Il corpo dell’immagine

Il corpo dell’immagine mi riporta direttamente alla fotografia, in cui il corpo è rappresentato dall’oggetto in sé e dal soggetto all’interno di esso. Un corpo che cambia formato con il tempo, con le nuove tecnologie e un soggetto che cambia con il passare degli anni, delle mode e della filosofia.

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La fotografia nelle case occidentali è diventata simulacro, non di un ideal tipo personale votato a mascherare la povertà, del proprio idolo di riferimento, sia esso attore, velina o partecipanti di reality show. Prima ci si tra- vestiva per sembrare benestanti, oggi, invece, in una società dell’apparenza lo si fa per sembrare fisicamente perfetti, simulacri di quella variegata pletora di personaggi dello spettacolo.

Tutti i media sono impregnati di corpi, corpi nudi. La nudità fa spettacolo, il corpo fa spettacolo.

Tutto deve diventare spettacolo: il critico Furio Colombo – giornalista e scrittore – indica i servizi fotografici realizzati durante la guerra di Spagna (1936-1939), come l’inizio di quella “sceneggiatura delle tragedie del mondo” che ha spinto la realtà verso lo spettacolo.
Goffredo Fofi, sul Sole 24Ore, afferma che “troppo spesso la stampa, anche in fatto di foto, continua a preferire il sensazionale al significativo, l’estremo al comune, il gridato al narrato.[…] Impera una grande superficialità e raramente gli inviati intendono scoprire e spiegar le realtà nelle sue pieghe come nelle sue evidenze; e sembrano invece vieppiù schiavi della televisione e della sua effettistica immediatezza, della sua ricattatoria morbosità» .

L’arrivo delle notizie attraverso la televisione ha aumentato il desiderio di passare ogni limite nel mostrare la faccia della tragedia come apparente dimostrazione di coraggio e alto grado di credibilità.

Qui si inizia a parlare non più di immagini del dolore ma di immagini di violenza. Dove sono rappresentate quasi sempre corpi. Immagini di corpi seviziati, ritratti di bambini sofferenti, corpi morti.

“Un’immagine vale più di 1000 parole” è sicuramente un luogo comune, che pur nella sua retorica si è realizzato nella nostra società, basata su una cultura dell’immagine. La realtà ha abdicato per diventare immagine. Ci sono solo rappresentazioni costruite dai media.

“Il mezzo tecnico di riproduzione dell’immagine si è trasformato da mezzo di rammemorazione di riti preesistenti in strumento di creazione di nuovi percorsi e pratiche simboliche formatisi partendo dalle possibilità offerte da questo procedimento. Di qui, un ben preciso cambiamento di funzione dell’apparecchio, che da puro e semplice mezzo di produzione di immagini simboliche si è trasformato lui stesso in mezzo di produzione di immagine simboliche da riprodurre ritualmente” .
[[Clara Gallini, Immagini da cerimonia. Album e videocassette da matrimonio, Firenze, Casa editrice Leo S. Olschki, 1988, p. 690.]]

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Sono gli strumenti che prendono possesso e creano il nostro immaginario.
La predominanza culturale esercitata da questi mezzi ha conseguenze sulla pratica degli eventi, della fenomenologia, tutto viene sempre più spettacolarizzato ai fini della sua traduzione in immagine. Ed è così che assistiamo oggi ad una crescente affermazione di attori e di pratiche simboliche, che diventano sempre più indipendenti e persino dominanti rispetto agli attori e alle pratiche simboliche tradizionali. Sono i mezzi a creare le mode, le innovazione nella tradizione, sono sempre i mezzi che influenzano i nostri sogni onirici. Il personaggio famoso vive solo attraverso i suoi show in tv e il rotocalco, il privato si mescola con il pubblico, la vita reale si confonde con quella dell’immagine di sé pubblica, non si vive un amore se non tramite il gossip. Il ragazzo a casa spende più tempo a costruire il suo mondo e il suo avatar. L’attore, non quello in senso goffmaniano, prende il sopravvento sull’essere: l’involucro perde spessore, perde il suo
contenuto, rimane involucro vuoto, rimane immagine di un corpo.

