Costituzione: La via maestra.

La Costituzione sarà la stella polare anche per l’Italia della “terza repubblica”. A Roma in cinquantamila a manifestare in difesa e per l’applicazione della nostra carta fondativa. Con Rodotà, Landini e Don Ciotti anche una bella fetta di paese reale.

Quanti eravamo ieri? Mah non so, alcuni dicono cinquantamila, altri appena cinquecento.

Comunque io c’ero. Insieme ad una discreta rappresentanza, piccola ma molto rumorosa, di Sel Anzio.

Trascinandomi dietro la bambina della mia vita che si lamentava e minacciava ritorsioni tremende: “Mamma ma perché non andiamo al centro commerciale come tutti gli altri? Invece alle manifestazioni, povera bambina io!!”

Lasciamo la stazione Termini, accolti da un sole che non ti aspettavi, non immaginavo io, ne, evidentemente, gli altri avventurieri nella grande metropoli, a giudicare dai vestiti, giacche e ombrelli a portata di mano.

Davanti a noi si apre, bellissima, piazza della Repubblica, colorata e formicolante di gesti, i primi segni del corteo, le bandiere tante, ad inseguire le curve del vento.
Ci sono quelle di azione civile di Ingroia e tante di Sel che fanno da coda al corteo già in movimento. Noi ci aggreghiamo, come ad una scampagnata, con l’aria di aver ritrovato vecchi amici ad una festa. Trascinati dall’allegria che dirotta e trasporta, sempre, questi viaggi di dignità collettiva.

Ci fa’ da colonna sonora, oltre al chiacchiericcio e alle risate della gente intorno, il fischietto di Francesca che, una volta conquistato vi trova, piccola lei, il suo scopo nella manifestazione: fare casino allegramente e assordare le orecchie dei presenti. Felice di poterlo fare senza essere disturbata ne rimproverata.

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Percorriamo, come ad un invito al ballo, via Barberini e poi filiamo verso il Sistina, Roma non mi è mai apparsa così bella, quando non è devastata dalle automobili ed è rapita e recuperata solo da donne e uomini in movimento. Movimento che non è solo di gambe ma anche di pancia e di cuore.

L’unico canto che sale verso l’alto è la maestosa “Bella ciao”, bella come una dichiarazione d’amore, come un sussulto del cuore quando questo si emoziona. Ci ispira e, qui, a Roma, non può non far partire il ricordo delle fosse Ardeatine, poco lontane e dei suoi martiri, giovani e vecchi, strappati alle loro case e alle famiglie, alcuni ancora in pigiama, ignari della vergognosa vendetta che li attendeva.
Non può non oltraggiarci questa memoria proprio nel giorno in cui l’assassino muore e sgombra la città della sua scellerata e pesante presenza.

Ma continua il corteo verso Piazza del Popolo, ci arriviamo dall’alto, dal viale Gabriele D’Annunzio e insieme ai tetti illuminati e assolati in questo tiepido autunno, vediamo la piazza piena, meravigliosa, colorata di sigle, manifesti, bandiere, indignazione, onesto rifiuto e risentimento.

Ci sono i giornali che srotolano la loro presenza sui muri intorno alla piazza, c’è Left, il Manifesto, Il Fatto quotidiano; Emergency, No Tav, Fiom, ANPI , Arci, Articolo 21, Antigone, Libera contro le mafie, Movimento delle agende rosse, Assopace per la Palestina, Forum per l’acqua pubblica, studenti, precari, disoccupati, tante le realtà presenti, da tantissime città italiane. Sgrano gli occhi, mi guardo intorno e leggo Firenze, Cuneo, Comitati per la Costituzione dal Friuli e Carnia, Palermo, Napoli…

Siamo tutti li, da vite e luoghi diversi, tantissimi, a reclamare gli stessi diritti, a dire in coro: “Ragazzi finché si scherza, si scherza! Vi siete mangiati tutto, ci avete depredato di tutto, vi abbiamo permesso tutto ma la spina dorsale, il nostro scheletro portante, non lo toccate. Noi siamo qui oggi e lo difendiamo” . Si pensa ai partigiani che quella carta l’hanno scritta con le gambe, a perdifiato sulle montagne, con il cuore in gola, sotto le bombe e le mitraglie, con la vita e il dolore sui palmi delle mani e nelle braccia ferite, offerti alle generazioni future.

