Un’Italia di tutti

Tra maggio e giugno è finito il grande sonno. L’Italia s’è destata, malgrado nelle ultime ore Berlusconi stia cercando con la tattica del “sonnifero” di riaddormentare tutti (si veda la verifica parlamentare e il suo bon ton all’occasione presentato). L’onda della rivolta della gente impone ai partiti di soccombere o di cambiare. Proviamo un’analisi a tutto campo che attraversi il panorama partitico nel nostro paese cercando di capire i possibili scenari.

Diciamolo subito, quello che è accaduto in Italia tra maggio e giugno, tra le amministrative e i referendum è qualcosa di eccezionale ma che infondo non sorprendente. Diciamolo subito i protagonisti di questa vittoria che chiude definitivamente con Berlusconi e con il berlusconismo sono i cittadini; ed esattamente sono i cittadini che hanno creduto nel cambiamento, che hanno raccolto le firme per i referendum, che hanno creduto alle primarie e alle sue regole, che hanno scelto idee e persone di cui potevano fidarsi.

Ma è una vittoria che giunge dopo una lunga “guerra” che a sinistra nasce con i girotondini, prima con il popolo dei fax, prima ancora con le piazze di Samarcanda che urlavano contro la corruzione politica del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) ed era il 1992. Poi è una vittoria costruita dai tanti comitati che ovunque e spesso sul web, sono nati per combattere il “berlusconismo” che è una mutazione genetica del batterio del “craxismo” e che ha avvelenato per anni le coscienze degli italiani, impoverendoli economicamente, culturalmente ed umanamente.

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Gruppi come il Popolo Viola, gruppi che si sono impegnati per la legalità e la giustizia negata, gruppi a volte promossi da intellettuali italiani come Eco, Rodotà, Saviano ed altre volte nate da persone meno celebri ma determinate a dare un senso alla propria vita e alla vita dei propri, amici, parenti, vicini, compagni di lavoro, di studi, di vita. Poi il milione di donne che da destra e sinistra (volendo mantenere per semplificazione questo vecchio cliché politico) si sono riunite nelle piazze con i propri mariti, compagni, figli per difendere la dignità e i diritti di chi ha lottato decenni per vederseli riconosciuti. Le migliaia di studenti e ricercatori che hanno lottato contro i tagli alla cultura, all’istruzione, alla ricerca nel nome di un futuro da difendere per se e per gli altri.

In particolare i giovani che precarizzati, demoralizzati prima culturalmente dalla falsa società rappresentata dal modello televisivo di Berlusconi, tutta sogni, promesse ed apparenze. Poi economicamente impediti di costruirsi un lavoro degno ed un futuro autonomo, da un governo che per anni si è occupato solo dei processi del cavaliere, di dispute con la magistratura e di privilegi per caste e lobby varie, il tutto in un clima di corruzione, di disfacimento morale e materiale.

Basti pensare alle truffe negli appalti per la Maddalena al G8, gli imbrogli con i soliti furbetti spesso legati a ministri, al bunga, bunga o per il disfacimento materiale, come la mancanza di politiche per il territorio abbiano ridotto intere regioni come il Veneto, la Campania, la Calabria o la Sicilia Penso ai tanti che in occasioni come il C-Day hanno difeso la nostra Costituzione dagli assalti di chi voleva ancora mani più libere per saccheggiare meglio il territorio e le coscienze degli italiani.

Naturalmente è stata una lotta dura che spesso ha coinvolto direttamente i lavoratori
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che hanno patito una lacerante divisione
sindacale, come alla Fiat con il piano Marchionne, come i lavoratori in Sardegna che con l’isola dei Cassintegrati hanno costruito nuove forme di lotta. Come chi è andato ad occupare gru di cantieri o tetti di palazzi pubblici. Come le lavoratrici e lavoratori dei call center, sfruttati tra gli sfruttati, ricattati da un sistema precario e senza regole, fino alla Fincantieri e ai lavoratori che, da Genova a Castellammare vicino Napoli, hanno dovuto lottare ed ancora temono per il loro futuro. Mentre andava in scena questa realtà, un infame sistema d’informazione pubblica, nascondeva il tutto e solo alcune emittenti coma RAI 3, Rai News, Sky e La 7, davano informazioni.

