Médée Miracle al cinema in Francia. Incontro con il regista Tonino De Bernardi.

Evolena per Altritaliani : Il suo cinema è caratterizzato da donne sempre protagoniste. Perché ha sempre privileggiato le donne come protagoniste del suo cinema?

Tonino De Bernardi : Una nota autobiografica. Son cresciuto in mezzo alle donne. La mia mamma (carattere forte ed estroverso) faceva la sarta in casa e aveva delle aiutanti e io quotidianamente stavo con loro (io e mio fratello avevamo anche imparato a cucire) e le ascoltavo che parlavano tutte molto mentre lavoravano e papà (debole, dolce e introverso) tornava solo alla sera; così son stato sin da piccolo soprattutto con donne.

Altra nota. Stimo molto le donne che nel corso dell’800 e del 900 hanno fatto molto più di noi maschi “per cambiare noi stessi e la vita”. Altro fatto mio privato. Mi sento molto più vicino alla sensibilità femminile che al fare “tradizionalmente maschile”, mi identifico molto più facilmente con le donne (e questo è stato nella vita anche un problema per me…). E in più amo il fatto che le donne parlino più facilmente di sè e della loro interiorità che non i maschi. E poi c’è Freud che dice che dentro di noi c’è anche l’opposto e cioè l’uomo ritrova in sè anche la donna, basta cercare…

E poi io instintivamente sto dalla parte del più debole (e oppresso e non vincitore), e storicamente la donna è stata sempre questo… E poi l’uomo incarna forza e potere e io non amo sia la forza che il potere, ahimè… Devo spiegare di più?

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E. : Come nasce MEDEE MIRACLE ? Quale è il suo legame alla tragedia greca e alla cultura classica che ci sembra parte della sua cinematografia ? Quale è l’attualità di Medea ? Come vede la Medea di oggi ?

T. De Bernardi : Noi siamo esseri molto “moderni”, come si dice, viviamo nella cosiddetta contemporaneità ma nel profondo siamo molto “antichi” (e non lo dico solo io…). Io vivo e lavoro con questa consapevolezza, sicchè anche il mio cinema va in questa direzione. Già nei miei primi film underground era così. In «Cronache del sentimento e del sogno» e «Dei» (1968-69)) mescolavo figure come Edipo e Clitennestra a Amleto e Ofelia, Ettore e Patroclo all’ «archetipo in parrucca» in vitale e provocatoria inventività. Si tratta per certi lati anche di archetipi del cosiddetto nostro inconscio collettivo, se così si può dire. E così di volta in volta lungo tutto il mio percorso ritrovo e rileggo le tragedie greche (e i film che ne son venuti come quelli di Pasolini o la Medea di Dreyer mai girata o anche il Macbeth di Kurosawa che non deriva da tragedia greca ma… e certi testi di teatro come quelli di Heiner Muller…). Ho fatto nell’87 «Elettra» con le parole stesse del testo di Sofocle, e nell’88 la sceneggiatura di MODI DI ESSERE, EROINE ED EROI, da Fedra (Ippolito), Medea, Antigone, tre tragedie greche riscritte da me ai giorni nostri e in montaggio alternato (ma nessuno mi fece realizzare un film da ben tre tragedie greche). Di quest’ultimo ho ahimè solo il corto in video, trailer di 12 min. “di un film che non esiste…”.

Quando ho scritto nel giugno 2005 MEDEE MIRACLE per Isabelle Huppert non ricordavo nemmeno più che già nell’88 avevo riscritto Medea mantenendo ogni scena di Euripide ma immergendola nella vita di oggi. E in questo momento non ritrovo la sceneggiatura di allora… E mentre lavoravo al montaggio di MEDEE MIRACLE ho già scritto una nuova sceneggiatura dalle tragedie, la storia di una famiglia (mi interessano le tragedie greche anche perchè son tragedie all’interno di un nucleo famigliare che ad un certo punto scoppia): FEDRA, ARIANNA E IL FRATELLO MOSTRO (madre Pasifae-Jane Birkin e padre Minosse-Lou Castel e non dico le altre, gli altri interpreti che “ho visto”). Lo vorrei di nuovo in Francia con attrici e attori francesi mescolati agli italiani. Ma rimarrà solo un film scritto anche questo??

Ai tempi dell’underground dicevo che rifiutavo il cinema ufficiale perchè non volevo essere come uno di quei registi che scrivono solo le sceneggiature che poi non diventano films… Ora invece mi ritrovo con diverse sceneggiature che negli anni nel farle ho vissuto paradossalmente come films veri e propri che ho fatto, li ho visti pezzo dopo pezzo nel loro formarsi, sicchè a rigore nella mia biofilmografia dovrei scrivere anche di loro, avendo a loro dedicato tutto me stesso, tempo e sudori.
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E così la Medea di oggi è per me una donna normale del nostro presente e della vita che ci circonda di cui soffre tutte le preoccupazioni. E’ molto importante d’altro lato sapere questo e anche sapere che Medea vive nella nostra normalità. La vita è fatta di tanti piani, uno sull’altro, così si scende in profondità a ritrovare l’antico, così si va in alto in altrettanto ascendere. Ed esistono e si sperimentano tante possibilità di visione e comprensione.

