Viale del Tramonto.

La scissione tra Fini e Berlusconi nel PdL appare inevitabile. Viene al pettine il nodo tra politica e antipolitica espressa dai due leader. Le prospettive dopo l’estate. Tramonta il berlusconismo ritorna la politica?

Siamo alla fine del viaggio e dell’esperienza del Popolo della Libertà così come era stata concepita dai due cofondatori Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Quella del 29 Luglio, a suo modo, potrà essere una data storica ed anche una data chiave che prospetta la fine di questa lunga stagione politica che partita da “Tangentopoli” che consumò la “prima repubblica”, e giunta fino ad oggi.

Offrendo un tempo anomalo, dove l’assenza della politica ha portato ad un crescente estraniamento dei cittadini dalla partecipazione alla repubblica.

Sia chiaro che il Popolo della Libertà non scomparirà, almeno non subito, ma se non vi sono novità clamorose, in Italia sempre possibili, il suo declino appare inevitabile. Trasformarsi o perire.
Si potrebbe dire che il PdL è andato peggio del PD che almeno, ancora non si è scisso.

berlusconi-predellino-300x215.jpg Certamente a distanza di pochi anni, il bipartitismo o il bipolarismo appaiono già in crisi, formule già vecchie e superate.
Il Popolo della Libertà era ed è un partito che aveva ed ha un chiaro marchio di fabbrica, quello di Berlusconi. Le stesse modalità conclusivi di questa esperienza comune tra i due cofondatori, con la minaccia, ma manca il mezzo tecnico, di destituire Fini dalla presidenza della Camera, e il rinvio innanzi ai probiviri di alcuni dei suoi fedelissimi, dimostrano che in realtà il Popolo della Libertà, aldilà della retorica populista del nome, degna di quella calcistica di Forza Italia, non è altro che un partito azienda retto dal cavaliere che ha dato a tutta la sua discesa in campo un taglio manageriale e imprenditoriale, non certo politico. Insomma, in estrema sintesi, questa forza politica era l’espressione di quel “berlusconismo” che ha caratterizzato questo periodo a partire dalla fine della prima repubblica.

Una conclusione anomala e apolitica, privata di un largo dibattito tra gli organismi del partito, i propri iscritti e l’opinione pubblica. Certe conclusioni storicamente avvengono in ambiti congressuali e non dopo una sorta di colloquio privato.

L’illusione “finiana”, di dare un’anima politica ed etica a questa forza, nata sul predellino di un’auto in una mezza serata, si spegne definitivamente fini-e-berlusconi-250x191.jpg
oggi, con lo strappo di Berlusconi, con l’avvio di una epurazione politica, una notte dei lunghi coltelli all’italiana, da consumarsi nella calura di Luglio ed Agosto, quando è ancora più alta la disattenzione dei cittadini verso la politica. Berlusconi parla d’inevitabile rottura, dal momento che Fini non rappresenterebbe più quei moderati che si riconoscono nel PdL, dal momento che il crescente dissenso verso il governo assume sempre più il carattere di vera e propria opposizione. C’è del vero in questa seconda proposizione, ma sulla prima la realtà appare un’altra, ovvero che i moderati sono probabilmente quelli che non votano più che non si sentono capaci di scegliere in una politica spettacolo, rissosa e spregiudicata, che non si sentono più rappresentati da politici che, persa ogni ideologia, brancolano senza idee e progetti.

Da un lato un governo che guidato dal padrone dell’azienda (Italia?) schifani_berlusconi_fini.jpg
sembra ridursi solo a fare leggi che proteggano gli interessi per se e per i suoi, che non ha prodotto, pur avendo la più grande maggioranza della storia italiana, nessuna delle riforme strutturali di cui il paese avrebbe bisogno per il suo rilancio, dopo quasi vent’anni di stagnazione e che, se si toglie la discussa e discutibile manovra economica, imposta dai richiami della Commissione europea, si è occupato solo di processo breve, di prescrizioni, di Lodi Alfano o simili, di leggi sulle intercettazioni e mai dei veri problemi dell’Italia.

Dall’altro lato un opposizione che si oppone nelle piazze in modo sempre più flebile e poco credibile e in parlamento con più vivacità, ma che rimane incapace di proporre un progetto politico e di vita per il paese. Insomma un’opposizione che non è alternativa e che non indica idee ed ideali per cui combattere, ma che si ostina ad attaccare Berlusconi senza comprendere che il vero problema è semmai il berlusconismo, malessere di una società profondamente cambiata e che chiede risposte nuove ad une economia che non è più quella di cinquanta anni fa. I moderati non vanno confusi necessariamente con i conservatori, i moderati vivono realtà nuove, famiglie nuove con sistemi educativi e di valori diversi.

