L’eredità Berlusconi

Gli ultimi venti anni hanno messo in ginocchio l’Italia, hanno portato allo smarrimento i cittadini e messo a dura prova il senso di unità del Paese. Il 2013 non è lontano e uscito di scena Monti, la politica dovrà riproporsi e rilanciarsi. Quale rinnovamento si prepara nella politica italiana? Qual è l’eredita Berlusconi?

“Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne, dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità andate li, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.” (Piero Calamandrei, 1955)

Negli ultimi diciotto anni ha governato per circa dieci la destra e il centro-destra con Berlusconi e per circa otto il centro-sinistra, con formazioni e alleanze variabili. Si tende a semplificare in modo un po’ improprio e con eccessiva equanimità questa divisione di responsabilità sulle sorti dell’Italia, con una sorta di pari e patta dal non troppo vago sapore qualunquista.

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In realtà Berlusconi ha governato con governi apparentemente più coesi
e certamente con una direzione molto più padronale che leaderistica che il centrosinistra, riuscendo caso pressoché unico nella storia italiana, ha condurre un’intera legislatura fino in fondo con una opposizione che poco ha potuto per arginarne lo strapotere. Finanche il governo che ha preceduto i “tecnici” di Monti aveva le premesse per poter governare senza ostacoli, forte di una maggioranza straordinaria, mai vista nella nostra storia parlamentare.

Viceversa, i governi di centrosinistra (due volte a guida Prodi) non hanno mai goduto di solide maggioranze e per contro hanno sofferto di alleanze disomogenee che hanno impedito, con i consueti veti incrociati, qualsivoglia possibilità di riformare il paese.

Un paese che, uscito dalla drammatica fine della prima repubblica, si è così avviato sul binario morto della stagnazione economica e che poi, sferzato dalla crisi economica venuta dall’America, si è ritrovato con un debito pubblico cresciuto oltremodo, declinando in un’inevitabile e pericolosa recessione.

Tutto questo non assolve il centrosinistra che si è dimostrato fin qui incapace di promuovere un modello di società e di economia che potesse fare fronte alle realtà nuove della globalizzazione. Drammaticamente, la politica tutta in questi anni ha finito per essere autoreferenziale, ostinatamente e narcisisticamente legata ad una visione mediatica del confronto. Una guerra di trincee tra berlusconiani e antiberlusconiani dove la difesa era prevalente sull’attacco, dove alle bordate televisive non faceva seguito alcuna conquista e nemmeno nessuna perdita sostanziale di posizione politica. Ma quale era il territorio politico teatro dello scontro?

In realtà, per restare nella metafora da grande guerra, la “no man’s land” della politica italiana si è allargata sempre di più grazie ad una crescente sfiducia dei cittadini, estenuati da un confronto politico irrazionale che non dava soluzione ai problemi reali del paese. Il marasma generale ha finito per accentuare difetti “genetici” della nostra storia, inducendo i cittadini a rinchiudersi sempre di più in un disperato familiare, in un si salvi chi può, dove un po’ tutti, partiti in testa (e questo è veramente imperdonabile) hanno perso il senso della coesione sociale, dell’interesse collettivo e del paese. Una sorta di quel riflusso che, alla fine dei tragici anni di piombo, portò molti a disinteressarsi, sfiduciati, della politica.

Una quiescenza economica e poi sociale che ha lungamente inaridito il paese. Vanno certo ricordate encomiabili reazioni spesso di comitati di cittadini, che, di volta in volta, hanno dimostrato il loro dissenso contro i privilegi delle numerose caste, a cominciare proprio da quella politica, hanno occupato le strade per difendere la Costituzione, l’Università, la cultura, la dignità delle donne, e poi anche il lavoro contro la precarietà. Cittadini protagonisti e politici spettatori, là dove normalmente ci si attenderebbe semmai il contrario.

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Così dopo anni di nulla, con partiti sempre più ostaggio di classi dirigenti
vecchie e capaci solo di perpetrare se stesse e di caste imprenditoriali, finanziarie e professionali (veri poteri forti) sempre più agguerrite ed insaziabili, di sondaggi vari che dettavano l’agenda della politica, di leggi “ad personam”, di guerre tra istituzioni (magistrati contro governo e viceversa, attacchi al Capo dello Stato, ecc.), di scandali e corruzioni che toglievano ogni credibilità al paese e ai suoi rappresentanti, si è passati finalmente al governo Monti, ai tecnici che alla fine sono l’unico avvenimento politico italiano di questi ultimi venti anni.

