Professione: restauro d’arte… è una favola

A Campobasso (Molise), nella Via degli Orefici, esiste un laboratorio di restauro altamente specializzato per il restauro di opere antiche. Gli artisti che guidano questo laboratorio sono due sposi: Fiorentina e Pietro, che del restauro di opere d’arte antica hanno fatto la loro vita.


©Flavio Brunetti

La presenza nel laboratorio di importanti statue lignee religiose antiche ha stimolato l’interesse di Flavio Brunetti. Tutti quegli angeli in volo o ai piedi delle madonne e quei Santi lo hanno condotto non solo a fotografare il raro e prezioso lavoro di restauro di Fiorentina e di Pietro, ma anche a raccontare tutta l’umanità e la sacralità che un simile lavoro coinvolge.


– Fiorentina, come hai cominciato questa tua arte del restauro?

– Dopo la frequentazione di un corso di restauro per le tele. Le statue sono venute dopo. All’epoca frequentavo l’Università a Roma, Giurisprudenza. Poi quando seppi che qui a Campobasso avevano programmato questo corso del restauro che durava due anni, ho lasciato tutto e sono tornata di corsa. Successivamente andai a Firenze per un altro corso di restauro archeologico.

– Ricordi il tuo primo lavoro?

– Un crocifisso del ‘300. Una forte emozione. Ma sempre, in ogni lavoro, hai sulle spalle il peso della enorme responsabilità che ti viene affidata… o dalla Soprintendenza, o dal prete o anche dai fedeli che fanno una colletta.

– Quando finisci il restauro di una statua, come ti senti?

– E’ come se le avessi ridata la vita. Ma senza il senso materno. Con le statue ho un rapporto umano.

©Flavio Brunetti


– Sei timorosa dell’essere supremo che una statua rappresenta? o la vedi come un essere umano?

– Quando le statue escono dalla chiesa, perdono quella sacralità del luogo, ma resta comunque il rispetto per l’opera d’arte. In chiesa una statua mi dà un’emozione legata alla spiritualità e alla fede che rappresenta; nel laboratorio l’emozione è diversa. Con il contatto diretto, una statua sacra diventa quasi familiare.

– In che senso familiare?

– Io le abbraccio, chiedo loro scusa se le devo muovere o infilare di più il bisturi nella loro “carne”. Molto spesso parlo con loro. Con San Giovanni ogni volta che mi giravo sbattevo la testa sotto il suo braccio alzato e io gli chiedevo: “Ma che vuoi da me? Mi stai facendo la testa tutta bitorzoli!”

©Flavio Brunetti


– Li hai mai sognati?

– Sì! Soprattutto quando il lavoro di bisturi è duro e faticoso per togliere loro due o tre strati sovrapposti. Ma nel sogno riacquistano la loro sacralità. Qui, invece, sono i miei amici, i miei amici preziosi per l’arte che esprimono. E quando devono andar via perché il lavoro è finito io preferisco non essere presente e il giorno dopo, quando non le trovo più in laboratorio, mi prende sempre una grande tristezza.

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La presenza, in uno spazio così ristretto, dei Santi e delle Madonne, con tutte le storie, i miti e le leggende che li circondano, il loro contatto diretto, realmente “ad altezza d’uomo”, la cura amorevole di una donna delle ferite inferte a quei personaggi metafisici dai secoli, hanno fatto nascere in Flavio Brunetti un complesso di sensazioni profonde, che hanno dato vita ad una dolcissima fiaba la cui storia si dipana tra leggenda e fatti storici veramente accaduti e che narra di una bambina alla quale, nella sua fantasia, l’autore ha dato il nome di Fiore.

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DUE MINUSCOLE DONNE

Fiore

Fiore, quando era bambina, era minuta e gracile, ma era piena di vita. Di entusiasmo e di sogni. Ella aveva in sé la forza delle donne dei paesi del Sud, quei paesi ai margini, in alto, sulle cime dell’entroterra della penisola, lontani cento chilometri dal mare. Quella bambina nel suo nome portava la gioia dei fiori e dei colori del cielo e dei prati.

