Ricordando Angelopoulos. Uno spirito libero tra Grecia e Italia.

Ricorre il quinto anniversario della scomparsa del regista greco Theo Angelopoulos, un regista che aveva un grande amore per l’Italia e che si sentiva legato dal comune mare con la nostra terra. Un autore fondamentale nella formazione di tanti cinefili. Indimenticabili i suoi film, un artista che volevamo e dovevamo ricordare.

Era il 24 Gennaio del 2012 quando una motocicletta guidata da un poliziotto privato, investiva, a forte velocità, Theo Angelopoulos stendendolo sull’asfalto. Soccorso immediatamente fu portato subito nel più vicino ospedale dove è morto poco dopo a seguito delle ferite riportate. Si trovava al Pireo con la sua troupe per portare avanti il suo ultimo lavoro L’altro mare, film con cui voleva raccontare al mondo la crisi che stava vivendo la sua Grecia.

Dal film O Thiasos - La recita

Sono già passati 5 anni e della Grecia si parla sempre meno. Giornali e televisioni si occupano d’altro e lo sguardo su questa piccola-grande terra si è di colpo spento come se la morte di Angelopoulos avesse spento i riflettori che su di lei erano puntati. Sembra sia proprio così. Il regista greco, che ci aveva descritto la sua terra fuori dagli stereotipi classici e convenzionali (quelli a cui ci hanno abituato pubblicità e riviste patinate, della terra baciata dal sole, della melodia del buzuki e degli yogourt cremosi) sembra volerci richiamare al nostro compito che è anche quello di non dimenticare questa paese e di non attendere notizie da chi lo fa per mestiere, ma di ritornare a lei attraverso una lettura, un classico della sua filosofia o una musica, magari quella di Eleni Karaidu, autrice di quasi tutte le colonne sonore dei suoi film…

Cosa rimane della sua eredità cinematografica? Molto ed è un tesoro il cui valore non è facilmente quantificabile. In un’intervista apparsa proprio qui su Altritaliani, il regista Yannis Avranas (Leone d’argento per la miglior regia con il suo Miss Violence nell’edizione della Biennale del Cinema del 2013) disse che: “La morte di Angelopoulos è stata per tutti noi, ma in genere anche per tutto il paese, un colpo molto duro. Lui era un punto di riferimento preciso da cui nessuno poteva prescindere, soprattutto in questi momenti così duri per tutti noi. Lo Stato in questo momento non può aiutare nessuno. Noi (del cinema ndr.) possiamo contare solo sulla passione di qualche sponsor o su iniziative private.”

Theo Angelopoulos

In un interessante articolo scritto nel 2013 da Caterina Carpinato, docente di letteratura e lingua neo-greca all’Università di Ca’ Foscari (Venezia) trovo scritto: “…un ricordo non razionalmente collocabile in una sezione di « causa ed effetto », un ricordo come un marchio. Il ricordo di chi non ha potuto prendere parte attiva agli eventi per ovvi motivi e ne ha dovuto subire e pagare le conseguenze senza altra scelta”. Il riferimento della Carpinato va al 1935, anno della nascita del regista, ma pure a quelli successivi al II conflitto mondiale e precisamente al triennio 1946-1949, quelli dell’Emfílios pólemos quando gli stessi greci si scannarono in una guerra civile che insanguinò tutto il paese (le frazioni in lotta furono le truppe comuniste appoggiate dal governo jugoslavo e le altre schierate a favore del governo monarchico sostenuto da Gran Bretagna e Stati Uniti).

Queste, molto più di altre, furono le esperienze e le conseguenze su cui Angelopoulos si formò. Di quegli anni, vissuti attraverso i ricordi dei grandi, il futuro regista ne ricavò impressioni vivissime che poi seppe ricostruire nelle immagini dei suoi film. Lo sfondo era quello di una Grecia lontana dalle rovine dell’Acropoli e dalle folate del Meltemi, il vento che soffia nelle isole dell’Egeo. Non troveremo mai mari azzurri a circondare la sua telecamera. Semmai abbiamo conosciuto il grigiore di certi inverni freddi e nevosi come quelli visti nelle immagini de L’eternità e un giorno o in quelle de Lo sguardo di Ulisse.

La sua Grecia è stata soprattutto quella dei drammi e delle diaspore legate all’abbandono della terra, così ben descritte nello straordinario La sorgente del fiume, dove raccontò il ritorno in patria di una comunità ortodossa, fuggita dalla rivoluzione bolscevica e dalle mitraglie dell’Armata Rossa. Impegno civile altissimo quello portato avanti da Angelopoulos nel corso di tutta la sua vita.

Laureatosi nel 1962 in Legge ad Atene, decide di partire per Parigi dove frequenterà l’IDEC ( Institut des hautes Etudes cinématographiques) e apprenderà l’arte di fare cinema. Rientrato ad Atene dirigerà Democratic Change, giornale di sinistra quasi subito fatto chiudere dalle forze che appoggiavano il governo del colonnello Papadopoulos, rimasto al potere dal 1967 al 1974. Ritornato a Parigi, il cinema lo riassorbirà completamente. Nel giro di una decina d’anni riesce a girare ben 4 film: Ricostruzione di un delitto (1970) a cui farà seguire la prima trilogia (I giorni del 36, La recita, I cacciatori) dalle cui immagini escono le storie recenti del suo paese fino agli abusi della dittatura dei Colonnelli.

