Libri: La svolta del Presidente Francesco Cossiga

Presentato alla Maison d’Italie nella Cité Universitaire alle porte di Parigi, il libro-diario del settennato di Cossiga scritto dal suo Consigliere Stampa Ludovico Ortona: un’utile testimonianza per capire uno dei più controversi presidenti della prima repubblica. Quasi un anticipatore, nel bene e nel male, della politica dei nostri giorni.

“Bipolare” è l’atteggiamento di chi si esprime in una maniera e spesso con idee diverse a seconda degli interlocutori e circostanze.

“Bipolare” è stata considerata l’Europa quando era schiacciata tra i blocchi occidentale e sovietico.

“Bipolare” è stata di conseguenza ritenuta anche la politica interna italiana: “O mangi ‘sta minestra di DC e alleati o salti dalla finestra comunista”.

“Bipolare” è divenuto Cossiga Presidente della Repubblica quando, a seguito della perestroika e della caduta del muro di Berlino (1989), è cessato il bipolarismo internazionale.

ortona_cossiga_sm.jpg Così hanno giudicato nel 1990 Montanelli su “Il Giornale” e ora il politologo di “Sciences Po” Marc Lazar, esperto nella Storia moderna europea e in quella italiana e che insegna anche alla LUISS ed è una firma di “La Repubblica”) alla recente presentazione, alla “Maison d’Italie” nella “Cité Universitaire”, del libro “La svolta di Francesco Cossiga, diario del settennato: 1985-92” (ed. Aragno, 2016) , scritto da Ludovico Ortona che fu consigliere stampa dell’allora Presidente.

L’incontro era presieduta dal giornalista e presidente della “Dante Alighieri” parigina, Michele Canonica. Tra i partecipanti: Alessandro Giacone, ricercatore e Maître de conférences dell’Università di Grenoble, formatosi nella prestigiosa “Ecole Normale Supérieure”, ed esperto di storia politica italiana del XX Secolo nonché autore di studi quali: “La fonction présidentielle en Italie (1946-1964)”; “I fratelli Rosselli: l’antifascismo e l’esilio” (con Eric Vial, ed. Carocci, 2011) ; “La France et l’Italie: histoire de deux nations sœurs” (con Gilles Bertrand e Jean-Yves Frétigné, ed. Armand Colin, 2016) e “Il settennato presidenziale di Giovanni Gronchi: 1955-1962” nelle pubblicazioni del Senato (2015).

Gli sconfinamenti di Gronchi dal ruolo di garante della Costituzione al di sopra dei poteri e in particolare di quello esecutivo, quando aveva immaginato l’Europa con la Germania neutrale e il governo italiano con i socialisti per una maggiore distensione, erano stati contenuti dalle personalità di allora al governo e in particolare da Segni Presidente e Saragat Vice Presidente del Consiglio (oltreché leader dei socialdemocratici dopo che questi s’erano scissi dai socialisti a Palazzo Barberini). Figure di garanzia contro i timori dei governi occidentali di sgretolamento dell’Italia dai vincoli con loro.

Gli sconfinamenti di Cossiga invece sono stati d’un ritmo progressivo: 1985: “Lentissimo senza fretta”; 1986: “Largo serioso”; 1987: “Adagio con rigore”; 1988: “Moderato espressivo”; 1989: “Mosso crescendo”; 1990: “Vivace con brio”; 1991: “Presto incalzante” e 1992 “Prestissimo tumultuoso”, che sono i titoli dei capitoli del diario di Ortona. Il quale, diplomatico Consigliere Stampa all’Ambasciata a Washington, era stato da lì chiamato da Cossiga (con cui aveva già lavorato nel 1979 e 80 come membro dell’Ufficio Diplomatico del Presidente del Consiglio) con l’idea iniziale del Presidente per cui era opportuno non affidare più questa funzione al Quirinale ma ad un giornalista: sia per una maggiore distanza dai suoi colleghi interlocutori, sia perché il predecessore, con il Presidente Pertini, non aveva impedito a che questi s’esprimesse al suo posto al di là della discrezione della carica, che dev’essere difesa proprio dalla sua funzione.