MEDEE MIRACLE è nato in me espressamente per Isabelle Huppert alla fine del 2005. Avevo completamente dimenticato la mia Medea dell’88 (MODI DI ESSERE, EROINE ED EROI, Fedra, Medea, Antigone), c’erano in mezzo tanti miei film (io faccio almeno un film all’anno se non due), era passato tanto tempo, anni intensi. Con Isabelle dovevo fare CRIMINI D’AMORE (c’era anche un altro titolo, GROS PLAN – les mystères d’une vie)) ma da cinque anni in Italia (cambiate ben tre produzioni) non riuscivo a trovarne la possibilità col ministero (e c’era la coproduzione francese con la firma di lei depositata). Le ho proposto allora di fare un altro film, le spiegavo che pensavo a ANGST ultimo film di Rossellini con Bergman (il film tedesco), ma il nostro sarebbe stato un film “avventuroso” senza produzioni con la mia LONTANE PROVINCE FILM, fuori delle regole, in video e in pochi giorni. Le ho detto di una Medea ai giorni nostri perchè lei l’aveva già fatto in teatro e poteva interessarla per il cinema, mi son messo a scrivere di corsa e a lei alla fine è piaciuta molto la nuova sceneggiatura e ha accettato di girare il film.

MEDEE MIRACLE è nato per me, posso dire, dalla “necessità” che sentivo di fare un film con Isabelle. Il mito greco di Medea per me si sposava col mito del cinema moderno, del volto-presenza Huppert. Huppert era un “mito” del “cinema contemporaneo”, che negli anni per me era diventato sempre più forte; dovevo assolutamente fare un film con lei. E questo succedeva nel 2000 e più “paradossalmente” a me che per tutti gli anni del mio underground (1967-primi anni 90) ho voluto solo volti e presenze di non-attori (negando così una delle forze del “cinema”), perchè dicevo che gli attori erano troppo usati e noti, rimandavano ad altro, a quel cinema “ufficiale” da cui volevo star fuori. Ora era per me il contrario…

E. : Nel film, Irene-Médée “la magicienne” non uccide i suoi figli per vendicarsi di Giasone ; ne ha solo la tentazione. Questa violenza se la tiene dentro. E’ questa la spinta che le darà la forza di “rinascere” ?

T. De Bernardi : Medea è prima di tutto nella condizione della straniera (si ritrova alla fine sempre straniera a sè e agli altri) : è ritenuta una “magicienne” proprio perchè straniera e quindi creatura sospetta. Lei fallisce nell’amore, rischia la pazzia, pensa di uccidere i propri figli e poi rivolge la violenza contro di sè e tenta di uccidere se stessa, ma alla fine si ritrova e si salva. Medea siamo ognuno di noi. Non volevo che Medea fosse un “mostro”, non volevo che con lei io penetrassi nella dimensione della violenza (abbiamo tutti dentro di noi la violenza che Medea prova e contro cui lotta). Io sono per la non-violenza. E per me occuparmi dei miti greci ha senso solo a costo di poterli trasformare, farli del tutto nostri.

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D’altro lato, penso a mia madre e agli aborti di cui parlava a noi figli cresciuti: non rischiava forse di passare per una Medea anche lei? Diceva che li aveva dovuti fare per motivi economici, non potevamo permetterci il lusso di essere una famiglia con più di due figli ! Penso anche alle grandi sofferenze patite per questo da lei e da mio padre, soprattutto papà provava grandi sensi di colpa e pensava al conseguente castigo (divino? Lui era molto credente). Per questo ho dedicato il film alla mia mamma. E solo più tardi ho ritrovato il libro di Medea di Christa Wolf che avevo letto un giorno; anche la sua Medea non uccide i figli.

E. : Cosa puo’ dirci di questa esperienza cinematografica attraverso cui ha legato nella lingua francese attorno a Isabelle Huppert tanti attori provenienti da paesi diversi ?

T. De Bernardi : E’ stata un’esperienza grande e unica, irripetibile, di straordinaria intensità per ognuno di noi che vi ha partecipato; nel cinema dovrebbe essere sempre così. Tutti hanno partecipato nel nome dell’amicizia e dell’ideale, e questo non è cosa da poco. Paradossalmente Isabelle Huppert nel ruolo di una straniera era l’unica ad essere Francese ; gli altri attori, nei ruoli di Francesi, erano tutti stranieri nella realtà. Ho meditato molto su questo. E’ cosa singolare! E occorre trarne una lezione di vita. Io penso che oggi siamo tutti “misti”, oggi si vive tutti in questa condizione, occorre accettarla se si desidera essere nel presente e nel mondo in un modo il più possibile vero e anche giusto.

