Elezioni in Francia e in Italia : Sapore d’Europa.

Macron vince, May sostanzialmente perde, Grillo perde e il PD e la destra di Berlusconi e Salvini uniti vincono. Cosa succede? Da diverse elezioni si assiste alla sconfitta dei populismi e al successo dei partiti europeisti. Forse, e sottolineo forse, anni di rabbia e paura tradotti nello sterile consenso a forze populiste, alla fine hanno portato i cittadini di tanta Europa a cercare delle soluzioni concrete per il proprio malessere e a ricredersi anche sulla validità ed utilità dell’antieuropeismo.

Un indizio non fa prova ma quando gli indizi sono due e poi più, beh, qualcosa vorrà dire. Nella stessa Domenica di giugno, mentre Macron e il suo En Marche dominavano le elezioni legislative, arrivando ad una maggioranza assoluta che, per proporzioni, non ha paragone nella storia della V Repubblica francese, nelle amministrative in Italia, che coinvolgevano più di nove milioni di elettori per il rinnovo di numerosi comuni, alcuni capoluoghi di regione o provincia, si assisteva alla fine, forse momentanea, del tripolarismo, con il successo del PD e soprattutto della destra, che in questa occasione sembra ritrovare la verve di un tempo, e al sostanziale flop dei populisti di M5S.

Se si aggiungono a questo i successi dei liberali in Olanda e dei verdi ed europeisti in Austria, con i conseguenti smacchi dei populismi locali, e la défaillance enorme del FN di Le Pen in Francia, e giusto per completare il quadro, la sostanziosa perdita di consensi dei conservatori pro-Brexit in Gran Bretagna con addirittura la scomparsa degli UKIP di Farage, che di quella Brexit fu il primo promotore, e da ultimo azzardiamo la più che probabile vittoria a settembre della Merkel in Germania, ecco che l’insieme degli indizi, tutti univoci e in buona misura concordanti ci inducono ad arrivare, con le cautele del caso, a qualche conclusione, almeno sul passaggio attuale della nostra politica italiana ed europea.

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Certo bisogna davvero evitare di mettere insieme elezioni diverse e paesi diversi che vivono dei loro specifici che solo parzialmente possono essere paragonabili fra loro.

Tuttavia, dal succo di queste vicende possiamo trarre qualche considerazione.

La prima è sull’affidabilità delle forze populiste come forze di governo. La sensazione è che pur nelle loro diversità l’UKIP in Inghilterra, M5S che ci fa gruppo nel Parlamento europeo o la Lega in Italia con l’alleato FN in Francia, come i partiti anti-immigrati in Austria od Olanda, appaiono forze capaci di conquistare voti su due sentimenti. Da un lato la rabbia o se preferite la protesta, di diverse tipologie di cittadini che di volta in volta esprimono la loro collera per le proprie condizioni di lavoro o di non lavoro, per le periferie urbane poco vivibili, gli insegnati sempre scontenti delle riforme scolastiche, i pensionati che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, ecc., ecc., in una catena di particolarismi che difficilmente riescono ad essere assemblati (si pensi ai taxisti e la loro querelle con UBER) in un unico progetto riformatore capace di allietare tutti.

L’altro filone è quello della paura. Paura del migrante, del diverso, paura in Italia dei vaccini (davvero irrazionale), paura della globalizzazione in genere, paura del futuro (veniamo da una lunga e devastante crisi economica mondiale). Anche le paure rispondono sia ad un tema generale ed esistenziale, sia ad uno specifico che è delle singole categorie di persone se non addirittura riconducibili ad una condizione anche qui particolare ed individuale.

Il populismo sulla rabbia e la paura raccoglie, miete, molti consensi. La somma di queste genera diffidenza, sfiducia, impotenza e quindi il desiderio di farsi popolo dietro ad un uomo guida, che ci traghetti su rive meno perigliose, un “che faccia lui che ne ha il coraggio” (e questa è l’essenza del populismo).

Il punto è che la collera, il timore, l’angoscia, con il loro portato di proteste, sfiducia, diffidenza, non generano programmi, non si traducono in atti concreti, magari positivi e pragmatici. Insomma, non dà soluzioni ma solo disperazione. Questo è stato compreso dai popoli europei e da quello italiano in queste tornate elezioni, per cui alla resa dei conti, probabilmente in molti, è subentrata quella che potremmo definire: “La paura delle paure” ovvero la percezione del rischio che, insistendo nel penalizzare la politica a vantaggio dell’anti-politica (la sintesi ci obbliga a non essere più precisi), si rischiasse un vero e proprio salto nel vuoto.