Per fortuna il web ha dimostrato, proprio nelle amministrative e nei referendum che, ormai, l’occupazione “militare” della comunicazione operata da Berlusconi è aggirabile. Ma proprio questo dimostra l’importanza di aumentare il legame, il sistema di relazioni tra associazioni, blogger e siti attraverso il web, affinché il dibattito sia sempre presente, come la possibilità di organizzare e convocarsi. Anche gli italiani all’estero e, certamente, non solo con il nostro sito, hanno dato il loro contributo e credo vogliano continuare a darlo.

Ma va detto che se tutto questo è la vittoria della gente, dei cittadini, in questa primavera italiana incruenta e, pur nelle preoccupazione per l’attuale stato delle cose, felice, si pone il problema di chi questo futuro deve governarlo. E, a meno che non sorgano nuovi soggetti politici, ci si chiede quale sia stato il ruolo dei partiti e quale debba essere da qui in avanti.

Ora , personalmente, io sgombrerei il campo da alcune affermazioni che ho sentito specie alla televisione o letto sui giornali. Chi ha vinto non vuole cambiare il mondo, o almeno non vuole cambiarlo in un moto utopico, chi ha vinto chiede una società diversa, più giusta ed equilibrata, meno ossessionata dal consumismo e dai disvalori proposti dal “berlusconismo” chiede una vita più serena, la possibilità di costruirsi con il merito un proprio futuro, una società che metta da parte le caste e i loro privilegi, a cominciare dai troppi del ceto politico, chiede che le scelte economiche, energetiche e politiche del futuro siano fatte nell’interesse comune della società e quindi non privatizzazioni ad ogni costo anche quando sono controproducenti o peggio dannose. Chiede di vivere in città vivibili, a dimensione umana, dove i cittadini non siano degli ospiti spesso sgraditi, ma protagonisti del proprio tempo e del proprio spazio.

In tal senso va riconsiderato anche tutto il modello economico che fin qui si è sostenuto che sembra privilegiare i consumi alla stessa persona. Tanto che a volte si parla di consumatori più che di cittadini. Chi ha vinto chiede un paese che abbia memoria e futuro e non solo un infinito presente come questo ventennio ci ha costretto a vivere. Chiedono una democrazia moderna e matura in cui ci sia spazio per tutti e la possibilità di partecipare e quindi non assemblee parlamentari nominate dai segretari di partiti ma rappresentanti degli elettori che gli elettori scelgono. Chiedono una democrazia moderna e matura dove le forze politiche non passino il tempo a delegittimarsi e a parlare del nulla, mentre i cittadini sono costretti ad una non vita fatta di sacrifici e sofferenze che non danno futuro.

Chiedono che davvero nasca la seconda repubblica e che dopo essere stati costretti per cinquant’anni a parlare di comunismo e anticomunismo e dopo venti in cui siamo stati costretti da Berlusconi e dalla sua occupazione di tutto, a parlare di berlusconismo e antiberlusconismo, finalmente si possa parlare del paese, delle cose reali, cioè di noi.

Da quello che dico si può ben capire come sia fuorviante credere che chi festeggiava la vittoria di Pisapia o meglio dei referendum, fossero rivoluzionari, magari bolscevichi assetati di sangue. La realtà è che si tratta di semplici cittadini che si riappropriano, finalmente, dopo un lungo sonno televisivo, della politica, cioè della loro vita.
In quelle piazze che esplodevano di gioia vi erano molti moderati, persone che chiedevano e chiedono semplicemente la normalità ad un paese drogato da un sistema di potere che aveva reso tutti anormali (all’estero a lungo ci si è chiesto come fosse possibile che gli italiani non aprissero gli occhi).

Quello che è accaduto è profondamente politico ma molto meno partitico di quanto oggi si voglia far credere.

