Il male oscuro della partitocrazia

La crisi della politica, le evidenti difficoltà di rappresentanza e partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica iscritte nel consociativo modello parlamentare del 1947. Gli storici si dividono sul ruolo di Togliatti e De Gasperi : Padri della Repubblica o artefici di una non riuscita democrazia cresciuta male? La doppiezza di Togliatti a ben leggere le vicende del PCI rende chiari anche alcuni risvolti della politica di oggi.

Succede, capita spesso nella storia dell’uomo, anche recente, di imbattersi in personalità cui vengono attribuiti grandi meriti ‘padre della Repubblica’ se non addirittura acclamati come ‘giganti del pensiero’ che la storia stessa provvede a smentire clamorosamente. Eppure nonostante questo, cioè l’evidenza dei fatti, questi ‘feticci’ e ‘totem’ tali restano: chi si azzarda a metterli in discussione o finisce alla gogna o viene tacciato di ‘fascista’ e ‘reazionario’.

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Così nel breve volgere di una settimana apprendiamo dallo storico Lucio Villari che Palmiro Togliatti, fautore della svolta di Salerno (1944), cioè del governo con Badoglio, del decreto sull’amnistia (1946) dei reati compiuti dai fascisti, del voto favorevole (1947) all’art.7 della Costituzione che recepì i Patti Lateranensi tra Mussolini e Pio XII, fu ‘un riformista’ che rifiutò le ortodosse litanie sovietiche (“Marx irrideva coloro che facevano piani per la società futura”). E poi dal matematico Piergiorgio Odifreddi che Alcide De Gasperi criticò il Concordato, vale a dire l’art.7 della Costituzione, dimenticando (sarà un caso?) che qualche giorno prima del voto da parte dei Costituenti, fu proprio De Gasperi a lanciare ‘un appello’ agli altri partiti per cui un voto contrario al Concordato avrebbe aperto “una battaglia politica” e “prodotto una ferita al dilaniato corpo italiano”. E l’Osservatore Romano minacciava in quei giorni “la messa in discussione della pace religiosa”, per un voto contrario al Concordato. Togliatti obbedì e portò il Pci a votare l’art.7. Pietro Nenni nei suoi Diari ricordò che la presenza della firma di Mussolini nei Patti e “il sospetto di una collusione [della Chiesa col fascismo] che pesa sulla coscienza di molti italiani come una macchia e una vergogna”. Non va poi dimenticata (e Odifreddi lo fa) la lettera di De Gasperi a Togliatti (l’Unità, 23 luglio 1944) in cui il leader della Dc diceva: “Abbiamo apprezzato come meritava la tua dichiarazione di rispetto per la fede cattolica della maggioranza degli italiani […] ci sarebbe da sperare che il pensiero del compagno Togliatti potrebbe servire a evitare gli esperimenti negativi e gli errori del sistema sovietico”. Così come non va dimenticato ( e il matematico ateo lo fa) che il decreto di amnistia dei reati compiuti dai fascisti scritto di suo pugno dal Guardasigilli Togliatti fu controfirmato dal Presidente del Consiglio, De Gasperi in nome per il primo della ‘pacificazione religiosa’ e di ‘normalizzazione’ del secondo. Ciò accadeva dopo che era stato decapitato (1945) il Governo presieduto dall’azionista Ferruccio Parri, “un cojone”, come lo definì il Migliore. E sarebbe un oblio imperdonabile sorvolare (come fa Odifreddi) sull’opposizione di De Gasperi a che la Costituente avesse compiti e competenze di far leggi e riforme: essa, come poi avvenne, doveva occuparsi solo di stendere la Carta Costituzionale che concepì un farraginoso’ sistema istituzionale. “Abbiamo lavorato mesi per partorire un mostro”, disse Emilio Lussu: li’ nacque la partitocrazia, ossia i partiti di massa si assicurarono la gestione consociativa e compromissoria del ‘potere’, senza rischi di alternanze.