©Flavio Brunetti

Fiore, i giorni che nel paese il cielo era tutto un garrire, un canto chiassoso di rondini, un intreccio di rapide traiettorie nell’azzurro del cielo, nei vicoli stretti, tra le finestre e i balconi a sfiorare le tegole antiche e le gronde di latta, lasciava diario, libro e quaderni sul tavolo della sua cameretta e se ne andava. Andava, insieme alle amiche, a passeggiare fino oltre il paese, là dove la strada, a mille metri d’altezza, si apre sullo scenario della valle, giù in fondo, celato dai bagliori del sole quando piano piano la stella del giorno tramonta dietro i monti di fronte. Si sedevano, le piccole donne, sulle pietre rotonde, dolcissime, di quel terrazzo sul mondo e sognavano voli, insieme alle rondini ed alle poiane, che dominavano, con il loro altissimo grido lontano, la valle, dove Eco, la Musa dei monti e dei boschi, amava cantare. Ma quando imbruniva tornavano indietro, di nuovo al paese, per il catechismo.

Il Catechismo

Don Saverio era inflessibile, era preciso, non ammetteva ritardi: Si parlava del Verbo di Dio e dell’Universo e le bambine dovevano capire ed adeguarsi alla grandezza dei temi delle sue lezioni. Le bambine, Don Saverio, lo chiamavano, tra loro, Don Severo. E allora abbandonavano l’infinito e le magie della luce e del cielo e tornavano indietro per andare al catechismo.

©Flavio Brunetti


– L’uomo fu creato a immagine di Dio. Per questo motivo è suo dovere conoscere e amare Dio.

Don Saverio teneva con la severità di sempre la sua lezione di Catechismo nella chiesa del paese, la chiesa della Madonnina Risorta.

– L’uomo, che cerca Dio, deve scoprire le strade per arrivare alla conoscenza di Dio. Dio è in ogni luogo e in ogni posto! Ripetete con me!

– Dio è in ogni luogo ed in ogni posto! – ripetevano le bambine, tutte insieme

Continuava don Saverio e le bambine partecipavano, anche senza capire. Qualcuna immaginava questo Dio, a somiglianza di un grande uomo veloce, che riusciva a correr di qua e di là ed essere sempre presente ovunque.

– Dio è in ogni luogo…

La Madonnina

Fiore, poco alla volta, non ascoltò più quelle parole, che diventarono una lenta litania di sottofondo mentre i suoi occhi si fissavano negli occhi della minuscola Madonnina Risorta, che con un sorriso velato e soave, dall’alto dell’altare, la guardava e le faceva compagnia. La piccola statua non muoveva le labbra, ma era come se le parlasse continuando a sorriderle mentre le austere parole di don Saverio svanivano nell’eco delle volte della chiesa

– Queste vie per raggiungere Dio partono dalla Creazione. Nel tempo che scorre e nel creato si ritrova Dio, origine e fine dell’Universo…

E si perdeva nell’eco, il sermone del frate, quando, a un certo punto, Fiore cominciò a sentire, chiara, la voce lieve della Madonnina.

– Mi guardi le mani? Perché, mi chiedi, Fiore, ho le mani così, aperte e rivolte verso di te?

– Perché? – le domandò la bambina

– Sto pregando. Non vedi le croci, su di esse dipinte?

– Le Madonne pregano?

– Io prego per farti pregare

– Perché sorridi e mi guardi?

– Perché la fede è la cosa più dolce. La preghiera è sorriso.

– Tu hai sempre sorriso?

– No, bambina mia, ho pianto, ho molto pianto un tempo e per lunghissimi anni, per secoli amari.

– Quando, Madonnina, piangevi? Chi ti ha fatto del male? Perché hanno fatto del male a te che sei così bella e piccina?

– È una storia antica. Ritorna, mia Fiore, da sola, domani, e te la racconterò. Ora continua il tuo catechismo, altrimenti don Saverio ti sgrida.

– Domani? – sussurrò la bambina

– Domani. Ti aspetto quando non ci sarà ancora nessuno. Prima del Catechismo. Non andare a vedere il tramonto, vieni da me.

– Fiore! – gridò don Severo – Ma ti sei imbambolata? Avanti ripeti: Dio è l’essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra.