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Il vero punto è questo. Che la pacifica rivolta sia giusta non c’è dubbio,
ma quando sarà finalmente sceso il sipario su questa fase storica italiana, finirà anche il clamore della piazza e pur augurandosi che i comitati di diverso orientamento e di diversa natura siano sempre vigili, resta il punto che bisognerà costruire un’alternativa che risponda alla domanda dei cittadini, a meno che non si voglia far diventare antipolitica, con tutti gli effetti tragici del caso, anche questa civile e democratica vittoria politica della gente.

L’antipolitica è stato il “berlusconismo” e quindi finalmente ritorna la politica. Uso il passato prossimo perché ritengo finito Berlusconi e il berlusconismo, di cui, paradossalmente, credo che fosse più il figlio che il padre. Certo, magari resisterà disperatamente ancora fino al 2013, ma diciamolo ormai è come un poltergeist che non ha capito, non glielo hanno detto che il suo tempo è finito e che politicamente è morto.

Certo resisterà ancora perché ci sono intorno a lui persone che per motivi assolutamente di ambizione personale e di egoismo mediatico non vogliono cedere e quindi terranno in piedi il “cadavere mummificato” come spauracchio contro gli avversari politici. La realtà è che per il suo bene, prima che per il nostro, Berlusconi, senza sentire i suoi consiglieri e i suoi falsi amici, dovrebbe lasciare e dedicarsi da uomo libero alle sue ricchezze e ai suoi godimenti.

Io non credo che il PdL abbia un futuro come alcuni dei suoi consiglieri ricordavano nella kermesse del “Liberi servi” Berlusconi era o è un monarca e il suo partito, aggiungiamo, era o è una sua impresa. Finanche il segretario Angelino Alfano non è stato scelto in un congresso, ho alla fine di un dibattito interno, è stato nominato semplicemente da Berlusconi. Ora se viene meno Berlusconi viene meno la ragione sociale di questo partito. Questo mi fa ritenere che il dopo della destra italiana sia, incredibile ma vero, a mio avviso, Futuro e Libertà.

Penso anche che il PdL e i futuristi possano riconciliarsi magari su basi nuove e con un nome nuovo. Sarebbe anche questo un contributo normalizzante. Trovo imbarazzante che, nella furia comprensibile contro il “berlusconismo” e l’attuale leader del PdL, i futuristi finiscano spesso e volentieri con confondersi con tesi e proposte politiche piuttosto lontane dalla cultura di una destra moderna, liberale ed europea, fino ad essere costretti di fatto a votare per candidati che provenivano dalle fila di Rifondazione Comunista.

Naturalmente, non mi sorprende che una destra moderna non sia omofobica, oppure che su temi etici sia duramente laica, questo avviene in molti partiti di destra come nei liberali tedeschi in Germania o in Inghilterra. Nemmeno mi stupisce che vogliano dare il voto per esempio alle amministrative anche ai tanti comunitari ed extracomunitari che vengono a lavorare in Italia e che pagano le tasse . Io non sono cittadino francese ma vivo a Parigi e voto nelle amministrative parigine. Mi sembra una regola elementare che solo la rozzezza della Lega Nord non consente anche nel nostro paese.

Dobbiamo anche comprendere che i vecchi criteri di scomposizione politica oggi sono poco credibili. Questo dimostra anche la precarietà delle coalizioni politiche e la difficoltà di sintesi quando si incontrano forze politiche che per alcuni aspetti sembrano configurabili nella vecchia ideologia socialista per altri aspetti in quella democristiana, per altri in un radicalismo pannelliano, o addirittura nell’antico (cronologicamente parlando) pensiero di Giustizia e Libertà. I modelli politici di oggi hanno bisogno d’ideologie che permettano di immaginare una coerente società del futuro e che coinvolga con la forza del suo pensiero i cittadini, ma la mobilità dell’attuale fase storica impone continui riposizionamenti e la necessità di una elasticità del pensiero politico che deve dare risposte ad una realtà cosi in constante fibrillazione.

