La primavera italiana 2

Amministrative 2011. Archiviate le vittorie del centrosinistra a Torino e Bologna, le sorprese sono state a Milano e a Napoli, dove i cittadini possono davvero dare un colpo definitivo al berlusconismo ed accelerare quella riforma della politica auspicata da Altritaliani. Proviamo a capire cosa è successo e cosa potrebbe ancora accadere.

Mentre la primavera araba si estende alla Spagna con i giovani “indignados” e arriva nelle piazze italiane, concentriamoci sui ballottaggi nelle amministrative italiane di Domenica 29 maggio, dove in diversi duelli si decideranno le sorti amministrative di molti Comuni e Province italiane. Tra questi per l’indubbia valenza nazionale spiccano le contese di Milano e Napoli.

A Milano il candidato di centrosinistra Pisapia, dopo il primo turno, è clamorosamente e nettamente in vantaggio nei confronti del sindaco uscente Letizia Moratti, fin qui ampiamente sostenuta dal cavaliere Berlusconi, uscito sconfitto da un voto che aveva definito nazionale e addirittura una sorta di referendum sulla sua persona. Quel referendum il cavaliere l’ha già perso comunque vada a finire il ballottaggio.

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Già comunque vada a finire, ma certamente non è finita la battaglia per
la conquista dell’amministrazione cittadina della capitale economica d’Italia e peraltro i berluscones già sognano la rivincita sostenendo che una loro eventuale vittoria ai ballottaggi riporterebbe tutto come prima, ovvero si garantirebbe qualche altro anno di nulla agli italiani e qualche legge in più per aggiustare le vicende giudiziarie del cavaliere e la solita sbornia di promesse del marinaio del premier.

Infatti è così. Sarebbe illusorio fidarsi del voto del primo turno. Anche se c’è euforia tra i sostenitori di Pisapia e depressione e confusione nel PDL e nella Lega Nord per i risultati della Moratti (che giustamente Formigoni aveva con lungimiranza definito un candidato debole), anche se l’euforia aiuta a vincere, bisogna ben considerare che gli sconfitti di quella Domenica si giocheranno nella prossima tornata tutto. Perdere Milano davvero segnerebbe la fine del berlusconismo e una pesante battuta d’arresto nell’ascesa leghista nel nord Italia. Certo magari il governo nazionale tirerebbe ancora avanti per qualche tempo a campare, ma è evidente che ad ogni passaggio parlamentare dietro l’angolo si prospetterebbe una crisi di governo. E certamente, l’idea del miracolismo di Berlusconi ormai non fa più presa sulla popolazione, estenuata da annunci e promesse senza seguito. Della precarietà del governo si è già avuto riprova all’indomani del voto, con la prima seduta della Camera dove per ben cinque volte il governo è andato sotto bersagliato dagli emendamenti e dalle mozioni dell’opposizione, che hanno profittato bene delle assenze dei parlamentari pro governo e del nicchiare dei cosiddetti “responsabili” (ben dodici assenti alla votazione parlamentare) evidentemente ancora non soddisfatti, malgrado la nomina in loro favore di 9 inutili sottosegretari che a nostra spesa sono stati ripagati per essere passati con il governo impedendo così una crisi che avrebbe messo il premier davanti alla realtà dei suoi processi e delle sue responsabilità e che avrebbe consentito al Paese finalmente di ripartire.

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Si rende così ancora più importante la partecipazione popolare e in particolare dei giovani al voto, per condurre alla sua felice conclusione questa “Primavera italiana”, liberando la politico da questo clima di ricatti incrociati tra “responsabili” in cerca di poltrone, leghisti che accettano di tutto nell’attesa vana del federalismo ed un Berlusconi prigioniero del suo passato e delle sue vicende giudiziarie, sempre più ricattabile dai suoi falsi amici che perseguono solo i propri egoistici interessi. A sinistra (chiamiamola così) si potrà finalmente ritornare alla politica uscendo dal tema Berlusconi si e Berlusconi no, andando finalmente a chiarire quale società s’intende per il futuro dell’Italia e con quali alleati costruirla. Il terzo polo potrebbe finalmente sciogliersi o definirsi meglio, perché appare difficile coniugare una forza politica che comprende FLI che ha in mente una destra moderna, laica ed europeista, con una UDC, legata ai trascorsi democristiani e molto conservatrice specie sui temi etici e ai rutelliani che addirittura hanno attraversato dal Partito Radicale, ai socialisti, all’Ulivo, un po’ tutto il panorama della politica italiana, ed infine l’IdV di Di Pietro che potrebbe finalmente mettere da parte il suo strenuo giustizialismo e attenuare i toni populistici per avviare un’idea di politica di più ampio respiro.

