Fiat Mirafiori : la resa dei conti

Va in scena una brutta pagina per l’economia italiana, con interpreti, ostinati o balbettanti ed un governo ancora una volta assente.

L’aut, aut di Marchionne per la Fiat senza nessuna concertazione nemmeno con la Confindustria dimostra l’assenza di un progetto per lo sviluppo economico in Italia. Un sindacato diviso e lacerato si appresta, incapace di leggere l’evoluzione della società italiana, a cancellare anni di conquiste sociali, Statuto dei lavoratori incluso.

Non è la prima volta che la Fiom, la categoria d’avanguardia per
antonomasia della Cgil, si alza dal tavolo, sbatte la porta e denuncia congiure ai suoi danni. Fu nel 1969 quando per la prima volta nella storia sindacale italiana arrivò la rivoluzionaria conquista, per quei tempi, del contratto collettivo nazionale di lavoro (ccnl) dei metalmeccanici, che si trovano assieme le tre sigle sindacali: Fiom, Fim, Uilm.

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Fu grazie a tre ‘riformatori’, Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto, che si pose fine ai contratti di lavoro territoriali e settoriali: i tre dirigenti sindacali seppero imprimere
una grossa innovazione alle relazioni sindacali in Italia. ‘Riformatori’
incalliti erano accumunati da una stima, un feeling ed un’amicizia solide con l’Ingegnere ‘acomunista’ Riccardo Lombardi, che nel 1958 rifiutava il concetto di « forza produttiva del lavoro: il lavoro in quanto riducibile al prodotto del lavoro (come altro potrà misurarsi la forza produttività del lavoro se non in termini di prodotto?) ridiviene un feticcio » e ammoniva: « qualsiasi tentativo
di definire la finalità della scienza economica che prescinda dal concetto di
‘alienazione’, è destinato alla sterilità ». Poi, nel 1961, pose l’obiettivo di
« una società ricca perché diversamente ricca » da perseguire con ‘le riforme di struttura’, per cambiare, riformare dall’interno, il modello capitalistico.

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– Ineccepibile Sergio Marchionne, “imprenditore illuminato” nel 2006-2007 secondo certa sinistra radicale che oggi lo definisce ‘liberale’ e lo vede come un pericolo per la democrazia, quando dice: « abbiamo il dovere di
stare al passo con i tempi e di valorizzare tutte le nostre attività. [.] Se al
referendum vincono i no, non faremo alcun investimento. A Mirafiori, Fiat non
ha lasciato fuori nessuno se qualcuno ha deciso di non firmare non significa che
io abbia lasciato fuori qualcuno: abbiamo bisogno di libertà gestionale ». Ed
ancora: « La Fiat è capace di produrre vetture con o senza la Fiom ». Infine sul
piano ‘Fabbrica Italia’ più volte annunciato: « Non ho chiesto io ai sindacati e
allo Stato di finanziare niente. E’ la Fiat che sta andando in giro per il mondo
a raccogliere i finanziamenti per portare avanti il piano. Andate in giro voi
(rivolto ai sindacati) a prendere i soldi ». Marchionne che fa bene il suo
mestiere riferisce tutto cio’ che sarebbe imposto all’evento moderno della
‘globalizzazione’.

Che dire allora delle varie compagnie che nel 1600 si
radunarono nel cartello « Compagnie delle Indie » per organizzare i loro traffici
commerciali in giro per il mondo? E dei banchieri Toscani e Veneti e di quelli
Piacentini che dal ‘400 imposero a tutti un modello che ancora oggi « impera »,
magari anche a Wall Street e nella City e in Vaticano? E dei finanziatori delle
Crociate? E della via della seta battuta da Marco Polo? In nessuno dei casi
citati si aveva disponibilità di Pc, Notebook, Ipod, i-Pad, o Tablet, e
« capitalismo » non era parola usata nel linguaggio corrente, ma… »la dura legge
del mercato globale », ormai assunta come riferimento un po’ da tutti. Di fronte
all’irrompere sulla scena del « sistema Marchionne » è penoso assistere al
balbettio della classe dirigente: si può esser d’accordo con Stefano Rodotà
per il quale ci si sta spalancando innanzi un « ritorno al Medioevo delle
relazioni industriali », per cui, in barba all’articolo tre della nostra
Costituzione che parla di « pieno sviluppo della persona umana » si mira al più
« pieno sviluppo della persona giuridica ».

