L’emigrazione di oggi come ieri, ricordando l’esule Fulvio Tomizza

I profughi non sono voluti. Oggi come ieri sono circondati dall’ostilità di tutti e alla ricerca di una nuova patria. Gli esuli di oggi ricordano i tristi istriani degli anni cinquanta come lo scrittore Fulvio Tomizza che diede lustro all’Italia. Ma che Europa è quella che dimentica gli orrori della guerra, che non apre le porte alle vittime, che si tiene chiusa e divisa nei suoi meschini ed egoistici interessi nazionali? Urge uno scatto culturale, un cambio di coscienza.

Gli sbarchi frequenti di tanti profughi nelle nostre terre ci fanno molto riflettere ed angosciare per il dramma così terrificante dell’esilio e del forzato trasferimento, alla ricerca di una nuova patria.

Immigrati nel porto di Reggio di Calabria

Non si tratta più d’un ragionato e necessario trasferimento calcolato, ma quasi d’una fuga improvvisa, dettata dalla ricerca d’una salvezza in extremis, sotto l’incalzare della guerra e della persecuzione, con povere cose raccolte in fretta, certe volte con niente. Così arrivano i profughi : li vediamo disfatti, avvolti nei loro miseri panni con negli occhi tutto il terrore del dies irae che hanno vissuto, anche per il pericolo di morte che hanno corso.

Noi, qui residenti nelle terre, da cui loro hanno auspicato di poter essere accolti, siamo spettatori indocili d’un tale flusso di disperati che mai immaginavamo. Pietà ci prende per loro e per la loro sorte e ci chiediamo cosa si possa fare per ristabilire una condizione di normalità e di esistenza accettabile.

La nostra è l’immobilità di chi è colto alla sprovvista e non ha poi tante chances da poter disporre un’accoglienza come si deve.

Già all’inizio del secolo abbiamo assistito ad un’emigrazione massiccia che ha portato i nostri conterranei ad emigrare nelle Americhe per sfuggire al bisogno stringente ed alla miseria. Sono stati anni drammatici che hanno indotto intere famiglie ad affrontare quello che era chiamato il viaggio della speranza, per assicurare a tanta gente un nuovo lavoro e garantire un nuovo assetto familiare che consentisse di poter vivere discretamente. C’è tutta una letteratura dell’emigrazione italiana che lo testimonia e le foto d’un secolo fa che ritraggono famiglie a grappolo sbarcate senza neanche conoscere la lingua del nuovo paese, così, alla ventura.

Ma qui non è la stessa cosa. Sono poche in Europa le terre che si aprono ad accogliere i profughi e la loro disponibilità e la generosità che sono richieste perché il fenomeno si ripeta cominciano a mancare. Mancano il coraggio e l’intraprendenza.

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Questo esodo mi ricorda quello che si verificò nelle terre istriane intorno al 1954 dopo la seconda guerra mondiale, quando, per la Convenzione di Londra, l’Istria fu divisa tra l’Italia e la Jugoslavia di Tito, in zona A e B ed ebbe inizio l’esodo di quelle popolazioni che avevano perso la patria che prima era tutt’una e che si vedevano espropriate dei loro possedimenti e perseguitate dagli sgherri del dittatore.

A ricordare il loro dramma ed il dolore della separazione, uno scrittore triestino, nutrito di cultura mitteleuropea, Fulvio Tomizza, fu nostro ospite negli anni 80. Venne a raccontarci, presentando i suoi romanzi, lo strazio di quel momento storico di cui egli stesso era stato vittima con la sua famiglia. Nato nel 1935, a Giurizzani di Umago nella giurisdizione di Materada, allora appartenente al Territorio libero di Trieste, passò con tutta la zona B alla Jugoslavia. Lo scrittore, allora ventenne, si trasferì a Trieste che aveva conservato il volto dell’italianità. Questo dramma, che rappresenta anche quello dello scontro tra la cultura slava e italiana, lo segnò profondamente, ma ebbe inizio per lui l’itinerario di scrittore, proprio con la Trilogia istriana , comprendente i romanzi: Materada (1960), La ragazza di Petrovia (1963), Il bosco di acacie (1966).

