Perchè far vincere solo Macron? Col proporzionale vinceranno tutti.

Lo sanno anche i gatti. (A parte che al giorno d’oggi ci sono dei gatti informatissimi, roba da non credere). In Francia, le elezioni presidenziali del 2017 le ha vinte Emmanuel Macron. Cosa ho detto? “Ha vinto”? Un po’ di tempo fa, poco prima del referendum del dicembre 2016 sulla riforma istituzionale, Gustavo Zagrebelsky, bravo e celebre giurista, aveva criticato l’uso di questo termine. In politica, diceva, non si vince. Semmai, “chi riceve più voti viene incaricato del compito gravoso da chi l’ha votato di amministrare questo Paese”.

Zagrebelsky è un uomo colto e intelligente, grande lettore di Dostoevskij. E ci dice una cosa interessante: non è mica una gara sportiva, la politica. No: non lo è. Il referendum aveva poi bocciato (lo sapete, lo sappiamo) la riforma, e nelle settimane successive Zagrebelsky aveva scritto un articolo sul quotidiano Repubblica (che poi lo sanno anche i gatti, in questo caso almeno i gatti italiani di ceto medio riflessivo, che Repubblica è un quotidiano. Perché mai io mi senta in dovere di specificarlo, è un mistero). Nell’articolo cantava le lodi del sistema elettorale proporzionale, “l’unico sistema imparziale in un contesto politico non bipolare come è quello attuale”. Ma la governabilità? La governabilità la deve assicurare chi governa, rispondeva: “governare è dei governanti”.

Gustavo Zagrebelski

Ora, considerate, nell’ordine, la nostra semenza e la mia scemenza. Zagrebelsky è chiaramente un grande giurista, io in confronto a lui sono un asinone. Lo dico sul serio. Senza offesa né per i grandi giuristi né per gli asini. Perché a me Zagrebelsky piace, mi piace il suo modo di parlare, mi piace la lentezza profonda del suo ragionamento. Però, nonostante tutto, da asino qual sono e fui, mi viene voglia di fare un esercizio.

Prendiamo queste elezioni in cui alla fine Macron ha vinto, anzi avuto il gravoso compito….. etc. Il sistema francese è semi-presidenziale, il presidente è eletto a suffragio universale (cioè lo votano tutti. Cani e porci, per utilizzare l’espressione comune. Tutti tranne me. Io non sono né cane né porco. Perché pur abitando qui non ho la nazionalità, sono italiano e basta. Quindi altro che no taxation without representation, come dicevano gli americani! C’ho la taxation, e Dio solo sa quanta; la representation invece no. Per amore della verità preciso che voto alle municipali in quanto residente, quello sì).

Comunque sia, prendiamo queste elezioni e facciamo finta che il sistema francese sia basato su legge elettorale proporzionale. Come è e sarà, de facto o de jure, in Italia, tra una riforma mancata e l’altra; come si sta ormai definendo in questi giorni in accordo tra le principali forze politiche e come Zagrebelsky e altri giudicano giusto e indispensabile. E applichiamo i risultati su questo sistema. Certo, in questo caso si sceglievano i candidati, mentre in un’elezione legislativa, tanto più su base proporzionale, si votano i partiti.

Quindi i risultati finali, secondo il tipo di elezione, potrebbero essere diversi (ad esempio, certi partiti giovano di un radicamento locale, regionale che invece non produce i suoi risultati nel caso di elezione orientata verso candidati nazionali). Lo so anche io che sono scemo; figuratevi Zagrebelsky. Però l’ipotesi che i risultati del primo turno (quello in cui si sono presentati tutti i candidati) siano poi non tanto dissimili da quelli che si sarebbero ottenuti in una consultazione proporzionale, questa ipotesi dicevo non è mica così campata in aria.

