Il sistema Pin yin. Salvare la lingua cinese.

L’avvento del computer e dei cellulari, se non si prendono provvedimenti a tempo, può costituire una grave minaccia per l’esistenza della lingua cinese, in particolare quella scritta. Il bresciano Nico Bignami, trapiantato da anni a Montréal, serio studioso della lingua cinese, esamina i pericoli che la lingua cinese sta correndo.

Noi ci preoccupiamo della lingua italiana, perché la vediamo minacciata, nella penisola, da pigrizia mentale, faciloneria, burocratese e dal continuo incalzare di un ridicolo « anglo-americano » d’accatto. Quest’ultimo suscita sorpresa e ilarità presso chi all’estero, attratto dall’armonia e dalla deliziosa sonorità della nostra lingua, decide di mettersi allo studio dell’italiano, imbattendosi poi nei vari « flop », « mix », « killer », « jackpot », « tilt » di una lingua che gli si rivela invece, per molti versi, da barzelletta.

Il bresciano Nico Bignami, trapiantato da anni a Montréal, serio studioso della lingua cinese, che ha vissuto in Cina e ha persino visto pubblicate alcune sue poesie in riviste letterarie cinesi, esamina invece i pericoli che la lingua cinese sta correndo. Bignami non vorrebbe ch’essa finisse come il nostro latino, terminato in soffitta, anzi al cimitero. Leggendo la sua disamina-perorazione, capirete perché.


Claudio Antonelli

Il mensile: Eccesso di velocitàIl forum della lingua italiana.

Salvare la lingua cinese

L’avvento del computer, se non si prendono provvedimenti a tempo, può costituire una grave minaccia per l’esistenza della lingua cinese.

I bei caratteri della lingua potrebbero scomparire nel giro di pochi decenni. La lingua cinese scritta, cominciando dalla scrittura a mano, rimarrebbe appannaggio di pochi intellettuali che si ostinerebbero ad usarla, andando contro ogni moda corrente.

Ma fino a quando ?

Una modifica del Pin Yin potrebbe aiutare?

È successo al latino, lingua bellissima ma difficile. Frasi semplici, corte, essenziali ed eleganti come una prosa poetica. Non ha retto al tempo e ha dovuto cedere il passo alle lingue più dettagliate, con articoli e preposizioni articolate, più precise sì, ma meno belle. Alcuni filosofi hanno continuato ad usare, eroicamente, il latino fino al XV e XVI secolo, poi è rimasta solo la Chiesa di Roma ad usare tale lingua per la liturgia. Ha dovuto cedere anch’essa all’esigenza di adottare le lingue moderne per l’espressione del culto. Restano solo i documenti della Chiesa ad essere tuttora redatti in latino. Anche nei codici del diritto abbondano ancora le espressioni latine, che fanno andare in sollucchero gli avvocati di tutto il mondo quando hanno l’occasione di pronunciarle.

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Ora tocca al cinese. La scrittura, basata su caratteri e non su un alfabeto, è di per se stessa considerata una vera arte. Gli ideogrammi possono essere scritti in una forma anche semplice, un po’ primitiva ma essenziale – come nel caso di chi non ha raggiunto un livello di scolarità elevato – ma restano pur sempre belli. Quando è arrivato il computer, gli esperti della lingua cinese sono riusciti a vincere la prima battaglia difensiva, creando con successo dei software che hanno permesso di scrivere i caratteri cinesi digitando lettere dell’alfabeto romane (il Pin Yin): sullo schermo appare l’equivalente in ideogrammi. I creatori dei software hanno gridato vittoria, dichiarando salvo il cinese, perché sarebbe compatibile con i computer. E ciò è stato vero fino ad ora, ma da alcuni anni, non molti in verità, un altro pericolo per il cinese si sta profilando: il computer e l’uso sistematico del Pin Yin hanno accelerato il ricorso all’inglese nelle comunicazioni, soprattutto scritte. Io non posso dimenticare lo shock che ho provato quando, lavorando in Cina nel mio ufficio di Beijing, ho sorpreso la mia assistente, cinese, che scriveva una lettera, in inglese, al suo boy friend cinese. Con l’inglese si fa prima, mi aveva detto…

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Il metodo Pin Yin non riesce a riprodurre tutte le parole (ideogrammi ) cinesi, poiché non poche si scrivono con le stesse lettere ma si pronunciano in modo diverso e hanno diverso significato. Vi sono addirittura delle parole che si scrivono con lo stesso Pin Yin, si pronunciano allo stesso modo ma hanno significati diversi. Insomma il Pin Yin, come è ora, non basta. I vari software in uso hanno rimediato in buona parte a questa lacuna, mostrando sullo schermo, a seguito di una digitazione, tutti i caratteri cinesi che hanno la stessa pronuncia. Così, ad esempio scrivendo sulla tastiera la parola qu, apparirà sullo schermo, in ideogrammi, la lista di tutti i qu che esistono nella lingua cinese. E sono almeno 36 differenti ideogrammi, ognuno preceduto da un numero. Chi scrive deve saper riconoscere quale fra i molti qu è il suo, quindi cliccare sul numero corrispondente e sullo schermo resta solo quell’ideogramma. Ciò non è tanto semplice, né rapido. È vero che in buona parte questo problema è stato risolto dai programmatori cinesi, che hanno creato un software intelligente che sceglie il carattere giusto, automaticamente (ma non sempre) in base al contesto della frase scritta.

