Intervista a Francesco Giorgioni: ‘Cosa conta’ veramente?

“Cosa conta” di Francesco Giorgioni è un giallo – inchiesta ambientato nella scintillante Costa Smeralda. È la storia di Pino Occhioni, un giovane giornalista alle prime armi del mestiere, che si trova davanti a mezze verità e omertà, speculatori e amministratori piccoli piccoli. È la storia di un uomo che cerca risposta a due semplici domande: “Che cos’è la verità? Che cosa conta veramente?”. Ne parliamo con l’autore.

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Sono sarda. Uno ci nasce sardo, non ci diventa, a parte Gigi Riva. Ma Gigi è mito, genio, pura essenza di sardità non inficiata da possibili incidenti genetici.

Io invece sono geneticamente modificata, perché sono emigrata. Sempre più spesso mi capita, quando mi coglie il malore di parlare di cose di Sardegna in Sardegna, di essere cosi apostrofata e ridotta al silenzio: « E ma tu ormai sei emigrata… (sospensione…) E sì, facile così, tu te ne torni a Parigi, che te ne frega a te! (esclamativo, non certo interrogativo, che di chiedermi se mi frega nessuno se ne frega niente) ».

No, no, vi garantisco che me ne frega. E sono tanto più preoccupata perché noto da una buona decina di anni una inquietante tendenza, che vede un’importante parte degli autori sardi impegnata a sfornare, orami quasi esclusivamente, streghe, folletti, fate, fattucchiere e brutte donnette vestite di nero che ammazzano la gente nel letto di morte. Ora, già uno sta morendo e dargli una martellata in testa proprio sul finale mi pare cosa poco gentile.

Francamente! Io ho già abbastanza preoccupazioni e cose mie da fare e mettermi pure a stanare creature fantastiche e sbrogliare indovinelli magici « mi prende male » (espressione quest’ultima squisitamente cagliaritana).

Sebbene tarata, resto pur sempre sarda e mi dispiace molto che della mia terra si voglia passare questa immagine cosi arcana e primitiva. Non è cosi e allora « j’accuse et je refuse !« . Non leggo questo genere di narrattiva.
Scusate, ma non ce la faccio, mi prende malissimo! A torto o a ragione, ad maiora, semper.

Mi sono avvicinata al romanzo Cosa Conta di Francesco Giorgioni perché sicura che non ci fossero elementi esoterici e certa che fosse una sorta di giallo-inchiesta giornalistica, un po’ sullo stile di Massimo Carlotto, tanto per intenderci, che trovare definizioni per incasellare i romanzi non è mai stato il mio forte e a dirla tutta non lo trovo neanche così necessario.

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Concesso che la letteratura abbia altra funzione, oltre a divertire e distrarre, allora quello che invece mi sembra necessario è trovare autori che sappiano spiegare ‘i misteri’ della nostra attuale società e fornire punti di riferimento capaci di aiutare a districare l’intricata matassa del nostro vivere quotidiano, aiutarci a comprendere il nostro tempo.

Le verità sono infinite, legate da un filo difficile da sbrogliare, le cose non stanno mai come uno se le aspetta o le vorrebbe, le verità stanno altrove e la domanda che spinge questo romanzo sta tutta lì: « Che cos’è la verità? Che cosa conta veramente? ».

Francesco Giorgioni è giornalista professionista, ha lavorato per diverse testate, vive e lavora in Gallura, cioè in Sardegna, in quella zona nota ai più come ‘Costa Smeralda’, dove ha ambientato il suo romanzo.

Eccoli lì, già li vedo brillare i vostri occhi, vedo tra le vostre ciglia fluttuare le acque cristalline, vedo rocce granitiche che spavalde emergono dalle dolci acque sarde.

Subito vi immaginate Yacht immensi sospesi leggeri sulle acque trasparenti, tutto si fa chiaro e solare, si riempie di bellezza, lusso, lussuria, ricchezza. Altra magia, altro sortilegio!
Costa Paradiso - Spiaggia Li Cossi - Foto di F. Giorgioni

 

Ecco, mettetevi comodi, perché gli ‘Occhioni’ di Giorgioni hanno sfumature diverse e l’immagine che vi propone di questa terra molto famosa e in realtà sconosciuta è ben diversa:

Carla Cristofoli : « Spiegare la Costa Smeralda oltre le cronache mondane è sempre stata un’incombenza impegnativa », perché?

