Anche voi foste stranieri, di Don Sciortino

Multiculturalità ed interculturalità, la paura degli stranieri cavalcata dalla politica, le contraddizioni tra il dire e il fare dei tanti che si dichiarano cattolici. Il ruolo dell’informazione e la posizione della Chiesa e della Caritas. Di questo e di tante altre cose Don Sciortino, direttore di “Famiglia cristiana”, storica e popolare rivista del mondo cattolico italiano, parla con la nostra Francesca Sensini.

D. Da un lato, abbiamo dati oggettivi, di natura statistica, che ci dimostrano il ruolo fondamentale dei lavoratori immigrati nel tessuto produttivo italiano e la falsità dell’equivalenza immigrato uguale criminale, che purtroppo è stata ribadita nella recente campagna elettorale per le elezioni regionali. Dall’altro, sembra che una parte del nostro Paese percepisca in modo fortemente negativo la presenza di migranti in Italia, come un problema da estirpare. Da quali fattori principali, a suo avviso, dipende questa differenza tra dati e percezioni?

R. La prima imputata, a mio parere, è proprio l’informazione, che su questo, come su altri temi, non svolge più il proprio ruolo. Che è quello di raccontare la verità e non piegare i fatti all’ideologia o a posizioni di parte. Una cattiva informazione, oltre ad alimentare le paure della gente, genera anche xenofobia e forme di razzismo nei confronti degli stranieri in Italia. Dalla “Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani” (2009), a cura della facoltà di Scienze della comunicazione della Sapienza di Roma, emerge che l’immagine che stampa e Tv danno degli immigrati è una gigantografia in negativo, tutta focalizzata su emergenza, sicurezza e stereotipi vari. Insomma, una visione soltanto problematica. Ad esempio, nei casi di cronaca dove è coinvolto uno straniero, si accentua a dismisura la sua provenienza da un Paese straniero. Così, passa facilmente l’equazione straniero uguale delinquente. O la dichiarazione che un clandestino senza lavoro, naturalmente delinque. Diverso è il trattamento quando è coinvolto un nostro connazionale. E poi, poca attenzione viene data, invece, a storie di integrazione ben riuscite. E in Italia, ormai, sono davvero tantissime. Peccato che siano “fantasmi” per la nostra stampa.

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D. Nel suo libro lei fa riferimento a Giovanni Paolo II che, per la Giornata mondiale della pace del 2001, metteva in rilievo come sia necessario accedere alla conoscenza dell’altro e della sua cultura “con il dovuto senso critico e con solidi punti di riferimento etico”, per poter arrivare a una migliore e più lucida conoscenza di sé e della propria cultura e scoprire le radici comuni a tutti gli uomini. Crede che in Italia questo senso critico e questi riferimenti etici siano operanti presso i cittadini? E nella classe politica?

R. Quando si è certi delle proprie radici, e non solo a parole, è anche più facile aprirsi all’incontro con l’altro e superare le paure verso chi ha un colore diverso della pelle, una differente provenienza geografica e anche un altro credo religioso. Il dialogo tra tradizioni e culture diverse non può che essere motivo di crescita. Dobbiamo cominciare a passare dalla multiculturalità all’interculturalità, dallo stare gli uni accanto agli altri senza alcuna commistione, allo scambio delle reciproche ricchezze culturali. Mi piace citare una bella frase di Giovanni Paolo II che, nella sua vita, ha incarnato una concezione positiva delle migrazioni: “L’esperienza mostra”, diceva, “che quando una nazione ha il coraggio di aprirsi alle migrazioni, viene premiata da un accresciuto benessere, da un solido rinnovamento sociale e da una vigorosa spinta verso inediti traguardi economici e umani”. Peccato che i politici non sappiano capire che l’immigrazione è un’opportunità da cogliere, per la crescita del Paese. Il loro approccio su questo tema è spesso di bassissima lega, teso solo a lucrare voti e consenso politico, alimentando e cavalcando le paure della gente.

D. Come spiega la crescita in termini di consenso elettorale di partiti che promuovono una politica di chiusura ostile, per usare un eufemismo, verso i migranti?

R. Gli immigrati pongono dei problemi, anche se non sono il problema del nostro Paese. Problemi reali, cui però si danno risposte sbagliate. Il immigrati-2.jpg fenomeno migratorio, diventato imponente in questi ultimi anni in Italia, va governato con una politica intelligente che, nel rispetto della legalità e della sicurezza, sia aperta all’accoglienza e all’integrazione. A cominciare dal favorire e facilitare i ricongiungimenti familiari. Usare gli stranieri come “capro espiatorio” su cui scaricare il malessere del Paese o l’inefficienza di una politica che non sa guardare al futuro e al bene comune del Paese, rende in termini di consensi politici. Ma è un terribile boomerang che ci tornerà addosso. L’Italia deve programmare il proprio futuro non a prescindere ma a partire dalla presenza degli stranieri nel Paese, che col loro lavoro generano, già da ora, un’importante fetta della ricchezza nazionale.

D. Pensa che in Italia esista un problema di civiltà, messo in luce proprio da vicende come quelle di Rosarno e di Adro, per citare le più discusse e mediatizzate?