Il passo sospeso della cicogna

Sono questi gli anni dove la sua passione si fa sempre più testimonianza ed il cinema è il mezzo che gli consente di esprimerla al meglio. L’occhio della sua telecamera scorre lentamente nei suoi tempi lunghi, ma potente è il suo grado d’indagine. Soggettive lente, ma efficaci dove scopriamo via via tutta la forza della sua espressione poetica.

Diceva ancora Scarpinato nell’articolo citato: “Angelopoulos ha tentato di raccontarci cosa è successo nell’area balcanica nel 900, così come ha cercato di farci capire il cambiamento avvenuto in Grecia a seguito della caduta del muro di Berlino…”

Ma il regista greco aveva mantenuto sempre un suo rapporto privilegiato con l’Italia.
Qual era l’Italia di Angelopoulos?
Non certo una terra di passaggio. Del nostro paese disse: Innanzitutto conoscendo molto bene l’Italia, penso che gli italiani siano molto vicini per carattere ai greci, soprattutto gli italiani del sud. Sono stato a Bari per uno stage e mi sono trovato meglio che a casa. Ma frequento abitualmente la Romagna (per l’amicizia con Tonino Guerra ndr.). Poi come seconda cosa, io penso che l’Italia sia tutto un museo.

Del nostro paese apprezzava la continuità con la storia: attraverso il Rinascimento abbiamo potuto mostrarci al mondo con vesti diverse. Soffriva del fatto che la Grecia era stata per quattrocento anni sotto il dominio turco che, in parte, le aveva tolto tracce della storia passata.

Per quanto lo riguardava poi, lui guardava al nostro paese con attenzione. Sapeva sempre scegliere gli attori che andavano bene ai suoi film. Per MegaAlexandros scelse allora Omero Antonutti, forse per la sua maschera tragica. Per Il volo come per Il passo sospeso della cicogna la scelta cadde su Marcello Mastroianni. Lo apprezzava veramente dato che nel suo studio ad Atene, in una delle ultime interviste rilasciate, si vede una sua gigantografia. Sorrideva pensando a lui: “Mastroianni si diceva greco per via del nome Mastro + Ghiannis (Mastroianni)!”.

L'eternità e un giorno

Scelse poi Gian Maria Volonté che purtroppo trovò la morte durante le fasi del film Lo sguardo di Ulisse. “Sono stato il primo”, disse Angelopoulos, “a scoprire il corpo di G. Maria Volonté, in un hotel nel nord della Grecia. Il giorno prima eravamo a Mostar in una zona di guerra.”

L’ultima scelta cadde su Tony Servillo. Il film era L’altro mare che resta incompiuto per la tragica fine dello stesso regista. Ma la sua amicizia più vera fu certamente quella con Tonino Guerra. Dei suoi quindici film, tre sono stati quelli realizzati attraverso la collaborazione con Guerra che scrisse le sceneggiature per Il volo, Il passo sospeso della cicogna, La polvere del tempo. In un’intervista rilasciata a Raffaele Nigro su Incroci 25 di lui disse: Tonino è un originale: pensi che ha trasformato il suo paese natale, Pennabilli, in un giardino di frutti dimenticati… E’ in quel giardino che noi ci vediamo e discutiamo. Lui in italiano, io in francese… Attraverso lui ho fatto amicizia con Fellini, Antonioni, con alcuni attori che amo molto.

Angelopoulos tentava di fissare il presente fra passato e futuro, come un frammento consistente dello scorrer del tempo. Tentava di farci conoscere la storia e gli eventi consapevole che la testimonianza artistica può e deve avere un ruolo nella vita civile.

La crisi che dal 2006 ha investito soprattutto il suo paese era per Angelopoulos un tarlo, che gli rodeva l’anima. Ne L’altro mare il suo ultimo lavoro, voleva parlarci proprio di questo. In una delle ultime interviste rilasciate a La Repubblica disse: “Sono giorni difficili e duri, ma abbiamo il vantaggio di aver conosciuto la miseria e la difficoltà.”

“I Greci hanno paura che questa storia non finirà facilmente, come molti credevano all’inizio, e che questa crisi durerà con risultati e conseguenze imprevedibili sulla vita della gente e sull’avvenire delle nuove generazioni… Il film è basato sulla relazione tra un padre e sua figlia e i conflitti tra le due generazioni, una che ha causato la crisi e una che l’ha subita…”

Il resto è il dramma greco ed europeo che è della nostra attualità.

Massimo Rosin

Article précédentEsce in Francia il film Le Confessioni. Intervista al regista Roberto Andò
Article suivantIl gioco della torre per non dimenticare
Massimo Rosin
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.