Francesco Giorgioni : Lo è perché si continua a credere che la Costa Smeralda sia solo le scintillanti vetrine della Passeggiata, con i collier di Bulgari e i tailleur di Prada in primo piano, oppure l’ostentazione fine a se stessa della ricchezza al Billionaire di Briatore. « Quella non è Sardegna », dicono in molti. È vero, ma non lo è come non lo sono i villaggi vacanze in Ogliastra, ad Alghero o Pula, non luoghi esattamente come quelli di Porto Cervo.

La realtà è molto più sfumata di come la si vorrebbe schematizzare. In mezzo alle ville e ai residence della Costa Smeralda restano gli stazzi di un tempo, magari ristrutturati, e la gente continua a parlare in gallurese, a riunirsi per ballare o andare in caccia: la rivoluzione antropologica c’è stata, ma non ha cancellato tutto come comunemente si crede e una parte della vecchia Monti di Mola resiste.

Andres Fiore era un architetto emiliano, giunse in Costa Smeralda alla fine degli anni sessanta e fondò un locale storico a Baja Sardinia, il Ritual. Notte, Costa Smeralda, bella vita dovrebbero raffigurarcelo come una specie di Briatore ante litteram, invece era l’esatto opposto: un raffinatissimo intellettuale, un artista che amava ogni volto della Sardegna, conosciuta attraverso il varco della Costa Smeralda.
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Il problema è che tutto questo non fa notizia come i fuochi d’artificio al concerto della popstar al Cala di Volpe o lo yacht da 156 metri del magnate uzbeko Usmanov alla fonda nella baja del Pevero. Più pratico convincersi che la Costa Smeralda inizi e finisca là, per questo è difficile raccontarla in altro modo.

D. : Cito dall’introduzione: « Barbagia no, Porto Cervo sì », perché? È ancora vero?

R. : La premessa è stata scritta da Sandro Roggio, che oltre ad essere uno dei più apprezzati urbanisti sardi è anche uno degli editorialisti de La Nuova Sardegna. Sandro unisce una penna capace alla conoscenza del paesaggio e alla storia dei fenomeni del turismo in Sardegna, spesso volgare speculazione edilizia spacciata per turismo. Cosa Conta contiene frequenti richiami alla mia identità di uomo di Gallura, cercando di non scadere nella maniera e nel folklore. Un’identità che il protagonista Occhioni rinnega, anche in questo caso per pura ambizione e perché incapace di capire di essere finito in un meccanismo implacabile, che finirà col triturarne la dignità. Sta al gioco, dove il gioco consiste nel cancellare una certa Sardegna per sovrapporne un’altra, posticcia, suggerita dal mercato.

Così si arriva a « Barbagia no, Porto Cervo sì »: è la battuta pronunciata da Diego Abatantuono di una commedia italiana degli anni ottanta, quando il « ti sbatto in Sardegna » era ancora espressione comune e, nell’immaginario di chi non sapeva cosa fosse l’Isola, certe vetrine turistiche venivano offerte come oasi isolate in mezzo ad un contesto di arretratezza e ostilità.

Da questo punto di vista colgo un miglioramento vistoso, nella percezione complessiva che chi non è sardo ha della Sardegna. Oggi gli imprenditori del turismo attivo partono con le loro carovane di fuoristrada da Oliena, vanno a Porto Cervo e portano russi e arabi a fare trekking a Tiscali, sul Corrasi e a Cala Goloritzè. Sanno che la Sardegna è un continente, come diceva il mio amico Andres Fiore.

Arzachena - Foto di F. Giorgioni

 

D. : Pino Occhioni, questo il nome del protagonista del romanzo, all’inizio del romanzo descrive il luogo in cui vive: « Cala dei Tramonti è un posto che in realtà non esiste. E un villaggio turistico e si vede gente per tre mesi all’anno, da giugno a settembre. Poi tutti se ne vanno e per il resto del tempo si sta da soli, a guardare il mare e a cercare un custode o un giardiniere con cui scambiare quattro chiacchiere ».

