Venerdì a Château Rouge, Parigi 18°

Mia moglie fa veramente delle belle fotografie, ed allora io già da tempo le dicevo: “Dovresti venire in un posto qui a Parigi che si chiama Château Rouge”.

C’ero passato brevemente una mattina per caso e mi aveva molto colpito. Un posto, che mi aveva dato delle sensazioni contrastanti, da una parte stupendo e dall’altro terribile.

Château Rouge è l’esempio vivente di che cosa significa integrazione multi etnicità. Un pezzo d’Africa ai piedi di Montmartre. Un esempio che sempre più potrà interessare anche l’Italia.

Anche se un po’ preoccupati, armati di macchina fotografica, arriviamo sull’obbiettivo.

Usciti dal metro, linea 4 si apre un mercato; pescherie, tessuti coloratissimi, casalinghi, scarpe e bazar che vendono disordinatamente un po’ di tutto. Gente che parla ad alta voce e ovunque grasse madri con figli o nipoti irrequieti, mentre qualcuno contratta con un venditore le spighe di granoturco da comprare. Facciamo qualche scatto e andiamo avanti.

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Dietro le bancarelle, il rumore e il colore di tanti negozietti, tutti africani, vendono: cosmetici africani, bibite africane, macellerie islamiche, negozi con improbabili parrucche di colori verdi, blu, giallo limone, ecc. Ci soffermiamo davanti ad una vetrina che oltre a lubrificanti di sessuale memoria e profilattici, messi in mostra come merce preziosa, pubblicizza una magica crema per ingrandire il culo delle donne. Si proprio così. Ho un sussulto. Ma come le parigine fanno di tutto per abolire il culo, si prestano a ginnastiche faticose, usano unguenti che promettono di ridurre i glutei e qui li vogliono più grossi? Non basta. In un’altra vetrina fanno mostra bottiglie di plastica vuote di acque minerali e aranciate. L’esatto contrario delle un po’ ammiccanti e ruffiane vetrine parigine.

Per strada donne velate e povere che chiedono l’elemosina, marciapiedi pieni ma non c’è concorrenza, tutte aspettano pazienti, innervosite dalla nostra presenza e, soprattutto, da quella macchina fotografica con quell’obbiettivo che come un cannone “spara” su di loro e sul resto.
Altre donne, queste di colore, giovani, in jeans, vendono tre giacche usate o melanzane in un cesto, così, magari abusivamente. Tra le strade circolano un po’ spaesati i “flic”, poliziotti, alcuni armati fino ai denti.

Entriamo in un teatro, o meglio in quello che una volta era un teatro ed oggi è un deposito che vende scarpe. Ce ne sono migliaia, con prezzi stracciati (cinque euro al paia). E’ incredibile vedere, in fondo a questa sala, un palcoscenico sormontato da un sipario classico, rosso, circondato da enormi cesti e scatoli pieni di scarpe buttate alla rinfusa. Il padrone di questo luogo, un “vero parigino”, s’inquieta e dopo due scatti fatti interviene cortese e deciso: “Qui non potete fotografare, collegatevi su internet e vedete le foto”. Ci scusiamo e gli diamo ruffianamente ragione, mentre continuiamo a girare per questo ex teatro composto ora di vetrine, arredi teatrali, strane statue classiche e scarpe di ogni tipo, colore e qualità.

Usciamo ed arriviamo davanti alla moschea di Al Fath, dove ci si prepara febbrilmente alla grande preghiera. Ma certo è venerdì e per i musulmani è come domenica per i cristiani o sabato per gli ebrei. Qualcuno ci vede e il clima diventa teso. I colori fortissimi che hanno preceduto questo momento, i balconi arredati con palme e banane, un po’ come quelli napoletani del centro antico arricchiti di pomodorini, agli e cipolle, e i murales di giraffe e farfalle sgargianti che nascondono le fatiscenze dei muri dei palazzi fanno luogo al bianco e verde della moschea. Siamo guardati con sospetto mentre avanziamo con la macchina fotografica e mentre si dispongono altoparlanti per strada e si tirano fuori i grandi tappeti sui marciapiedi per i credenti che non hanno posto nella moschea, qualcuno ci avvicina.

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©Sophie C. per Altritaliani

E’ un francese, molto cordiale, ci dice che è pericoloso fare foto così. Iniziamo a parlare con lui che si dichiara socialista e che ci spiega subito, avendo una gran voglia di parlare, quanto sia diventata difficile la vita e la convivenza in questo pezzo d’Africa a Parigi, contraddistinto da un netto predominio musulmano. Ci conduce in un’affascinante stradina chiusa da un cancello che fortunatamente è aperto. Ci spiega cordiale che in una di queste case da “belle epoque” viveva il celebre cantante Alain Bashung.

All’improvviso siamo di nuovo a Parigi. Statuette e giardini pieni di rose, con cancelletti ai due lati delle strade dietro i quali si vedono splendide case d’epoca. Peccato che molte famiglie si siano barricate in quelle case con muri di canne che impediscono di godere a pieno tale splendore di rampicanti, fiori e piccole fontane dal gusto neoclassico.

Qui si consuma la linea di resistenza francese, dietro il cancello grande, oltre il silenzio di questo luogo, fa eco lontano il vociare arabo dei mercanti e passanti.

Quest’uomo gentilissimo ci propone di venire alle due del pomeriggio da lui per “ammirare” lo spettacolo della ‘grande preghiera’ dal suo balcone.

Esitiamo ma l’occasione è ghiotta. Dopo un po’ di piacevoli chiacchiere ci decidiamo di accogliere l’invito.

Sul muro del suo palazzo, affianco alla moschea, campeggia una scritta: “Sarkozy est mort” sotto questa scritta, un emblematico televisore abbandonato. Una signora “parigina” esce del palazzo e frettolosamente parte con la sua auto abbandonando la strada. Mentre la si inizia a chiudere, si dispiegano, al centro della stessa, i tappeti.
Dal balconcino del nostro amico al quarto piano, vediamo imponente le Sacré Coeur. Nel suo bianco, domina il quartiere, proiettandosi in un cielo celeste contrastato da nuvole bianche e grigie. Una vera cartolina.

L’altoparlante diffonde una voce araba e i fedeli sempre più numerosi arrivano, sono tutti uomini. Chissà le donne dove sono. Si tolgono le scarpe, s’inginocchiano con il capo sulla terra, molti giovani e anche alcuni biondi. Il nostro amico dice che il venerdì durante la preghiera, la strada è chiusa le donne non circolano con i loro cagnolini, impuri entrambi, darebbero fastidio ai fedeli.

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©Sophie C. per Altritaliani

I mariti si sono separati dalle loro spose, i fratelli dalle sorelle, le madri dai figli, i padri dalle figlie. E’ il momento di pregare. Mia moglie scatta foto e mi accorgo che siamo gli unici al balcone tutti gli altri come le finestre sono chiusi.

Pregando, pregando qualcuno ci guarda in un misto di fierezza e fastidio.
Ecco, Château Rouge è tutto questo ed altro ancora. Il nostro amico si dice preoccupato. Ci conquisteranno con la forza dei ventri delle loro donne. Ogni anno producono figli che saranno portatori della loro cultura e della loro fede. Mi chiedo se sarà cosi o se diverranno persone senza cielo per sognare o terra per mettere radici.

Da vedere. Andateci a Château Rouge, magari di venerdì.

(Foto e logo in esclusiva per Altritaliani ©Sophie C.)

Veleno

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