I Papiri Ercolanesi come fonti di autori antichi

Napoli, città di cultura millenaria, assurta nell’ultimo periodo sulle pagine di giornali e televisioni di mezzo mondo per deprecabili incurie e violenza, annovera, tra i suoi tesori una ricca raccolta di papiri, venuta alla luce durante gli scavi della celebre villa dei
Pisoni (o villa dei Papiri) ad Ercolano.

Che Omero, i tragici, i lirici, le opere degli storici fossero state lette nel mondo greco e in quello latino reggendo tra le mani i rotoli dispiegati di papiro lo sapevano anche quelli che non avevano avuto modo di vedere le raffigurazioni giunte fino a noi, che rappresentavano, appunto, uomini togati recanti tra le mani, le due estremità dei manoscritti avvolti su due piccoli cilindri.

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I primi ritrovamenti di questi rari documenti, risalgono alla metà del settecento, quando dagli scavi archeologici di Ercolano furono scoperti i primi rotoli di papiri carbonizzati dalla lava vulcanica che aveva seppellito il paesino alle falde del Vesuvio nel 79 d.C. In una stanza, ordinati su scansie si trovavano circa tremila pezzi ridotti in carbone, del diametro di due, tre pollici che formavano la biblioteca; inoltre un tavolino per scrivere, calamai, penne di legno,
stili e tavolette puggillari sulle quali si scriveva collo stilo
puntuto – scrive l’abate Celano – da un lato e piano dall’altro per cancellare o emendare i concetti, secondo il precetto di Orazio.
Allineati sulle mensole i busti di Epicureo, di Erbaceo, Demostene e Zenone.

E’ certo che gli antichi scrivevano su membrane e pellicole della pianta del papiro, coltivata in Egitto e anche in Sicilia. Alcuni ritengono che elaborassero il pensiero sulla scorza ed il legno di differenti alberi, quali l’acero, il platano, il frassino e soprattutto il tiglio.

A prima vista quei piccoli cilindri furono ritenuti tizzoni spenti, pezzi di legno che l’alta temperatura della lava aveva bruciato e anneriti. Dopo ci si rese conto di trovarsi alla presenza dei resti di una grande biblioteca, si tentò di srotolarli con risultati disastrosi. Arrivò l’abate Antonio Piaggio che con certosina pazienza realizzò una specie di telaio e il papiro cominciò a rivelare il suo segreto. Il sistema consisteva nello svolgere e fissare sopra
una membrana trasparente quelle lievi e fragili strisce di carta divorate ed annerite dalle fiamme. Il cilindro sospeso in aria mediante fili di seta e senza toccarlo se non con piccoli stili o pinzette il sacerdote riusciva a separare il tutto e con molta precauzione e delicatezza sistemarli sui telai di bambagia per non ridurli in polvere. Due esemplari di questa macchina sono custoditi al Museo Archeologico di Napoli. I testi filosofici sono esposti nelle bachechedella Biblioteca Nazionale.

Un papiro della villa dei Pisoni (o dei Papiri)

La prima scoperta avvenne nell’ottobre del 1752. Ercolano fu travolta da una inarrestabile valanga di fango. Poi un’altra tremenda valanga di lava nel 1631 e la villa dei papiri sprofondò più in basso. Durante gli scavi apparvero subito vasi, pitture, statue. Teatri, palestre, case e ville. Un budello sbucò in una villa più ricca delle altre: bronzi, marmi, mosaici. Un ben di Dio. Ci riempirono un museo. E poi, pezzi di qualcosa che sembrava carbone, ma erano papiri.

Nel 1754, altri papiri vennero alla luce attraverso le gallerie che gli scavatori borbonici praticavano nel ventre della terra per recuperare principalmente, affreschi e mosaici.
Villa dei papiri

I papiri rinvenuti ad Ercolano sono di autori epicurei per la massima parte – precisò il prof. Marcello Gigante, studioso della materia – ma interessano tutta la civiltà antica e in particolare le filosofie ellenistiche (scuola di Platone, scuola di Aristotele, gli stoici, gli scettici) e in generale tutto il pensiero greco, a cominciare dai presocratici. I trattati sulla musica, sulla retorica, sulla poetica non espongono solo il punto di vista epicureo, ma contribuiscono in modo decisivo alla conoscenza delle teorie antiche con cui Filodemo costituì ad Ercolano questa vasta biblioteca. Inoltre, a rendere importanti questi papiri anche per la filologia classica basterebbero le citazioni da Omero, Alceo, Sofocle, Euripide e cosi via. In uno di questi documenti si sono potuti leggere i nomi
di Virgilio, Plozio, Vario e Quintillio. Uno studioso norvegese Knut Kleve ha potuto ricostruire alcuni versi del VI libro degli « Annali » di Ennio, che furono la fonte precipua dell’ « Eneide ».

Mario Carillo

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Mario Carillo
Mario Carillo, iscritto all’ordine dei giornalisti della Campania. Prime esperienze alla Redazione napoletana del Giornale d’Italia di Roma, Agenzia Radiostampa, Agenzia NEA, collaboratore fisso da Napoli per il Secolo XIX di Genova, collaboratore del giornale Il Roma di Napoli, Il Gazzettino, Il Brigante, Albatros magazine, Altritaliani.net di Parigi, responsabile napolinews.org, socio Giornalisti Europei, Argacampania (giornalisti esperti agroalimentare).