Calle de la Pietà. Ovvero il risveglio dei sensi, un film di Mario Brenta

L’ultima prova cinematografica di Mario Brenta co-realizzata con Karine de Villers, costituisce una riscoperta narrativa di temi oscurati da questi anni di vuoto umano e culturale. Un viaggio sensibile per ritrovare tra luci e rumori le calle di Venezia, se stessi e un’umana dimensione tra la vita e la morte.

Si parte dall’ultimo giorno del pittore Tiziano, colto dalla morte mentre dipinge con la sua modella, la sua donna, molto più giovane di lui, una musa, una ispiratrice di un pittore che nel naturale silenzio della sua Calle de la Pietà, a Venezia, segna le sue ultime ore. Ma quella di Tiziano è solo un punto di partenza da cui Mario Brenta parte per una riflessione sommessa e delicata che apre gli occhi dello spettatore e lettore su molti temi di ieri e di oggi.

Anche Mario Brenta come Tiziano ha la sua musa ispiratrice, l’attrice belga Karine de Villers, che con lui firma l’opera. Karine è interprete della modella di Tiziano ma anche una donna di oggi, che nella sospensione temporale tra oggi e il passato ci accompagna, nella magia incantata di una città che nella sua immobilità sospesa sull’acqua è forse l’unico esempio, Roma non ce ne voglia, di città eterna.

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Eppure, in questa riflessione raccontata più dalle immagini che dalla stessa voce fuori campo di Brenta, ci sono i segni del male del nostro tempo. In alcuni flash tra le mura ricche di storia e di umanità, tra i tetti che all’apparenza ci mostrano un luogo senza tempo, si intravedono i segni pesanti di una modernità che contrasta, che distrae da un luogo che è fatto di angoli e sospiri, di silenzi e di rumori antichi, che non feriscono le orecchie che non rappresentano un tempo, il nostro, che appare senza pensiero e spesso senza emozione ed autentica commozione.

La macchina da presa di Mario Brenta, scivola inquietante come il pennello di Tiziano tra la vita e la morte. Due stati oggi vissuti male. Il primo in modo compulsivo e falsato dai troppi messaggi, troppo spesso vacui e solo di apparenza , senza sostanza, l’altro escluso, ignorato, come del resto la vecchiaia, che in questo tempo, sembra abolito, demonizzato con angoscia e paura.

Karine de Villers

Le pennellate del regista, ci parlano degli uomini e dell’umanità, eppure l’uomo è spesso sottratto dai quadri che ne sono filmati e dipinti, spesso più del volto (a parte la gran bella espressività della de Villers) sono protagonisti le mani. Mani che lavorano, che si soffermano su oggetti antichi o che sembrano ormai non più di questo tempo. Una espressività delle mani, che colpisce, che sembra riportarci ad una dimensione della manualità che anch’essa sembra perduta in questa epoca ipertechnologica, dove sempre più il contatto con le cose e le persone sembra demandato all’informale e all’informatico.

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Cosi come l’udito dello spettatore sembra più coinvolto da i suoni dell’acqua, o delle barche che dolcemente urtano le banchine di Venezia che dalle pur belle musiche che a volte accompagnano liricamente le sinuose immagini del film. Rumori. Brenta rivaluta il rumore, oggi sinonimo di disturbo ricordandoci che esistono rumori che sono della natura (i gabbiani, l’acqua che scorre) o che sono frutto della natura umana, come quello che appunto è prodotto dalle mani degli uomini al lavoro. Un rumore ben diverso da quello di una civiltà televisiva che stordisce, con i suoi alienanti messaggi di continuo sviluppo, di continuo consumo. Come se consumando si ponesse un ostacolo alla morte.

Un film per i sensi quindi dove le mani ovvero il tatto, i suoni ovvero l’udito, la luce ovvero la vista sono coinvolti in pieno. La luce appunto. Non solo quella degli spettacolari tramonti veneziani, ma specie quella che si infiltra nelle case, nelle finestre delle strette calle, che si insinua tra le tende appena smosse da un vento marino. Una luce che resta impressa, che coglie le cose e che come nei quadri di Tiziano gioca con le cose nella misteriosa alternanza di chiaroscuri che sembra simbolo della stessa esistenza.

Non esagero se dico che tuttavia idealmente anche l’olfatto è coinvolto in quell’odore marino, di muffa a volte, di pesce e carne marcia. E spesso nel montaggio alternato che Mario Brenta propone l’idea della pace e della storia umana del luogo si alterna con una più inquietante ed attuale visione della carne esibita e macellata alla luce del sole, sui banchi di un mercato tra rumori di voci, come in un mercato della merce umana che nella volgarità di questi tempi grami, ha sembrato per un certo tempo, far precipitare le coscienze di molti in un abulica e amara indifferenza.
Lo studio di Tiziano dopo il furto.

Come dice Brenta chi può sconfiggere la morte è la memoria, forse meschinamente per ogni artista, come per Tiziano o Brenta fare quadri o fare dei film è appunto un modo per resistere al tempo, all’oblio e alla morte.

Eppure, tragicamente, quando la nostra Karine chiede in una sala da tè esotica dove è la Calle de la Pietà, o meglio dove è la casa di Tiziano, il cameriere non sa dirlo.

Ma infondo quel luogo, grazie a Brenta non è più un luogo solo fisico, ma è un luogo, di ognuno di noi. Un luogo delle sensazioni e dell’umano ricordo. Potrebbe essere un luogo che non è più della magia veneziana, ma anche di Napoli, di Milano oppure di Parigi o di qualsiasi città grande e piccola dove c’è chi a voglia di vivere e non di farsi vivere. Di chi accetta il tempo partecipandoci e non solo di chi lo subisce o peggio lo nega.

Un nutrimento per la coscienza di tutti, un piacere per gli occhi e l’anima.
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Mi chiedo se questo film di un’ora possa essere proposto al cinema o alla televisione. Certo nella vacuità di un sistema distributivo ed informativo come quello attuale c’è poco da sperare. Oggi si preferisce il rumore appunto ma non quello di cui parla Brenta ma quello disumano che mira a stordire le persone a renderle schiave di logiche consumistiche ciniche e miopi. Lo stesso valga per la televisione pubblica e privata, attenta solo agli ascolti e a come tradurre questi in pubblicità e business. Tuttavia credo che chi ama il cinema, chi crede ancora nell’arte, avrebbe il dovere in Italia o ovunque di far conoscere questo film. Penso anche alle tante scuole e a quei circuiti alternativi ed indipendenti che dovrebbero avere per statuto questo impegno, contrastare un cinema che in buona sostanza non racconta nulla e proporre qualcosa che viceversa sia nel suo piccolo o grande, illuminante.

Infine mi domando se possa essere anche la rete, vero strumento rivoluzionario della cultura e dell’informazione a proporre opere geniali come questa. Noi Altritaliani se Brenta vuole ci siamo.

Nicola Guarino

Per saperne di più sulla filmografia di Mario Brenta

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.