Intervista ad Amos Luzzatto nell’anno del Cinquecentenario del Ghetto di Venezia

Mentre proseguono le iniziative per il cinquecentesimo anniversario della nascita del Ghetto Ebraico di Venezia, il più antico d’Europa che risale al 1516, abbiamo occasione di parlarne con Amos Luzzatto, ex-presidente della Comunità Ebraica di Venezia, scrittore e storico, di cui si traccia un breve profilo in incipit.

Amos Luzzatto, classe 1928, è stato fino al 2012 Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, carica che deteneva dal 1998.
Uomo di cultura e spessore incommensurabili, ‘figlio e nipote d’arti eccelse’, è medico e chirurgo di fama, avendo operato in tal veste, per quasi mezzo secolo, presso vari ospedali italiani.
Così, oltreché primario chirurgo e libero docente, è stato pure professore universitario, scrittore e saggista.
Numerosi son stati i convegni nazionali ed internazionali sui temi della Cultura Ebraica cui ha presenziato. Si è sempre impegnato nella difesa dei diritti delle minoranze religiose nel Paese. Nei suoi numerosi scritti ha cercato di presentare la Cultura Ebraica come componente irrinunciabile dell’Europa Moderna, anche con un senso ed una finalità vòlti al laicismo ed al confronto.

INTERVISTA

Ex Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Amos Luzzatto, mi accoglie nella sua bella casa in Campo della Lana, a Venezia. Voce autorevole della Comunità Ebraica anche locale, è ancor oggi, impegnato in attività culturali.

Parlare con lui non è per niente difficile, nonostante la sua immensa cultura possa mettere a disagio chiunque. Sto con lui quasi un’ora, durante la quale cerco di capire qualcosa in più sulla ‘galassia ebraica’, termine in cui quale mi sforzo di racchiudere la diffusa e variegata diaspora, il popolo ebraico sparso nel mondo.

Amos Luzzatto

Anzitutto – mi dice – spero di non deluderla, ma la mia nascita non è veneziana. Sono approdato qui dopo molte peregrinazioni”.

Ha un aspetto fiero, Amos Luzzatto.

Gli occhi miopi, in parte nascosti da una un paio di robusti occhiali, sanno ancora esprimere vivacità.

Ho passato la prima parte della mia vita a Trieste e lì l’aria che si respirava era diversa. Non era infrequente, considerata la posizione di città di confine, che una certa parte della popolazione ebraica e non, parlasse tedesco. Era un modo per entrare in quella zona che favoriva determinati interessi, anche a carattere culturale. Un po’ alla volta si diventava… austriaci”.

Mi racconta che questo fatto non mancò di tornar utile a molte famiglie ebraiche nei tragici giorni delle deportazioni naziste.

Berlusconi con Amos Luzzatto

Scelto per rappresentare la comunità ebraica nella storica visita allo Yad Vashem di Gerusalemme, con lui c’era anche Gianfranco Fini, in veste di rappresentante del governo italiano allora guidato da Berlusconi. Da un’intervista apparsa su La Repubblica leggo:

“… è stata una delle scelte più laceranti, un dramma personale. La notte prima del nostro incontro non ho chiuso occhio. All’alba conclusi che, se Fini avesse riconosciuto i crimini della sua ‘famiglia politica’, il viaggio non sarebbe stato inutile. E così fu. Ma quante malignità e fantasie su quel viaggio.

Provo poi a formulargli alcune domande.

D. Gli Ebrei a Venezia, una storia lunga e non troppo conosciuta. Al tempo in cui sorse il Ghetto gli Ebrei furono esortati ad andare nella zona di Cannaregio. Sembrava un’ emarginazione e invece, forse, fu la sua fortuna…

R. Direi non che ‘sembrava’, ma che ‘fosse’, in realtà, un’emarginazione con motivazioni varie, tra il sociale ed il religioso. Dubito molto che la si potesse ritenere una fortuna. In realtà gli Ebrei emarginati fecero uso di tutto quello che potevano avere in comune (culto, parentele, relazioni con altri centri ebraici anche sotto governi differenti), per mettere in atto una forma di micro-società che comprendesse anche istituzioni culturali ed assistenziali.

D. L’anniversario dei 500 anni dalla sua nascita ha posto il Ghetto di Venezia in una luce diversa e forse nuova: qual è la sua opinione?

R. Gli anniversari impongono sempre, a chiunque, un modo nuovo di considerare se stessi e gli Ebrei non fanno eccezione. La realtà associativa degli Ebrei odierni non è il Ghetto, ma la Comunità, riconosciuta anche per legge. La sua stessa sede operativa si trova nel Ghetto, ma questo risale a prima dell’attuale anniversario. In base a ciò, porre la storia degli Ebrei veneziani sotto una luce nuova è possibile, ma mi pare sia ancora troppo presto per esprimere un giudizio.

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D. Il Ghetto nella storia recente è configurato come luogo di segregazione. Si ricordano i Ghetti di Varsavia e quello di Roma. Qui, a Venezia, le cose furono diverse: me ne vuole parlare?

R. Il Ghetto di Varsavia non era un luogo di segregazione, ma di sterminio, per fame e maltrattamenti. Nei suoi intenti, esprimeva una precisa strategia nazista: concentrare prima gli Ebrei nel Ghetto, per poi condurli nelle camere a gas. Quanto a quello di Roma, mi pare che questo debba essere più strettamente collegato alla storia della Chiesa Cattolica.

D. Nel mondo le considerazioni generali non pongono sempre il popolo ebraico nella sua dimensione più vera. Da un lato c’è l’aspetto religioso che ne delinea la sua storia, dall’altra il pregiudizio di chi lo vede ancora dedito a forti interessi economici. Qual è la verità?

R. Il cosidetto ‘aspetto religioso’ – sempre che non si commetta l’errore di considerare gli Ebrei come una specie di eresia cristiana – è il loro modo di vivere. Sono impressionato dal termine che lei usa, quello dei ‘forti interessi economici’. E’ una leggenda antisemita che tutti gli ebrei nuotino nell’oro e che siano interessati solo alle speculazioni finanziarie: persino quando sopravvivono vendendo abiti usati nelle fiere. La verità è che molto spesso le società cristiane hanno impedito agli Ebrei di avere proprietà e di esercitare determinate attività economiche, per poi incolparli di ispirarsi a proprie libere scelte.

D. La storia del popolo ebraico lo vede sempre senza una patria, ma a Venezia la sua comunità ha resistito per secoli. È azzardato parlare di Venezia come casa-madre per quanti cercavano un posto dove sentirsi sicuri?

R. Il popolo ebraico ha avuto una patria e ne ha provato una struggente nostalgia quando gli venne sottratta con la forza. Immaginare Venezia come l’eterno rifugio sicuro per gli Ebrei che venivano maltrattati altrove mi sembra alquanto poetico, più che realistico. A giudicare dai movimenti di massa, l’Europa centro-orientale e le odierne Americhe corrispondono all’immagine del rifugio sicuro molto più di Venezia.

D. Com’è la realtà del Ghetto veneziano oggi?

R. Allo stato attuale ha riconosciuto come grande opportunità la celebrazione dei suoi 500 anni, divenendo sede di iniziative e di un principio di rinascita culturale ebraica che, però, aveva le sue radici già nelle ultime generazioni. Vogliamo sperare che tutto ciò continui e cresca, anche in futuro, una volta conclusa questa ‘occasione’.

Intervista a cura di Massimo Rosin

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E così è nato a Venezia il primo ghetto ebraico della Storia, 500 anni fa, di Massimo Rosin

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Massimo Rosin
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.

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