In mostra “L’Essere che non è”, di Flavio Brunetti ed Antonio D’Attellis

“To be, or not to be, that is the question”. E’ meglio vivere così o non vivere ? Senza essere grandi indovini, questa emblematica frase di Hamlet avrà dato l’input alla scelta del titolo della mostra che vede riuniti due artisti molisani, il fotografo Flavio Brunetti e il pittore Antonio D’Attellis. Chi è questo « Essere che non è » ? Come si coniugano su un tema così sensibile le loro due visioni artistiche, fotografia e pittura ? Abbiamo rivolto qualche domanda a Flavio Brunetti per saperne di più.

Ci spiega cosa vuole racchiudere il titolo che avete dato alla mostra? “L’Essere che non è”.

L’Essere che non è, sono i Senegalesi di Firenze ammazzati accanto alle loro bancarelle di stracci come cani indifesi. Sono i mendicanti, i vecchi che non hanno diritto di vivere. Sono i bambini di Bucarest raccolti da Miloud, il grande clown francese, dalle fogne dove vivevano e portati sulle scene dei teatri e dei circhi. L’Essere che non è sono i poliziotti costretti a caricare i loro studenti. Sono i detenuti e sono gli annegati degli sbarchi. Sono gli operai di Pomigliano d’Arco e le donne. E, senza saperlo, Antonio D’Attellis, nelle sue opere pittoriche, ed io, nelle mie fotografie, raccontavamo la stessa cosa: L’Essere che non è.

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Fotografia e pittura. L’arte di D’Attellis che si coniuga con le immagini più significative dei suoi reportages. Come è stato possibile questa specie di provocazione artistica?

Era il 1974, quando incontrai Antonio D’Attellis. Fu ad una mostra collettiva di artisti che si teneva a Campobasso. Io, da due anni mi ero messo a fare il fotoreporter per i movimenti nati dal “68”, e a Campobasso tornavo per stampare i miei reportage nella camera oscura che avevo attrezzato nella casa di mia madre.

All’epoca vivevo a Napoli e stavo organizzando una mostra sul tema della casa, contattando i più grandi fotografi napoletani perché esponessero in quella mostra le loro testimonianze fotografiche. Luciano D’Alessandro fu molto felice di darmi venti suoi scatti sul manicomio di Nocera Inferiore, il cui reportage era anche divenuto un libro.

Quando andai a visitare la collettiva di Campobasso vidi che Antonio esponeva delle sue opere che erano una composizione, in un bianco e nero fatto di tanti colori, paradisiaca e infernale, composta dalle immagini delle foto di D’Alessandro. Allora gli chiesi:

– Ma questo lavoro è stato ispirato a te dalle foto di Luciano D’Alessandro?

– Sì – mi rispose senza turbarsi e senza mostrare nemmeno un minimo gesto di stizza, come avrebbe potuto fare qualsiasi altro pittore e spiegò: _ – sono in contatto con Basaglia. Trieste, sai lotta per la chiusura dei manicomi…

– Io ho con me proprio le foto di queste scene che tu hai composto – gli dissi.

– Veramente? – mi chiese

– Sì – confermai ed aggiunsi – me le ha date lui personalmente, Luciano D’Alessandro

– Le porti qua? – mi pregò – così le esponiamo insieme alle mie opere?

E così fu che espose le foto di Luciano accanto alle sue opere, una delle quali fu del Museo d’Arte moderna di Livorno. In questa maniera cominciò la nostra amicizia.

A. D'Attellis, Senza titolo, 2010

F. Brunetti, No al razzismo, 2010

I vostri mondi artistici si unirono e continuaste insieme i vostri percorsi?

No. Lui visse a Milano, continuò a lavorare, instancabile, ed io vissi tra Napoli e Campobasso, ma ci siamo sempre incontrati e “capiti”. L’uno accettava, in tutti questi anni, le cose dell’altro. Un giorno lo fotografai che si stava sposando con una nostra amica dalla quale ha poi divorziato. Un altro giorno, lui ed io, partimmo per andare a Pompei a fotografare l’arte pittorica dei Romani. Fu un giorno bellissimo. Riuscimmo a visitare e fotografare i luoghi e gli affreschi più belli. E, tra noi due, parlare, parlare, parlare.

La mostra che proponiamo non è « un’idea » non è una “invenzione”, è parte delle nostre vite. Almeno per me, ma credo anche per Antonio.
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Qual è il segreto di un artista. Come una espressione può divenire un momento di arte?

Questo era un poeta – colui

che distilla un senso stupefacente

dai significati ordinari –

e nettare così immenso

dalla specie familiare

che perì sulla nostra porta –

ci stupisce non essere stati noi

ad arrestarla prima….

Così scriveva Emily Dickinson, la dolcissima poetessa americana (1830 – 1886). Ecco, questo, per me, è il ruolo dell’arte, della poesia, della musica: scoprire e cantare l’evento eccezionale sulla soglia di casa, tra le cose più semplici, più vicine, e far esclamare gli altri: – « Ma lo sapevo pure io! » La cultura è proprio questo: deve farci elevare per elevare gli altri. Solo una società colta può essere una società democratica. Una nazione incolta, come, negli ultimi tempi, è divenuta l’Italia, è una società ingiusta.

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Lei oltre ad essere cantautore, autore di opere teatrali e di racconti, è fotografo. Cosa vuol raccontare con la sua fotografia?

Con le mie fotografie ho voluto sempre raccontare la fragilità dell’essere umano. E ho fotografato le scuole – baracche del Molise dopo il terremoto del 2002, le carceri di Sofri e dei detenuti di Larino, il terremoto dell’Aquila, le grandi manifestazioni operaie e studentesche. Gi operai di Pomigliano D’Arco e gli immigrati, gli emarginati, i Tunisini salvi dalla furia del mare, i bambini, che sono gli esclusi per eccellenza e che non hanno mai la parola e il potere di farsi sentire. I mendicanti, i vecchi, la solitudine. Tutte le cose che ci fanno sentire uomini piccoli e fragili … come d’autunno / sugli alberi / le foglie … e che dovrebbero farci comprendere come sia più giusto essere giusti. Più umano essere umani.

Evolena

“L’Essere che non è”, Campobasso, Molise, dal 14 dicembre al 10 gennaio. Una mostra ideata e realizzata da Flavio Brunetti e Antonio D’Attellis.

Articolo ripreso dal « Quotidiano del Molise on-line » con il nostro consenso.

Nel portfolio, opere pittoriche di Antonio D’Attellis e fotografie di Flavio Brunetti. Riproduzione proibita.

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Evolena
Michèle Gesbert est née à Genève. Après des études de langues et secrétariat de direction elle s'installe à Paris dans les années '70 et travaille à l'Ambassade de Suisse (culture, presse et communication). Suit une expérience associative auprès d'enfants en difficulté de langage et parole. Plus tard elle attrape le virus de l'Italie, sa langue et sa/ses culture(s). Contrairement au covid c'est un virus bienfaisant qu'elle souhaite partager et transmettre. Membre-fondatrice et présidente d'Altritaliani depuis 2009. Coordinatrice et animatrice du site.