La linea verde nelle canzoni con gli esempi di Celentano e Gaber – Lingua italiana

L’evoluzione del costume italiano, negli anni Sessanta passò anche attraverso l’uso dell’italiano. Vediamo sul tema della “città” il confronto poetico-linguistico tra due note canzoni di Adriano Celentano e Giorgio Gaber. Due esempi emblematici del rapporto tra la poetica della canzone e il linguaggio del suo tempo. Cambiava il modo degli italiani di percepire il mondo, così anche la lingua andava “rivoluzionandosi”.


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Partendo dal 1966, dalla canzone Il ragazzo della via Gluck, nel cui testo ci sono molti riferimenti autobiografici (la via Gluck è la via dove Adriano Celentano viveva con la famiglia, e gli 8 anni passati sono un riferimento all’inizio della carriera discografica del cantante), partendo dalla via dove viveva, dove gente tranquilla lavorava, dove i ragazzi si divertivano, dove c’era l’erba …, arriviamo alla domanda finale: perché continuano a costruire le case, perché non lasciano l’erba?

La tranquillità della vita. La semplicità del vivere quotidiano. Il divertimento dei ragazzi di una volta, semplice, che si accontentavano di giocare a piedi nudi sui prati: queste sono le cose che “il ragazzo” ci racconta e che segnano la sua esperienza di vita. Sì, è vero, bisognava andare a lavarsi in cortile, ma la vita era vita vera, in quella vita c’era il cuore del ragazzo. E quando quel ragazzo deve abbandonare i luoghi della sua infanzia, lo fa con una grande tristezza, perché sa che deve andare a vivere in mezzo al cemento, in città, dove ci sono case su case, catrame e cemento, non ci sono più prati, niente più corse a piedi nudi, niente fischio del treno.

L’amara denuncia di Celentano della distruzione del verde in favore della costruzione del grigio viene espressa, dal punto di vista linguistico, con l’uso insistente dell’imperfetto (lavorava, si divertiva, piangeva) contrapposto al futuro (potrai, troverai). Questo futuro però si preannuncia grigio, come il cemento, non ci sono grande aspettative nel ragazzo. Infatti alla fine tutto converge nel presente (non si scorda, può comperarla, non trova): tra il passato che non c’è più e il futuro che sembra un miraggio, quasi un sogno, rimane la delusione presente (non so perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba). Alla fine quel “chissà come si farà” rappresenta di nuovo un futuro che non lascia sperare niente di buono, la delusione rimane e non si riesce più a vedere una prospettiva di vita.

La linea verde nelle canzoni è il prato: il prato rappresenta sempre la propria casa, l’infanzia, la gioia di giocare con gli amici, il primo amore. Per Celentano è un elemento che contraddistingue la vita di una volta dalla vita di oggi.

Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano

Questa è la storia
di uno di noi,
anche lui nato per caso in via Gluck,
in una casa, fuori città,
gente tranquilla, che lavorava.
Là dove c’era l’erba ora c’è
una città,
e quella casa
in mezzo al verde ormai,
dove sarà?

Questo ragazzo della via Gluck,
si divertiva a giocare con me,
ma un giorno disse,
vado in città,
e lo diceva mentre piangeva,
io gli domando amico,
non sei contento?
Vai finalmente a stare in città.
Là troverai le cose che non hai avuto qui,
potrai lavarti in casa senza andar
giù nel cortile!

Mio caro amico, disse,
qui sono nato,
in questa strada
ora lascio il mio cuore.
Ma come fai a non capire,
è una fortuna, per voi che restate
a piedi nudi a giocare nei prati,
mentre là in centro respiro il cemento.
Ma verrà un giorno che ritornerò
ancora qui
e sentirò l’amico treno
che fischia così,
« wa wa »!

Passano gli anni,
ma otto son lunghi,
però quel ragazzo ne ha fatta di strada,
ma non si scorda la sua prima casa,
ora coi soldi lui può comperarla
torna e non trova gli amici che aveva,
solo case su case,
catrame e cemento.

Là dove c’era l’erba ora c’è
una città,
e quella casa in mezzo al verde ormai
dove sarà.

Ehi, Ehi,
La la la… la la la la la…

Eh no,
non so, non so perché,
perché continuano
a costruire, le case
e non lasciano l’erba
non lasciano l’erba
non lasciano l’erba
non lasciano l’erba

Eh no,
se andiamo avanti così, chissà
come si farà,
chissà…

*****

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Nello stesso anno Giorgio Gaber risponde a Celentano con una canzone che rifà il verso al ragazzo della via Gluck, ne riprende le immagini e la forma quasi di litania. Ma Gaber capovolge il discorso: il ragazzo di Gaber “aspira il cemento”, il cemento è il suo habitat, non potrebbe vivere in un ambiente diverso. La casa dove ha sempre vissuto con la madre rappresenta un elemento di continuità della vita, lui intende sposarsi e continuare a vivere proprio lì: è vero, non è un gran palazzo, è un po’ malandato, ma almeno ha il fitto bloccato, e tutto è pronto per il matrimonio. Improvvisamente arriva “ un tipo astratto con baffi e barba e avviso di sfratto”: quel palazzo malandato va demolito per fare posto ….. ad un prato!

Un mondo alla rovescia, dove butta giù le case di periferia per farci prati, quando dovrebbero buttare giù i palazzi del centro, “quelli sì che disturbano”.

“Qui non si capisce più niente!”: è la frase che si contrappone a “Chissà come si farà”. È una presa di coscienza più legata alla realtà (c’è il presente: non si capisce), si domanda ad un si impersonale il proprio dubbio sulla realtà della vita.