R. La nostra società tende a essere sempre più chiusa ed egoista, a difesa dei propri interessi. Si fa strada la mentalità del “noi o loro”. Cioè, prima dobbiamo pensare ai nostri connazionali e poi agli stranieri. Gli stranieri sono considerati come merce o solo braccia da lavoro, che servono alla nostra economia, e li si caccia via quando non servono più. Dimentichiamo che dietro quelle braccia ci sono persone, che hanno una famiglia, una storia e delle tradizioni. I fatti di Rosarno mostrano che anche in un Paese civile come l’Italia può succedere che si tollerino nuove forme di schiavitù e di degrado in cui sono stati lasciati a vivere centinaia di immigrati, peggio delle bestie, usati e sfruttati dalla malavita locale. Ad Adro, invece, è prevalsa una logica egoistica e di chiusura, questa volta sulla pelle dei bambini, che vanno tenuti fuori dalle beghe dei grandi.

D. Come mai la Lega nord e, in generale, l’attuale destra al governo si sente fortemente cattolica con richiami ai crociati, mostrando una forte sensibilità al matrimonio e a temi di bioetica come l’eutanasia, la ricerca genetica ecc… e, al tempo stesso, è così poco attenta nella pratica ai valori cristiani, richiamati anche dall’attuale Santo Padre, come l’accoglienza e le politiche per la famiglia? Che spiegazioni si dà?

R. Sono dello stesso parere del cardinale di Milano, monsignor Tettamanzi, che ha detto: “Smettiamola di dirci continuamente cristiani, e cominciamo davvero ad agire da cristiani”. La stessa difesa delle radici cristiane, in chiave antislamica, non ha senso se i frutti dell’albero non sono poi ispirati ai principi evangelici. Difendere la presenza del crocifisso nelle aule pubbliche e usarlo per darlo addosso a chi è di diversa religione, vuol dire ignorare il significato dell’amore universale, senza distinzioni, che esso rappresenta. Siamo di fronte a una lampante contraddizione. O, meglio, è una strumentalizzazione della religione per fini politici. Quanto ai valori, occorre ricordare che non sono solo “non negoziabili”, ma non sono neppure selezionabili. La vita, ad esempio, va difesa sempre, dalla nascita alla naturale conclusione. Ma va difesa anche la vita di tutti, senza distinzioni, anche quella di quei poveretti che la vita la perdono sulle carrette del mare, nella traversata del Mediterraneo, alla ricerca di un futuro diverso per sé e i loro familiari.

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D. Quali sono le risposte e le iniziative concrete della Chiesa cattolica nei confronti delle derive xenofobe di una parte della classe politica italiana e dei cittadini che essa rappresenta?

R. La Chiesa, pur se qualche volta ha balbettato, ha sempre difeso la dignità della persona e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, senza alcuna discriminazione, ispirandosi al Vangelo e alla sua Dottrina sociale. La Caritas e altri centri di ispirazione cristiana, oltre a fornire aiuti e sostegni concreti agli stranieri, sono impegnati anche per favorire una cultura di accoglienza nel Paese, fornendo dati reali sul fenomeno immigrazione e storie di vera integrazione.

D. Quali sono i reali problemi di convivenza tra italiani e migranti che si possono riscontrare quotidianamente in Italia?

R. Per lo più sono problemi di diffidenza, che nascono da una scarsa conoscenza e informazione. Più si creeranno occasioni di incontro e di scambio, tipo la “festa dei popoli”, come si fa in tante parti d’Italia, più facile sarà superare i problemi che suscita l’incontro tra culture e tradizioni diverse. Ma se si alzano i muri, invece che costruire dei ponti, il cammino sarà davvero impervio. Finora, l’attuale politica s’è distinta più per provvedimenti che escludono gli stranieri, che per iniziative che includono e facilitano il loro pieno inserimento nella nostra società. Il loro cammino è ancora una corsa a ostacoli: difficile il ricongiungimento familiare, problematica la cittadinanza, nonostante i bambini di seconda o terza generazione sono nati in Italia, amano questo Paese, e parlano perfettamente non solo l’italiano, ma anche i vari dialetti.

D. In Francia, di recente, si è a lungo e polemicamente discusso della cosiddetta “identità nazionale”. Quando questa identità è un’autentica ricchezza e quando diventa un fattore discriminante?

R. Se l’identità nazionale porta alla chiusura e alla ghettizzazione di certo non è un valore. Diverso è quando si apre e, in qualche modo, si “contamina” con valori e tradizioni diverse. Aiuta tutti a crescere e a essere più ricchi di nuove esperienze. A maggior ragione, in un mondo sempre più globalizzato.

D. Un’ultima domanda: ritiene che l’Italia, in merito al tema dell’immigrazione e dell’accoglienza, sia un Paese spaccato in due?

R. La rimando alla prima pagina del mio libro Anche voi foste stranieri. “Il tema dell’immigrazione”, scrivo, “spacca il Paese ed eccita gli animi. Due Italie si contrappongono. A torto o a ragione. C’è chi soffia sul fuoco, alimentando paure e tensioni… E chi, invece, capisce che una soluzione va trovata. Nell’accoglienza e nella legalità. La politica dello struzzo non paga. La chiamata alle armi per sbarrare il passo allo straniero è un terribile boomerang. Un’illusione, che crea più problemi”.

Francesca Sensini

(Le foto dall’alto in basso: Don Antonio Sciortino; immigrati italiani all’inizio del ‘900; fotoarte sull’immigrazione oggi).

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Francesca Sensini
Francesca Irene Sensini è professoressa associata di Italianistica presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Nice Sophia Antipolis, dottoressa di ricerca dell’Università Paris IV Sorbonne e dell’Università degli Studi di Genova. Comparatista di formazione, dedica le sue ricerche alle riletture e all’ermeneutica dell’antichità classica tra il XVIII e l’inizio del XX secolo in Italia e in Europa, nonché alle rappresentazioni letterarie e più generalmente culturali legate al genere.