Dunque Villari ci fa sapere che Togliatti, in una lezione tenuta alla Normale di Pisa il 10 marzo 1946 inaugurando un istituto di studi intitolato a Giuseppe Mazzini, ebbe a dire: “Serve un rinnovamento profondo dell’ordine sociale, in modo da permettere agli uomini di vivere in pace tra loro. Questo e’ il problema centrale della vita”. L’Italia allora non aveva ancora scelto tra Repubblica e Monarchia: solo il 2 giugno 1946 si tenne il referendum che sanci’ la vittoria della Repubblica e il Pci vi fu trascinato come poi accadde nel 1974 con il referendum sul divorzio dalla ferrea e ferma decisione di socialisti, azionisti, repubblicani, liberali, dai laici insomma. Il tentativo subdolo di Villari è quello di dare a Togliatti la patente di ‘riformista’ nel solco di quel filone politico tanto aborrito quanto detestato dal numero uno del Pci, ‘l’azionismo’ e ‘il giellismo’ dei fratelli Nello e Carlo Rosselli che aveva raccolto l’insegnamento di Mazzini, Cattaneo, Garibaldi. Spiega Villari: “I relativi nodi teorici di una utilizzazione politica di questo marxismo ‘riformista’ sono filtrati attraverso la storia dell’Italia risorgimentale e la rievocazione di rivoluzionari e di riformatori spesso trascurati. Riemerge cosi’, proveniente dalla grande madre, la rivoluzione francese, l’eredità positiva degli utopisti (che Marx nel Manifesto del 1848 aveva sminuito e che per Togliatti rappresentavano invece “un sistema di idee, di propositi, di piani che essi non traevano da una intuizione sociale astratta”; “erano, disse, dei veri e propri riformatori sociali”), del giacobino Vincenzo Russo, di Spaventa e Labriola, dei positivisti politici e soprattutto di Giuseppe Mazzini”. Togliatti si diceva, prosegue Villari, perciò “convinto che per evitare altre catastrofi si dovesse finalmente aprire la strada “all’idea della riforma sociale, nel senso del rinnovamento profondo delle basi del nostro ordinamento sociale, in modo da permettere agli uomini di vivere in pace. […] Questo problema è oggi il problema centrale della vita, il problema dei problemi per il nostro paese e per tutti gli altri paesi. Per questo io non posso salutare che con simpatia l’iniziativa che voi avete preso di fondare questo istituto […] dedicato al nome del nostro grande riformatore sociale Giuseppe Mazzini”.

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Secondo Villari, Togliatti accogliendo ‘il riformismo’, cancellava l’anatema comunista della Terza Internazionale scagliato contro la cultura borghese delle ‘riforme’ e le correlative idee socialdemocratiche della Seconda Internazionale: “Mi pare che quella discussione sia chiusa e non si adatti più alle condizioni nelle quali si svolge la lotta politica e la lotta sociale”. Qui emerge tutta la ben nota ‘doppiezza’ e ‘freddezza’ di Togliatti, messe in luce a più riprese da quel ‘drappello’ di ‘azionisti’ solitari e testardi come Riccardo Lombardi, Piero Calamendrei, Ernesto Rossi, Emilio Lussu e Vittorio Foa. “Togliatti riformista? No, è stato un abilissimo stalinista: di Stalin accettò tutto ed è il caso di dirlo con le parole di Giuseppe Mazzini: pensiero ed azione”, ribatte lo storico e Presidente della ‘Fondazione Nenni’, Giuseppe Tamburrano. “Villari cita una pagina del versatile Togliatti su Mazzini dalla quale pero’ non emerge alcuna prova di presa di distanza dal marxismo-leninismo-stalinismo – nota Tamburrano – Togliatti testimonia per Mazzini una stima che Carlo Marx non ebbe: e questa é l’unica originalità. Ma tra il marxismo di Marx e quello sovietico – avverte – vi è un abisso.

Quanto a riabilitatore annessionista di grandi personaggi della storia italiana, Togliatti fu maestro: riuscì anche a farlo con Giovanni Giolitti ». Quindi l’affondo. « Togliatti riformista è davvero ridicolo – chiosa Tamburrano – quello che scrisse sul padre del riformismo Filippo Turati (un « traditore ») e sugli esuli che – disse – passavano il loro tempo seduti ai tavolini degli Champs-Elysées fu semplicemente ignobile: quegli esuli hanno combattuto con le armi alle mano contro Franco in Spagna (laddove Togliatti svolgeva il ruolo gregario di emissario di Stalin) e alcuni di loro sono stati assassinati dai fascisti come i fratelli Nello e Carlo Rosselli ». Togliatti il Migliore, non amò gli ‘azionisti’ e i ‘giellisti’, li disprezzava, come del resto ha fatto di recente anche Massimo D’Alema. « Togliatti eè stato – conclude lo storico socialista – un abilissimo stalinista: di Stalin accettò tutto. E’ il caso di dirlo con le parole di Mazzini: pensiero ed azione ». E che dire, poi del Togliatti che difese senza alcuna remora l’invasione dell’Ungheria del ’56? E che di fronte ad un costernato, esterrefatto, Pietro Ingrao, allora direttore de ‘l’Unità’, se la cavò con “oggi ho bevuto del buon vino”?

Insomma coloro che, Togliatti e De Gasperi, passano ancora oggi nell’immaginario collettivo come i ‘Padri della Repubblica’, in realtà furono i numi tutelari delle due Chiese (quella comunista e quella cattolica) che hanno dominato la scena culturale e politica del dopoguerra, sono stati gli affossatori di quella ‘rivoluzione liberale’ del Paese che doveva mutare radicalmente la struttura e l’architettura istituzionale e della società costruite da Mussolini nel ventennio fascista!

Carlo Patrignani

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Carlo Patrignani
Carlo Patrignani vive a Roma. Laureato in Scienze Politiche con una tesi in Diritto del Lavoro, giornalista professionista (18.61987) presso l'Agi (Agenzia Giornalistica Italia) di Roma e collaboratore con riviste (Lavoro e Informazione di Gino Giugni), quotidiani (l'Avanti!) e settimanali (Rassegna Sindacale della Cgil). Autore di due libri 'Lombardi e il fenicottero' - L'Asino d'oro edizioni 2010 - e 'Diversamente ricchi' - Castelvecchi editore 2012. Oggi in proprio, freelance.