Si può quindi ben comprendere come Fini parli di patria ma non di nazionalismo, di patria in un contesto europeo quasi pensando all’Italia come la futura regione di un paese che si chiama Europa. Nell’ultra destra fascista queste affermazioni farebbero venire la pelle d’oca.

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Detto della destra e del fatto che la fine di ad una stagione di antipolitica sarà segnata anche dalla fine del populismo di destra di Berlusconi e del PdL, che non è un partito e quindi credo che non possa avere un futuro, veniamo al cosiddetto Terzo Polo.

Orbene, io penso che lo scenario di una uscita del cavaliere faccia perdere al terzo polo il frammento futurista, bisogna chiedersi cosa sarà di Casini, Rutelli e soci. Personalmente, io non credo che il duopolio in politica abbia vita facile e posso immaginare che una frammentazione della politica possa derivare dalla implosione del PdL. Potremmo assistere a quello che il nostro politologo Emidio Diodato chiama : “Il ballo del potere”. E’ prevedibile un rinsaldamento delle componenti cattoliche nell’UDC, susseguente alla rottura con FLI che ha sempre marcato con decisione il suo spirito laico. Del resto la stessa Alleanza per l’Italia gruppo fondato da Rutelli vede nel suo leader un uomo che ha spesso dimostrato molto legame o vicinanza agli ambienti vaticani. Quindi potremmo essere ad una revisione, corretta e aggiornata della vecchia DC.

Certo, tutto questo non coglie la reale portata di questa primavera italiana, fatta di un bisogno di normalità, di costruire nel concreto risposte ai bisogni materiali ed esistenziali dei cittadini. Un bisogno che per la prima volta dopo tanto liberalismo spinto e mercati e finanza pone la persona al centro di un progetto politico. Un progetto che potrebbe e dovrebbe essere visto sia da forze conservatrici, sia da forze progressiste che da differenti punti di vista dovrebbero mettere al centro della propria azione politica appunto la persona e il suo benessere.

Del resto proprio il mondo cattolico e il suo volontariato hanno scritto pagini molto belle nel contrasto al razzismo e alla xenofobia, hanno richiamato nei referendum il tema della centralità dell’uomo in un aperto contrasto con la cultura berlusconiana e con le antipolitiche del cavaliere. Ma oggi è difficile immaginare un terzo polo cattolico che divenga il megafono di un complesso e contraddittorio mondo quale quello della chiesa cattolica e delle sue varie associazioni e diramazioni.

Interessante è anche capire la parabola della Lega Nord che appena sei mesi fa sembrava essere l’unica forza partitica capace di ascoltare il territorio (almeno al nord) e che, viceversa, in prossimità di obbiettivi storici e statutari come il federalismo, si è fatto inghiottire nel buco nero del “berlusconismo” perdendo la sua carica trasgressiva, rinunciando alla sua “emotività” che fu la novità del panorama politico negli anni di mani pulite e del tramonto di quel sistema politico. Dopo sei mese la Lega sembra invecchiata di colpo con Bossi, che per altri versi appare l’emblema della decadenza di quel partito come Berlusconi anche fisicamente sembra l’espressione della fine di questa fase storica che da lui ha assunto il nome.

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Il vero problema è che mentre il PdL non è un partito, la Lega sì. Proprio perché mantiene il suo rapporto con la cosiddetta società “Padana”. Quindi il vero punto è che la Lega per la sua sopravvivenza e per favorire il suo disegno federalista, dovrebbe allontanarsi dai berluscones (peraltro i due elettorati decisamente sono diversi e non si amano) e ritrovare il suo slancio popolare, andando a confrontarsi con la politica e nella politica con gli altri soggetti. Anche perché non è immaginabile una riforma federalista che non veda coinvolta tutte le forze politiche. Bisogna poi, pensare alla successione di Bossi (cosa che fa gridare allo scandalo i leghisti), ma in realtà la Lega è ormai un partito vecchio (il più vecchio tra quelli in parlamento) che ha bisogno di rifondarsi.