L’avvento di Monti rappresenta se non la resa della politica, certamente una tregua di riflessione che dovrebbe costituire la massima occasione per riconsiderare piani, tattiche, strategie e programmi dei vari soggetti politici, in primis dei partiti.

Invece, la classe politica è così passata dal gridare continuamente nei talkshow televisivi e non fare niente, al semplicemente non fare niente, risparmiandosi e risparmiandoci almeno le teatrali grida televisive, assumendo, solo formalmente, la sobrietà dei tecnici.

Un buon passo avanti, ma insufficiente. Ai partiti gli italiani non chiedono solo l’assunzione di un bon ton, ma anche di assumersi responsabilità politiche e di esprimere delle chiare visioni sul futuro, ad esempio, dell’Italia e dell’Europa.

La fine della politica in Italia, almeno della politica a cui eravamo abituati, non può essere solo il frutto venefico dell’anomalia berlusconiana che ha occupato la scena politica in questi diciotto anni, impedendo al paese di modernizzarsi, di crescere, di fare ricerca, di svilupparsi e competere in un mondo dove nuovi soggetti economici e sociali si presentano sui mercati e non solo, con straordinario peso, come nei casi del Brasile, Cina, India, Turchia ed altri.

L’eredità Berlusconi, con i suoi anni perduti, si può ritrovare in qualsivoglia campo della vita italiana, offrendo riscontri palpabili e verificabili da ogni cittadino.

Un territorio, lasciato ad un sviluppo irrazionale, oltre che irregolare, che viene oggi a pezzi, devastato ad ogni pioggia che divenga nubifragio, con città del nord cresciute a dismisura per accontentare le diverse caste o semplicemente per favorire clientele politiche. Citta infinite e vuote, legate da lunghi filari di capannoni di aziende che non esistono più che si degradano e crollano (magari sotto il peso di una nevicata) apparendo come veri monumenti funebri a quello che fu l’impresa piccola e media regina dell’economia italiana. Dal nord a sud dove le speculazioni edilizie sono state al limite del mostruoso, sorrette dall’abitudine dei condoni o del chiudere gli occhi praticata da tante amministrazioni locali.

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Una gestione del territorio che fa si che l’eccezionalità dell’emergenza
sia sempre la norma. Le abbondanti nevicate hanno messo in ginocchio un sistema paese incapace di avere una protezione civile adeguata (e dire che fino a poco prima di Bertolaso, la nostra protezione civile ci era invidiata nel mondo), limitata e burocratizzata dopo gli anni di Berlusconi che ne avevano reso uno strumento per aggirare ogni regola sacrificandola per presunti grandi eventi che di emergenziale non avevano nulla. Ma anche quando la neve è stata poca, immediatamente città come Roma sono diventate trappole diaboliche, che hanno paralizzato scuole, cittadini, attività di commercio.

La cultura, forse la principale risorsa del paese è stata privata di fondi, umiliata dall’assenza di politiche e di progetto, lasciata dai giochi politici in mano a manager del tutto incapaci ed inesperti, in virtù delle consuete logiche lottizzatrici dei partiti. Così il nostro patrimonio culturale mostra ormai crepe profonde e non solo etiche o metaforiche, basti pensare ai crolli a Pompei, che sono solo il caso più eclatante ma non certo l’unico.

L’oblio della politica in Italia si esprime in modo emblematico sulla questione meridionale.

Il sud Italia è sempre più impoverito anche a causa dello scellerato patto tra Lega Nord e PdL, con il quale in cambio di aiuti solo al nord (anche pochi e mal distribuiti) per sostenere le leggi ad personam di Berlusconi, si è lasciata marcire una società che oggi non ha più strade degne di questo nome (altro che ponte sullo stretto), con il 54% di donne disoccupate, con un precariato senza fine e con percentuali da brivido di giovani disoccupati al punto che i sociologi stanno svelando che le nuove generazioni hanno finanche rinunciato all’iscrizione agli uffici di collocamento al lavoro.