Come cresce un giovane in questo contesto? Come sviluppa il senso del mondo esterno e del proprio essere in un non-luogo? I giovani sardi, e non solo sardi, vivono una sorta di conflitto tra sentimento di fuga e forte senso di radicamento, come si spiega questo ‘sentire’ in tale contesto?

R. : Cala dei Tramonti è un nome inventato, potrebbe essere uno dei tanti residence di quella zona dove il mondo scorre a due velocità: l’attesa ansiosa per l’avvento della stagione estiva – cui da marzo in poi sono rivolti tutti gli sforzi di agenti immobiliari, custodi, manutentori, muratori e giardinieri – e la calma sonnolenta che subentra ad ottobre, finite le vacanze. La vita, da quelle parti, è scandita dai ciclici ritmi stagionali.

Il vuoto dell’inverno ognuno lo riempie come può, ciascuno con le proprie attitudini e interessi. È facile cadere nella noia, nell’apatia, nella tentazione della giornata al bar, che resta l’unico vero momento di socialità: non credo sia molto diverso da quel che accade in qualunque altra comunità, ma è altrettanto vero che questa condizione alla fine la si accetta e si finisce con l’adagiarvisi sopra. Esiste, l’ho già detto, una forte riconoscenza e un senso di appartenenza per le opportunità offerte da questo modello di sviluppo, impiantato in una terra davvero selvaggia, povera e isolata. Però è anche vero che una certa emigrazione è ripresa proprio in conseguenza della forte insoddisfazione dovuta a questo tipo di vita. I giovani leggono, studiano, si emancipano. Per molti di loro la Costa Smeralda è fortemente limitante, ripetitiva e povera di prospettive, per questo nasce la consapevolezza del non luogo e il desiderio di staccarsene.
Panorama sulla città di Arzachena

 

D. : Da dove nasce l’esigenza di scrivere questo romanzo, che oscilla tra l’inchiesta giornalistica e l’esperienza auto-biografica? Qual è il tema dominante?

R. : Il tema dominante è una certa informazione servile che ho conosciuto io, fatta di censura e della ancora più odiosa autocensura, quella che definirei indotta: quando un giornalista spinto dall’ambizione cieca diventa più realista del re e cerca di compiacere un editore al punto da cercare di interpretarne i desideri.

L’esigenza di scrivere questa storia nasce da una serie di impulsi per me irresistibili. Anzitutto, raccontare la vita di certe redazioni: i giornali parlano del mondo, ma quasi mai parlano di loro stessi e delle dinamiche che li attraversano, il che è comprensibile ma resta paradossale. E cosa importa di tutto questo al lettore? Molto, perché un fatto apparentemente insignificante può diventare notizia per motivi che nulla hanno a che fare con il diritto di informazione così come, allo stesso modo, una notizia davvero importante può essere nascosta, relegata nelle retrovie della cronaca.

Mi interessava anche ricordare che dietro un giornalista c’è sempre un uomo, con i suoi slanci, le sue vigliaccherie, le sue debolezze. Quando i luoghi dove i giornali agiscono sono interessati da forti interessi economici, come quelli che descrivo nel romanzo, questi fattori umani sono sollecitati e le dinamiche di cui parlavo subiscono accelerazioni fulminee. Quando leggiamo un articolo non siamo tenuti a pensare a tutto questo, ciò nondimeno dietro un articolo può esserci tutto questo. Lo hanno detto altri, prima di me e molto meglio di me, io ho voluto ripeterlo con lo stupore di chi lo ha visto con i propri occhi di piccolo giornalista di provincia. Anche da questi elementi è nato Cosa Conta.

D. : L’ascesa e discesa di questo giovane giornalista è rapidissima, nel giro di 6 mesi da ingenuo apprendista diventa cinico e disilluso, alla fine è più ‘vecchio’ di Alfonso, che ha trent’anni di giornalismo alle spalle, com’è possibile una tale rapida discesa? È a questo che porta il giornalismo? Che cosa ti sentiresti di dire ad un giovane che volesse intraprendere la professione del giornalismo?

