Con Pablo Lentini Riva il tempo dell’ascolto e della musica.

Il seguente brano è tratto dal libro “Qui si dice che fu per amore” di Pablo Lentini Riva edito da Ellin Selae (www.ellinselae.org). Il tempo della musica e dell’ascolto (la lentezza) in questo caso è inghiottito dalla foga consumistica dei passanti distratti.

Solo una personificazione di Kronos, un figura dimessa, mostra attenzione per il musicista di strada e per la sua arte. Nella società tecnologica sembra non esserci più spazio per la poesia, dunque non è vero che la poesia salverà il mondo dalla rovina, perché secondo l’autore è semplicemente lettera morta.

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« Ci siamo seduti sui gradini di una banca chiusa, davanti a una cartoleria che aveva lasciato fuori degli espositori traboccanti gomma-plastica. I giocattoli appesi alle bancarelle erano fatti per essere abbandonati la sera stessa dell’acquisto. Quello che attirava di più l’attenzione dei bambini era un pesce palla di gomma mencia, che con molta probabilità nuotava da settimane nei loro tubi catodici. Correvano tutti a strizzarlo divertiti e lui ritrovava la sua orribile forma iniziale.

Ho guardato Veronica per farmi coraggio: perduta l’acqua degli anni acerbi, la sua bellezza era perfetta, distillata. Indossava una sottoveste di calce con dei merletti d’avorio sul petto e aveva i capelli raccolti in una rosa del deserto. Dagli occhi le usciva la sua anima da viaggio, che quel giorno era indaco. Ho preso la chitarra e mi sono messo a suonare per lei, poi per i riflessi e le pubblicità delle vetrine, per la lamiera ondulata e il cielo bruciato. I bambini correvano dalla parte opposta a palpeggiare felici il pesce palla. “Me lo compri mamma?”. “Me lo compri papà?”. Non riuscivo a vedere l’umanità dei viandanti che invece di avvicinarsi ad ascoltarmi, rincorrevano i figli attratti dalle perline colorate. Suonavo con impegno, ma per i piccoli non esistevo, mentre gli adulti mi lanciavano occhiate di disapprovazione. “Ma chi comanda? Chi educa?” mi chiedevo. Potevo leggere nel pensiero dei consumatori abbrustoliti: “Preferiamo investire i soldi nella gomma cinese piuttosto che darli a un sovversivo come te, piazzarli nella plastica dei nostri telefoni cellulari, nella nostra voce, non nella tua, perché se anche non abbiamo niente da dire, un giorno questo niente potremmo avere urgenza di dirlo. Abbiamo fede nella gomma-plastica perché è un valore sicuro e non è biodegradabile come la musica. Con i soldi che ci restano andiamo a rimpinzarci, così l’economia gira e questo turbine c’impedisce di ascoltare noi stessi, figuriamoci le tue nenie”.

Foto Alvise Tedesco

Ero avvilito e stavo per smettere, quando è successa una cosa che mi ha commosso. Veronica era seduta al mio fianco, un gradino sotto di me, e setacciava l’ombra con la sua paglietta ancora vuota. Mi ha sfiorato il polpaccio, allora ho alzato la fronte da un passaggio difficile e ho notato che una persona si era fermata ad ascoltare. Riconoscendo il vecchio semidio di Agios Nikitas mi sono emozionato. Nella mia testa troppo veloce era già stato marinaio, forse pescatore, scemo del villaggio, postino. Teneva gli occhi socchiusi e si lasciava cullare dagli arpeggi. Faceva i cento passi davanti a noi con la flemma di un pachiderma. Ogni tanto si guardava in giro mortificato dal fatto che nessun altro si fosse fermato e le labbra buone gli si gonfiavano di perplessità. Ancora una volta beffava la nostra fretta d’inquadrarlo.

Era un uomo sensibile. Che fosse un artista? Certo, uno scultore, ho pensato provando a riscattare i miei precedenti giudizi, soprattutto quelli più pidocchiosi. Aveva a tracolla la sua bisaccia. L’ha aperta e si è messo a cercare qualcosa. Quando con la sua mano inutilmente forte ha tirato fuori dalla borsa un portamonete, il cuore ha cominciato a battermi in gola e nelle orecchie. Se ci avesse dato dei soldi proprio lui, che sembrava un emarginato, che di sicuro ne aveva pochi, mi sarei sentito in colpa per averlo creduto idiota. Gl’idioti comprano ai figli pesci palla radioattivi che si possono palpare come seni, hanno le scarpe da vela, marsupi firmati, gli occhiali da saldatore e si somigliano tutti. Possibile che non l’avessi ancora capito alla mia età? Tra le dita del vecchio è comparso un orologio da polso senza cinturino che impacciava ancora di più i suoi movimenti disorganizzati, però dal portamonete è riuscito a estrarre qualche euro. Veronica era in imbarazzo. Ho capito che non sapeva se porgergli il cappello o nasconderlo (per lei quello era solo un gioco), ma rifiutare il denaro sarebbe stato un errore. Nell’indecisione di Veronica c’era ancora un giudizio, allora ho smesso di suonare e ho allungato una mano per prendere le monete. Ho ringraziato e le ho messe nel cappello.

Il vecchio parlava solo greco e ci ha fatto capire d’averci già visti ad Agios Nikitas. Si è scusato di poter destinare alla musica solo tre euro, poi ci ha consegnato il biglietto da visita di uno dei ristoranti del villaggio. Lui non aveva niente a che fare con quella taverna di pesce surgelato, semplicemente aveva usato il cartoncino per scrivere il suo nome (Kostas Vericios) e la sua professione. Siamo rimasti a guardarlo a bocca aperta mentre si allontanava, ognuno immerso nei propri pensieri.

Foto di Veronica Mecchia

Ecco la mia proiezione: era Kronos, l’orologio l’aveva tradito, e si era presentato così male in arnese per farmi capire che la mia epoca stava finendo. Chi apprezzava quello in cui ho creduto era già morto o stava per farlo: il futuro era impestato di cineserie, microprocessori e citazioni o richieste d’aiuto affidate a una bacheca di luce più estesa dell’oceano e più inutile del pesce palla che un bambino stava cercando di far esplodere. Quel giocattolo era nato per assorbire tutti gli urti, tutti i colpi, tutta l’impertinenza, il desiderio di ribellione, la noia, la disperazione e ritrovare per sempre il suo sorriso ottuso. Ho parlato con Veronica del dio del tempo e delle mie preoccupazioni, ma lei mi ha contraddetto: meno pessimista di me, aveva vissuto l’esperienza in maniera opposta; per lei quel vecchio era una speranza.

In albergo ci siamo fatti tradurre la parola scritta da Kostas sul biglietto da visita: traghettatore, nocchiero. Anche se il presagio di morte contenuto nel vocabolo dava ragione a me, ho lasciato che quella sera diventasse una delle più belle e ispirate della nostra vita. »

Pablo Lentini Riva


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Pablo Lentini Riva
Pablo Lentini Riva (Milano, 3 marzo 1971) è maestro e concertista di chitarra classica. Vive e lavora a Parigi, dove insegna in conservatorio. Fin da ragazzo ha avuto due grandi amori: la musica e la letteratura. Li ha coltivati entrambi, scrivendo e suonando liberamente. Con Ellin Selae ha pubblicato i romanzi "Notturno per violoncello solo" e “Sinfonia per la città capovolta” e il libro di racconti "La chitarra del liutaio di Almeria". Per les éditions Qupé "Les derniers jours d'Orphée" (déc. 2018).

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