Il No dei giovani italiani al di là del referendum.

Malgrado dei segnali di crescita economica, la situazione italiana resta pesante ed il voto No, delle giovani generazioni, al referendum costituzionale risente del loro impoverimento, segnalato sia dalla Caritas che dal Censis. Cosi come, per molti, le proposte di modifiche costituzionali non sono apparse prioritarie. Il Sud è stato compattamente per il No, un voto che ha un peso politico e che non si limita al merito del referendum. Intervista a Gabriele Giacomini a cura di Francesca Sensini, Università di Nizza Sophia Antipolis, sul senso di questo voto e su alcune prospettive future.


TRADUCTION FRANCAISE DE L’INTERVIEW EN FIN DE PAGE

Francesca Sensini per Altritaliani: Alcuni commentatori italiani sembrano suggerire che si è trattato di un voto emotivo, irrazionale, nel senso che la valutazione degli elettori non è entrata nel merito della riforma, ma che ha riguardato l’operato del governo.

Gabriele Giacomini: In effetti è quello che è accaduto. Ma credo che sia esagerato concludere che per questo si sia trattato di un voto irrazionale. Certamente le proposte riguardavano una riforma costituzionale che avrebbe avuto i suoi effetti per decenni, e che quindi andava valutata per quello che proponeva. Tuttavia, la scelta del governo di impegnare il Paese in mesi di campagna elettorale sulla costituzione significa mettere in secondo piano altri temi. Come ho spiegato nel mio ultimo libro “Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico” (Mimesis, 2016), un potere fondamentale nelle democrazie moderne è quella dell’agenda setting, ovvero quello di decidere quali temi devono essere affrontati per primi. I cittadini forse non hanno respinto solo le modifiche alla costituzione, ma anche le priorità date dal governo, che spingevano a ragionare di questioni istituzionali mentre una vera ripresa non si è verificata. Gli indicatori economici sono leggermente migliorati nell’ultimo periodo, ma intanto sono passati anni, i risparmi sono stati intaccati e l’impressione è che la pazienza degli italiani si stia assotigliando.

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F.S.: Quindi la vittoria del No è da attribuire secondo lei alla volontà di segnalare problemi di tipo economico e sociale?

G.G.: I dati sulla consultazione mostrano l’emersione di una “rust belt” in salsa italiana che ha votato No. Seconda manifattura d’Europa, inferiore soltanto alla Germania, l’Italia delle attività industriali e produttive è in profonda difficoltà da molti anni. Prima a seguito della crisi finanziaria internazionale, poi a seguito della crisi del debito sovrano e di una politica europea austera e inadeguata. Anni lunghi che hanno lasciato un segno soprattutto dal punto di vista occupazionale e quindi sociale. Il meridione – grande malato di disoccupazione, soprattutto giovanile – ha votato massicciamente contro la riforma governativa (nelle isole il No si attesta sopra al 70%, in Calabria, Puglia e Campania questa percentuale viene sfiorata). Fra le regioni del nord, poi, arrivano il Veneto (62% di voti contrari) e il Friuli Venezia Giulia (61%). La gloriosa “terza Italia” delle pmi, dei distretti e dell’export che soffre un rallentamento della produttività, determinato anche dalle difficoltà delle piccole e medie imprese, indebitate per la crisi e spesso non in condizione di affrontare l’innovazione di processo e prodotto che ne migliorerebbe le performance. Due fra le banche italiane in crisi sono Banca popolare di Vicenza o a Veneto Banca, che operano nel triveneto. Recentemente a causa delle difficoltà di questi istituti molti soci hanno perso i risparmi accumulati in una vita di lavoro. La popolare di Vicenza ha sede nella città berica, Veneto Banca ha sede vicino a Treviso. Quali province del nordest hanno espresso il tasso maggiore di voto contrario? Vicenza e Treviso.

F.S.: Ha fatto riferimento alla disoccupazione giovanile. L’Italia ha un tasso inferiore in Europa soltanto a Grecia e Spagna, un male non solo economico ma anche psicologico per i giovani italiani.