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Comunque, riflettendo, tutto il mio cinema (non essendo cinema di produzione tranne il caso di APPASSIONATE, 1999, e qualche mio film successivo ma solo per il passaggio dal video alla pellicola 35mm.) è un cinema di libertà nel nome dell’amicizia e dell’ideale, e tutto anche all’insegna dell’irripetibilità, come è irripetibile, oserei dire, la vita intera (comunque tutto il cinema che si fa è secondo me un fatto irripetibile). Ma oserei anche aggiungere che è così, proprio perchè non vi circola il capitale e per lo più è fatto a tu per tu… Le produzioni non vogliono investire nel mio cinema che è troppo rischioso e non porta denaro. E così io faccio per lo più quasi da solo il mio cinema, chiedendo a chi mi è amico di partecipare… appunto in nome di amicizia, stima reciproca e ideale. Così, ad esempio, ci tengo a dire che il direttore della fotografia di MEDEE MIRACLE, Tommaso Borgstrom, è venuto apposta dall’Italia, come del resto gli attori, e lui ha fatto con me il mio primo 35mm, PICCOLI ORRORI, nel 1994 e da allora tutti i miei 35mm. Non è un esempio di fedeltà ?

E. : Le strade di Parigi e periferia che ha scelto come location del film ci sembrano avere un ruolo quasi da protagonista. Come e perchè è nata la scelta di ambientare il film in quei luoghi ?

T. De Bernardi : Sì, strade e periferia sono per me anche essi protagonisti. Essendo partito dal fatto che Medea è una straniera, potevo ambientare il mio film solo là dove vivono molti stranieri, e questo per me sono Pantin e Aubervilliers, solo lì poteva vivere la nostra Irene-Medea. In più confesso che io personalmente amo le periferie e tutto quello che non è centro, non per nulla la mia società di produzione si chiama LONTANE PROVINCE FILM. I luoghi in cui Medea si muove sono assolutamente necessari per il film. Io amo molto che le inquadrature dei miei film siano dominate centralmente da ogni attore che vive la finzione e incarna il suo personaggio, ma è indispensabile per me che dietro e intorno ci sia e si veda la vita “vera” degli altri che vivono la loro e vanno per la loro strada. E’ la mia forma di “dissociazione” (e concilazione-unione) tra l’Io e l’Altro da me, ma rappresenta per me anche la mia possibilità di superare la stupida convenzionale distinzione tra film documentario e film di finzione.
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E. : Nel film, la canzone “Crazy love” sull’amore e la solitudine appare particolarmente importante. Colpisce magari ancora di più l’intervento diretto della cantante che canta Carmela (Enza Di Blasio), una presenza esterna allo svolgimento narrativo (come parte della colonna sonora) che poi diventa presenza, parte del racconto. Ecco, un suo uso molto libero degli strumenti narrativi. Puo’ darci qualche chiave in più per avvicinarci alla sua estetica cinematografica ?

T. De Bernardi : Fondamentalmente è che io nel cinema amo sentirmi libero nella creazione e stimolato nell’inventività, non condizionato dalle convenzioni (in questo caso narrative); il nostro mondo e il nostro vivere quotidiano ne sono già persin troppo condizionati. Per questo faccio cinema e credo assolutamente nel cinema che faccio (altrimenti perchè farlo?), anche se mi chiedo continuamente che valore possa avere per gli altri… D’altro lato non posso vivere senza farlo. Devo anche dire che ritengo la libertà (e il rispetto dell’altrui libertà) la condizione più importante del nostro vivere. La musica e le canzoni hanno un ruolo fondamentale nel mio cinema, spesso sostituiscono il parlato, diventano i protagonisti. Non ho sempre fiducia nei dialoghi e nella parola nel cinema (e amo molto i libri scritti e la letteratura), occorre sempre reinventarli, trovare una parola nuova, e non è facile. E così mi rifugio o nella musica (classica o canzoni) o nel silenzio (il cinema muto aveva già scoperto tutto).

Ci tengo ancora a ribadire che “l’uso molto libero degli strumenti narrativi” nel mio cinema deriva direttamente dal fatto che ho scelto di fare cinema proprio per sentirmi libero e non condizionato come per lo più avviene nella quotidianità. Altrimenti non farei cinema… Sono stato per tanti anni insegnante di scuola pubblica e anche lì ho lottato sempre per sentirmi libero. In più, mentre costruisco un film, ci sono talmente dentro che non penso proprio a chi lo vedrà e faccio tabula rasa di tutto il resto che per me sia al di fuori del sentire la mia totalità… per me è fondamentale questa condizione. Io con un mio film consegno dunque la mia totalità a chi lo guarda, ma so anche che chiedo in risposta altrettanta totalità, e questa è ogni volta la mia utopia… Ci riuscirò? Ogni volta me lo chiedo.