Fanno i conti non più con un capitalismo vecchio stampo, ma con un mondo del lavoro diverso molto più precario ma non scevro di opportunità e possibilità che andrebbero amministrate, regolamentate. I moderati vivono in un’Italia diversa, multietnica, con domande di cultura e di coinvolgimento e partecipazione che sono diverse e che si muovono con strumenti diversi.

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Fini ci ha provato. Lui, da destra, un’idea nuova ce l’ha ed è un’idea simile, per alcuni versi, alla destra europea della Merkel o di Sarkozy. Una destra che, ad esempio, vuole ribadire la laicità dello Stato che, a differenza della Lega Nord, non fa muro contro gli immigrati, ma che guarda loro come una risorsa e che pone la questione che chi lavora e paga le tasse in Italia va riconosciuto come italiano ancor più chi nasce in Italia fosse pure di pelle gialla o nera, rumeno di origine o peruviano. Ha posto una questione etica, gli indagati (troppi nel PdL) devono dimettersi, chi è in politica deve essere un esempio per la società che non può essere offuscato da sospetti spesso anche consistenti. I casi di Scajola, Brancher, Cosentino e anche le recenti messe in stato d’accusa verso sottosegretari e politici (si veda i casi di Caliendo o Denis Verdini, coordinatore del PdL) di primo piano pongono una seria questione sul tema della morale e la politica. Chiede città più sicure ed una maggiore attenzione verso la micro e macro criminalità.

La realtà è che sono emerse con questo “divorzio” le due anime del PdL, da una parte la “politica” (Fini), dall’altra “antipolitica” (Berlusconi) espressa dal Berlusconismo che non è solo un modus operandi del leader, ma è un sistema, a mio avviso di disvalori, è un linguaggio, è l’espressione di quell’essere “senza vergogna” come ricordato dal saggista Belpoliti anche dalle colonne del nostro sito, che permette di saltare ogni regola pur di arrivare allo scopo (sia chiaro non in favore della collettività, ma del politico di casta, del privilegiato di turno), una miscela confusa di furbizia, arrivismo, capacità, spudoratezza ed ipocrisia (vi ricordate le lacrime di Silvio quando sbarcavano ai tempi di Prodi gli immigrati, dichiarando che non era umano il modo con cui questi disperati erano accolti. E vi ricordate lo stesso Silvio quando capo di governo dichiarava che gli immigrati sono naturalmente predisposti a delinquere e che quindi andavano fermati ed impediti di venire in Italia?).

Avevamo parlato di declino del berlusconismo e dello stesso Berlusconi, questo declino viene accelerato ora che l’alibi Fini viene a mancare. Questo governo e il suo “padrone” non hanno più la foglia di fico che gli garantiva un minimo di parvenza politica, l’idea di un cavaliere statista, già messa a dura prova dalle performance dell’uomo di Arcore, può dirsi definitivamente tramontata.

Così come Berlusconi può dire addio, se non trova rimedi, al sogno di diventare presidente della repubblica. Per farlo occorre essere uno statista e paradossalmente Fini sembra oggi avere più chance, malgrado l’essere stato messo all’angolo dalle preponderanti forze del cavaliere di Arcore.

Va detto subito, però, che questo non significa che una crisi di governo porterà alla fine di Berlusconi. I tempi non sono maturi ancora, e i disastri di vent’anni di antipolitica non possono risolversi con pochi colpi seppure di grande effetto.

In realtà lo strappo si consuma anche per motivi meno nobili e più da ricercare proprio nella partita già da tempo aperta alla successione del leader di Arcore.

Fini ha compreso da tempo che lui non è il delfino, che a breve si presenteranno come pretendenti almeno Tremonti e Formigoni, se non altri, da qui la necessità di rompere gli indugi, di smarcarsi dal “capo” e di indicare nuove possibili vie. E’ una scelta certamente mossa dall’ambizione, ma ogni politico deve coltivare delle ambizioni, legittime e spesso finanche nobili, ma è una scelta anche necessaria ed inevitabile. Il tramonto di Berlusconi impone ai contendenti alla poltrona di leader di muoversi, pena la fine dell’esperienza Pdl, la morte politica del capo e della sua creatura (o azienda).

In questa fase appare quindi possibile, finanche probabile che Fini dia vita ad una nuova formazione che richiederà tempo per radicarsi nelle coscienze italiche e seppure a destra i “suoi” uomini hanno ben lavorato con la fondazione “Fare Futuro” e l’associazione “Generazione Italia” ancora molto si deve fare per riportare i cittadini a credere nella politica, a riconoscersi in un più ampio disegno e progetto per il domani del paese, insoma per costruire il “consenso”.