E’ evidente quindi che il voto italiano non è più una delega in bianco. E se i grillini tornano buoni per esprimere un voto di protesta, contro il sistema, contro la politica, ecco che non appaiono affidabili per governare. Il perché è semplice e complesso allo stesso tempo. Tuttavia si puo’ dire che non sono sembrati affidabili sul piano della democrazia (almeno interna), che non sembrano immuni da magagne giudiziarie, quasi tutti i comuni da loro amministrati ne hanno, non appare chiaro il loro progetto politico (che si potrebbe riassumere nel fantomatico reddito di cittadinanza), non sono sembrati capaci di amministrare, specie a Roma, dove la Raggi è ormai una vera e propria spina nel fianco di Grillo e del suo movimento. Né regge l’esempio positivo dell’Appendino a Torino (la meno grillina dei grillini, per aplomb, per senso della politica, mediatrice in un luogo dove la mediazione è una bestemmia) la quale si è trovata ad amministrare una città che certamente non presentava i problemi della capitale.

Diverso in Francia, dove Macron, al contrario, ha saputo creare un “movimento” nuovo, capace di cogliere l’istanza di rinnovamento dei francesi, e grazie ad un sistema elettorale e parlamentare diverso dal nostro potrà portare tutte quelle riforme che i suoi predecessori, per “quieto vivere”, avevano evitate. Macron si ritrova nelle condizioni di Renzi nel 2013, con la differenza di avere le mani libere, cosa che non ha avuto l’ex sindaco fiorentino, che alla fine ha depauperato parte del suo tesoro di consensi, cercando la mediazione per dare risposte positive (dal suo punto di vista) al supremo interesse nazionale in un momento in cui la crisi mordeva.

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Entrambi nuovi e pertanto antisistema, rottamatori di un sistema del secolo scorso che ormai appare superato dalla storia. Ma il primo non trova e non puo’ che trovare solo un’opposizione di piazza, il secondo ha dovuto vedersi da quella e anche da due defatiganti opere di guerriglia: una parlamentare, l’altra, durata quattro anni, interna al suo stesso partito. Una cosa che avrebbe ammazzato collaudati politici e che certamente ha segnato il giovane Renzi, che da quegli anni dovrebbe trarre insegnamento.

La seconda considerazione è che il cambiamento del vento indica che i vincitori di queste tornate elettorali sono tutti europeisti, un segnale indizio che forse la moda dell’antieuropeismo inizia a declinare. Un buon segno, che deve far riflettere specialmente la destra italiana (forse ancora più vincitore del PD in queste amministrative di giugno).

La destra unita è una forza che puo’ raccogliere molti consensi e ne raccoglie in sede locale, ma se retta su un programma credibile potrebbe essere capace di lanciare il suo assalto al cielo. Ma il programma non è la sola cosa.

Occorre un leader nuovo, probabilmente un sistema elettorale che non sia proporzionale (ma questo è un tema minore), occorre che aggreghi delle forze omogenee. In tal senso si deve guardare alle prossime mosse della Lega di Salvini. Il 2017 sta insegnando, come detto, che l’antieuropeismo non è percepito in molti paesi del continente, tra cui sono convinto l’Italia, come credibile. E’ vero il tema che l’Europa deve cambiare e diventare davvero più vicina ai cittadini, il come è, e sarà, tema del dibattito politico non solo italiano e c’è da sperare anche nell’entusiasmo di Macron. Ma la Lega dovrebbe cogliere l’occasione per rimeditare sul suo antieuropeismo lepeniano che non produce né consensi, né buoni frutti. Una revisione di quel progetto, possibile negli anni post-ideologici della liquidità politica, riavvicinerebbe Salvini a Berlusconi, e, dal loro punto di vista, questo potrebbe rendere la destra meno zoppa.

Certo al contempo il Cavaliere dovrebbe riflettere sulla richiesta di primarie. E’ ancora credibile che alla sua veneranda età, faccia ancora il leader di una coalizione di partiti? O forse è l’ora di passare la mano? Sarebbe questo scambio: Europa per primarie, credo utile ad entrambi gli interlocutori, altrimenti il miracolo di queste amministrative, per la destra difficilmente potrà ripetersi in chiave nazionale.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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