Schedato. Dunque sono.

La mostra “Fichés ? Photographie et identification du Second Empire aux années 1960” agli Archivi Nazionali di Parigi suscita interrogativi di grande attualità. Di passaggio a Parigi, in occasione della recente Festa del libro e delle culture italiane, lo scrittore italiano Giorgio Vasta ha visitato con interesse questa mostra. Ecco il racconto di quella esperienza.

Un nome, un cognome, un luogo e una data di nascita, possibilmente una residenza; dalla seconda metà dell’Ottocento anche le impronte digitali ma soprattutto una fotografia.
A partire da questi presupposti in Francia, tra la Seconda e la Terza Repubblica, si formalizza un’idea di identità giuridica – e dunque un sistema di pratiche e di protocolli – che nei decenni successivi si farà talmente pervasiva da normalizzarsi conducendo a quella che è oggi la nostra esperienza di ciò che si intende per identità legale.

fiches-identification.jpgA questo processo culturale, alle sue implicazioni formali, etiche e persino estetiche, è dedicata Fichés? Photographie et identification du Second Empire aux années soixante, la mostra attualmente in programma presso l’Archivio Nazionale di Parigi. Un percorso attraverso un centinaio di anni che un volto dopo l’altro indaga le diverse declinazioni del termine che dà il titolo all’esposizione – fichés, dunque fissati, segnalati, schedati – e che permette di sottrarre al caso e all’ovvio un fenomeno, l’identificazione fotografica, strutturale a una riflessione il più possibile consapevole sulla biopolitica e sulle origini dell’ossessione contemporanea nei confronti dell’identità. Un contributo che non può essere limitato alla realtà francese ma che si irradia all’intero Occidente (molto interessanti, in questo senso, gli studi italiani di Ando Gilardi, con Wanted!, e di Giacomo Papi, con Accusare, entrambi dedicati alla fotografia segnaletica).

Quando la fotografia esisteva ancora da poco tempo e nel ritrarre i corpi e i volti studiava soprattutto se stessa, il pensiero antropometrico si affida prima di tutto alla scrittura, considerata, ai fini della condivisione e della trasmissione delle caratteristiche somatiche, più efficace della riproduzione tramite albumina e nitrato d’argento. Nelle sale di rue des Francs-Bourgeois è dunque possibile leggere una serie di descrizioni di morfologie oculari, di pieghe della bocca, di volte nasali dove la lingua da referto si fa improvvisamente (e meravigliosamente) letteraria trasformando la scrittura descrittiva in una complessa tavola sinottica dei tratti fisiognomici.

784062_fichage-identite-archives-nationales.jpgCome effetto del raffinarsi delle tecnologie di riproduzione la scrittura retrocede a didascalia e la registrazione fotografica si impone definitivamente. I volti vengono studiati nei loro dettagli individuando ricorrenze ed eccezioni, definendo modelli e tipologie, una frantumazione di ciò che è un viso funzionale per esempio alla composizione dei “portrait-robot”, vale a dire la tecnica d’identikit basata sulla combinazione della porzione superiore, centrale e inferiore di un volto.
Da Landru a Dreyfuss a Jules Bonnot, nella sua prima fase la fotografia identifica i devianti, le prostitute, i criminali reali o sospetti; in una fase successiva l’esigenza tassonomica si estende: si identificano i nomadi, gli stranieri, chi richiede un permesso di soggiorno (Trotzky nel 1926 e poi Picasso, Salvador Dali, Fritz Lang, Samuel Beckett), chi lavora, chi guida un mezzo di trasporto, chi fa sport (la “licence d’athlétisme”).

Complice l’esplosione demografica, una pratica che all’inizio è considerata obbligatoria per chi viola il diritto si trasforma in una prassi che ramifica in ogni settore del vivere civile. L’occidente europeo entra in una specie di euforia classificatoria, una fame di parametri e di dati che genera una moltiplicazione di documenti e di procedure definendo una vera e propria cultura dell’archiviazione. L’emorragia di volti che inizialmente veniva frazionata e organizzata nei bollettini ebdomadari della polizia criminale fa irruzione in ogni ordine di ufficio pubblico. Il senso di minaccia dal quale nascevano le prime registrazioni fotografiche si comunica allo spazio sociale nella sua interezza: il potere legge la vita umana come pericolo potenziale.

Visitando questa mostra, messo a fuoco che l’identità giuridica è un’invenzione della modernità (un compromesso senz’altro utile ma da non sopravvalutare), resta il senso di un’esperienza visiva: le centinaia di volti muti, gli sguardi che scorrono oltre la superficie orizzontale delle fotografie. L’identità come superstizione, come illusione, come vuoto normale che attraverso parole e immagini proviamo a misurare.

Giorgio Vasta

Articolo apparso il 19 novembre su Repubblica

DIAPORAMA SULLA MOSTRA

Informazioni pratiche :


Du 28 septembre au 23 janvier 2012

Exposition “Fichés ? Photographie et identification du Second Empire aux années 1960”

Musée des Archives nationales – Hôtel de Soubise

60 Rue des Francs-Bourgeois, Paris 3e

Tél. : 01 40 27 60 96

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A PROPOSITO DI GIORGIO VASTA : Le temps matériel (Gallimard)

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