Giorgio Gaber – La risposta al ragazzo della Via Gluck (1966)

Questa è la storia
di un ragazzo che abitava in una strada di periferia
e in fondo un po’ assomiglia al ragazzo della Via Gluck
anche se i suoi problemi … sono un po’ diversi
Era un ragazzo un po’ come tanti
che lavorava, tirava avanti
ed aspettava senza pretese
il suo stipendio a fine mese
la madre a carico, in due locali
mobili usati presi a cambiali (cambiali)
in un palazzo un po’ malandato
servizi in corte, fitto bloccato

Ma quella casa ma quella casa ora non c’è più
ma quella casa ma quella casa l’han buttata giù

Morta la madre rimasto solo
pensa alle nozze e alla morosa che già prepara
il velo da sposa ed il corredo per la sua casa
per quella casa fitto bloccato
tremila al mese spese comprese
lui la guardava tutto contento
ed aspirava l’odor di cemento

Ma quella casa ma quella casa ora non c’è più
ma quella casa ma quella casa l’han buttata giù

Già tutto e pronto
le pubblicazioni il rito in chiesa e i testimoni
quand’ecco arriva un tipo astratto
con baffi e barba e avviso di sfratto
e quel palazzo un po’ malandato
va demolito per farci un prato
il nostro amico la casa perde
per una legge del piano verde

Ma quella casa ma quella casa ora non c’è più
ma quella casa ma quella casa l’han buttata giù

Persa la casa fitto bloccato
la sua morosa l’ha abbandonato
l’amore è bello ma non è tutto
e per sposarsi occorre un tetto
ora quel prato è frequentato
da qualche cane e qualche coppietta (coppietta)
e lui ripensa con gran rimpianto
a quella casa che amava tanto

Ma quella casa ma quella casa ora non c’è più
ma quella casa ma quella casa l’han buttata giù

E’ ora di finirla di buttare giù le case per fare i prati
Cosa ci interessano a noi i prati?
Guarda quello lì doveva sposarsi
Gli han buttato giù la casa non può più sposarsi
Roba da matti
Io non capisco perché non buttano giù i palazzoni del centro
quelli sì che disturbano, mica le case di periferia
mah, i soliti problemi
qui non si capisce più niente


Soltanto 4 anni dopo, nel 1970, ancora Gaber torna con un’altra canzone: Com’è bella la città.

Più che una canzone sembra un “tormentone”: la musica esprime un sentimento di gioia, ma il fatto che 4 strofe vengano ripetute in modo alternato e quasi in modo ossessivo ci fanno percepire in modo chiaro la trasformazione che è avvenuta.

Dalla delusione del prato che non c’è più per lasciare il posto alle case; allo smarrimento per la casa che viene buttata giù per lasciare il posto al prato; all’assuefazione dell’uomo alla vita di città e al suo convincimento che la città è bella.

Come è bella la Città di Giorgio Gaber

Vieni vieni in città
che stai a fare
in campagna
se tu vuoi farti una vita
devi venire in città
com’è bella la città
com’è grande la città
com’è viva la città
com’è allegra la città
piena di strade
e di negozi
e di vetrine
piena di luce
con tanta gente che lavora
con tanta gente che produce
con le reclames sempre più grandi
coi magazzini le scale mobili
coi grattacieli sempre più alti
e tante macchine sempre di più
com’è bella la città
com’è grande la città
com’è viva la città
com’è allegra la città
vieni vieni in città
che stai a fare in campagna
se tu vuoi farti una vita
devi venire in città
com’è bella la città
com’è grande la città
com’è viva la città
com’è allegra la città
piena di strade
e di negozi
e di vetrine
piena di luce
con tanta gente che lavora
con tanta gente che produce
con le reclames
sempre più grandi
coi magazzini
le scale mobili
coi grattacieli
sempre più alti
e tante macchine
sempre di più
com’è bella la città
com’è grande la città
com’è viva la città
com’è allegra la città
vieni vieni in città
che stai a fare in campagna
se tu vuoi farti una vita
devi venire in città
com’è bella la città
com’è grande la città
com’è viva la città
com’è allegra la città
piena di strade
e di negozi
e di vetrine
piena di luce
con tanta gente che lavora
con tanta gente che produce
con le reclames
sempre più grandi
coi magazzini
le scale mobili
coi grattacieli
sempre più alti
e tante macchine
sempre di più
com’è bella la città
com’è grande la città
com’è viva la città
com’è allegra la città
com’è bella la città
com’è grande la città
com’è viva la città
com’è allegra la città
piena di strade
e di negozi
e di vetrine
piena di luce
con tanta gente che lavora
con tanta gente che produce
con le reclames
sempre più grandi
coi magazzini
le scale mobili
coi grattacieli
sempre più alti
e tante macchine
sempre di più
sempre di più
sempre di più
sempre di più

Non si parla più di verde: se vuoi farti una vita devi venire in città, dove di verde non c’è niente. Ci sono tante strade, tanti negozi, tanta gente, tante réclames, tanti grattacieli, tanti magazzini, tante scale mobili, tante macchine.

Questa è la felicità, sembra dirci Gaber tra le righe. Ma lo dice in tono amaro: pensiamo di aver trovato la felicità nella città, in realtà dalla delusione iniziale siamo passati solo all’illusione di qualcosa a cui aggrapparci per non soccombere.

Luisa Tramontana – Docente di lingua italiana Università per stranieri di Perugia – esperta in linguaggi giovanili.

(Pubblicato il 8 gennaio 2013)

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