Idem nell’opposizione (scusate ma fatico a parlare con vecchi schemi come destra e sinistra n.d.r.), dove si propone coraggiosamente Vendola, governatore della Puglia, come condottiero delle forze che dal PD a sinistra ed ecologia, cercheranno di costruire l’alternativa. Suo avversario è, al momento, Bersani, attuale leader del PD uomo da ordinaria amministrazione, di partito, ma che non ha ancora quadrato il cerchio sulla questione organizzazione del partito e sul coinvolgimento e partecipazione dei cittadini. Dell’attuale opposizione si sa che si oppone ma rimane oscuro cosa propone.

La politica è “un male” necessario alla società, se si vuole creare sviluppo vendola-e-bersani-2.jpg
e ricchezza, se si vuole costruire una collettività coesa e che abbia un’identità comune. Certamente, se domani si votasse Berlusconi, in assenza di alternative, vincerebbe ancora. Ma il paese è sempre più strangolato dai particolarismi delle varie lobby, chiuso sugli interessi del “padrone”, con una economia in recessione, che non cresce da decenni, che malgrado il lavoro importante del ministro Tremonti stenta a far rilanciare le imprese, aumentando la precarietà economica e di vita degli italiani.

Appare un paese stanco delle ipocrisie di Berlusconi a cui non bastano più sorrisi, sempre più rari, ormai le foto lo ritraggono sempre più invecchiato, spesso gonfio quasi ammalato, non bastano bandane in testa e barzellette, il paese vorrebbe fatti da giudicare e idee da condividere cose che Fini, dal suo punto di vista propone e che l’ex centrosinistra farebbe bene ad iniziare a proporre al più presto.

L’impressione è che, alla fine di questa “calda” estate, la politica possa ripartire. Siamo al crepuscolo di questi anni pesanti, segnati come detto da un’ipocrisia che ha avvilito il paese e anche i tanti che avevano creduto nell’imprenditore prestato alla politica. Un’ipocrisia che nascondeva l’eterno sistema di corruzioni e di corruzioni morali. Inaccettabile il conservatorismo del Family Day, ad esempio, con chi organizza festini con prostitute, inconcepibile, mostrarsi paladini dei sofferenti dell’Aquila e provincia all’indomani del terremoto con un sistema di corruzioni con acquisti di favore d’immobili a ministri come Scajola da parte d’imprenditori delle costruzioni equivoci come Anemone, legato anche sembra a rapporti con la protezione civile e il “pio” Bertolaso. Incredibile dirsi popolo della libertà e al contempo imporre il bavaglio alla stampa. Inaccettabile dirsi campioni nella lotta alle mafie e pretendere che non si indaghi sui rapporti mafia e politica e potere in anni cruciali come quelli tra il 1992 e il 1994.
Il modello populista, del capo che pensa per tutti, implode proprio su quel sistema di disvalori che ha fomentato egoismi, divisioni, sfiducia nello Stato e nelle sue istituzioni, che ha annientato ogni valore etico alla politica che ha vandalizzato ogni valore comune di morale di una società.
Come potrebbe l’artefice di tutto ciò pretendere un giorno di essere eletto Presidente della Repubblica? Come farebbe ad unire nel suo nome un’Italia che ha tanto diviso?

Ma soprattutto la fine di questo “sistema” svela un vecchio vizio italico che è stato presupposto dello stesso “berlusconismo”, quello della deresponsabilizzazione.

Insisto, ma i cittadini devono comprendere di non essere oggetto della politica ma soggetti, il che significa assumersi piccole e grandi responsabilità, nella vita quotidiana, nelle famiglie come nelle scuole, nelle università, come nei posti di lavoro, negli ospedali come in tutti i servizi pubblici. Il recupero della politica è imprescindibile, dal recupero del senso civico, del dovere morale di essere padri e madri attenti, insegnanti scrupolosi e che non fanno favoritismi, nel premiare il merito e basta, nel lavorare con impegno e serietà, nell’evitare sprechi e consumi inutili nel ridare valore alla vita e alle cose, nel garantire per se e per gli altri la libertà di vivere serenamente e onestamente.

(nelle foto dall’alto in basso. Berlusconi annuncia dal predellino della sua auto la nascita del Popolo della libertà; Fini e Berlusconi il giorno del congresso costitutivo del partito; Schifani, Fini e Berlusconi, Bersani e D’Alema, Bersani e Vendola)

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.