Gli italiani, campioni di allarmismo, e il clima

Quest’estate – estate 2017 – possiamo dire che le eterne lamentele italiane sul caldo torrido, siccità, etc. appaiono purtroppo giustificate. Dovrei però inserire “finora” nella mia frase precedente, perchè il meteo cambia, e la piovosità puo’ all’improvviso rimpiazzare l’aridità e il secco.

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Pur prendendo sul serio, per una volta, il realistico preoccuparsi dei coltivatori sull’attuale grave siccità, oso proporvi questa mia riflessione sull’eterno lamentarsi degli italiani circa il dramma del cambiamento e dell’andamento delle stagioni, cui nel Belpaese la gente non si è ancora abituata…

Gli italiani, indisputati campioni di allarmismo, hanno un rapporto molto intenso con il clima e le stagioni. Rapporto in apparenza drammatico. Ma più spesso tragicomico. All’immancabile caldo estivo qualificato come infernale, mostruoso, africano, sahariano, pazzesco, torrido, rovente, bollente, da bollino rosso o addirittura nero, su cui gli organi d’informazioni, TV in testa, sversano concitati il « si salvi chi può! », subentra immancabile il freddo invernale glaciale, siberiano, polare, pazzesco, che suscita anch’esso allarmi da bollino rosso, e in casi estremi da bollino nero. Apro una parentesi: secondo me, il colore più adatto per questo bollino drammatico da fine del mondo, che meriterebbe di divenire il nuovo simbolo della Repubblica al posto dello Stellone, dovrebbe essere in realtà il marrone. Colore quest’ultimo, in effetti, assai più vicino del rosso al colore del prodotto naturale che, a ogni cambio di stagione, l’apocalisse climatica italiana produce nelle parti più intime dell’abitante medio della penisola.

Ci avrete certamente fatto caso: nello Stivale non esistono più né il temporale né l’acquazzone. Sono stati sostituiti, all’unanimità, dal nubifragio. E se un tempo pioveva a catinelle, oggi al posto di scrosci e rovesci il cielo lancia sugli italiani le « bombe d’acqua ». È una vera guerra insomma. È una sorta di jihad climatica che mira forse all’africanizzazione dell’Italia. L' »anticiclone africano », che grava in maniera ormai permanente sulla penisola, si somma, infatti, all’africanizzazione già in corso con gli sbarchi in provenienza dalla nostra « terza sponda » mediterranea: l’africana.

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Secondo certi dietrologi anti-USA, l’Africa invece non c’entra. Secondo loro, questo clima impazzito è la conseguenza di una « strategia della tensione » atmosferica, non dovuta quindi ai soliti cicloni e anticicloni, ma provocata dalla CIA e dai servizi deviati dello Stato italiano per scopi occulti e attraverso esperimenti climatici, tutti da chiarire.

Occorre a questo punto spiegare, a quei pochi italiani che non lo sapessero perché emigrati in tenera età e mai più rientrati in Italia neppure per una vacanza, che il clima nella penisola è un avvenimento nazionale e non locale. Infatti, mentre qui da noi in Canada ci si preoccupa del freddo o del caldo che si subisce nella precisa località dove si vive, in Italia l’allarme è d’obbligo per qualunque fenomeno meteorologico fuori norma – e l’italiano considera la Natura intera fuori norma – anche se esso si verifica in uno sperduto angolo, contrada, valle o picco alpino della penisola, distante centinaia di chilometri da casa propria. Se sul Monte Bianco in quel momento vi è una temperatura invernale da record, l’allarme raggiungerà anche la Sicilia, dove invece in quell’istante un canadese potrebbe tranquillamente fare il bagno in mare.

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Insomma, dalle Alpi alla Sicilia è tutto un parlare preoccupato sul clima a causa delle temperature « pazzesche » e i record di freddo e di caldo che vengono battuti ininterrottamente nell’ex Belpaese. Un tempo chiamato « Belpaese » senza i sarcasmi odierni, proprio per il suo invidiabile clima.