– Dio è l’essere perfettissimo… – cominciò, ma poi si fermò balbettando non sapendo più andare avanti, ma le vennero in aiuto le altre bambine

– Creatore e Signore del cielo e della terra – che conclusero in coro e all’unisono.

L’ora delle rondini

Era l’ora delle rondini. Era l’ora di andare a cercare i voli nella luce del sole sulla valle. A cercare i sogni, il tempo. A cercare il cielo.

©Flavio Brunetti

Ma Fiore non andò. Lasciò la cartella della scuola sulla sedia senza nemmeno aprirla. Il diario, il libro e i quaderni rimasero chiusi. Lasciò tutto e si avviò alla chiesa. Lì la aspettava la Madonnina. Ma era tutto vero? O era lei, la bambina, che aveva sognato? Quella statuina avrebbe di nuovo parlato continuando a sorriderle? Le aveva promesso di raccontarle le sue lacrime, il suo dolore.

Era vero? Era vero? Era vero?

Fiore uscì di casa e cambiò strada per non incontrare le altre amiche, per non dover dare spiegazioni a nessuno mentre si recava verso la chiesa.

Il grande portone di legno di noce era chiuso, ma don Saverio aveva lasciata aperta la porticina per qualche vecchiarella. I vecchi vanno spesso in chiesa anche da soli perché sono soli.
Entrò, Fiore. Si sedette allo stesso posto del giorno prima e cominciò a guardare gli occhi della Madonnina Risorta, a gustare il suo dolcissimo sorriso. Poco alla volta il vago sorriso della piccola Madonna varcò il cuore di bambina e accese spazi infiniti. Due minuscole creature dominavano l’Universo.

I Saraceni di Lucera


– Fiore, mia graziosissima Fiore, sei venuta! Brava.

– Sì eccomi, Madonnina. Hai detto che mi devi raccontare.

– Il buio, bambina mia… il buio mi fa paura.

– Il buio?

– E il tempo…

– Il tempo?

– Tanti anni fa, tanti, quasi mille anni fa, l’Imperatore di Sicilia, Federico II, deportò qua vicino i Saraceni, i Mussulmani. Migliaia di loro. L’Imperatore, regalò all’uomo senza fede queste terre per far finire le guerre nella sua isola. E qui concesse ai Saraceni tutto il potere.

– Dove li portò?

– A Lucera. Qua vicino. Verso il mare che si vede da sopra il monte del paese.

– Si vede il mare?

– Certo! Se guardi lo vedi. Se non guardi non lo vedi. Il mare è come i desideri. Quelli veri diventano realtà. Se lo cerchi lo trovi, il mare.

– E poi? Che successe?

– Quegli uomini venuti dalla Sicilia, abili guerrieri, colti e fedeli all’Imperatore, costruirono ai piedi del grande castello le loro moschee e cacciarono tutti i cristiani e il Vescovo. Poi cominciarono ad abbattere tutte le chiese e a dar fuoco alle statue dei Santi. Un giorno si seppe che i Saraceni stavano salendo da Lucera anche qui. Venivano a rubare e a distruggere tutto. Io ero nella chiesa di Santa Maria e certo mi avrebbero fatto del male i mussulmani, mi avrebbero buttata nel fuoco.

– Oh Madonnina, Madonnina! E cosa successe?

La Madonna nel vaso


– I frati mi fecero scendere da sopra all’altare e mi infilarono in un grande otre di terracotta che serviva per conservare il grano. Nei miei occhi cominciò a scendere il buio. In quel grosso vaso non vedevo più niente. Dalla luce della fede scendevo nelle tenebre.

– E che fecero, i frati dopo, mia Madonnina?

– Chiusero l’otre con un grosso tappo e poi sentii che mi prendevano e mi portavano fuori nei campi. Ma chiusa là dentro non vedevo più niente. Sentivo solo l’odore dell’erba e l’ansimare di braccia che stavano scavando. Non dicevano niente tra loro, quei frati, scavavano solo. Poi mi presero ancora e mi calarono in un fosso profondo.

– E tu non piangevi, Madonnina?

– Avevo paura, Fiore, tanta paura. Poi cominciai a sentire che buttavano terra addosso all’otre ed a me. Mi seppellirono. Poi più niente. Solo il buio e il silenzio per due lunghissimi secoli.