G.G.: Come rivelava a fine ottobre, in “splendida” solitudine, il Rapporto 2016 della Caritas su povertà ed esclusione sociale, il vecchio modello di povertà – che vedeva gli anziani più indigenti – non è più valido. Oggi la povertà è diventata giovane. La legge Poletti (Jobs act) ha investito molto denaro pubblico per sostenere assunzioni, ma al tempo stesso si è verificato anche un boom senza precedenti dei voucher, lavoro iper-precarizzato. Di certo, secondo Caritas, per la prima volta in Italia la povertà colpisce maggiormente ragazzi in cerca di lavoro e giovani adulti che hanno perso l’impegno o che hanno un’occupazione inadeguata. E diminuisce con l’avanzare dell’età. Tra i 4,6 milioni di poveri assoluti il 10,2% sono nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni. A seguire l’8,1% sono tra i 35 e i 44 anni, il 7,5% tra i 45 e i 54 anni, il 5,1% tra i 55 e i 64 anni e il 4% oltre i 65 anni. A questi dati, ad inizio dicembre, è seguito il Rapporto Censis del 2016: gli attuali giovani hanno un reddito inferiore del 26,5% rispetto ai loro coetanei di 25 anni fa, mentre gli over 65 odierni hanno visto aumentare il loro reddito del 24,3%. In Italia la crisi si è “scaricata” soprattutto sui giovani.

F.S.: Questo problema ha avuto ripercussioni sul voto referendario dello scorso 4 dicembre?

G.G.: Diverse analisi del voto sembrano suggerire che fra la generazione dei giovani e il Premier si sia creata una frattura. I principali artefici dello stop alla riforma costituzionale e del deragliamento del governo, infatti, sono stati i giovani. Ad esempio, secondo l’agenzia Quorum, il No ha sfondato fra i giovani (under 35) con una percentuale che impressiona, di circa l’81%. Un No che si afferma nettamente anche nella fascia di età dai 35 ai 54 anni (67%). Soltanto fra gli over 55 il Si ha vinto, di misura, con il 53%. Mentre i giovani diventavano più poveri, Renzi era l’homo novus al governo, il quarantenne rottamatore che, durante questa campagna referendaria, ha giocato le carte del consenso anche ricorrendo a “incentivi economici” nei confronti di pensionati (aumento delle pensioni minime) e statali (rinnovo del contratto). Non esattamente il futuro dell’Italia che si era promesso di liberare e valorizzare.

F.S.: Quali saranno le implicazioni politiche del referendum?

G.G.: Nel breve termine credo che Renzi continuerà a influenzare la politica italiana in maniera importante, ha raccolto comunque più di tredici milioni di voti. Invece il fronte del no, seppur vittorioso, è diviso e variegato (si va dal M5S alla minoranza del PD, dalla sinistra parlamentare ed extra parlamentare al partito di Berlusconi, dalla destra estrema a figure autorevoli come il liberale Mario Monti). Nel lungo termine la forza politica che riuscirà a dare risposte credibili a questo 81% di giovani insoddisfatti condizionerà in maniera importante le competizioni future. Il M5S, a suo modo, ci sta provando. Porre il tema del reddito di cittadinanza, ad esempio, è null’altro che un tentativo di superare un’idea di welfare di tipo fordista, basato sul lavoro dipendente e a tempo indeterminato (mobilità e cassa integrazione), per avvicinarsi ad un modello più vicino alle esigenze di una moltitudine di precari. Vedremo se e come risponderanno gli altri partiti al problema delle nuove marginalità, soprattutto giovanile. Di certo il tema della disuguaglianza si situa storicamente nel campo della sinistra e per questo motivo si tratta di un tema su cui Renzi dovrebbe riflettere.

Intervista di Gabriele Giacomini a cura di Francesca Sensini

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Gabriele Giacomini è dottore di ricerca in neuroscienze cognitive e filosofia della mente presso l’Università San Raffaele di Milano e l’Istituto Universitario superiore di Pavia. Ha pubblicato Psicodemocrazia (Mimesis 2016). Attualmente è Assessore all’Innovazione e allo sviluppo economico della città di Udine.
E’ l’autore di:
Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico.
di Gabriele Giacomini
Mimesis Edizioni , Milano-Udine 2016
€ 18,00

Descrizione breve:

Viviamo in una democrazia dove la passione e il sentimento, l’istinto e la paura vengono evocati, sollecitati, utilizzati per la costruzione del consenso. dalle predisposizioni latenti all’agendasetting, dall’identificazione di partito al condizionamento dei media e delle televisioni, dalla centralità dell’immagine del leader al ricorrente utilizzo di euristiche e bias, sono tanti i fenomeni emotivi ed irrazionali che hanno un ruolo rilevante nell’influenzare le decisioni in democrazia.