Chiudo questa digressione e torno all’analisi del voto amministrativo.
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Impressiona, il dato negativo della Lega. La quale pur ritenuta abile e
concreta amministratrice delle città che governa, non ha potuto arginare o politicamente risolvere il malcontento della sua base, che ormai si lamenta sempre di più nei suoi confronti, sentendosi tradita da chi aveva promesso il federalismo, di arginare l’emigrazione dei tanti extracomunitari nel nord, e che non riesce ad aiutare quelle imprese, piccole e medie che costituivano il tessuto connettivo della loro base di consenso. Peraltro avevamo in passato segnalato come il segreto del successo leghista fosse nel suo essere radicato sul territorio. Forse l’unico partito veramente capace di coinvolgere i cittadini, spesso in sede locale, e di dare risposte (condivisibili o meno) concrete alle inquietudini di questi. Ma il vero problema è che da troppo tempo la Lega è costretto ad inseguire l’alleato Berlusconi ed un partito, il PDL, che un partito non è, e che rischia di evaporare nel momento stesso dell’uscita di scena dal suo padre, padrone.

Bossi ha commentato affermando che la Lega non si farà affondare dal PDL, ma in realtà a forza di essere supini al PDL, a forza di accettare la eterna contropartita tra gli interessi personali del premier e quelli politici della Lega, quest’ultima è già affondata. Il problema semmai è di risalire e di recuperare la propria autonomia e credibilità in assoluta discontinuità con l’alleato, ovvero il “non partito” del PDL. Nella vana attesa del federalismo la Lega e con lei i suoi sostenitori, sono stati costretti da Berlusconi ad ingoiare di tutto e di più, snaturando la propria stessa storia, costringendosi impropriamente ad inseguire il re del bunga, bunga, negli attacchi furiosi contro le istituzioni, come la magistratura, e decidendosi solo ora a svincolarsi ed in modo molto contraddittorio, dall’abbraccio mortale del cavaliere, come in occasione della guerra in Libia e soprattutto degli attacchi al Quirinale.

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Berlusconi non vuole interlocutori con cui avere una normale e magari serrata dialettica politica, non accetta critiche o dissensi, come hanno imparato Fini e Casini sulle loro spalle, vuole piuttosto, impiegati fedeli che eseguano le sue direttive, come alla Finvest, a Mediaset, per intenderci. Orbene la Lega nella sua autonomia di partito, avrebbe ben altre possibilità se solo uscisse da questo empasse e si rendesse conto che come questo voto dimostra, il berlusconismo è ad un passo dalla fine e che i partiti, tutti i partiti, dovranno incominciare seriamente a discutere di politica e di come pervenire finalmente ad una democrazia moderna e compiuta per un’Italia che, dopo i suoi altalenanti primi 150anni, ancora non è riuscita ad esprimere una democrazia matura, che, ad esempio, preveda un confronto tra contendenti che parta dal reciproco riconoscimento e che si legittimano nel nome di una Costituzione comune.

Una politica che s’impegni per quel federalismo che appare un passo ormai necessario, non in un clima di duello e rissa ma di riflessione e condivisione. Un federalismo inevitabilmente, ritardato dall’anomalia berlusconiana, paradossalmente alimentata propria dalla santa alleanza leghista. Se i leghisti continueranno a ridursi nel ruolo di ascari di Berlusconi si sortirà solo l’effetto di un loro ridimensionamento allargando sempre più l’area già estesa di disillusi dalla politica.
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In queste ore, assaliti dall’ansia di recuperare a Milano, la destra, Lega
inclusa, si erano proposti di limitare i toni estremistici ed aggressivi della prima tornata elettorale ma lo fanno non bene (l’alleanza PDL e Lega fatica a non mantenere toni aggressivi e addirittura offensivi), dopo un’iniziale e fin troppo ingenuo tentativi di abbassare i toni, sforzandosi di essere ottimisti, simpatici e gioviali, si è tornati ad attaccare il programma di Pisapia senza proporre nulla, oltretutto con accuse infamanti come quella di voler far diventare Milano, Zingaropoli, figurarsi se è questa l’idea che ha il candidato Pisapia. Come se non bastasse il cavaliere ammutolito per due giorni ha ripreso ad utilizzare tutta la potenza di fuoco dei suoi media, arrivando a cinque interviste in un solo giorno su diverse reti nazionali di cui o è proprietario o pubbliche ma di fatto da lui controllate come le pubbliche TG 1 e il TG2, una roba che neanche la TV libica saprebbe inscenare. Ma la questione non può ridursi nell’ennesima presa in giro dell’elettorato, il quale ha già capito che questa destra è nel panico e che non può proporre nulla se non invettive, grida cercando, credo vanamente, di terrorizzare l’elettorato o peggio tirando fuori altre promesse che sono smentite dai fatti prima ancora che da altri loro esponenti (due ministeri a Milano, togliere le tasse a Milano, condonare le multe ai cittadini).