In proposito e successivamente Scalfari non solo ha definito Cossiga “picconatore” quando il suo “ritmo” era divenuto eccessivo, ma paragonandone le esternazioni a quelle di Pertini che aggiungeva erano perdonabili per l’età, come se si trattasse di un nonno di tutti un po’emotivo (esemplare la condotta di Pertini in occasione della tragedia del bambino nel pozzo a Vermicino nell’81, o nell’84, alla morte prematura di Enrico Berlinguer).

Il 56enne Cossiga (che era già stato il più giovane Ministro, Presidente del Consiglio e del Senato) è succeduto dunque all’88enne Pertini anche con questa considerazione per rinfrescare il Quirinale. Ma se fin dall’inizio non si è adattato all’austerità del palazzo, solo più tardi si è reso inadatto a quella della funzione.

Nei primi anni di presidenza infatti le manifestazioni della sua personalità (già provata dall’uccisione di Moro nel 78, quando da ministro degli interni e si dimise, e per le false accuse di favoreggiamento del figlio di Donat Cattin, terrorista di Prima Linea, nascostosi in Francia dopo l’assassinio del Magistrato Alessandrini a Milano quando fu tra il 79 e l’80, Presidente del Consiglio) sono rimaste abbastanza contenute all’interno del palazzo: ad esempio come quando ricevendo nell’86 il Segretario di Stato Shultz non aveva a questi consentito di rispondere alla contrarietà da lui lungamente e vivamente manifestata agli attacchi della flotta USA alla Libia in reazione al lancio di missili verso gli aerei americani.

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All’interno del palazzo, inoltre, la sostituzione di Maccanico, offrendogli la presidenza di Mediobanca, con Sergio Berlinguer come Segretario Generale, nonché l’opposizione di Craxi o di altri a nomine o provvedimenti simili o le opposizioni o i favoreggiamenti di altri ancora (De Mita, Forlani, Andreotti e gli altri “big” da Palazzo Chigi e dalla DC) nei pesi e contrappesi delle influenze e dei controlli potevano ancora essere considerati come normali avvicendamenti nel cambio dei vertici.

Perlopiù, Cossiga manifestava il meglio della sua cultura e della verve di gradevole conversatore con le personalità mondiali di primo piano del tempo: parlando in tedesco, nell’86 in Germania con il Presidente Richard von Weizsäcker, stimato per essere arrivato a quella carica (e prima a quella di sindaco di Berlino) dopo le ferite di guerra subite in Prussia orientale, gli studi di storia del diritto a Oxford, Grenoble e Göttingen e la carriera politica nella CDU, e stimato soprattutto per essersi così riscattato dalla figura del padre Ernst, sottosegretario di Ribbentrop al Ministero degli Esteri dove aveva cercato di salvare il salvabile fino a quando nel 43 era stato nominato Ambasciatore al Vaticano e poi nel 47 consegnato agli alleati per essere condannato a una carcerazione di sette anni, amnistiata nel 50 (mori l’anno successivo).

O come più tardi, nel 90, nelle conversazioni gradevoli (in inglese) che ebbe con la Regina Elisabetta, a riprova del suo bipolarismo nel periodo di presidenza “vivace”. O come, infine, in ogni sua conversazione privata anche dopo aver lasciato il Quirinale: compresa quella del 2006 con Giuliano Amato, allora Ministro dell’Interno e autore della prefazione del libro d’Ortona, in cui ricorda che pur essendo allora divenuto un “bersaglio” dell’ex Presidente questi aveva voluto mantenere con lui un rapporto amichevole.