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LE NON! DES JEUNES ITALIENS, AU-DELA DES ENJEUX DU REFERENDUM CONSTITUTIONNEL DU 4 DECEMBRE

Certains chroniqueurs italiens laissent entendre qu’il se serait agi d’un vote émotionnel, irrationnel, dans la mesure où les électeurs n’ont pas jugé le contenu et mérite de la réforme mais plutôt l’action du gouvernement.

En effet, c’est ce qui arrivé. Mais je crois qu’il est exagéré de conclure que ce vote relève de l’irrationnel. Bien évidemment les propositions concernaient une réforme constitutionnelle qui aurait infléchi la vie politique italienne pendant des décennies et, par conséquent, elles devaient être évaluées en relation de ce qu’elle proposait. Toutefois, le choix du gouvernement d’engager le Pays pendant des mois dans une campagne électorale sur la Constitution a fini par mettre à l’arrière-plan d’autres sujets essentiels. Comme je l’ai expliqué dans mon dernier livre “Psicodemocrazia. Quando l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico” (Mimesis, 2016), un des pouvoirs fondamentaux des démocraties modernes est celui de l’agenda setting, c’est-à-dire le pouvoir de décider quels sont les sujets qui doivent être traités en priorité. Peut-être les citoyens n’ont-ils pas seulement rejeté les propositions de modification de la Constitution mais aussi les priorités établies par le gouvernement, qui les obligeaient à se pencher sur des questions institutionnelles alors qu’une réelle relance qui touchait à leur quotidien n’avait pas lieu.

Au cours de la dernière période, les indicateurs économiques se sont légèrement améliorés, mais des années se sont écoulées, les épargnes ont été entamées et il semble que la patience des Italiens s’amenuise de plus en plus.

Foto ANSA

D’après vous peut-on donc attribuer la victoire du NON à la volonté de manifester contre des problèmes et difficultés d’ordre économique et social ?

Les données concernant le vote dévoilent l’émergence d’une “rust belt” à la sauce italienne qui a voté NON. Deuxième pays d’Europe dans le secteur manufacturier, tout de suite après l’Allemagne, l’Italie des activités industrielles et productives vit une crise profonde depuis plusieurs années, d’abord en raison de la crise financière internationale, ensuite de la crise de la dette souveraine et enfin d’une politique européenne inadéquate, marquée du sceau de l’austérité. De longues années qui ont laissé une empreinte surtout du point de vue de l’emploi et donc dans le tissu social.

Le Sud du pays – profondément affecté par le chômage, en particulier des jeunes – a massivement voté contre la réforme (dans les îles les NON dépassent le 70%, en Calabre, dans les Pouilles et en Campanie on frise ce même pourcentage). Au Nord, la Vénétie (62% de NON) et le Frioul (61%) viennent tout de suite après. La glorieuse “Troisième Italie” des PME, des districts et de l’exportation, souffre d’un ralentissement de la productivité, dû aux difficultés des petites et moyennes entreprises, endettées par la crise et souvent incapables de faire face à l’innovation des procédés et produits qui pourrait en améliorer les performances.

Deux des banques italiennes en crise, la Banca popolare di Vicenza et Veneto Banca, sont actives dans le Triveneto. Récemment à cause des difficultés de ces instituts, nombre d’actionnaires ont perdu leurs épargnes de toute une vie de travail. La Banca popolare de Vicenza a son siège à Vicence, Veneto Banca dans les environs de Trévise. Quelles sont les provinces qui se sont exprimées majoritairement pour le NON ? Justement Vicence et Trévise.

Vous avez fait référence au chômage des jeunes. L’Italie a un taux inférieur seulement à la Grèce et à l’Espagne, un mal qui n’est pas qu’économique mais aussi psychologique pour la jeunesse du pays.