Suscitare paure nei cittadini è una vecchia mossa. Una volta si preconizzava l’arrivo dei bolscevichi che si sarebbero abbeverati alle fontane di San Pietro, ora si vuol far credere che arrivino furiosi islamisti, guidati magari dal feroce Saladino, pronti a mettere a ferro e fuoco Milano e la sua Madonnina. Questo clima estremistico e da rissa è iniziato con i tragici manifesti che paragonavano la classe magistrale (vittima) ai carnefici delle brigate rosse, poi con continue interferenze del cavaliere per delegittimare a turno i magistrati, il Capo di Stato, la Corte Costituzionale, accusando tutti di essere comunisti, come se esistessero ancora i comunisti e non semmai solo dei reduci nostalgici che non riescono a fare a meno di questo vecchio aggettivo, si sta ora finendo peggio con nuovi insulti ed infamie.

Infine, con la Moratti stessa, che non ha perso occasione per lasciarsi andare, sostenuta dai falchi del PDL, in attacchi furibondi contro il rivale Pisapia, fino a giungere all’infamia, alla diffamazione. Peraltro, neanche ora la Moratti ha saputo scusarsi per le dichiarazioni false rivolte al candidato Pisapia. Anche sul nostro sito chiunque può vedere il “famoso” faccia a faccia, che si conclude con l’infamante dichiarazione della Moratti.

Oggi nella destra la parola d’ordine è recuperare i moderati che non hanno votato. Che molti moderati in Italia non votano più è evidente se ancora oggi (ma sembra che fortunatamente si stia riducendo la soglia di astensioni n.d.r.) il 35% degli italiani non va a votare. Certamente non si può credere che siano tutti ideologici rivoluzionari, con il fuoco alle tempie e che protestano come bombaroli anarchici incalliti conto lo Stato. Il punto è che il berlusconismo, con i suoi toni continuamente gridati, le sue provocazioni crescenti, con una corruzione dilagante (il 30% in più nell’ultimo anno – Fonte Corte dei Conti), con i suoi continui scandali, ed infine con un perenne clima di rissa e scontro istituzionale, e il suo ingombrante personalismo, ha indotto gran parte di normalissimi e moderati cittadini a rinunciare al voto. Certo ha contribuito anche l’attuale quadro politico che offre molti spunti di disorientamento e dove volenti o nolenti l’affare Berlusconi ha finito per nascondere qualsiasi altra problematica, anche quelle urgenti relative alle riforme, alla situazione economica ed occupazionale, e tanto altro ancora, così che si potrebbe avere un elenco sterminato di materie e argomenti su cui i partiti avrebbero dovuto lavorare e i cittadini partecipare.

Ma ancora una volta i partiti (questa volta più la destra n.d.r.) appaiono sordi e ciechi rispetto all’evoluzione della nostra società. Vediamo proprio sul tema dei moderati e del moderatismo.
Ho sentito un esponente leghista dire a proposito di Milano: “Credete che davvero i moderati vogliono una moschea a Milano oppure che gli immigrati vengano a vivere qui?” La lega confonde i moderati con i conservatori, un errore grave.

I moderati sono certamente persone che vogliono cose concrete e non chiacchiere, certamente vogliono per se e per i loro figli una società e delle amministrazioni cittadine che rendano la loro vita meno faticosa e più agevole. Vogliono che ci siano regole chiare e condivise e rispettate da tutti. Ma è falso credere che un moderato non possa essere favorevole a che il diritto di culto, costituzionalmente garantito, possa essere esercitato da tutti nel rispetto delle leggi. Anzi probabilmente un moderato sarebbe molto più preoccupato se i musulmani esercitassero questo culto in segrete stanze come dei temibili cospiratori.

Ed ancora. Chi lo dice che un moderato debba essere contro le coppie di fatto o anche di gay. E poi siamo certi che i moderati preferiscano la cementificazione di Milano? Piuttosto che uno sviluppo della città che tenga conto dei suoi abitanti magari con più verde, meno uffici vuoti, meno speculazione immobiliare e più servizi per i cittadini?
Siamo certi che ai moderati piace vedere ronde per strada che ammoniscono le persone sostituendosi alla polizia? Siamo sicuri che i moderati condividano le manifestazioni fuori ai tribunali per delegittimare la magistratura?

