Enrico Letta: “Contro venti e maree, idee sull’Europa e l’Italia”.

L’uscita in Italia del libro dialogo di Enrico Letta: “Contro venti e maree, idee sull’Europa e l’Italia”, a breve anche nelle librerie all’estero, è l’occasione per una riflessione politica a tutto campo sui destini europei e sulla vicenda Italia in questo inizio di nuovo millennio. Un’occasione anche per ricordare i protagonisti recenti dell’Europa unita, figure come Andreatta e Ciampi.


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Enrico Letta, consegnata in fretta nel febbraio del 2014 a Matteo Renzi la campanella del Presidente del Consiglio, ne ha presa un’altra: quella di allarme contro i venti e le maree che minacciano lo sviluppo futuro dell’Europa.

Il suo recente libro “Contro venti e maree, idee sull’Europa e l’Italia” (Il Mulino) è in corso di pubblicazione anche in Francia e Spagna, le cui maree (come egli ha spiegato alla presentazione del 19 aprile a Sciences Po) provenienti d’oltre Manica e oltre Atlantico hanno effetti non minori dei venti interni in Europa nel far tornare indietro la Storia: com’è avvenuto con la Brexit e come vuole Trump orientando gli USA verso il protezionismo.

D’altronde i successi elettorali che furono di Cameron in Gran Bretagna, poi di Trump negli USA e, secondo i suoi calcoli, di May per i conservatori alle prossime elezioni anticipate in Inghilterra, sono proprio dovuti, oltreché all’assenza di nuovi leaders nei partiti concorrenti come, ad esempio, per la « insostituibile » dinastia Clinton nel primo caso di Bush per i repubblicani, all’assenza di nuovi progetti per il futuro, di fronte alla disoccupazione e alla ancora grave crisi economica.

Nelle riflessioni di Letta (esposte nel libro in forma di dialogo con il giornalista Sébastien Millard di “La Croix”) non sono comunque ignorati gli errori della CE che hanno favorito i venti e maree d’opposizione al suo interno: come, ad esempio, il chiamare “commissari” i suoi organi esecutivi, che quasi poliziescamente richiamano gli Stati sui superamenti dei deficit o sulle confezioni dei prodotti rispetto a quanto stabilito comunitariamente e dunque lasciano in secondo piano i rimedi o le prevenzioni delle crisi: per esempio la proposta, a suo tempo del Commissario Padoa Schioppa, di costituire fondi d’emergenza per le crisi è stata attuata solo dopo quella avvenuta nel 2012.

Gli errori di comunicazione e immagine dei vertici della CE hanno di conseguenza opposto i “populismi” (termine che Letta non accetta essendo troppo generico di fronte ai diversi casi e luoghi di malcontento) al cosmopolitismo ancora di pochi: prevalentemente di coloro che l’hanno acquisito per lavoro e degli studenti cresciuti con l’Erasmus, i bassi prezzi dei charters e i corsi nelle scuole e università nelle diverse lingue.

Enrico Letta

E la comunicazione non è stata sufficiente per far capire che nella CE sono intanto entrati anche gli Stati in cui fino a non troppo tempo fa c’erano i regimi assolutistici, di diverso colore al di là dei Pirenei e al di là dell’allora cortina di ferro, per cui l’influenza di Mosca non arriva più fino ai confini dell’Austria.

La comunicazione, infine, non è riuscita a dare alle elezioni europee il senso dell’importanza della massima istituzione comunitaria rappresentativa, per cui queste finiscono (come le “scorciatoie” dei referendum) con l’essere un voto pro o contro i governi nazionali del momento. E questa distorsione si completa con quella di coloro che attribuiscono alla CE la causa di tutti i mali interni (e così la CE diventa come la peste ne “I Promessi sposi”), anziché rimediare sul posto a questi e pensare che c’è tanto più bisogno d’Europa quanto più sono divenute colossali le varie realtà negli altri continenti: quelle delle popolazioni in Africa, quelle economiche in Cina e India e anche quelle in Sud America: ad esempio con il Brasile di fronte al quale il Portogallo (come di fronte al petrolio dell’Angola) appare ormai più come una realtà condizionata che come ex-colonizzatore. E c‘è tanto più bisogno dell’Euro e del sistema indipendente della Banca Centrale Europea per governarlo: è così che i deficit nazionali annuali sono stati contenuti intorno al 3%, anziché nelle percentuali che nei decenni precedenti hanno fatto crescere, in alcuni Paesi in modo esponenziale, il debito pubblico, riducendo cosi il valore della rispettiva moneta nazionale.

Beniamino Andreatta

Sono queste le considerazioni di fondo che oggi Letta è lieto d’insegnare agli studenti di Sciences Po nati e cresciuti dopo quel passato che neanche i venti d’autarchia attuali ben conoscono. Studenti che sanno certamente d’avere in cattedra le migliori energie d’un 50enne già ex Presidente del Consiglio, ex Ministro dell’Industria, ex Ministro per le politiche comunitarie ed ex parlamentare nazionale ed europeo, ma che forse non sanno che l’Università e la Scuola Superiore S. Anna di Pisa, da cui egli proviene, sono tra le migliori d’Italia e che l’AREL, “Agenzia di Ricerche e Legislazione”, fondata da Andreatta di cui è l’erede accademico, gli ha ulteriormente consentito d’unire le esperienze intellettuali e pratiche. Le quali avevano cominciato a consolidarsi nel 1993 quando era Capo della Segreteria d’Andreatta, Ministro degli Esteri.

Allora Ciampi, Presidente del Consiglio, aveva deciso d’organizzare il G7 del 1994 di Presidenza italiana a Napoli e aveva continuato (per così dire) tutto il suo lavoro di governatore convinto della necessità di far avere al Paese (dopo Tangentopoli e una situazione economica e di bilancio non meno disastrata) tutte le carte in regola per entrare nel 2002 nell’Euro (lavoro continuato da Ciampi come Ministro del Tesoro dal 1996, quando ha nominato Letta Segretario Generale del Comitato per l’Euro, al 1999 quando il suo massimo insegnamento è continuato dal Quirinale).

Anche l’insegnamento di Ciampi, nel guardare e darsi da fare per il futuro sia d’una città, che d’uno Stato o dell’Europa, è contro quei venti e quelle maree che difendono invece con i dazi economici e culturali l’immobilismo o l’arretramento nella Storia: a tal punto da vedervi in questo caso solo delle scialuppe come ha scritto Scalfari ne “La Repubblica” del 23 aprile.

Lodovico Luciolli

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Lodovico Luciolli
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