Culicchia: Mi sono perso in un luogo comune.

Gli italiani, sempre più irrazionali, sembrano ormai vivere e parlare solo di e per luoghi comuni. Frasi fatte che fotografano non solo la cultura itaiana, ma anche il loro linguaggio, il loro modo spesso di vedere e di pensare. Con questo libro, divertentissimo, Culicchia ci offre un vero dizionario per comprendere l’Italia di oggi al tempo della globalizzazione. Tra internet ed informazione tradizionale. Ne esce un campionario utilissimo per capire chi siamo oggi, quali sono le nostre contraddizioni e le nostre responsabilità e irresponsabilità. Un modo per capire anche le mille difficoltà di un paese giovane e che non si puo’ definire “normale” chiuso nei suoi luoghi comuni tra verità e pregiudizio.

Anche se è appena uscito il nuovo romanzo di Giuseppe Culicchia (“Essere Nanni Moretti”, ed. Mondadori), parleremo della sua opera precedente il divertentissimo: Mi sono perso in un luogo comune. Con sottotitolo: Dizionario della nostra stupidità. (Einaudi 2016).

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Culicchia si puo’ dire che è un italiano vero e non tanto e non solo perché è un torinese figlio di migranti (come direbbe lui) che ama il meridione parlandone tanto anche nei suoi numerosi libri, ma perché dagli anni novanta in poi è stato il narratore di un Paese che cambiava, che, uscito dalla prima repubblica, entrava nel cuore dell’evoluzioni mondiali, là dove la vita e non solo la politica diventava sempre più spettacolo e paranoia, spesso svuotato dai consolidati costumi e tradizioni. Libri come: “Tutti giù per terra” (da cui fu tratto un ottimo film), o “Liberi tutti, quasi”. “Ba-da-bum!” per citarne alcuni.

Già dagli esempi fatti emerge la giocosità della scrittura di Culicchia, un autore che fa riflettere senza mai prendersi sul serio, che punge sui mille difetti italici senza mai fare del moralismo, senza mai ergersi, pur essendo professore, a maestro di vita.
Una dote rara in un mondo che fa di tutto e delle nostre stesse modeste vite, qualcosa di spettacolare e drammatico. Dove ogni news, se non è fake, assume il carattere dell’apocalittico se negativa, del meraviglioso se positiva, mentre più banalmente in altri tempi, più moderati, non sarebbe stata nemmeno pubblicata sui giornali. Insomma la cronaca del nostro tempo scandita da continui aggettivi e sempre scritti e declamati al superlativo.

Gli italiani, che furono ben rappresentati da Sordi, hanno oggi come ieri, accanto ad indubbie qualità, una propensione alla cialtroneria, al teatro, all’esibizione, alla drammatizzazione, alla furbizia e non è un caso che proprio da noi possa prendere più piede il populismo, e le loro proposte shock, se non sciocche. Un paese che chiede ed implora legalità ma che ha il record mondiale di evasione fiscale, che si picca di essere accorto e che in ogni settore fa sprechi, che odia i privilegi altrui, ma che darebbe la vita per conservare i propri, che chiede più merito salvo poi a correre per avere una raccomandazione. Forse anche questi sono luoghi comuni, ma è chiaro che nella “vox populi, vox dei” c’è sempre qualcosa di vero che va magari filtrato, evidenziato per sottrarsi ad una interpretazione di noi, che ci tolga ogni speranza.

Culicchia con questo suo “dizionario della nostra stupidità” disegna un percorso ironico ed impietoso sull’Italia di oggi. Leggerlo significa confrontarsi con la propria coscienza e sia chiaro l’autore non fa sconti nemmeno a se stesso, non rinunciando con ironia, a volte, a dire la sua, su temi e idee.

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Un libro di facile lettura, un vocabolario dei luoghi comuni del nostro tempo, della nostra informazione, della nostra politica. Un vocabolario di frasi fatte con richiami tra termini e motti capaci di costruire una sciarada di percorsi in cui ognuno di noi ci si potrà ritrovare e rappresentare.