E veniamo alla sinistra.

Sinceramente credo che la cosiddetta sinistra possa giustamente cantare la sua vittoria alle amministrative ma certamente non possa e non dovrebbe mettere il cappello sulla vittoria referendaria. Certamente, i voti di sinistra e degli elettori del PD sono stati decisivi, ma dietro quella vittoria c’è un popolo in movimento che difficilmente è assegnabile o collocabile in aree politiche asfittiche e confuse come quelle attuali, dopo un ventennio di cura antipolitica di Berlusconi &. c. diventa difficile collocare, secondo vecchi e superati schemi, l’IdV di Di Pietro nella sinistra.

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Nei paesi di campagna negli anni ’50 avrebbero detto, con grossolanità ma, non senso buon senso che Di Pietro è il Re di Italia dei Valori. E francamente, un re in un partito di sinistra sarebbe stato difficilmente immaginabile. Peraltro l’IdV spesso appare come il rovescio della medaglia del populismo berlusconiano.

Solo ora Di Pietro sta cercando se non un pensiero diverso e progettuale almeno un appeal comunicativo nuovo. Così come appare ristretta la visione di chi dice la “sinistra” è oggi estremista perché a Napoli è sindaco De Magistris e a Milano Pisapia.

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La realtà è che i movimenti corrono e i partiti camminano sulle braccia, faticando oltre misura sul piano della visione politica. Un tempo la politica tutta immaginava la legge sul divorzio (la legge fu promossa da due politici; Fortuna era socialista e Baslini liberale), mentre ancora la gente dava del cornuto ai mariti che concedevano un minimo di diritti alle proprie mogli. I partiti erano delle avanguardia di un pensiero moderno ed erano capaci di formare su valori sociali condivisi le persone, mentre oggi sono distanti anni luce dai cittadini. Io credo che l’idea del matrimonio gay è molto più presente e accettata nella società che non nei partiti, che restano schiavi di tatticismi politici e fobie, incapaci di rinnovare davvero questo paese.

Una politica quella dei partiti che rimane ferma ai luoghi comuni e incapace di un pensiero politico coerente e innovatore o, almeno, di cogliere i segnali della società. Fino a ieri si era tutti per la privatizzazioni o liberalizzazioni; la differenza lessicale è spesso più dovuta alle origini politiche dei diversi interlocutori piuttosto che da una effettiva analisi dei due fenomeni. Oggi di colpo tutti corrono ai servizi pubblici senza nessuna riflessione sulle realtà effettuali che magari imporrebbero di modulare queste scelte alle diverse opzioni che si offrono. Lo stesso avviene sul tema dell’economia, dove la parola d’ordine è consumi, senza porsi il problema che più che consumi la parola d’ordine dovrebbe essere cittadini, riconsiderando nel complesso il rapporto tra politica- società ed economia – finanza.
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La primavera italiana c’è ma ora occorre una primavera nei partiti. Io sono ottimista a condizione che per il bene di tutti, Berlusconi si faccia
da parte. E’ chiaro che questo sarebbe solo il primo passo, poi viene da ricostruire sul piano morale, etico e sociale un paese che è stato lacerato da una parte da una mancata modernizzazione e da anni di campagne elettorali rissose e che si poggiavano sul nulla, impegnati solo ad arginare il debordante cavaliere. Curare 17 anni di ferite non è facile. Basterebbe chiederlo a Lorella Zanardo, in merito a generazioni intere educate a considerare le donne e il corpo delle donne solo come oggetti finalizzati ad una visione assolutamente marcia della relazione uomo/donna. Si dovrebbe finalmente liberare la RAI (servizio pubblico) che dopo l’egemonia dei partiti è stata sottoposta a quella del “monarca”. Bisogna immaginare una RAI che sia fatta da giornalisti liberi, bravi e che seppure orientati nelle loro convinzioni, possano lavorare in una informazione veramente plurale e pubblica.