Siamo certi che i moderati preferiscano la scuola privata a quella pubblica e condividano le frasi di Berlusconi a proposito dei professori che “inculcano” un presunto sapere comunista? Io credo che i moderati siano favorevoli all’efficienza, alle novità e ad una certa modernità o progresso specie se viene incontro alla loro vita. Credo che amerebbero capire piuttosto che essere travolti da continue risse verbali sul nulla, oppure sulle vicende giudiziarie e morali del capo del governo.

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Venendo a Napoli, siamo certi che i moderati si fidano di più di un imprenditore come Lettieri, sostento da Nicola Cosentino, per il quale
la magistratura ha chiesto vanamente al parlamento l’arresto per la sua connivenza con la malavita organizzata e la camorra in particolare. Non amo particolarmente, De Magistris, che mi appare come un populista e un giustizialista, ma l’ex magistrato perlomeno non si circonda di figure così poco raccomandabili, e certamente chi l’ha votato (tra cui certamente molti moderati) vede davvero la possibilità di una rinascita della città strangolata fin qui dalla pessima gestione PD degli ultimi anni (incluso l’increscioso affaire delle primarie) e dalle gigionesche e vane (come al solito) promesse di Berlusconi. Certo il PD deve riflettere e rinnovare profondamente la sua organizzazione in Campania.

L’avevamo detto che il bassoliniano Morcone non ci convinceva, che rappresentava la continuazione con il peggio dalla gestione politica di sinistra degli ultimi decenni. Certamente il PD deve andare a vedere quanto accade nel PD paesino per paesino, ascoltando i cittadini che molto avrebbero da dire su alcuni personaggi che gestiscono in sede locale il partito. Occorre pulizia e non solo nelle tormentate strade di Napoli.
Ne consegue che ora come a Milano il PD deve riparando ai suoi errori locali impegnarsi per sostenere come a Milano, Napoli o a Cagliari dei candidati inizialmente non suoi.

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Bisogna non seguire chi demonizza i tanti movimenti nati in difesa delle donne, della costituzione, dialogare anche con quel popolo viola, o con i tanti studenti che cercano soluzioni per il loro futuro e che non vorrebbero emigrare per necessità. E diviene davvero strumento essenziale per capire e dialogare, quello delle primarie dove si dimostra che la popolazione partecipa ed indica le persone da cui vuole essere rappresentate molto meglio della segreterie del PD, che ancora oggi nella sua disarticolazione non riesce a captare bene gli umori e i desideri dei cittadini.

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Francamente sconcerta la posizione del Terzo Polo. Per un ragionamento semplicissimo. Deve essere chiaro che specie a Milano e Napoli la questione presenta obbiettivamente degli effetti sulla politica nazionale. Personalmente ritengo che abbia assolutamente ragione il futurista Filippo Rossi già direttore del sito Futuro e Libertà, fondato da Gianfranco Fini, quando afferma: “Votare contro Silvio Berlusconi (e quindi, ad esempio, la Moratti e Lettieri n.d.r.) è un gesto profondamente patriottico, sostanzialmente di destra.” Infatti se Futuro e Libertà ambisce ad essere una destra europea, moderna e liberale, la prima cosa che deve proporsi e di unirsi a tutti coloro che a destra, al
centro e a sinistra, hanno capito che per rinnovare e riformare la politica riscattandola da questo anomalo periodo che per semplificazione chiamiamo “berlusconismo” diventa prioritario prima ancora che di una contingente vittoria di candidati della “sinistra” , dare un “colpo finale”, come lo stesso l’ha definito, a quel sistema populista, di disvalori che ha allontanato proprio i cittadini, spesso moderati, alla partecipazione politica della società italiana. In tal senso comprendo e rispetto la scelta dell’ex ministro Ronghi che non se l’è sentita di essere agnostico e che avrebbe voluto, per una sorta di lealtà intellettuale sostenere la candidata di destra Moratti, al punto che anche lui ha abbandonato Futuro e Libertà, ma a mio avviso, Ronghi si sbaglia, non comprende evidentemente la reale portata del voto di ballottaggio dove è in gioco non solo la scelta del sindaco ma anche il male dell’anomalia berlusconiana, che richiede scelte in questa fase dolorose ma necessarie. Dopo, eliminata l’anomalia, ci sarà tutto il tempo per dividersi e confrontarsi. Si tratta insomma, ed uso le parole dello stesso Rossi, di “una questione di salvezza nazionale”, io l’ho chiamata: “La primavera italiana”.