E facciamo finta che sulla base di tali risultati si debba poi formare una maggioranza e un governo. Madamina, il catalogo è questo: Emmanuel Macron con “En marche” (tradurrei: “gambe in spalla”) 24%. Marine Le Pen, Front National (in italiano: “non-sono-razzista-ma”), 21,3%. François Fillon, con Les Républicains, 20%. Jean Luc Mélanchon, con la France Insoumise, 19,6%. Benoit Hamon con il Parti Socialiste (almeno: lui era rimasto con molto scrupolo a far la guardia al portone del Parti Socialiste, solo che dentro non c’era più nessuno, erano già usciti tutti a cercare dove sistemarsi), Benoit Hamon con il PS dicevo al 6,36%. Nicola Dupont-Aignan (quanti nomi) con Debout la France (in italiano: imputata Francia, alzatevi!), al 4,7%. Poi Jean Lassale, con “Résistons”, all’1,2% (in italiano: “hanno resistito in pochini”). Philippe Poutou del Nouveau Parti Anticapitaliste (partito con margini di miglioramento nella capacità propositiva, a giudicare dal nome) 1,09%. François Asselineau (coraggio, abbiamo quasi finito) dell’Union Populaire Républicaine, 0,92%. Ne restano due: Nathalie Artaud di Lutte Ouvrière con 0,64%, e Jacques Cheminade (Solidarité et progrès. Nel programma, la colonizzazione di Marte. Giuro, non è una scemenza che mi sono inventato io), con lo 0,18% (in pratica, la famiglia stretta).

Ecco. Tanti candidati. Forte rappresentatività. Sei marxista-leninista? Voti Nathalie Artaud. Non sei razzista ma? Voti Le Pen. Sei liberal-democratico ottimista un po’ progressista (senza esagerare) e ti piace far attenzione nel vestire (anche qui senza esagerare)? Voti Macron. Ti senti veramente molto stanco? Voti Hamon (scherzo, eh. Compagni socialisti, un po’ di senso dell’umorismo). Sei incazzato nero e tutto questo non lo sopporterai più? Voti Mélanchon. Una ragione per votare Fillon non l’ho trovata. Eppure mi sono sforzato, giuro. Ah ecco: hai un coniuge che ciabatta per casa e dici “almeno potrebbe contribuire un po’ al bilancio familiare”? Voti Fillon.

Insomma, l’offerta politica c’è. Se uno dice che non sa per chi votare (e più del 20% dell’elettorato si è astenuto), vuol dire che è incontentabile.

Estrema sinistra, estrema destra, socialisti democratici, liberal-democratici, destra liberal-borghese, aspiranti colonizzatori di Marte. Insomma, ogni cittadino può dire: io mi sento rappresentato. (Tutti tranne me. Perché io non voto, io per lo stato francese non sono né cane né porco, sono buono solo per pagare le tasse. Uffa). Quindi in questo sistema la benedetta rappresentanza c’è.

Ora passiamo alla governabilità. Chi governa? Ci vuole la maggioranza, cioè il 50% più uno (e sperare che quell’uno, sia di costituzione sana e robusta e non si ammali). La sinistra? Mélanchon ci mette il suo quasi 20%. Solo che alla sua destra il suo vicino più prossimo, Hamon, ha solo il 6. Se non può governare la sinistra (dice il saggio), potrà governare la destra? La Marine “io-non-sono-razzista-ma” ci mette il suo quasi 22 a cui si aggiunge un 5 di Dupon-Aignan (“io-non-sono-Marine-ma”), e siamo al 27%. E dove ci vai al giorno d’oggi con il 27%?

Da nessuna parte. Se sinistra e destra non possono governare, allora (dice il saggio) potrà il centro? Macron. Del resto, Macron è sempre perfetto in ogni circostanza, sempre uscito dalla doccia con bagnoschiuma energizzante, con camice stirate in modo impressionante. Vestiti di taglio impeccabile, non eccessivo, di sobria eleganza (tra l’altro, vi svelo un segreto. Ci serviamo nello stesso negozio. Vi piacerebbe sapere dove, eh? Parliamone. Tra persone ragionevoli, un accordo si trova sempre. Prezzi buoni, dico sul serio. Tagli moderni, macroniani, aderenti, snelli. Ritocchi compresi nel prezzo. Se interessati, citofonatemi in privato).

