La polemica di Petrarca e di Hafez contro i dialettici e la falsa scolastica

Un punto saliente in comune nella filosofia e poetica moralistica di Francesco Petrarca e di Hâfez di Shiraz, padri della lirica d’amore occidentale e orientale, si trova nella polemica che fecero contro i dialettici e la falsa scolastica. Accogliamo ben volentieri questo contributo di letteratura comparata di Fatemeh Asgari, docente presso il Dipartimento di Studi italiani dell’Università Statale di Teheran.

Agli amanti di Hafez, il massimo lirico persiano (Shiraz, 1315 –1390), è noto che Hafez adotta un linguaggio mistico molto elaborato e complesso, tanto è vero che esistono diverse interpretazioni, tutte valide, dei componimenti del suo “Canzoniere” (Divan). Un linguaggio altamente mataforico adoperato da lui con un ampio uso del simbolismo poetico medievale. Esso fu una intelligente strategia espressiva addottata da lui per esprimere certi concetti che all’epoca in cui visse lui, quando a causa dei certi fanatismi corrotti e ciechi, non si potevano trattare apertamente certi argomenti. Argomenti che non dovevano essere raccontati al volgo.

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Noi qui, con le parole povere, invece volgarizziamo gli alti e sublimi concetti scritti e elaborati da lui sperando di spiegare bene dove lui si accosta così tanto alla filosofia petrarchesca e alla aulica interpretazione che Petrarca dà dei vari problemi esistenziali che vedono come protagonista l’uomo nell’universo.

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Ma torniamo prima a Petrarca:

Petrarca riassume nel Secretum la propria avversione ai dialettici i quali non sanno dare una vera e giusta definizione di “uomo” nella distanza che corre tra verba e res. Tra il suo sapere e agire. Il maestro di Petrarca, aveva già polemizzato contro chi usava le parole vuote dimenticando l’essenziale. Una polemica, per essere intesi, contro la inutile eloquenza. Anche Petrarca si sofferma sul pericolo di un’eloquenza separata dalla virtù. Infatti la modernità di Petrarca, per dirla meglio con Sapegno[[Al riguardo si veda Natalino SAPEGNO, Emilio CECCHI, Storia della letteratura italiana, Milano, Garzanti, 1965, vol. II: Il Trecento, pag. 258.]], sta proprio anche nella sua polemica contro quei dialettici che indagano sul mistero di Dio, ignorando il dono di “umiltà”. Come sostiene Scanu, Petrarca accusa i “curiositas” di superbia. Egli reagisce contro il degradarsi della teologia a dialettica. Perché la teologia è una disciplina basata sul concetto dell”umiltà”, senza il quale non sarà una scienza al servizio dell’uomo.

L’opposizione di Petrarca contro i dialettici si muove sostanzialmente su tre piani:

Sul piano teologico, cioè contro un’eccessivo sottigliezza logica adoperata dai dialettici nell’esame di argomenti inerenti alla fede. Sul piano morale – per dirla meglio con Scanu – “contro il rischio di relegare la cultura in una sfera separata da quella della vita, quasi che si possa costringere la realtà dentro lo scherma logico della dimostrazione sillogistica”[[Si veda SCANU P., Lo specchio della vera conoscenza. Saggi sul Petrarca filosofo morale. Fabriano, Gribaudo ed.,1993, p. 113 e anche DOTTI U., Petrarca e la scoperta della coscienza moderna, Milano, Feltrinelli, 1978.]]. E sul piano culturale, egli si oppone contro gli scienziati invadenti che pretendono di sapere tutto e in tutti i campi e di sottovalutare la poesia come arte sacra.

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Ora il poeta filosofo Hafez si accosta al Petrarca, nella presa di opposizione contro i falsi curiosi, i falsi eloquenti e coloro che nello studio della teologia non si sono ornati dalla dote di umiltà. Nei ghazal del Divan di Hafez, troviamo molto spesso un gruppo dei personaggi da lui chiamati “ipocriti”. Chi sono gli ipocriti? I commentatori e traduttori italiani della poesia di Hafez hanno scelto intelligentemente la suddetta parola (Mofti in persiano) per indicare coloro che pretendono di scoprire i segreti ed i misteri della fede con la ragione, con la logica ignorando quell’aspetto divino della fede. Infatti all’uomo non è concesso sapere tutto. Si pensi se l’uomo sapesse quando muore, non vivrebbe praticamente come invece vive una vita progettando tante cose semplicemente ignorando la data stabilita della morte secondo la volontà di Dio. Perciò Hafez polemizza contro coloro che disprezzano il poeta in quanto l’uomo di fede interiore, in quanto nei suoi componimenti parla di una Verità che va ascoltata dentro dell’anima.