Significherebbe recuperare una TV pubblica che fornisce informazione (vera), cultura, arricchimento umano ripristinando anche una funzione pedagogica persa dopo anni e anni di show volgari, banali che hanno avuto come solo scopo d’instupidire l’opinione pubblica.. Di programmi da TV del pianto che avevano il solo scopo di insinuare la finzione anche in quei sentimenti che dovrebbero essere pieni e vissuti sinceramente. Bisognerebbe eliminare tutto quel perbenismo ipocrita che a seconda dei casi si indignava o meno. Questo concetto può essere sintetizzato dell’accostamento di due espressioni: Family Day e Bunga Bunga.
In queste due definizioni si sintetizza tutta l’ipocrisia e le contraddizioni che abbiamo vissuto in questi anni.

Dovere della politica che verrà sarà quella di ristabilire il senso della realtà, smetterla di dire bugie, di fingere, capire che l’apparenza inganna, ricostruire un senso di fiducia tra i cittadini e le istituzioni.
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Insomma, se i cittadini sono migliori della propria classe politica, allora
vuol dire che nella classe politica bisogna che qualcuno inizi a farsi da parte e magari pensionarsi come il cavaliere solitario di Arcore. Più volte da Altritaliani abbiamo chiesto ai nostri compatrioti uno scatto di orgoglio mentre all’estero si associava il nostro paese alle varie Noemi, Ruby e veline, ora lo scatto c’è stato ma è la politica che deve prepararsi a governarlo secondo quando gli italiani chiedono. E quindi mettere in discussione l’idea della precarietà nel lavoro, mettere in discussione la centralità dell’economia (è la politica che detta l’economia e non l’economia che stabilisce le politiche).

Un paese più libero e pulito (in tutti i sensi), liberare l’informazione e la cultura, eliminare le caste e i privilegi, ridare ai cittadini quella dignità che gli è stata prima defraudata e poi negata. Dare un segno di semplificazione istituzionale, modificando la legge elettorale, dando fine ad un’assemblea parlamentare di nominati per ridare ai cittadini i loro eletti, eliminare cose inutili come le Province (altro esempio di privilegio), dare a chi è del sud le stesse possibilità di chi è del nord , eliminare queste sperequazioni. Imporre di far pagare le tasse a chi non le paga, un paese dove il 10% degli italiani hanno il 46% delle ricchezze del paese non può essere una democrazia moderna e questa migliore ripartizione delle ricchezze non è cosa da bolscevichi ma semplicemente da liberali.

Chiedere che finalmente le donne abbiano la stessa considerazione nelle diverse attività produttive e sociali del paese non è una chimera femminista è semplicemente quello che impone la nostra Costituzione ed un segno di modernità. Se in Svezia il 70% delle donne lavora ed è pienamente inserita nel tessuto sociale mentre in Italia il 48% delle donne non lavora vuol dire che siamo fermi agli anni cinquanta.
In piena crisi economica la Francia, la Germania ed altri paesi hanno rilanciato sulle scuole, l’università e la ricerca mentre l’Italia attraverso il suo governo mortificava con continui tagli questi settori. Su tutto questo la politica liberata da Berlusconi dovrà dire con chiarezza di ideali e progetti.

Particolarmente su questa linea di concretezza dovrebbero lavorare i partiti progressisti, capendo che oggi il tema non è andare con Casini per recuperare i moderati o andare con Vendola e Di Pietro per recuperare gli incazzati. La realtà è che oggi i moderati sono incazzati e questo spiega le vittorie di De Magistris e Pisapia, quelle dei referendum e la “Primavera italiana”. Quindi non conta tanto la tattica di andare con un ipotetico centro composto da Rutelli e Casini o piuttosto con una ipotetica sinistra composta da Di Pietro e Vendola, ma offrire un progetto di paese che magari, fra l’altro, contenga qualche risposta a quel lungo elenco che abbiamo poc’anzi esposto.