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In base al piano dunque negli stabilimenti Fiat si lavorerà di più, più
intensamente, con pause ridotte al minimo e con qualche euro in più sulla busta paga.
Produttività ‘über alles’, per poter essere competitivi: è lo slogan di
Marchionne, ma anche di altri imprenditori, come Paolo Scaroni ad dell’Eni, il
maggior gruppo industriale italiano, di cui il Ministero del Tesoro è pero’
l’azionista di maggioranza. Niente di nuovo sotto il sole, si dovrebbe dire:
ieri poteva essere, anzi era « la forza produttiva del lavoro », oggi, in epoca
moderna di globalizzazione, è semplicemente « produttività », per cui in un
certo lasso tempo bisogna produrre un certo numero di auto. E il capitalismo
pare scomparso, evaporato nelle analisi e nei commenti.

Ovvio che uno schema del genere presenta in se risvolti negativi e pesanti sul singolo lavoratore al quale vengono ridotti diritti e tutele ma in cambio viene assicurato il posto di
lavoro e una paghetta suppletiva. E per di più non è neanche uno schema
innovativo o moderno che dir si voglia: le ristrutturazioni fatte in Italia non
solo nell’industria automobilistica (la Fiat) sono state sempre contrassegnate
da questo ‘scambio’ che laddove il sindacato ce l’ha fatta unitariamente a
contrattare (vedi il comparto chimico o tessile) ha molto limitato danni e
svantaggi per il mondo del lavoro, laddove invece non ce l’ha fatta
unitariamente a contrattare (e quasi sempre alla Fiat) danni e svantaggi per il
mondo del lavoro sono stati maggiori per cui nel corso del tempo non è un caso
che al Nord la Lega (e in misura minore il centro-destra) abbia raccolto tanti
consensi proprio tra i lavoratori metalmeccanici. Ed e’ stata proprio la Fiom a denunciare qualche anno fa il lento ma costante passaggio di consensi dei suoi iscritti alla Lega. Esempi anche eclatanti in proposito non mancano.

Che altro è stata la vertenza Fiat dei ’35 giorni’ del 1980 se non la disfatta di un
gruppo dirigente, i ‘sandinisti’ di Claudio Sabattini, che pero’ travolse
l’intera Fiom dopo l’occupazione ostinata degli stabilimenti, ‘i picchetti’ ai
cancelli di Mirafiori per non far entrare chi voleva lavorare in barba al
diritto di sciopero sancito dalla Costituzione, fino al noto comizio di Enrico
Berlinguer che assicurò il sostegno incondizionato del Pci? Che altro è stata
la vertenza Fiat con l’accordo separato del 1988 quando amministratore delegato
dell’azienda era Cesare Romiti che per la prima volta introduceva il salario
variabile, se un tirarsi fuori da parte della Fiom? Si potrebbe anche forzando
la mano inserire l’accordo separato del 1984 che tagliava un punto di scala
mobile stipulato dal Governo Craxi con Cisl ed Uil mentre la Cgil dichiarò ‘il
non possumus’ per la contrarietà del Pci di Berlinguer che poi nel 1985
promosse il referendum perdendolo. Chi poi tagliò definitivamente la scala
mobile fu nel 1993 Bruno Trentin, segretario generale della Cgil, che dopo la
firma si dimise dalla carica.