Ancora nel 90, con Mitterrand. Ma con la caduta del muro di Berlino, dell’anno precedente, crolla anche ogni schema geopolitico mondiale, europeo e nazionale, e a quel crollo consegue la “svolta” sia di con una frase attribuita a Mauriac «j’aime tellement l’Allemagne que je préfère qu’il y en ait deux” che ridà alla riconciliazione franco-tedesca (da lui simboleggiata nel mano nella mano con Kohl a Verdun nell’84) la priorità essenziale per l’Europa. Cosi Gorbaciov, Presidente del Soviet Supremo, dopo la ritirata dall’Afghanistan dell’URSS e dopo essere divenuto Presidente di questa che inizia il processo di conciliazione mondiale che lo porterà a ricevere il Nobel per la Pace. Margaret Thatcher (che ha scritto righe di stima per Cossiga nelle sue memorie) inizia il suo tramonto politico, mentre l’Inghilterra rifiuta il sistema monetario europeo. E mentre negli USA George Bush ha iniziato la Presidenza con le conseguenze della “reaganomics” e lo spostamento delle tensioni internazionali in Iraq con la prima guerra del Golfo, con l’invasione del Kuwait, mentre nell’URSS inizia la dissoluzione che porterà alla creazione dei nuovi Stati e che porterà alla Presidenza della Federazione Russa, Boris Eltsin.

Craxi e Cossiga

Cossiga non è più, dunque, il Presidente d’uno Stato rettosi fino ad allora sul bipolarismo tra il blocco atlantico e quello del Patto di Varsavia. Il PCI inizia la propria trasformazione in PDS e alla sigla DC si sostituisce sempre più frequentemente la sigla CAF (Craxi-Andreotti-Forlani) con De Mita antagonista; Mario Segni crea da lì, il proprio movimento per il referendum di modifica della legge elettorale; Leoluca Orlando crea quello proprio de “La Rete” in Sicilia. In quel periodo sorge la Lega Nord e la dissoluzione del sistema porterà successivamente all’assassinio di Falcone e a “mani pulite”.

Con il crollo dei vecchi schemi politici, inizia la rincorsa di tutta una commedia di accuse e controaccuse tra le parti per la difesa o il vano consolidamento delle rispettive posizioni. Riaffiorano, dopo la creazione della Commissione Stragi, le accuse a Cossiga per aver sottovalutato come Presidente del Consiglio nel 1980 la ricostruzione dell’abbattimento dell’aereo a Ustica (nel 2007 egli ha poi dichiarato che è stato un missile della flotta francese). Riaffiorano quelle d’essere stato responsabile, come sottosegretario alla Difesa nel 66, della supervisione di “Gladio”, ossia il movimento pro NATO e anticomunista rimasto nell’ombra fino a quando Andreotti come Presidente del Consiglio nel 90 ne rivela l’esistenza.
E a fronte del subbuglio della DC e dei partiti sempre meno alleati di questa con il venir meno del bipolarismo “est-ovest” a Cossiga non rimane che la disperazione di tentare di rinsaldare giorno per giorno (come dal diario d’Ortona) le crepe quotidiane. E di rinsaldarle notte per notte: scrivendo lettere di volta in volta ai leaders della DC e agli altri al fine di ricomporre quel tanto che è distrutto dai loro giochi interni e che distrugge il funzionamento della maggioranza e dell’esecutivo. La proporzione della lunghezza di queste sue lettere, in confronto per esempio a quelle di risposta di Andreotti, è di 10 a 1.

Idem con le lettere da lui scritte ai giornalisti allo stesso fine, oltrepassando il lavoro di Ortona. Idem, infine, in ogni sua dichiarazione di attacco alle istituzioni: compreso il Consiglio Superiore della Magistratura da lui istituzionalmente presieduto e che minaccia di sciogliere nel 91, quando il Vice Presidente Galloni (con cui le relazioni erano già tese) mette all’ordine del giorno i rapporti tra i capi delle procure e sostituti, e che poi accusa d’eccessiva politicizzazione.