Fulvio Tomizza

Venne a testimoniare le giornate di forti emozioni sue e del suo popolo, anche perché all’antico dolore della lontananza e del distacco della patria si era aggiunta l’amarezza della perdita degli amici e parenti rimasti dall’altra parte. Si annullava così un’identità, che non è fatta solo di segni neri e rossi sulla carta geografica, ma ad essa collegati usi costumi e tradizioni che parlano di esperienze di vita che poi egli cercò di recuperare con la memoria, nei successivi suoi libri .

Volle essere chiamato scrittore di frontiera e veramente incontrò il grande pubblico e ricevette riconoscimenti di prestigio in tutta la penisola come il premio Viareggio (nel 1969) e lo Strega (nel 1977), pure un premio del Governo austriaco (nel 1979) per la letteratura europea. Del dramma d’Europa forse fu un antesignano, nel senso che anticipò i suoi grandi dilemmi e le sue divisioni che grondano “lacrime e sangue”, a detta di Machiavelli. Questo è il brutto gioco della politica che ci rende servi.

Ora per tornare all’attuale esodo, le frontiere si chiudono, i fuggiaschi restano prigionieri, intrappolati nelle lunghe vie di scorrimento tra gli stati, si alzano tendopoli e muri che li contrastano, invece di ponti e di aiuti nel tentativo di risolvere le questioni, scarseggiano le risorse. E poi c’è la via del mare, la più pericolosa e micidiale, disseminata di cadaveri. E’ un incubo.

Nessuno finora ci aveva detto che l’Europa avrebbe avuto giorni siffatti. La Merkel da qualche tempo lo ribadisce : “Se si chiudono le frontiere il sogno dell’Europa potrebbe essere finito”. Ma non è solo il fallimento d’un sogno di integrazione tra i popoli, cè di più : stiamo abbracciando il pericolo della fine della civiltà, così come l’abbiamo conosciuta, cammino di solidarietà, di amicizia, di libertà e di pace.

È come se il capostazione, che è il responsabile del treno che ci porta al futuro, ci dicesse all’improvviso:
Si cambia signori… Ora torniamo indietro. Vi riporteremo nella Foresta Nera dove non vi arrideranno più i verdi pascoli della speranza, ma dove vi attendono ancora una volta squallore, miseria e schiavitù.

Peccato che non potremo dire:
Fateci scendere, non è la nostra destinazione.

Gaetanina Sicari Ruffo
Da Reggio di Calabria

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Gaetanina Sicari Ruffo
Gae(tanina) Sicari Ruffo è purtroppo venuta a mancare nel 2021. Viveva a Reggio Calabria. Già docente di Italiano, Latino e Storia, svolgeva attività giornalistica, collaborando con diverse riviste, tra cui Altritaliani di Parigi, Calabria sconosciuta e l’associazione Nuovo Umanesimo, movimento culturale calabrese. Si occupava di critica letteraria, storica e d’arte. Ha pubblicato i saggi Attualità della Filosofia di D.A. Cardone, in Utopia e Rivoluzione in Calabria (Pellegrini, 1992); La morte di Dio nella cultura del Novecento, in Il Santo e la Santità (Gangemi, 1993); La Congiura di Tommaso Campanella, in Quaderni di Nuovo Umanesimo (1995); Il Novecento nel segno della crisi, in Silarus (1996); Le donne e la memoria (Città del Sole Edizioni, 2006, Premio Omaggio alla Cultura di Villa San Giovanni); Il voto alle donne (Mond&Editori, 2009, Premio Internazionale Selezione Anguillara Sabazia). Suoi anche i testi narrativi Là dove l’ombra muore (racconti Premio Internazionale Nuove Lettere, 2010); Sotto le stelle (lulu.com, 2011); La fabbrica dei sogni (Biroccio, 2013); la raccolta di poesia Ascoltando il mare (Pungitopo, 2015).

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