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La prima chiave di lettura per me parte da qui. Trovare “qualche chiave in più che avvicini alla mia estetica cinematografica” significa per me parlare di come nasce un mio film nella sua forma più concreta e fattiva, rivelarlo proprio nel suo farsi concreto, anno dopo anno, giorno dopo giorno, esitazione dopo esitazione, decisione dopo decisione…. E confesso che so di chiedere molto allo spettatore, perchè io gli do tutto me stesso e lui deve fare altrettanto con me, guardandomi con occhio il più possibile sgombro. E riguardo alla musica, io sento la necessità di far vedere proprio concretamente nel film chi la fa, perché la forza del cosiddetto commento musicale per me sta anche proprio nell’uscire dal ruolo di “commento” e nel far sentire che c’è “qualcuno” che esegue, interpreta. Per me è fondamentale farlo vedere il più possibile ogni volta costui o costei e far capire che anche la musica è uno o una dei protagonisti del film.

E. : Ultima domanda : cosa ne pensa dell’attuale momento del cinema italiano e del nostro cinema indipendente che appare sempre come un cinema di frontiera che fatica a trovare dei suoi spazi di espressione?

T. De Bernardi : Sono sincero. Non amo il cinema italiano “ufficiale” di oggi, non lo vedo nemmeno. Qui a Torino vedo i film del museo del cinema. Ho scoperto così solo ora Hitchcock, di cui è appena terminata la retrospettiva. Ai tempi dell’uscita dei suoi ultimi film avevo fatto altra scelta, seguivo un altro cinema, lui era per me troppo autore di successo, solo ora alla mia età posso permettermi di farlo mio.

Tornando al cinema indipendente italiano di frontiera, io semmai non gli perdono di essere troppo poco indipendente e troppo poco di frontiera. Solo esplorando le frontiere si può meglio conoscere l’altro da te e così anche te stesso. E solo l’esplorarle può far sì che le frontiere cadano. Io sono per un mondo senza più frontiere. D’altra parte penso che l’attuale cinema italiano esprima inevitabilmente l’Italia ahimè del presente, anche quello che ne vuole star fuori e si dichiara all’opposizione. Comunque ho anche degli amici nel cinema italiano, ma paradossalmente ne ho di più, in proporzione, nel cinema portoghese. E amo anche di più la danza contemporanea e certo teatro e gli attori che fanno teatro, direi non condizionati dalla TV e dalle esigenze della “narrazione”. Ho risposto abbastanza? Ci sarebbe ancora molto da dire…

P.S.

Ho detto spesso di non sentirmi come appartenente al cinema italiano e lo ripeto se non fosse che in questi tempi si rischia di passare per leghisti… anche se ovviamente le mie radici stanno nei maestri (italiani?) del passato, anche se è sempre difficile indicare i maestri… si prende da tutto e da tutti in realtà… L’amore per il cinema non conosce frontiere nazionali ! Io che per legge di natura ho avuto come madre Olga e padre Giovanni, italiani, in cinema non so indicare nè padre nè madre (ho scoperto costernato che Antonioni aveva solo un anno meno di mia mamma e io l’ho vissuto così “nuovo” quando ho visto i suoi primi film!), anche se, oltre ai grandi italiani, ho tanti che possono esserlo… ma molti li sento di più come fratelli e compagni. E ho in proporzione più amici nel cinema in Portogallo che a Roma. Forse sarà anche non ho mai goduto di vera e propria distribuzione. Io i film li faccio perchè “devo”, ma poi non si vedono… l’invisibilità è la caratteristica prima del mio cinema !!! ma non mi vergogno nemmeno a dirlo… dovrei inventarmi degli spazi di distribuzione, ma come faccio ??? e non è neppure più il ’68… Che ne dite ? e potrei ancora dire…

Torino 23 – 03- 2011

(Sull’ultima foto, Enza Di Blasio e Tonino De Bernardi)

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Evolena
Michèle Gesbert est née à Genève. Après des études de langues et secrétariat de direction elle s'installe à Paris dans les années '70 et travaille à l'Ambassade de Suisse (culture, presse et communication). Suit une expérience associative auprès d'enfants en difficulté de langage et parole. Plus tard elle attrape le virus de l'Italie, sa langue et sa/ses culture(s). Contrairement au covid c'est un virus bienfaisant qu'elle souhaite partager et transmettre. Membre-fondatrice et présidente d'Altritaliani depuis 2009. Coordinatrice et animatrice du site.