A battere i record climatici concorrono non solo le temperature reali ma quelle « percepite ». Perché gli italiani sono un popolo che possiede da sempre, e in tutti i campi, un altissimo « indice di percezione » (che gente ignorante e in malafede potrebbe anche chiamare « fattore isterico »). Questo alto indice di percezione si traduce inevitabilmente in un alto indice di « conversazione », e ciò in relazione sia ai fatti di cronaca nera, sia fino a ieri alle vicende da letto di Berlusconi, e sia beninteso in relazione al micidiale clima.

È molto importante per gli italiani, che si trovino in prima linea o nelle retrovie dell’emergenza clima, « portare avanti il discorso ». E anche se con il parlare di strategie non si vince la guerra, come certi esempi del passato purtroppo ci dimostrano, il diarroico sversamento di parole allarmate sul tempo che fa, che ha fatto, e che farà, contribuisce senz’altro a far passare il tempo più in fretta.

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Non deve stupire che questo clima da « si salvi chi può!  » e da « tutti a casa! » – motti « guerrieri » all’italiana evocanti purtroppo le disfatte – sia « gestito » in Italia nientedimeno che dalle forze armate. A lanciare i continui allarmi su questa meteorologia da fine del mondo, è infatti un alto graduato dell’aeronautica militare che intrepidamente non abbandona il suo posto di vedetta, mostrando il suo profilo migliore a riflettori e telecamere, neppure durante gli esodi biblici da bollino rosso o addirittura nero. Gli allarmi sono lanciati sia a ragione dei calori stagionali dell’estate che impazza, sia a causa delle bombe d’acqua che il padreterno non cessa d’inviare agli italiani in ogni stagione e in ogni angolo della penisola. Roma inclusa nonostante la presenza sugli spalti vaticani di papa Francesco.

Sì, proprio così: l’Italia è l’unico paese al mondo dove le previsioni del tempo sono fatte in TV non da un semplice annunciatore ma dall’esponente di un corpo militare. Ed è giusto che sia così, perché le stagioni per gli italiani sono un’autentica emergenza. Il che però certamente genera invidie e gelosie presso gli altri corpi della nostra armatissima Italia.

« Tutti a casa! » è il grido che il colonnello dell’aeronautica di turno lancia impavido, in alta uniforme, all’armata Brancaleone che prende d’assalto le località di villeggiatura congestionando e paralizzando la rete autostradale. E ciò durante tutta l’estate, e soprattutto durante i lunghi ponti, e con un picco drammatico a Ferragosto. Festa pagana celebrata dagli italiani ancora più dello stesso Natale. Mentre il resto del mondo vergognosamente ignora i sacri riti da lemuri che gli italiani – finalmente incolonnati – seguono, fradici di sudore e con una determinazione alla Sisifo, nel fatidico periodo di Ferragosto.

Intanto gli incendi dolosi estivi, molto numerosi nella penisola, avvampano quasi indisturbati o inutilmente combattuti qua e là dai Canadair. Gli aerei dell’Alitalia stentano invece a decollare perché insidiati, al suolo, da inefficienze, deficit e scioperi, e fino a non molto tempo fa anche dalle fiamme che paralizzavano, quasi con regolarità svizzera, l’aeroporto di Fiumicino.

Intanto, sulle coste siciliane, sia d’estate che d’inverno a migliaia sbarcano nell’Italia di Tangentopoli, di Gomorra e di « Mafia-capitale » atletici africani in fuga da paesi corrotti, e – poveri illusi! – in cerca di un clima migliore.

Claudio Antonelli (Montréal)

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Claudio Antonelli
Claudio Antonelli (cognome originario: Antonaz) è nato a Pisino (Istria), ha trascorso la giovinezza a Napoli, oggi vive a Montréal (Québec, Canada). Bibliotecario, docente, ricercatore, giornalista-scrittore, è in possesso di diverse lauree in Italia e in Canada. Osservatore attento e appassionato dei legami che intercorrono tra la terra di appartenenza e l’identità dell’individuo e dei gruppi, è autore di innumerevoli articoli e di diversi libri sulle comunità di espatriati, sul multiculturalismo, sul mosaico canadese, sul mito dell’America, su Elio Vittorini, sulla lingua italiana, sulla fedeltà alle origini e la realtà dei Giuliano-Dalmati in Canada, sull’identità e l’appartenenza...

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