Il libro tascabile racchiude numerosissime parole ed espressioni, alcune delle quali nuovissime e che danno il senso della nostra evoluzione/involuzione. Attraverso di esso, ed è l’altro merito di Culicchia, ci viene offerta anche la possibilità di confrontarci con il nostro recente passato dalla dittatura fascista al sessantotto, dall’emigrazione all’immigrazione. Un campionario dei limiti e difetti di noi italiani, da sempre provinciali, direi fieramente provinciali, sempre pronti alla critica, verso gli altri, e alla giustificazione, di noi stessi.

Certamente dietro la scrittura ludica di Culicchia non ci voleva essere nessun intento pedagogico e tuttavia, se lo si legge con spirito aperto, questo libro puo’ renderci più consapevoli di come spesso la ragione dei nostri “guai” è da rintracciarsi in noi stessi (gli italiani sono la rovina dell’Italia – altro luogo comune).

Culicchia gioca e si mette in gioco. Ma se alla fine si ragione sulla globalità di queste 230 pagine si capiscono molte più cose su di noi. Su di un paese che chiede il cambiamento, ma poi lo rifiuta. Che chiede più Stato, ma che allo stesso tempo non ha il senso del collettivo, che ha bisogno di terremoti per ritrovarsi solidale. Che chiede coscienza ma che continua spesso e volentieri ad essere incosciente.

Tanti luoghi comuni, frasi fatte che hanno prodotto semplificazioni e banalizzazioni, plastismi che riducono le ricche potenzialità della nostra lingua, e si sa, lo diceva anche Nanni Moretti, occorrerebbe rinunciare alle frasi fatte perché: “per pensare bene occorre parlare bene”.

Da questo dizionario della stupidità italiana abbiamo tirato fuori, un po’ a caso e non in ordine alfabetico, alcuni esempi gustosi, ma ve ne sono tantissimi e tutti interessanti. Ecco la nostra personalissima scelta.

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Intellettuali : Frequentano i salotti. Sempre di Sinistra. Sempre snob. Sempre antipatici. Sempre a spiegare perché la sinistra perde le elezioni. Se la tirano. Citare, appena possibile, la frase sugli intellettuali e la pistola attribuendola a Joseph Goebbels, anche se non è sua. Chiedersi che fine abbiano fatto. Concludere che si sono estinti sul lido di Ostia. Brigare per una rubrica o un posto da direttore di un Istituto italiano di Cultura o almeno una cattedra da preside. In mancanza di, inventarsene una.

Fallaci: La si usa in caso di attentati compiuti da terroristi arabi. Definirla “la Cassandra dell’informazione”. Inveire contro chi inveisce contro. Vedi arabi. Vedi Parigi.

Parigi: La Villa Lumiere. E’ molto cara ma vale sempre la pena di una messa o di un viaggio. Occorre dire di essere stati al Louvre. Rimarcare di quanto si è rimasti delusi per la dimensione della Gioconda. Luogo ideale per iniziare una storia romantica. Ma da ultimo, per realizzare una serie di attentati. Vedi arabi.

Cina: Luogo di origine di ogni prodotto. Se una cosa non funziona o si rompe, scuotere la testa e borbottare: “E ti credo, è made in China”. Vedi cinesi.

Calabresi: Tutti affiliati alla ‘Ndrangheta. Vedi Napoletani. Vedi Pugliesi. Vedi Siciliani.

Bibi: si accompagna spesso a Bibo’. Vedi Bibo’.

Bibo’: Si accompagna spesso a Bibi. Vedi Bibi.

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Sessantottini: Oggi quasi tutti avvocati, notai, direttori di testate giornalistiche, o in generale professionisti. Vedi Mitici.

Mitici: Lo sono gli anni sessanta e in particolare il Sessantotto. E’ più forte di me ma ammetto che i sessantottini non li ho mai sopportati. Sarà che facevano la rivoluzione a parole sapendo di poter contare sullo studio di papà. Sarà che poi sono riusciti a portare le loro fantasie al potere. Sarà che le loro fantasie erano fantasie di potere. Sarà che una volta arrivati al potere si sono divorati il futuro dei loro figli e nipoti. Sarà che non paghi, ancora oggi continuano a pontificare. Sarà che della classe operaia si riempivano la bocca perché andava di moda e serviva a rimorchiare mentre in realtà degli operai in carne ed ossa non gliene fregava un cazzo. Sarà.