R. : In questo romanzo parlo di « una certa informazione », ma non ho mica conosciuto solo quella! Nel romanzo c’è anche la figura della giornalista libera che lavora per una testata libera: non sono figure immaginarie che possono esistere solo in un romanzo. Giornali e giornalisti liberi ci sono e sono la grande maggioranza. Il giornalismo resta per me il mestiere più bello del mondo e certamente non dissuaderei un giovane che volesse farne la sua vita. Soltanto gli farei presente che la sua bravura e la sua libertà non sempre sono garanzia di successo e affermazione. Ma questo succede in tutti gli ambiti dell’agire umano e bisogna saperlo accettare. In ogni caso, al risveglio, ricordarsi sempre di quel che diceva Indro Montanelli: « Ho perso quasi tutte le battaglie, nella mia vita, ma mai quelle del mattino davanti allo specchio ». Ecco, rispondete sempre alla vostra coscienza. Il resto passa.

D. : Cito ancora dal romano: « […] A me non m’importa molto di sapere che le cose abbiano preso una piega e non un’altra. Certo dentro di me ho sempre pensato che quel progetto fosse una follia, ma non era questa la mia priorità. Io volevo solo chiudere i conti con me stesso. E per farlo dovevo scrivere quel che sapevo. C’era poco da scappare ».

Tra mestiere e morale che ruolo ha la verità?

R. : Posto che la verità è un concetto arbitrario e per nulla assoluto, il giornalista lavora per cercare quella che ritiene essere la verità scavando tra i fatti. Non è un elemento precostituito ma lo si ricava mettendo assieme i pezzi, il che spesso porta a conclusioni opposte rispetto alle convinzioni da cui si era partiti. Sono stato anche dentro giornali nei quali le redazioni passavano la giornata intera a cercare di dimostrare la tesi di un direttore che così ordinava, anche quando questa tesi era palesemente sbagliata. In ogni caso, la verità è l’unica cosa che conta. È lo scopo della missione.

D. : Alla fine del romanzo il giovane Occhioni abbandona il giornale per cui lavora e decide « di comprare un dominio e aprire un sito d’informazione tutto mio ».

Non esiste dunque giornalismo di verità se non fuori dal sistema? Solo gli outsiders hanno la possibilità di dire la ‘verità’ ? Che cos’è la ‘verità’ nel giornalismo?

R. : Chi riduce il tutto all’equazione Grande Informazione = bugia dice una sciocchezza. La realtà è molto più sfumata.

La verità è di chi ce l’ha dentro di sé come dovere morale. È un fatto individuale, che certo però può più facilmente rivelarsi in testate del tutto libere, altrimenti ti mettono a smistare la posta e a rispondere ai lettori, anziché a fare l’inviato. Il mio primo direttore mi spiegò che « il giornale è una caserma », con una sua rigida struttura gerarchica: ecco, se hai una redazione di gente per bene ma una gerenza occupata da pennivendoli, il lavoro della redazione ne sarà inevitabilmente offuscato. Non sempre la coscienza della verità è congenita, ma un giornalista onesto può svilupparla col tempo. Altri non l’avranno mai, perché vedono l’informazione come subordinata ad interessi più alti: gli affari dell’editore, un partito politico da sostenere, una campagna strumentale e via dicendo. Anche nella piccola informazione dei blog e dei giornali online esiste tanta spazzatura: non ci sono regole fisse applicabili meccanicamente, bisogna leggere e capire cosa c’è dietro.

D. : Ora dirigi Sardegnablogger, un blog collettivo di informazione. Questo giornale risponde al desiderio di Occhioni/Giorgioni di trovare un luogo di ‘libertà di espressione’?

R. : Sardegnablogger nasce da un appello lanciato in rete tre anni fa. Leggevo cose pregevoli di scrittori amatoriali senza grandi pretese, allora ho proposto l’idea di metterci assieme in un progetto comune. Il classico unire le forze, senza una linea editoriale né un editore, ognuno scrivendo quel che gli pareva. Così si sono messi assieme giornalisti, insegnanti, antropologi, dirigenti ministeriali, pensionati e guide ambientali, tutti con la passione per la scrittura.