Un altro miglioramento potrebbe essere ottenuto se le tastiere cinesi potessero indicare anche quale dei quattro toni va usato per le vocali; la lista dei caratteri fra cui scegliere sarebbe ulteriormente accorciata. Resterebbe comunque sempre il problema delle parole che si scrivono in Pin Yin con le stesse lettere, con gli stessi toni, ma che si scrivono con ideogrammi diversi. Per questo problema io suggerirei di modificare il Pin Yin per queste parole ( sono forse solo alcune centinaia, al massimo ) in modo che quando si digita una parola appaia sullo schermo, subito, l’ideogramma giusto.

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Per dare un esempio: ma scritto col primo tono può essere ma di mama 妈 o ma di mabu 抹 . Si potrebbe modificare il Pin Yin di mama in mam.

Gli esperti della lingua cinese potrebbero trovare altre maniere, in aggiunta a quelle da me suggerite. Vi è la tecnologia ( già in fase di studio avanzato ) che trasforma il suono delle parole in scrittura. Si pronuncerebbe una frase e questa apparirebbe sullo schermo del computer. In teoria sembrerebbe la soluzione migliore, ed è oltretutto già usata per i messaggi telefonici, ancorché in forma ridotta. Bisognerebbe perfezionare il sistema a tal punto da far riconoscere tutte le parole ( e non un limitato numero come avviene per il telefono ) che vengono pronunciate nei molteplici dialetti cinesi; non basta il mandarino o il cantonese – vi sono altre decine di lingue locali. Da aggiungere: anche nelle varie parlate locali, la pronuncia e il modo di costruire le frasi varia, in modo considerevole, da persona a persona. Sarebbe il sistema in grado di identificare centinaia di milioni di pronunce diverse, per la stessa parola? Non si correrebbe il rischio di creare uno strumento che si adatterebbe solo a chi pronuncia in modo perfetto o quasi, secondo le regole della pronuncia standard ( biaozhun )? Quante centinaia di milioni di cinesi ( si considerino anche quelli di oltremare ) sarebbero esclusi dal sistema che cambia il suono in grafia?

Come è avvenuto per il latino, che è rimasto la lingua dei dotti per parecchi secoli, cosa ne sarebbe degli altri – i pigri, gli ignoranti, i giovani che seguono la nuova moda di usare l’inglese, soprattutto con i telefoni cellulari per scambiare messaggi, buttando a mare la loro bellissima – ma difficile – scrittura ?

A mio avviso, non c’è tempo da perdere e bisognerebbe considerare subito una riforma, anche parziale prima che sia troppo tardi.

In passato i cinesi hanno compiuto miracoli quando hanno creato il Pin Yin o quando hanno semplificato centinaia di caratteri per facilitarne la scrittura. I cinesi hanno costruito la grande muraglia: possono riuscire ad apportare alcune modifiche alla loro scrittura in modo da renderla accessibile, facile e pratica anche ai pigri, ai poco istruiti e a coloro che vogliono fare presto.

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Lo scopo della miniriforma che io suggerisco sarebbe appunto quello di convincere le nuove generazioni ( quelle che sono nate nell’era dei computer e dei telefoni cellulari che trasmettono messaggi scritti ) che si può scrivere velocemente anche in cinese e non è più necessario ricorrere all’inglese. Si può continuare a scrivere con il Pin Yin e poiché i caratteri appaiono istantaneamente sullo schermo si presentano agli occhi di chi scrive e ciò aiuta a memorizzarli. Anche se la scrittura a mano degli ideogrammi sarà usata sempre meno ( succede lo stesso per le lingue occidentali – la scrittura a mano con le lettere attaccate è quasi scomparsa ed è sostituita dalle lettere scritte in stampatello, come nei computer ) almeno i bei caratteri cinesi continuerebbero ad apparire davanti agli occhi e tutti, compresi i giovani, i pigri eccetera, avrebbero la possibilità di restare nel cinese per molto tempo ancora.

E ciò è quanto mi auguro.

Nico Bignami

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Claudio Antonelli
Claudio Antonelli (cognome originario: Antonaz) è nato a Pisino (Istria), ha trascorso la giovinezza a Napoli, oggi vive a Montréal (Québec, Canada). Bibliotecario, docente, ricercatore, giornalista-scrittore, è in possesso di diverse lauree in Italia e in Canada. Osservatore attento e appassionato dei legami che intercorrono tra la terra di appartenenza e l’identità dell’individuo e dei gruppi, è autore di innumerevoli articoli e di diversi libri sulle comunità di espatriati, sul multiculturalismo, sul mosaico canadese, sul mito dell’America, su Elio Vittorini, sulla lingua italiana, sulla fedeltà alle origini e la realtà dei Giuliano-Dalmati in Canada, sull’identità e l’appartenenza...

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