La politica negli ultimi quaranta anni non ha fatto nulla per coltivare l’unità e il senso di appartenenza dei cittadini, questa rinuncia della politica si è drammaticamente acuita negli anni del berlusconismo. I messaggi passati, sempre doppi, irrazionali, qualunquisti, ipocriti hanno indotto gli italiani ad insistere nelle pratiche egoistiche del fai da te, a cercare finanche giovamento dall’assenza o dal raggiro delle regole.

L’esempio più eclatante si ha in materia di imposte. L’evasione fiscale è diventata generale (l’87% degli italiani evade) un dato che tuttavia merita un distinguo. C’è chi ormai evade per sopravvivere e chi no.
Ma come dimostrano le recenti azioni della guardia di finanza in luoghi per vip come Cortina d’Ampezzo o via Montenapoleone a Milano e poi a Napoli, Roma, Courmayeur . Siamo ormai di fronte ad una pratica del furto ai danni dello Stato e quindi di noi stessi che ha del patologico.
Una tale tendenza trova spiegazione anche nell’inquietante dato che svela come la ricchezza sia mal distribuita con il 10% degli italiani che gestisce il 50% della ricchezza nazionale. Con evasori totali, e quindi difficilmente colpibili con le “famose” leggi patrimoniali, che gestiscono ricchezze enormi.

Il paese eredità una politica fatta di annunci seguiti da un “grande” nulla e che ci ha mostrato come, ad esempio, dietro le casette di Berlusconi per i terremotati abruzzesi restasse L’Aquila con la sua storia e il suo tessuto sociale in un perenne chiuso per lavori.
La invocata e sbandierata modernizzazione resta una chimera con servizi pubblici, treni, reti elettriche ed idriche tali che per coloro che partono dall’estero sembra che, arrivati in Italia, si sia compiuto un viaggio nel tempo e non nello spazio. Treni vecchissimi, privi di aria condizionata, in perenne ritardo, e che si arrestano alle prime difficoltà meteorologiche, continui balckout elettrici, rete idriche che esplodono ai primi freddi, ecc..

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Un sistema televisivo e di informazione che impedisce oggi a giornali veri, come il Manifesto, di vivere, mentre si da denaro pubbliche a giornali finti legati a qualche politico. Giornali che magari non si prendono neanche la briga di comparire in edicola. L’informazione RAI che scaccia qualunque giornalista si permetta di raccontare una verità che non sia compiacente o edulcorata. Il tutto in un paese che anche in nome della libertà di pensiero e di parola ha fatto una guerra partigiana contro il fascismo.

Un sistema industriale vecchio che non può competere con le nuove realtà internazionali, incapace ad oggi d’innovarsi, schiavo di lacci e laccioli burocratici che non permettono la nascita di nuove imprese, con appalti quasi sempre truccati, legati ad un sistema bancario che non è a servizio degli imprenditori, ma solo di se stesso. Caste professionali come quelle degli avvocati o dei notai (ma non sono le sole) che precludono ogni possibilità ai giovani di accesso alle professioni.

E’ evidente come i diversi soggetti della società siano indotti alla pessima pratica di agire solo per il proprio interesse, non favorendo quella sana interazione che permetterebbe, come fu, pur con mille limiti e disparità, negli anni cinquanta, la crescita e quindi lo sviluppo e modernizzazione della società.

Un mercato del lavoro zeppo di contratti vari ma tutti precari, che non danno prospettive future ai giovani in un paese che sembra ritenere il posto fisso ormai un lusso.
Sono solo alcuni esempi del lascito ereditario che noi e Monti abbiamo avuto dal berlusconismo e, va detto, dall’antiberlusconismo.

Un paese dove si plaude a guru, come Beppe Grillo, Celentano, e a satirici vari, come l’autentica politica italiana. Ma quando questo paese inizierà seriamente a farsi delle domande? Con tutta la simpatia che ho per questi personaggi dello spettacolo, si può seriamente attendere da loro qualche soluzione ai nostri problemi? Anche loro sono stati espressione di quella vuota politica spettacolo che ha reso alcuni dei mali italiani, temo endemici.

Rispetto a questa eredità finalmente smossa (ancora troppo timidamente dal governo Monti) i partiti politici restano in silenzio incapaci finanche di produrre una legge elettorale che venga incontro alla richiesta dei cittadini (è bene ricordare che il 45% degli italiani sostiene che non voterà alle prossime elezioni). Muti finanche rispetto ai simbolici provvedimenti per ridurre i privilegi della casta politica e magari, almeno gli stipendi che fanno dei nostri parlamentari i più ricchi d’Europa (chissà per quali meriti).