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Il gruppo è passato attraverso una inevitabile selezione, elementi si sono persi per strada ed altri se ne sono aggiunti. Ora abbiamo trovato un nostro equilibrio stabile e ci invitano anche ad intrattenere la gente con i nostri spettacoli di lettura, un po’ ovunque. In tre anni, la cosa ci è un po’ sfuggita di mano: nella sola giornata del 24 luglio il nostro sito ha registrato 197 mila letture. È un’avventura dagli esiti imprevedibili, ma incredibilmente esaltante. Fa parte della vita di ciascun componente.

D. : Pino Occhioni = Pinocchio. Il giornalista è sempre e solo un burattino bugiardo? Sei diventato un bambino vero?

R. : Il giornalismo è bugiardo o sincero come qualunque persona. E non sempre quella stessa persona è sempre sincera o sempre bugiarda: ci sono molte anime in noi, come in Pino Occhioni. Il giornalismo è senz’altro bugiardo quando insegue il titolo a sensazione e forza le notizie per vendere dieci copie in più. Ma il problema, in questo caso, non è tanto nella maturità di chi scrive ma in quella di chi legge.

Articolo e intervista a cura di Carla Cristofoli

per Altritaliani

(Riproduzione riservata)

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Cosa conta in cartaceo è edito dalla Taphros di Olbia , in ebook è disponibile su Visuality Publishing Edizioni .

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Nota sintetica:

Anno 1998. Nell’aria risuonano le note di « Cosa conta » degli Ustmamò e la Costa Smeralda vive la massiccia migrazione dei nuovi oligarchi russi e, senza saperlo, la minaccia di un piano di speculazione immobiliare di portata devastante. Il 27enne Pino Occhioni, aspirante ed ingenuo giornalista, viene catapultato in un lampo nel mondo dell’informazione e conosce tutto quel che ruota attorno ad una redazione di provincia, piccola ma testimone di giganteschi interessi economici: amministratori tentacolari, colleghe ambigue, la facile seduzione di feste e ambienti votati al business, dove si vive per ostentare quel che si ha e ciò che si è ottenuto nella scalata sociale.

Pino conosce l’arte della mistificazione della notizia, la censura, la campagna di stampa strumentale, ma viene travolto dall’ambizione e capisce di non essere migliore del mondo melmoso nel quale nuota. La storia si svolge tra il 1998 e il 2000 e i fatti storici riportati sono tutti reali.

La narrazione è preceduta dalla prefazione di Sandro Roggio, uno dei più importanti architetti paesaggisti sardi, nonché editorialista de La Nuova Sardegna.

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Biografia

Francesco Giorgioni

Francesco Giorgioni è nato a Tempio Pausania nel 1971, vive da sempre ad Arzachena. È sposato con Maria, è padre di Angelo. Giornalista professionista dal 2004. Ha scritto per Cinquestelle Sardegna, L’Unione Sarda, Epolis, ma prima di occuparsi di giornalismo ha lavorato per dieci anni nei servizi di sicurezza del Consorzio Costa Smeralda. Laureato in lettere all’Università di Sassari con una tesi sulla storia della Costa Smeralda. Attualmente dirige la testata giornalistica Sardegnablogger.it.

Nel 2014 pubblica ‘Cosa conta’. Del giugno 2015 è ‘Istruzioni per il mio funerale, una raccolta auto-prodotta di racconti brevi: storie di un giornalista, di un padre, di un bambino mai cresciuto. Fotografie di un’esistenza votata allo stupore.

Del dicembre 2015 è ‘Monsieur Poivron – Il sardo-francese’ (Edizioni Taphros), un libro intervista che racconta la vita di Giommaria Craboledda, emigrato in Francia nel 1948.

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Carla Cristofoli
Carla Cristofoli è nata a Cagliari. Dal 2008 vive e lavora a Parigi, dove insegna italiano. È autrice di due racconti per bambini. Scrive regolarmente brevi racconti, pubblicati su riviste online. È co-fondatrice e responsabile di FormaRes.fr, centro online di formazione per la lingua italiana. Dal 2015 collabora con il magazine Altritaliani.net, per il quale pubblica recensioni su romanzi, raccolte di racconti e poesia a tematiche contemporanee.

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