Infine credo possa essere condivisa (ci sono proposte da diverse forze politiche ) una legge che sospenda o escluda quegli eletti che sono stati condannati con sentenze (anche non definitive) è un atto che ridonerebbe credibilità al paese, ma anche un senso etico dei partiti impone che chi ha cariche pubbliche non possa condurre una vita morale che non sia esemplare e da modello per la società che rappresenta. Non è questione di moralismo è questione di serietà e se tutte le più moderne democrazie operano con queste regole trovo strano che solo in Italia questo criterio non sia considerato.

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Ho detto della strategia che ritengo debba essere perseguita da quello che un tempo era detto centrosinistra ma sul piano tattico e per l’immediato il discorso va riconosciuto come non facile. Parlare di cosa dovrebbe fare il PD è veramente difficile, anche perché la situazione politica è veramente fluida. Certo andando sull’arido immediato si può dire che oggi sembra che si possa andare, appena possibile, alle elezioni e al PD basterebbe per vincere un’alleanza con Sinistra, Liberta ed Ecologia e con l’Italia dei Valori senza mega ammucchiate che comprendano il Terzo Polo con le sue diverse anime. Il tutto approfittando anche di una Lega Nord che affonda con la nave PDL.

Ma io credo che anche se i progressisti vincessero con questo schieramento, la realtà è che occorrerebbero diverse piccole e grandi riforme, su di cui per alcune ci siamo soffermati poc’anzi, le quali vanno comunque condivise anche con le altre forze politiche, queste anche per ricostruire un senso collaborativo, uno spirito direi di servizio dei partiti in favore di regole e principi comuni, che favorirebbero anche un riposizionamento delle idee e dei partiti stessi. Questo consegnerebbe agli italiani (molti dei quali moderati ed esclusi dall’attuale politica delle risse) anche una maggiore fiducia nella propria classe politica che favorirebbe un processo di normalizzazione del paese sconvolto per troppi anni dal “berlusconismo”..

Ma per fare questo bisogna che le forze progressiste, abbiano il coraggio di ascoltare sul campo e sulla rete la gente, che si assumano la responsabilità di scelte che non possono mai ottenere l’unanimità del consenso ma che sono necessarie non solo per ricostruire una scomparsa dialettica politica ma anche per disegnare il futuro di questa società, uscendo così da quella paralisi che per anni ha impedito all’Italia di camminare, stretta nella paura in una eterna ed anomala guerra politica di trincea tra berlusconismo ed antiberlusconismo.

Certo, ritrovata una pace nazionale e sociale, quelle che erano la destra e la sinistra, modernizzate ed europeizzate, saranno destinate a dividersi e a confrontarsi finalmente in un terreno di valori comuni e con regole politiche condivise. Riportando così gli italiani nella realtà e a riconoscersi in una politica che parli di loro.

(tra le foto dall’alto in basso: Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro, Pierluigi Bersani e Matteo Salvini, il Gabibo).

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Un’Italia di tutti
    Dopo le varie svolte governative e i risultati referendari, possiamo
    dire che c’è un corridoio antinucleare da Skagen (Danimarka) a Siracusa.
    Per la Germania, questo significa uno sviluppo immenso per l’industria
    di energie alternative. L’Italia non sembra ancora preparata a questa
    svolta. Sembra proprio che l’Italia, ancora una volta, sia dedicata al
    cemento, alle energie tradizionali, persino per l’energia nucleare si
    fa infilare le vecchie tecnologie.

    La Merkel non è ecologista, ma ha capito dove vanno le cose. Bisogna
    occupare subito i posti privilegiati in un mercato che adesso nessuno –
    tranne la Germania – prende sul serio. Anche qui, nonostante le forze
    dell’energia tradizionale, ci stiamo avviando a un paesaggio di parchi
    eolici nel mare del nord e nel mare baltico, di parchi solari nel sud
    della Germania. Il problema saranno le linee di altissima tensione che
    dovranno collegare questi parchi all’utenza.

    Leggo con grande attenzione i i vostri articoli. Penso che per l’energia, ci
    vuole un discorso più ampio.

    Con tutta la mia solidarietà

    Hartmut

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