In tal senso il terzo polo nel suo non schierarsi per nessuno, nel suo restare agnostico ha solo palesato come questa idea di salvezza nazionale sia offuscata dalle contraddizioni di uno schieramento che obbiettivamente non è omogeneo e che rischia di finire in breve tempo per dissolversi.

In tal senso va detto che più che grazie alla proposta del centro sinistra, la fine dell’anomalia italiana è dovuta all’implosione di un progetto politico che ha vissuto per anni di chiacchiere che nascondevano il reale bisogno del cavaliere quello di rafforzare il proprio prestigio personale, di favorire i propri affari di sfuggire in una vita imprenditoriale costellata di capi d’imputazione a cui ci si è solo opposti con leggi e leggine ad personam, paralizzando così per anni il paese. Il tutto dando vita ad un enorme contenitore il PDL, che si è mostrato vuoto d’idee, dove chi ha cercato di costruire una politica è stato visto come il fumo negli occhi, emarginato, quando non addirittura cacciato, il tutto anche a costo di creare nuovi privilegi a favore di personaggi che culturalmente oltre che politicamente sono quanto meno discutibili se non impresentabili e il cui emblema è il gruppo dei “responsabili”, una formazione di fuoriusciti, di nominati, che in cambio di contropartite personali hanno voltato le spalle ai propri elettori salvaguardando di fatto il privilegiato massimo, ovvero Silvio Berlusconi.

La speranza è che questo voto garantisca il meglio possibile alle città dove si combatte nei ballottaggi, ma soprattutto che sia un ulteriore passo verso quella riforma della politica che potrebbe liberarci dell’attuale anomalia berlusconiana, permettendo al cavaliere di ritornare ad essere il capace e brillante imprenditore che è, normalizzando così la politica che potrà ritrovare o scoprire i suoi nuovi equilibri e mettere mano alle tante questioni che riguardano il paese, proprio in nome di quei moderati che oggi tutti invocano. Si tratta della possibilità di rimettere in moto l’Italia, dopo una paralisi lunga almeno diciassette anni.

Un occasione imperdibile.

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La primavera italiana, incruenta e civile, a differenza di quanto sta
avvenendo nella tragica vicenda mediorientale, è fatta di schede elettorali da depositare nelle urne, ed io sono stato molto colpito dal verificare che questa volta la disaffezione al voto è stata meno drammatica di quanto ci si aspettasse. Per questo spero che anche nei ballottaggi siano in tanti a sentire il dovere civico di partecipare a questo appuntamento con la Storia.

Proprio questo è il segnale importante della volontà dei cittadini, in questo 150esimo compleanno della nostra Italia, di guardare con speranza al futuro. I prodromi furono significativi, con l’accesa difesa degli studenti delle loro scuole e università, con il festoso ed inaspettato desiderio degli italiani di riversarsi nelle strade per partecipare alle feste per l’unità d’Italia. Nelle piazze dove più di un milione di donne di destra e sinistra (questa divisione è veramente vecchia) hanno testimoniato in difesa dei loro diritti e contro un’immagine degradata della femminilità; dove in milioni i cittadini sono scesi per difendere la Costituzione nel C-Day, dimostrando quanto sia forte e unificante la nostra Carta costituzionale, stringendosi con passione e commozione al fianco del nostro Presidente, Giorgio Napolitano, che ha il consenso dell’81% degli italiani. Ed infine, in nome di tutti coloro che oggi si preoccupano per il futuro dei propri figli oppure che a 50anni debbono temere il licenziamento, o che vivono in condizioni di grave precariato come nei call center, dove è davvero difficile immaginarsi un futuro. Ecco questo passaggio può contribuire a riportare la politica su questi temi, che interessano ai cittadini e a cui finalmente bisognerebbe dare risposta.

Se l’elezioni andranno come dovrebbero andare da Lunedì 30 maggio potrebbe essere più facile dirsi conservatori o progressisti, liberali o socialisti, centristi o di destra e sinistra (come ancora si vuole dire per più facile comprensione).

Davvero non possiamo più stare zitti, non possiamo coprirci gli occhi e fare finta di non vedere, davvero non possiamo farci chiudere tutti, qualunque sia il nostro sogno, la nostra speranza, in un angola e farci terrorizzare da fantasmi che non esistono. Basta chiudere i nostri cuori e le nostre menti, basta fingere, apriamoci alla vita, alla speranza, agli ideali, qualunque essi siano, ma liberiamoci dell’antipolitica, che ci ha resi poveri non solo economicamente ma anche nell’animo.
Mai come oggi votare è un dovere.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.