“La Costituzione è stata sequestrata e sono state distorte le regole fondative” , dice Rodotà e il senso della manifestazione è affermare che non tutto si può fare, che esiste un limite di civiltà oltre il quale non è proprio consentito andare.
Arriviamo quando dal palco Travaglio sta concludendo il suo intervento, e si domanda, ancora, beffardo, come sia possibile che la nostra classe dirigente, tutta, offra i suoi servigi al solito delinquente patentato, certificato, da condanna definitiva. Ce lo chiediamo tutti.

Dopo di lui altri interventi, ragazzi, studenti, come la ragazza calabrese che è venuta a studiare a Roma e si chiede che futuro avrà, dopo essere uscita dalla più grande fabbrica di precariato esistente, che è oggi l’università italiana.
Se lo chiedono, insieme a lei, gli altri studenti nelle diverse piazze che, l’altro ieri, hanno protestato e si sono mobilitati per una cultura migliore. Per un sapere che insegua lo scopo, certo, di costruire identità e profumi di possibilità e opportunità future.

Se lo chiedono gli studenti, e lo hanno portato nelle piazze il loro dissenso ad un andamento culturale che, invece, viaggia in senso opposto e, lì nelle piazze, puntualmente, hanno trovato le forze dell’ordine costituito a manganellare.

Ma continuiamo il racconto, viene presentato Landini e la gente si infiamma, operaio nel cuore, parla di lavoro, del lavoro che impoverisce perché non ti basta più per vivere e per pagare le tasse, di una Costituzione viva che non deve essere cambiata ma applicata, ” bisogna” dice “cambiare il paese attraverso la Costituzione”, di una situazione dove il problema lavoro ristagna da vent’anni tra gli appunti dei governi che hanno nicchiato e sonnecchiato.

“Siamo qui non come conservatori. Se c’è qualcuno che vuole cambiare il Paese quelli siamo noi. Bisogna riflettere sul problema della finanziarizzazione dell’economia. L’articolo 18 è stato cancellato, ma avete visto frotte di multinazionali alle frontiere? Il Parlamento deve decidere se difendere il lavoro o la finanza….facciano quello che devono fare”, (Dal Fatto quotidiano, del 13 ottobre 2013). Per cambiare ad esempio la legge elettorale, il manifesto alla sagra del porcellum voluto fortemente da tutti, destra e sinistra, da quelli che l’hanno votata e dagl’altri che si dichiarano contro, si indignano e poi si rattrappiscono quanto bisognerebbe muoversi per modificarla. Sarà una strana forma di artrite collettiva del parlamentare che si innesca quando gli argomenti toccano certe sensibilità.

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Landini spiazza con la sua genuinità, muove le masse da leader ( forse nemmeno ne è consapevole) e non disdegna di fermarsi a parlare con la mia amica temeraria che lo avvicina con la sua perenne ansia di: “Oddio che famo?!”. La immagino dirgli (non so se è andata proprio così), : ”Landini va bene la fiat, l’Ilva, il precariato, gli operai…ma Lavinio?! Vogliamo parlare di Lavinio? Noi come cittadini e Sel abbiamo intenzione di fare questo e quello e tu che farai? Ci appoggi?”. Meravigliosa lei, ci racconterà, poi sul treno, che lui l’ha ascoltata con sincero interesse dedicandoci un bravi, ma, giuro, non ho capito se verrà poi a perorare le nostre cause su questo piccolo litorale a sud di Roma.

Continuiamo ad ascoltare ed interviene Don Ciotti, arrabbiato e offeso della nostra stessa rabbia e offesa quotidiana.

Ce ne andiamo prima che la ressa ci impedisca di entrare in metro. Prima di perdere il treno per casa.

Ma in tempo per ascoltare di Angela, licenziata, con due figli piccoli a carico, sorpresa a rubare del formaggio, che piange perché ridotta, costretta, a diventare una ladra.

Il tempo di ascoltare di anziani trovati a rubare nei supermercati per fame, parole che crollano, sassi sulle nostre spalle. Immagini disperate a cui nessuno oggi, in questo paese, può dirsi immune.

Ce ne andiamo mentre sento che monta la rabbia e l’indignazione si scioglie tra le lacrime.Ma questa non è l’ultima tappa, dicono dal palco, solo la prima metà di un percorso che continuerà.

Marina Mancini

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