Questo per dire che oggi non ci si trova di fronte ad
una novità ne’ da parte dell’imprenditoria, più o meno illuminata secondo una
certa sinistra radicale, ma sempre imprenditoria è con le sue ferree regole
della produttività ‘über alles’, dello scambio consociativo tra più lavoro,
meno pause, meno tutele sul lavoro, meno diritti e posto certo con qualche
spicciolo in più. Ne’ tanto meno da parte di un’avanguardia che in fatto di
proposte e idee ha ben poco di bagaglio ‘rivoluzionario’ e molto di
‘conservazione’, di ‘posizione di rendita’ o altrimenti di ‘pronto uso’
all’occorrenza per distinguo politici e di componente interna al Pd, magari per
sparare pallettoni contro Pier Luigi Bersani.

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Costituire comitati o associazioni vicine e prossime alla Fiom di Maurizio Landini che dice uno dietro l’altro ‘No’ all’illiberale Sergio Machionne, ‘No’ alla ‘riformatrice’ Susanna Camusso, ‘No’ al Referendum, che altro è se non (visti i partecipanti, ex-sindacalisti Cgil
passati in politica con non brillanti risultati e qualche intellettuale ormai
d’epoca) rimettere in scena per l’ennesima volta la commedia dei ‘duri e puri’
che ha prodotto più disastri e macerie che non cambiamenti reali nel modo di
lavorare, nella distribuzione delle ricchezza, nella crescita della qualità
della vita, lasciando cosi’ che proceda e vada avanti
l’idea che gli esseri umani sono solo esseri giuridici e numeri.

Questo modello ascrivibile a Marchionne lo si ritrova anche in altre grandi aziende, come
l’Eni, il cui azionista di maggioranza è il Ministero del Tesoro, che pero’ a
differenza della Fiat gode del silenzio assoluto: i suoi programmi
dispendiosissimi li attua senza la luce dei riflettori e l’amplificazione
fastidiose dei media. Il risultato tragico di abbandonare il confronto (alla
Fiat) o di non iniziarlo e chiederlo neanche (all’Eni) lascia spazio alla
logica del « più forte ». A chi pensa ancora al socialismo come ‘progetto
possibile dell’uomo’ e tiene a mente l’Utopia di Lombardi di « una società
diversamente ricca » da costruirsi perché si arrivi ad una « società che riesca a
dare a ciascun individuo la massima possibilità di decidere la propria esistenza
e di costruire la propria vita », non sfugge che, per dare il giusto nome alle
cose, è il « capitalismo » il sistema da riformare dalle radici, introducendo
elementi certi di « democrazia industriale ».

Carlo Patrignani

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Carlo Patrignani
Carlo Patrignani vive a Roma. Laureato in Scienze Politiche con una tesi in Diritto del Lavoro, giornalista professionista (18.61987) presso l'Agi (Agenzia Giornalistica Italia) di Roma e collaboratore con riviste (Lavoro e Informazione di Gino Giugni), quotidiani (l'Avanti!) e settimanali (Rassegna Sindacale della Cgil). Autore di due libri 'Lombardi e il fenicottero' - L'Asino d'oro edizioni 2010 - e 'Diversamente ricchi' - Castelvecchi editore 2012. Oggi in proprio, freelance.

1 COMMENTAIRE

  1. Fiat Mirafiori : la resa dei conti
    Vorrei che fosse pubblicata su Altritaliani, in seguito all’articolo di Carlo Patrignani, questa testimonianza di Pietro Ancona, segretario generale CGIL sicilia in pensione, che mi sembra molto interessante :

    La posizione della CGIL ha indebolito la lotta della Fiom per salvare il diritto al contratto collettivo di lavoro ed alla sua negoziazione. Se vincerà come purtroppo è presumibile la linea Marchionne venti milioni di lavoratori italiani non avranno più diritto a discutere e concorrere attraverso i propri sindacati alla definizione delle regole dentro le quali svolgere la loro attività lavorativa. Dovranno accettare le regole imposte dai datori di lavoro o rinunziare a guadagnarsi il pane quotidiano. Veltroni sbaglia di grosso ad avallare l’idea del contratto aziendale. Il contratto aziendale introdurrà fortissimi elementi di concorrenza tra le aziende oltre umiliare i lavoratori e modificare negativamente la funzione dei loro sindacati. Non solo la Confindustria ma tutto il padronato italiano aspettano l’esito del braccio di ferro in corso con l’acqualina in bocca per lo sterminato potere che ne conseguirà per le aziende da una vittoria del contratto che Marchionne ha proposto e firmato con Cisl Uil a Pomigliano D’Arco e Torino.