Tra un anno Monti se ne va (ed è ovviamente ben felice di andarsene). Che lui vada via è un bene, perché il paese deve ritrovare la supremazia della politica e della partecipazione dei cittadini alla vita e alle scelte del paese. A Monti magari si potrà offrire la più alta carica dello Stato, come avvenne con Ciampi, che pure salvo l’Italia negli anni novanta guidando un governo tecnico.

Il rischio, piuttosto, è che passato quest’anno ci ritroveremo una classe politica ancora gracchiante fatta dai diversi Berlusconi, Alfano, Bersani, Di Pietro, Bossi, Casini, Fini, che dovrebbero far ripartire il paese compiute le necessarie riforme.

Di Emanuela De Siati

Sarebbe bene che in quest’anno che precederà le prossime elezioni, oltre alla summenzionata legge elettorale e ad una riforma sui costi della politica, i partiti si preparassero a fare scelte chiare al loro interno, a delineare progetti politici che tengano conto non dei sondaggi ma del bene del paese e delle proprie storie, uscendo da opportunismi ed equivoci.

Le forze politiche devono, aldilà del ridiscutere quando Monti sarà uscito di scena i propri equilibri, dare risposte chiare su temi essenziali. Ad esempio quanto accaduto in questa crisi economica, con gli sbandamenti europei e con la Grecia che con le sue indubbie colpe rischia tuttavia di diventare il capro espiatoria di tutto il male europeo, deve far riflettere sul modello economico futuro in tempi di mondializzazione, mentre già qualcuno paventa una demondializzazione che francamente mi appare anacronistica ma è un argomento su cui torneremo prossimamente, ma, tuttavia c’è da chiedersi se non bisogna ripensare lo sviluppo in termini ecocompatibili e direi etico compatibili. Se in somma debba essere il mercato, la finanza e il consumo a scandire il concetto di progresso per l’umanità. Andrebbe anche ridefinito il concetto stesso di progresso.

Ci sono temi etici che sono imprescindibili per la modernizzazione. Ad esempio in materia di laicità dello Stato, ma l’argomento andrebbe proposto anche a quei paesi che sono oggi protagonisti della primavera araba. Insomma, non si può continuare a giocare a fare il diavolo e l’acqua santa a seconda dell’occasione. Bisogno pur avere quella che una volta si chiamava linea politica.

E’ in gioco lo stesso modello di vita per il futuro e le forze politiche sono chiamate anche a dividersi, se necessario, nel nome di una chiarezza che è l’unico modo possibile per creare un consenso vero e riformare il paese in un senso più coerente e razionale.
La laicità è elemento essenziale per leggere la realtà di oggi, dove un figlio su quattro nasce in coppie di fatto, dove sembra incredibile che ancora sia osteggiata la possibilità di avere diritti per le coppie gay. Si devono rimuovere simboli ormai antichi e non rispondenti alla realtà del paese.

In materia di lavoro bisogna chiedersi se si può lasciare ai giovani una precarietà senza futuro pensando solo alla salvaguardia di chi il lavoro l’ha già, se il sistema di garanzie e tutela dei lavoratori debba essere immutabile o se si possa ridisegnare in ragione dell’evoluzione sociale.
Costruire un paese che sia non solo per i vecchi ma che favorisca la nascita di nuove famiglie dove si facciano figli che possano avere una prospettiva in un paese dove quando si deve tagliare spese, le prime vittime sono le stesse famiglie.

Si deve aprire ai tanti nuovi italiani che ancora oggi pagano tasse, spendono in Italia e neanche hanno la possibilità di votare.
Si deve rispondere alle tante diseguaglianze di un paese che dal nord al sud non gode di adeguate ed uniforme garanzie, in un paese che considera il suo art. 3 della Costituzione come laicamente sacro.
Non vorrei che questo fosse l’anno sabbatico della politica che aspetta che passi il vento a volte impopolare (ma gli italiani hanno dimostrato di essere più intelligenti della propria classe politica) del governo Monti per preparare altri venti anni di dolce far niente, di privilegi da assegnare ad amici e categorie di sostenitori, preparando la prossima rovina del Paese.

Vorrei che a Monti potessimo dire nel 2013 grazie e guardare avanti senza solo rimpianti.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.