– Quanti sono due secoli?

– Sono due volte cento anni. È un tempo infinito. Mi sorresse, nel buio lì sottoterra, solo il desiderio di tornare a sorridere insieme a chi avrebbe pregato con me. Il desiderio che ritornasse la gioia come quella che unisce ora noi due, mia dolce bambina.

©Flavio Brunetti

La resurrezione


– Giovanni era un bravo contadino, un uomo buono e mite. I Saraceni oramai non c’erano più. I loro figli e i figli dei figli erano diventati come noi. Eravamo oramai tutti una stessa popolazione. Giovanni nei suoi campi, quel giorno, doveva fermare una frana e stava costruendo una spugna.

– Una spugna?

– Sì un fosso lungo e profondo per fermare l’acqua e non far scivolare la terra a valle. Scavando, scavando vide l’otre di terracotta, lo tolse a fatica dal fango, lo pulì bene bene, poi tolse il tappo che avevano messo i monaci e scoprì che là dentro c’ero io. “ Miracolo! Miracolo!” Cominciò a gridare. Vennero tutti i contadini, vennero i frati. Mi tolsero via da quel vaso, dalla mia bara per due secoli. Mi pulirono e mi portarono al riparo. Quella chiesa di prima non c’era più. Era stata incendiata dall’uomo nero. Allora, sul posto dove mi aveva ritrovato Giovanni, costruirono una nuova chiesa. Io sotto la terra mi ero ammalata; il mio mantello di stelle s’era tutto sbiadito, il mio viso s’era tutto screpolato, qualche dito s’era marcito. Arrivò un dottore, uno delicato e bravissimo e mi ridette la luce.

Le ferite dei Santi


– Madonnina, ma voi che siete eterni, che guidate noi che invece moriamo, avete bisogno anche voi del dottore?

– Per vivere così tanto tempo senza la fine, anche noi abbiamo bisogno del dottore. Ma non si può essere il dottore dei Santi, non si può andare in Paradiso, vivere a tu per tu con i Santi, prima della breve vita terrena, senza amare. Perciò ti ho parlato, Fiore, mio dolcissimo fiore, io ti sto parlando perché tu ami e tu sarai un nostro dottore. Ci curerai le ferite del tempo, del gelo, del vento, della pioggia, degli uomini stolti. Tu, mia soave bambina, ridarai i colori e la luce a noi, che preghiamo nei secoli e nei millenni per voi, piccoli esseri fugaci, fugaci come un raggio di sole d’inverno.

Queste furono le ultime parole della Madonnina sepolta e rinata.

Fiore capì, non disse più niente, non chiese più niente. Le mandò solo un piccolo bacio, con la mano ed un lieve soffio, ed uscì dalla chiesa.

Andava incontro al canto delle rondini, al grido delle poiane ripetuto dall’eco.

©Flavio Brunetti

Andava incontro al cielo azzurro di primavera, andava incontro alle sue amiche, alle loro risate d’argento, andava a salutare la stella del giorno che sarebbe scomparsa pian piano tra le linee dei monti… andava entusiasta verso la vita ed era più felice con il suo soave segreto.

Con il suo sogno.

Flavio Brunetti

Contatto del laboratorio di restauro: fiorentina-cirelli@hotmail.it

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Flavio Brunetti
Flavio Brunetti vive a Campobasso nel Molise. Vince, come cantautore, l’edizione del ‘93 del Premio Città Di Recanati con la sua canzone Bambuascé, e incide negli anni successivi gli album TU TU TTÙ TU e FALLO A VAPORE (ediz. BMG – Musicultura – CNI) delle sue canzoni. Scrive, dirige e interpreta numerose opere teatrali e musicali tra le quali Storia del Clandestino, L’angelo mancino, Frusta là, Lullettino e Lull’amore. I suoi reportage fotografici hanno meritato esposizioni in Italia, negli Stati Uniti, in Brasile e in Ungheria. Ultime sue pubblicazioni editoriali sono: “Non aprire che all’oscuro”, racconto e catalogo dell’omonima mostra. "Il tempo delle tagliole", romanzo che narra della vita in seminario negli anni ’60.