    Vincerà anche la linea truffaldina delle NEWCO. Cambiare denominazione alla propria azienda sarà operazione diffusa tra quanti vorranno azzerare situazioni delle quali non sono soddisfatti e rinegoziare le condizioni dei propri dipendenti. Mi meraviglio molto che non ci siano ricorsi alla Magistratura sulle operazioni NEWCO neppure da parte della Fiom. Eppure si tratta del caposaldo più importante di tutta l’operazione di ristrutturazione dei rapporti messa in vita dalla Fiat.
    Nel merito del contratto le condizioni poste dalla Fiat siano incostituzionali per quanto riguarda la tutela della sicurezza e della salute psico-fisica dei lavoratori. Il sistema WMC sottopone il fisico degli operai ad un carico al limite della sopportabilità dell’apparato scheletrico-muscolare e neurologico. Eppure questo aspetto non sembra preoccupare la maggioranza di coloro che discutono la vicenda Fiat. Soltanto lo SlaiCobas di Melfi ha fatto ricorso al Magistrato ed allo Inail denunziando i danni psico-fisici per i lavoratori senza averne avuto finora alcun esito.

    L’operazione Fiat non è un fatto isolato scaturente da particolari difficoltà di mercato che impongono sacrifici speciali ai lavoratori. Fa parte di una politica di peggioramento generale delle condizioni dei lavoratori che ha un centro di direzione nel Governo e nello stesso Parlamento oltre che naturalmente nella Confindustria: il cosidetto collegato lavoro, il peggioramento delle pensioni, la legge trenta, le leggi Gelmini sulla Scuola e l’Università e la crescente privatizzazione della Sanità sono parti di una strategia di umiliazione di quanti vivono del proprio lavoro per arricchire banche ed industriali e sopratutto per dare a questi un peso preponderante nella società italiana. Dal referendum Fiat o come diavolo si chiama ora in poi in Italia non saremo più gli stessi ed una parte degli italianai avrà un potere di ricatto sull’altra terribile, antidemocratica, precostituzionale.

    Osservo con amarezza che la CGIL non è nuova a scivolamenti come quello di oggi. I suoi due primi segretari Rigola e D’Aragona che la governarono per venti anni fino a scioglierla nelle mani di Mussolini ed ad avallare gli accordi di Palazzo Vidoni furono sempre in conflitto cone molte camere del lavoro. Non condivisero l’occupazione delle fabbriche e lo sciopero generale di Milano e furono gelidi e distanti dalla resistenza al fascismo anche quando bruciavano le camere del Lavoro e le sedi dei giornali socialisti e sindacali. Questo mentre Di Vittorio, scissionista dalla CGIL fin dal 1911, si barricava e difendeva con il fucile in pugno la Camera del Lavoro di Bari.

    Epifani ieri e Camusso oggi sono come Rigola e D’Aragona. C’è un patto che lega la CGIL a Confindustria, Cisl ed Uil e credo anche a Sacconi, l’ideologo più velenoso e livido della destra italiana in quanto al lavoro.
    Spero che oltre ai pensionati altre categorie della CGIL scendano in soccorso ai metalmeccanici Aiutando Landini e Cremaschi si aiuta la democrazia italiana a sopravvivere all’offensiva liberista e si salvano le basi sociali del patto costituzionale. Spero anche che tutto il sindacalismo di base che ha sofferto le discriminazioni che oggi si vorrebbero imporre alla Fiom sia della partita e che si crei una forte intesa da Fiom e Cobas.

    Pietro Ancona, segretario generale CGIL sicilia in pensione

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