Altre guerre

Nella recente Convention Progressiste del PSE si è parlato del ruolo della sinistra (europea) innanzi alla più pesante crisi economica dai tempi del ’29. Una crisi del modello capitalistico che imporrebbe una nuova visone dello sviluppo e del benessere che metta in discussione sempre più l’aggressiva politica dei consumi.

La disastrosa crisi economica e finanziaria esplosa negli Usa, per effetto della libera ed incontrollata circolazione dei capitali, spinta e foraggiata dal ‘pensiero unico’ neoliberista, impone alle forze progressiste europee, socialiste, socialdemocratiche e liberali, una serissima riflessione: non siamo davanti ad un’epoca di cambiamento, ma ad un cambiamento, anche profondo, d’epoca.

Un po’ quello che accadde all’indomani della Grande Depressione del 1929-1930, ossia il pericolo reale di una terza guerra. Del resto un simile nefasto e mai augurabile evento mostra segnali sparsi: dalla primavera araba che sta assumendo caratteri più reazionari che libertari e progressisti, alle minacce per ora verbali e speriamo che tali restino, anzi che spariscano, tra Israele e Iran.

Questa crisi, che qualche economista chiamato ‘truffa’ finanziaria, obbliga dunque tutte le forze progressiste europee raccolte nel PSE ad una scelta politica precisa, la stessa che negli anni settanta Riccardo Lombardi ha sollecitato, invano: “Oggi l’essere di sinistra non può non dipendere da una precisa scelta di classe, cioè da una scelta anticapitalistica: è la discriminante minima al di là della quale si può parlare di tutto, si può parlare di amici, di possibili alleati, di compagni di strada, di quello che volete, ma non si può parlare di sinistra”. Considerazione tanto attuale quanto questa: “il capitalismo è diventato troppo costo per l’umanità: esso considera tutto in termini di denaro, di retribuzione come se la felicità dipendesse dal differente guadagno”.

CPprossima.jpgUn’impostazione riecheggiata alla Convention Progressiste del PSE a Bruxelles del 25-26 novembre scorsi, nell’intervento del leader di Alleanza Progressista, ‘Socialisti e democratici’ al Parlamento Europeo, Martin Schulz: “il socialismo rimane l’opposto del capitalismo. Capitalismo significa dominio del capitale, socialismo significa subordinazione dell’economia al sociale […] Stiamo vedendo sempre più chiaramente quanto i due diversi approcci, socialista e capitalista, siano opposti, inconciliabili […] Noi dobbiamo lavorare per nuovi sistemi flessibili e aperti attraverso i quali le persone possano riprendere il controllo della loro vita collettivamente e individualmente”.

Queste affermazioni di Schulz suonano, e questo gli fa molto onore, come autocritica anche storica nella contrapposizione che c’è stata tra un socialismo ‘radicale’ che voleva rovesciare attraverso un riformismo forte e ‘nonviolento’ il sistema capitalistico e la socialdemocrazia che invece ha teorizzato e praticato di utilizzarlo lasciando ai capitalisti il compito della produzione e della distribuzione del reddito e riservando allo stato il compito di meglio ripartire il profitto dei capitalisti attraverso la redistribuzione più equa della ricchezza e il Welfare State. Questa strategia non regge più, fa acqua da tutte le parti, e non da oggi.

Al tempo stesso, questa crisi, tutt’altro che risolta, evidenzia la grande debolezza politica dell’Ue, la sua totale mancanza di autonomia dagli Usa.

CPlibri2.jpgNel 1973 alla Camera dei Deputati, in un lungo intervento, Lombardi criticò il ‘disegno americano’ di “[…] potersi impadronire dell’apparato produttivo europeo”, e avvertì: “se l’Europa si fa sulla base del modello americano, il mondo non potrà sopportare questo; e non politicamente, ma per ragioni biologiche di vita”. Quindi, “o si segue un modello diverso, opposto, oppure andremo incontro a crisi economiche e politiche per cui la costituzione di una unità europea potrà diventare addirittura un fatto nocivo”. Seguire il modello americano, per Lombardi, avrebbe accelerato, come ha accelerato, “[…] il ciclo distruttore della loro moneta ( il dollaro). Di una moneta che è moneta cattiva che caccia la buona, cui i paesi europei finiscono per essere legati fino al punto da essere costretti a mantenere il sistema che li opprime”.

Ed oggi viviamo sotto la dittatura dei mercati finanziari, siamo fortemente oppressi dalle politiche di austerità – per ripianare i debiti pubblici – che non fanno che aumentare disoccupazione e disuguaglianze sociali, al solo scopo di rimpinguare le casse semivuote delle grandi banche europee, ‘stressate’ dai debiti, come ha riconosciuto il neo presidente della Bce, Mario Draghi!

Quale progetto di società le forze progressiste mettono dunque in campo? Tutto da definire e comporre. Alla Convention Progressiste qualche idea è venuta fuori: si è parlato di ‘fair economy’, di economia ‘eco-sostenibile’; di programmi di crescita; di maggior attenzione al lavoro, ai diritti e tutele sindacali, alla dignità della persona; di superamento del Pil quale unico, e ormai superato, parametro per misurare il benessere della società. Quel che si immagina, forse, è “una società non più povera, ma più ricca, perché diversamente ricca”, un’utopia valida e attuale specie davanti alla grande questione all’ordine del giorno: la crescita, cioè la produzione, quindi i beni da produrre e i consumi. E l’attualità della proposta di Lombardi, riconosciuta dal responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, sta proprio in questo punto clou. “La nostra lotta è contro la società affluente e il benessere, non già perché non vogliamo il benessere, ma perché vogliamo un certo tipo di benessere, non quello che domanda tremila tipi di cosmetici o una dispersione immensa di risorse, ma quello che domanda più cultura, più soddisfazione ai bisogni umani”.

Quindi, un modello di società dove ci sono “non meno consumi, ma più consumi, però qualitativamente diversi”, ossia più beni ‘a forte utilità’, sociale, come i ‘servizi sociali’, e soprattutto beni ‘durevoli nel tempo’.
Le forze politiche europee di sinistra possono farcela se riprendono in mano con tutti gli aggiornamenti e gli adattamenti necessari questo orientamento di fondo: ‘la società diversamente ricca’ può aprire la strada giusta ad un cambiamento radicale di un sistema al collasso perché essa coniuga la soddisfazione dei bisogni materiali necessari alla sopravvivenza (un lavoro, un salario, una casa etc) con la realizzazione delle esigenze non materiali (più cultura, più tempo libero, più conoscenza e saperi, e le vitali relazioni interumane) indispensabili alla formazione di una identità libera personale e originale dell’essere umano.

Perché gli esseri umani sono tutti uguali alla nascita ma diventano diversi con l’identità: e la massima realizzazione umana è nel rapporto uomo-donna.

Carlo Patrignani

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Carlo Patrignani
Carlo Patrignani vive a Roma. Laureato in Scienze Politiche con una tesi in Diritto del Lavoro, giornalista professionista (18.61987) presso l'Agi (Agenzia Giornalistica Italia) di Roma e collaboratore con riviste (Lavoro e Informazione di Gino Giugni), quotidiani (l'Avanti!) e settimanali (Rassegna Sindacale della Cgil). Autore di due libri 'Lombardi e il fenicottero' - L'Asino d'oro edizioni 2010 - e 'Diversamente ricchi' - Castelvecchi editore 2012. Oggi in proprio, freelance.