Comme le révélait fin octobre, dans « la solitude » la plus absolue, le Rapport 2016 de la Caritas concernant pauvreté et exclusion sociale, le vieux modèle de pauvreté, selon lequel les personnes âges étaient les plus démunies, ne tient plus la route. Aujourd’hui la pauvreté est devenue ‘jeune’. La loi Poletti (connue sous le nom de Jobs act) a investi d’ importantes sommes d’argent publique pour favoriser les embauches mais, dans le même temps, il a été constaté une très forte augmentation du travail hyper-précarisé des ‘vouchers’. Il est certain, selon Caritas, que c’est la première fois en Italie que la pauvreté frappe majoritairement les jeunes à la recherche d’un emploi et les jeunes adultes au chômage ou qui ont un travail inadéquat par rapport au coût de la vie.

La pauvreté se réduit progressivement avec l’âge. Parmi les 4,6 millions de pauvres absolus en Italie on compte 10,2% de personnes entre 18 et 34 ans; 8,1% entre 35 et 44 ans; 7,5% entre 45 et 54 ans; 5,1% entre 55 et 64 ans et 4% au-delà de 65 ans. On peut comparer à ces données Caritas le Rapport Censis 2016, publié en décembre: les jeunes d’aujourd’hui ont des revenus inférieurs de 26,5% par rapport aux personnes du même âge d’il y a 25 ans, tandis que les plus de 65 ans d’aujourd’hui ont vu leurs revenus augmenter de 24,3%. En Italie la crise a eu les plus fortes retombées sur les jeunes.

Ce problème a-t-il eu une influence sur le vote du 4 décembre?

Plusieurs analyses du vote semblent indiquer qu’il s’est créé une rupture entre les jeunes et le Premier ministre italien. Les protagonistes principaux du stop à la réforme constitutionnelle et de l’affaiblissement du gouvernement ont été, en effet, les jeunes. Par exemple, selon l’agence Quorum, le NON a été majoritaire parmi les moins de 35 ans avec un pourcentage impressionnant d’environ 81%. Un NON qui prévaut nettement aussi dans la tranche d’âge 35-54 ans (67%). Le OUI n’a gagné que parmi les plus de 55 ans, mais de justesse, avec 53%.

Pendant que les jeunes devenaient de plus en plus pauvres, Renzi était l’homo novus au gouvernement, le quadragénaire “mettant au rebut” (rottamatore) qui, pendant la campagne référendaire, a joué les cartes du consensus en ayant aussi recours aux « primes économiques » pour les retraités (augmentation des retraites minimales) et pour les fonctionnaires (renouvellement de contrat). Ce n’est pas exactement l’image de l’avenir de l’Italie qu’il avait promis de mettre en valeur.

Quelles seront les implications politiques du référendum ?

A court terme je pense que Renzi continuera à influencer la politique italienne de manière importante, il a rassemblé plus de treize millions de voix. En revanche, le front du NON, quoi que victorieux, est divisé et hétérogène (du Mouvement Cinq Etoiles aux frondeurs du PD, de la gauche parlementaire et extra-parlementaire au parti de Berlusconi, de l’extrême droite à des personnages influents comme le libéral Mario Monti).

A long terme la force politique qui parviendra à donner des réponses crédibles à ce 81% de jeunes insatisfaits influencera de manière importante les défis à venir. Le M5S est en train d’essayer, à sa façon. Evoquer le sujet du revenu de citoyenneté par exemple n’est rien d’autre qu’une tentative de dépasser l’idée d’un régime social de type fordien, basé sur le travail salarié à durée indéterminé (mobilité et chômage technique), pour s’approcher d’un modèle plus adapté aux exigences d’une multitude de travailleurs précaires. On verra comment les autres partis vont répondre au problème des nouvelles formes de marginalisation, surtout parmi les jeunes.

Certes, le sujet de l’inégalité se situe historiquement dans le camp de la gauche et pour cette raison il s’agit d’un thème sur lequel Matteo Renzi ferait bien de réfléchir.

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Francesca Sensini
Francesca Irene Sensini è professoressa associata di Italianistica presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Nice Sophia Antipolis, dottoressa di ricerca dell’Università Paris IV Sorbonne e dell’Università degli Studi di Genova. Comparatista di formazione, dedica le sue ricerche alle riletture e all’ermeneutica dell’antichità classica tra il XVIII e l’inizio del XX secolo in Italia e in Europa, nonché alle rappresentazioni letterarie e più generalmente culturali legate al genere.

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