Secondo lo storico Pasquale Chessa che ha scritto la postfazione del libro su Cossiga che conosceva bene, e che ha partecipato alla “Maison d’Italie” alla presentazione di questo, il terremoto politico ha allora fatto saltare il sismografo. Messo in stato d’accusa da una mozione di minoranza in Parlamento nel 91 per avere (tra l’altro) criticato il lavoro della Commissione Stragi, per avere ritenuto legittima Gladio, per avere minacciato il Consiglio Superiore della Magistratura e per il continuo ricorso alla denigrazione, il Presidente nel 92 si dimette, dopo il giudizio d’infondatezza di tutte queste accuse e dopo la sconfitta elettorale del pentapartito: sceglie il 25 aprile, giorno d’anniversario della Resistenza per annunciarlo, dopo che nel precedente discorso televisivo di fine anno aveva preferito essere breve e tacere!

Come allora si diceva “Occhetto ancora per pochetto”, così tutti leaders politici ancora aggrappati al vecchio sistema erano dunque e ancora più velocemente con Tangentopoli destinati a essere sostituiti in parte da quelli della nuova generazione e in parte da quelli che, pur coscienti della necessità delle riforme per rifluidificarne il funzionamento, hanno mantenuto il senso dello Stato alla base della propria condotta.

Con i conti intanto accumulatisi: il successore Scalfaro ha infatti dovuto firmare nel 92 il decreto della manovra di centomila miliardi di lire di Amato da lui nominato Presidente del Consiglio, prima di estrarre dalla Banca d’Italia per questa carica nel 93 Ciampi e farlo così divenire anche più tardi come suo successore l’artefice della stima riconquistata dal Paese.

Ludovico Ortona

A sua volta Napolitano (che s’era dissociato dall’impeachment” del suo partito in Parlamento a Cossiga) non si è dimostrato meno preoccupato di Cossiga sulla mancanza delle riforme, risollecitate ancora nel 2013 nel suo secondo discorso di giuramento davanti alle camere riunite. E infine la competenza costituzionale di Mattarella appare come la migliore garanzia degli equilibri gestiti dal Quirinale.

Ma, come ha osservato Giacone, dopo Einaudi l’insegnamento degli ex Presidenti della Repubblica italiani rimane limitato a poche pubblicazioni rispetto a quelle degli ex Presidenti negli altri Paesi, anche senza arrivare al confronto (anche delle autobiografie) negli USA o in Francia.

Dopo il libro di Paolo Guzzanti “Cossiga, un uomo solo” (Rizzoli, 1991) il diario di Ortona, a maggior distanza di tempo e dunque con una migliore focalizzazione, ne chiarisce dunque ulteriormente la personalità, a tal punto che alla prima presentazione dell’opera fatta al Senato anche da Amato, Chessa, Luigi Zanda, Stefano Folli e Franco Venturini erano presenti le personalità politiche (Napolitano) e i giornalisti di maggior rilievo: compreso Forattini che all’inizio del settennato pensava d’utilizzare poche matite, e dopo “la svolta” ne ha utilizzate parecchie, a riprova ancora una volta non dell’ambiguità ma della frenesia d’un uomo onestamente ossessionato più per il futuro che per il passato del suo Paese: anche successivamente, da Senatore a vita, con i rapporti interrotti con quanto rimaneva ancora della DC (d’altronde lo scopo per cui gli ex Presidenti della Repubblica diventano Senatori a vita in Italia o membri della Corte Costituzionale in Francia è proprio quello di continuare a essere utili allo Stato indipendentemente dai legami politici), e con la stessa frenesia in contrasto con la discreta serenità religiosa per la quale (come accadde dopo le dimissioni) si ritirava per brevi periodi in Irlanda.

Lodovico Luciolli

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Lodovico Luciolli
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