi trovavo. Forse si tratta di un prodigio, mi sono detto ; sono tornato indietro negli anni, alla giovinezza. Forse senza saperlo ho contratto un patto segreto con il demonio! Ma come esserne certo ? Ho cercato attorno a me una prova dell’incredibile prodigio.

E in quel preciso istante, ho sentito che alla televisione parlavano tutti assieme, proprio tutti assieme (devono essere sordi, non sentono che sta parlando qualcun altro, sarà forse l’età avanzata) ; e ripetevano in coro, all’unisono, una stessa identica litanìa, che faceva così : « primo, abbassare le tasse sul lavoro, perché è il lavoro la ricchezza del paese, la nostra benedizione e la consolazione, basta con le tasse che penalizzano il lavoro ! Secondo, ridurre la spesa, quella improduttiva, gli sprechi insomma, perché è una vergogna che la gente che lavora sia bastonata da un fisco oppressivo e poi si sprechino i soldi, basta ! ». E tutti a fare cenni di assenso con il capo : giusto, sacrosanto, ridurre le tasse e tagliare la spesa improduttiva, è urgente, urgentissimo, fare queste due cose ! (E a quel punto ho avuto la certezza : il prodigio si era compiuto, ero tornato indietro nel tempo, all’Italia della mia gioventù. Allora ho fatto in fretta i bagagli, e me ne sono tornato in esilio).

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

3 Commentaires

  1. Ah l’Italia…che non cambia mai di epoca !
    grazie – grazie a Irene (Paola) e Claudio –vorrei dire che l’ironia verso l’Italia che non cambia (almeno nelle sue forme più visibili, immediate, mediatiche) è, da parte mia, un atto d’amore, d’affetto, di vicinanza. E in realtà, quando torno in Italia, ogni volta, resto stupito e meravigliato non dalle novità, ma proprio dalle cose antiche che vi ritrovo: la meraviglia di un vero caffé (dovunque lo si prenda), la cortesia delle persone, la bellezza delle piazze, la pazienza della gente nei confronti dei bambini (che altrove sono percepiti come un fastidio e una noia), la luce, certi angoli segreti. (Si scherza, si fa un po’ di ironia soprattutto per amore, o per rimpianto, o perché esiste un legame indissolubile, che nessuna vocazione al cosmopolitismo può sostituire: Leopardi ha scritto, parola più parola meno, che, quando si amò Roma come il mondo, non si amò più né Roma né il mondo). Un saluto, maurizio

  2. delle libellule
    …e mentre scrivo il titolo, che non so se ti arriverà, il titolo e quindi il testo, visto che in questo sito non ci capisco niente, e non so se l’indirizzo mail che ho inserito è corretto, dicevo, uff, già stanca…
    a parte che sono passata al Tu, licenza del social, per tagliare un po’ corto, e poi, che dire, hai già scritto tutto tu, e poi te ne sei andato, e quindi non mi resta che evocare un festival più antico, quando ero adolescente, e Fazio…era adolescente pure lui, e mi pareva già sufficientemente eteronomo, molto propenso a nutrirsi della linfa altrui, ma comunque. Punto. A capo.
    Se mi stai leggendo da Parigi, ti meriteresti un vaffanculo che ti invio di cuore, certo che non ti scandalizzerai.
    Se lo farai, sono abituata, e non imparo mai, e lascio i pezzi per strada (miei e altrui).
    E poi e poi, volevo arrivare al dunque, per esplicitarti il grumo del senso, la libellula.
    Fiordaliso, Sanremo, 1984. Forse l’ultimo Festival che ho visto, alla caccia, non di libellule, ma di canzani sulle quali planare in sogno fino all’estate.

    Solo così ti potevo rispondere, fuori tema, e quindi 4 meno meno.
    Irene ma Paola in realtà.
    Ciao

  3. Ah l’Italia…che non cambia mai di epoca !
    Complimenti! È un’analisi centratissima. Che in piu’, implicitamente, dà la soluzione agli eterni problemi di questa Italia che « non passa mai » – mi pare che dica cosi’ Galli della Loggia. La soluzione infatti è: « Ma girate pagina! Cambiate epoca! Smettetela poi con questa Tv « incestuosa » che vi ha rincretiniti tutti! »

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