Oramai è sorpassata anche la società dell’immagine dell’immagine di Baudrillard “ovvero (una società ndr) senza nessun rapporto possibile, neppur mediato, con il reale, ormai immagine assoluta, copia senza più originale (cioè senza più rapporto con l’originale, senza più domanda sull’origine, sul fondamento” .
[[Elio Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, Milano, Mondadori, 1998, p. 295.
]]
E’ ovvio che questo pensiero si concretizza con gli avatar, immagini di corpi virtuali, un alter ego in una società virtuale parallela. Anche in questo caso è un mezzo, il pc e internet, a creare il nostro doppio, la nostra doppia vita. Facciamo e costruiamo tutto attraverso il mezzo, l’ente, il corpo o meglio l’immagine del corpo oscura l’essere.

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Nel mondo virtuale non esistono ombre giacché l’essere è trasparente […] Noi siamo perciò come attraversati in qualche modo dai messaggi, dall’informazione, dai megahertz o da tutto quel che si vuole, poiché noi stessi siamo trasparenti all’interno della realtà virtuale, non abbiamo più un ombra. La nostra, se si vuole, è tipicamente l’epoca dell’uomo che ha perduto l’ombra. La famosa frase, « egli ha smarrito la sua ombra », è una metafora che sta a indicare che abbiamo perso l’opacità, e in fondo l’essere stesso, lo spessore dell’essere, la sua profondità” .
[[Intervista fatta da MediaMente biblioteca digitale a Jean baudrillard , Parigi 11 febbraio 1999. http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/b/baudrillard.htm
]]
Heidegger afferma che l’essere non si può perdere, lo si può occultare e facendo questo ovviamente l’essere perde il suo spessore a favore del corpo o meglio dell’immagine del corpo. Ecco perché il filosofo afferma che siamo proprio all’ennesima potenza dell’ente. L’immagine è ente, il corpo è ente. “Se l’uomo diventa regola e canone per ogni ente, cioè “subiectum” nel mezzo dell’ente, il mondo si costituisce a immagine intesa come la configurazione della produzione rappresentante” .
[[Martin Heidegger, Nietzsche, Milano, 1994, p. 93]]
Heidegger afferma che il mondo si costituisce a immagine .
[[Nella prospettiva di Heidegger il mondo non viene concepito come cosmo o natura ma come la “denominazione dell’ente nella sua totalità”, Heidegger, Nietzsche, Milano, 1994,]]

L’immagine del mondo nota il filosofo, non è un’imitazione o una raffigurazione del mondo, ma il mondo concepito come immagine.

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Con questa teoria egli oltrepassa ante tempo il concetto di società dell’immagine dell’immagine di Baudrillard, dove esiste ancora una copia, Heidegger invece afferma che non c’è copia, non c’è originale, c’è l’Immagine del Mondo. Si potrebbe dire che la teoria di Baudrillard sia applicata al concreto e che il filosofo tedesco la astrae andando all’essenza della questione. Egli parla di immagine proprio perché la foto cristallizza l’oggetto, ad esempio una sedia in una foto rimanda all’oggetto in sé, non si vede e troppo spesso non si immagina niente dietro quella sedia, né il lavoro né le diverse applicazioni. Pensare al lavoro che sta dietro a questo oggetto può aprirci un mondo. Oggi la sedia è di fattura seriale, ci rimanda ad una determinata economia di conseguenza politica e quindi società; nella vita quotidiana la sedia può diventare anche altro, uno scalino piuttosto che un poggiapiedi. Chi maggiormente scorge l’essere nell’ente sono i bambini: per loro una sedia può addirittura diventare la cabina di comando di una nave spaziale: l’oggetto pur rimanendo statico nella sua forma diventa altro ed è in quel momento che si scorge l’essere.
Si pensa il mondo attraverso la sua immagine, il suo corpo.
C’è prima di tutto l’immagine, il corpo, l’ente, però dietro questo, qualcuno ancora intravede l’essere.

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