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Vuoi che uno così non riesca ad avere la maggioranza? Ci mette il 24%, che è tanto. E poi? Se sposta il suo baricentro verso destra e si mette con i Repubblicani che hanno il 19, si arriva al 43 (a parte che uno che ha votato Macron, magari lo ha fatto perché non era d’accordo con i repubblicani, quindi gli scoccia ritrovarseli tutti belli freschi in maggioranza). Tanto, ma non basta. E poi? Come fa ad arrivare al 50% più uno? È un casino. Politicamente parlando. Quale sarebbe quindi il risultato? Un esecutivo debolissimo (e ricordo che nel nostro giochino, per ricondurci al sistema italiano, siamo in regime bicamerale paritario, quindi la fiducia ti ci vuole nelle due camere, e per carità di Dio almeno in questa simulazione possiamo assumere che siano composte in modo identico, cosa non vera in Italia).

Posti di governo e sottogoverno distribuiti tra le varie formazioni, con il famoso bilancino (all’uopo possiamo tradurre in francese il manuale Cencelli). Nasce il giornale “Le Fait Quotidien” (Marc Travail il direttore), che grida: inciuciò con l’accento sulla ò, vergogna, governo delle banche non eletto, il primo ministro chi l’ha votato? L’ha scelto la Banca centrale Europea, l’ha scelto Giorgio Napolitano, la Merkel, Mandrake, è un colpo di stato, è la dittatura. E si comincia a reclamare il diritto di tornare alle urne, “lasciateci votare”! Per poi ripetere, secondo la previsione di Schopenhauer, eternamente e fatalmente (e stancamente) la stessa vicenda.

Vabbé, era un gioco – non era un fuoco, dice la canzone. Ma la sostanza resta; in uno scenario del genere, la formazione di una maggioranza, e di un governo, sarebbe cosa ardua; nessuno avrebbe vinto, nessuno davvero perso. I francesi hanno preferito una soluzione diversa. Fanno un secondo turno e (orrore!) alla fine sanno persino chi è stato eletto presidente. Siccome (da Montesquieu in poi) hanno a cuore la divisione dei poteri, per non dare la Francia chiavi in mano a colui che ha vinto, scusate, a colui che ha avuto il gravoso compito etc., ecco, dopo un mesetto eleggono l’Assemblea Nazionale (unica camera a dare la fiducia al governo. Come si proponeva la riforma bocciata in Italia) con elezioni legislative separate, in modo da assicurarsi che il presidente abbia comunque un contrappeso e la sua maggioranza parlamentare (come è giusto che sia) debba guadagnarsela.

Anche il sistema francese ha fragilità e contraddizioni. Sacrifica un po’ di rappresentatività (le legislative avvengono con un sistema a doppio turno che almeno negli intenti limita la frammentazione e favorisce maggioranze omogenee). Non sempre assicura un’agevole governabilità (un esito delle legislative diverso da quello delle presidenziali potrebbe condurre, come già è stato, a una cosiddetta “coabitazione”, tra il Presidente della Repubblica e un primo ministro di diverso colore politico, o a maggioranze parlamentari fragili).

Però è un sistema che in qualche modo pronuncia un verdetto, assicura una coerenza tra la scelta dei cittadini e il sistema di rappresentanza politica che ne discende. Tutto questo perché i francesi, evidentemente, devono essere proprio scemi. Noi italiani invece siamo furbi e quindi abbiamo quello che abbiamo.

Una legge elettorale proporzionale, non tanto per scelta ma perché tutte le altre ipotesi si sono frantumate via via; elezioni ormai non lontane che porteranno probabilmente al “nulla di fatto”, e consentiranno a tutti di sentirsi (almeno un po’) vincitori e di sedersi al tavolo di trattative senza fine. Soprattutto, abbiamo la situazione ideale, la più comoda e desiderata, quella che mette d’accordo tutti, belli e brutti: ognuno potrà gridare alto e forte che cosa si dovrebbe fare, senza avere né la responsabilità né il potere di farlo davvero.

Per difendere il sistema proporzionale e la democrazia dove nessuno vince mai e nessuno perde mai, si spendono persone di grande intelligenza. Zagrebelsky è tra queste, e da appassionato lettore di Dostoevskij, ricorderà forse una frase delle Memorie del Sottosuolo: non ho mai smesso di considerarmi più intelligente di tutti e, qualche volta, credetemi, me ne sono sentito un po’ imbarazzato.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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