Egli rimprovera quei teologi ipocriti, e capi religiosi falsi, e coloro che si credono “svegli” (Hoshyar in persiano) mentre in realtà sono in un profondo sonno di ignoranza, e prendono in giro il poeta perché egli si ubriaca del vino mistico della conoscenza chiamandolo “addormentato” (khabide in persiano), “ignaro” (Ghafel in persiano). La poetica di Hafez, l’uomo mistico, denuncia il fatto che non c’è niente di più stolto del vantarsi di un titolo di sapiente conquistato nelle scuole, quando si è così enormemente lontani dalla vera sapienza che è l’amore di Dio. “Particolarmente è accesa la polemica di Hafez contro i teologi e le loro scuole, in perenne lite su questioni e quisquilie infinite, accusati di essere dediti più all’esercizio di una sterile ragione dialettica che non a una religione del cuore”.[[Cfr., Carlo SACCONE, Hafez. Il libro del coppiere, Luni Editrice, Milano-Trento, 1998, p.53.]]

Questo splendido frammento, carico di una profonda sapienzalità esprime bene la polemica hafeziana contro i dialettici:

Scuole di teologi, dispute fra dotti, archi e porticati:

a che pro se il cuore non è sapiente, l’occhio non è veggente?[[Ibid., p. 54.]]

E altrove, egli mette in dubbio l’efficacia del sapere conseguito nelle scuole di teologia, se non corredato da un cuore veggente:

L’eternità sta nel vino, coppiere, a me versane l’ultima goccia:

lassù non fiorita è ardua, non quale a Sciraz riva d’acque.

Di liuti parlatemi solo, parlatemi sono di coppe: il segreto

di questo mondo è un enigma cha mai saprà sciogliere sapienza. [[Si veda Stefano PELLO’, Hafez. Ottanta canzoni, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2008, p. 7.]]

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La polemica petrarchesca contro i dialettici, a sua volta, presenta il carattere etico-religioco e anche lui denuncia (nelle Familiari XVI, 14, 11-12 ), l’arroganza di chi ha conquistato un titolo di “sapienza”, ma non solo riduce la teologia e la filosofia ad un semplice sapere, ma addirittura ad un sapere apparente. Tanta eloquenza, ma niente anima. Ecco perché Petrarca insiste sullo studio dei Padri[[ “Dei Padri della Chiesa, Petrarca aveva una vasta conoscenza, almeno per quanto riguarda quelli latini. Se si eccettua Agostino, però gli altri non fluirono in modo consistente sul suo pensiero. Per S. Ambrogio nutriva un affettuoso interesse, dato il ruolo che aveva svolto nella conversione di Agostino; più volte lo ricorda nelle sue opere anche per la vicinanza della sua casa milanese alla basilica consacrata al Santo. Di Ambrogio conosceva numerosi scritti, in particolare, De officiis ministrorum. Di S. Gerolamo conosceva pure molte opere. Sono numerose le citazioni di Gerolamo che il Petrarca ammirava per il vasto sapere”. Cfr. SCANU, op. cit., p. 112.]].

E in conclusione, sempre nelle epistole Familiari (X, 4) Petrarca definisce la teologia come “poetica de Deo”: la differenza tra teologia e poesia non è di forma, non si trova nell’aspetto formale, ma bensì nel contenuto. La prima tratta di Dio e della divinità, la seconda degli dei e degli uomini. Ma come non avvertire la differenza tra scrivere ornato e armonioso di un S. Bernardo e la prosa asciutta e rigorosa di un testo scolastico?

Perciò, per Petrarca, la dialettica praticata nelle università dispone delle caratteristiche opposte a quelle che contraddistinguono la sapienza cercata dal poeta. Si può infatti essere colti, ma non sapienti. “La differenza è la stessa che c’è tra pensare e agire, tra parlare e vivere, tra sembrare ed essere. Si tratta di un autentico salto di qualità”. La sapienza è dunque una condotta di vita, più ancora che un freddo e scolastico sapere. Ma attenzione, si sta parlando di un sapere orientato alla fede e non di una colta ignoranza. Lo afferma così Petrarca nelle Senili (I, 4).

Nell’ambito del sapere, va comunque riconosciuto un posto debito alla dialettica. Essa – commenta Scanu – stimola l’intelletto, aiuta a indagare la verità e ad evitare gli errori di ragionamento.

Essa è però solo uno strumento, non il fine del sapere. Diventa invece un’arma pericolosa, quando per amore della contesa verbale, fa perdere di vista l’oggetto della ricerca (ciò che rimprovera ai dialettici anche Hafez ) che è la verità[[Ibid., p. 116.]].

Fatemeh Asgari
Università Statale di Teheran

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Fatemeh Asgari Lagorio
Fatemeh Asgari, docente presso l'Università Statale di Teheran e afferente al Dipartimento di Italiano si occupa di studi relativi alla comunicazione della Letteratura e della Tradizione Culturale Italiana nel mondo.

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