Cazzo: Lo si trova spesso in compagnia della figa, per esempio nell’espressione: “Cazzo che figa!” Vedi Figa.

Figa: Lo si trova spesso in compagnia del cazzo, per esempio nell’espressione: “Cazzo che figa!” Vedi Cazzo.

Filo: Sempre rosso, alla pari del tappeto.

Firenze: pullula di giapponesi. Citare il Mostro. Citare l’ex sindaco poi diventato premier. Aggiungere: “Adesso è piena di cinesi”.

Svizzeri: Se non lavorano in banca, fabbricano coltellini o mangiano cioccolata. Sono puntuali. Sono noiosi. Si annoiano. Sono privi di fantasia. Chiedersi se tutto cio’ non abbia qualcosa a che fare con la loro puntualità.

Tasse: Evaderle con ogni mezzo, qualora se ne abbia la possibilità, aiuta a non sentirsi cretini.

Teatrino: Della politica. Dire sempre: “Per quanto ci riguarda siamo estranei al teatrino della politica”.

Tonni: Contengono mercurio. Stigmatizzare l’uso della mattanza che si pratica a Favignana. Fare in modo di andare a Favignana nel periodo giusto per assistervi. Se si è intellettuali citare il caso della tonnara di Scopello. Divorarne grossi quantitativi. Io, specie d’estate potrei vivere solo di panini imbottiti di tonno e pomodoro. Anche per questo ho sempre evitato di andare a Favignana durante la mattanza.

Uber: Un tempo nella forma con la dieresi, era seguito da “Alles”, e metteva in ansia tutti i Paesi confinanti con la Germania. Ora mette in ansia i taxisti e i loro famigliari.

Uomo forte: Lo anelano e lo plaudono gli italiani. Poi lo fucilano, ne oltraggiano il cadavere e lo impiccano a testa in giù. Vedi Italiani.

Italiani: Brava gente. La rovina dell’Italia. Maestri nell’arte di arrangiarsi. Pizza e mandolino. Un popolo di sarti, cuochi e calciatori. Elogiarne la creatività, sorvolando sul resto. Citare Mussolini: “ Governare gli italiani non è difficile, è inutile”. Citare anche Churchill: “ Bizzarro popolo, gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno dopo 45 milioni di antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti”.

Uomini: In quanto donne rimpiangere quelli di un tempo con un laconico: “Di veri non ne esistono più”. Disprezzarli perché pensano solo al sesso. Lamentarsi di loro perché non ne fanno abbastanza con la lamentante.

Vicini: Sempre normali, specie quando commettono una strage. Vedi stragi.

Catastrofe: Sempre imminente. Poi si scopre che, in quanto annunciata, era evitabile.

Futuristi: Equipararli ai fascisti. Guardare con sospetto chi afferma di amarli. Se si afferma di amarli, specificare che ci si riferisce ai russi. Citare Majakovskij. E i Righeira al festival di Sanremo.

Gonfiate: lo sono le fatture ma anche le cifre, almeno quando si tratta di dati economici e manifestazioni di piazza.

Grecia: Secondo Hitler, ma non solo, la culla della civiltà occidentale. Paventare di fare la stessa fine della. Andarci in vacanza sperando di poter prelevare col bancomat.

Immigrati: Chiamarli “migranti”. Vanno espulsi. Costituiscono una grande risorsa. Ci rubano il lavoro. Fanno lavori che nessun italiano fa più. Tra di essi si celano terroristi. Fuggono dai conflitti scatenati da chi arma i terroristi. Dire sempre: “Io non ho niente contro gli immigrati, pero’…” Vedi Africa. Vedi buonismo. Vedi Arabi. Vedi carretta. Vedi clandestini. Vedi migranti.

Vacanze: Sempre da incubo. Tuttavia bisogna assolutamente farle. Anche a costo di dover richiedere un mutuo. Al ritorno dire a tutti che si è trattato di vacanze splendide, ma ammettere che ci vorrebbe una vacanza per riprendervi dalla vacanza. Informarsi su quelle altrui. Nascondere eventuali attacchi d’invidia. Le fanno i vacanzieri, detti anche il popolo delle. Vedi Incubo.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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