Amministrative all’arrivo. Le città scelgono.

Il 19 giugno si vota per i ballottaggi. Dopo il primo turno con le solite polemiche su chi ha vinto e chi ha perso, si vota finalmente per scegliere il futuro delle città. Un voto importante e da ponderare, perche alla fine sono i cittadini a scegliere il loro futuro. Ma cosa si ricava da questo voto? Com’è lo stato delle cose in un paese retto dal tripartitismo?

Al netto di Cagliari, Salerno, Rimini e altri centri piccoli e medi, la partita più attesa per le amministrative si giocherà il 19 giugno con i ballottaggi che decideranno il futuro prossimo delle più grandi città come Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna oltre che di tanti altri comuni rilevanti come Trieste, Savona e molti altri.

Sala e Parisi chi sarà sindaco a Milano?

I risultati elettorali si presentano estremamente difficili da interpretare in una compiuta sintesi politica, l’ha fatto l’Istituto Cattaneo. Ci provo tuttavia anch’io, consapevole che il voto ha offerto diverse e distinte situazioni, a seconda delle diverse realtà metropolitane, e malgrado le forzature dell’informazione, spesso il voto è segnato dalle vicende politiche si, ma locali dei vari partiti e movimenti. Questo fa davvero ben comprendere che in buona sostanza gli italiani hanno votato guardando alle proprie strade, all’efficienza dei servizi pubblici, ai piccoli e grandi temi della quotidianità, probabilmente appassionandosi poco alle vicende su chi sarà il leader della destra? Berlusconi o Salvini? O peggio quanto inciderà Verdini nell’alleanza a Napoli con il PD? Per la cronaca i fatti diranno che Ala ha inciso ben poco.

E’ la solita storia. In Italia si vota una cosa e si discute, a prescindere, degli effetti sui governi, immaginandosi significati che vanno oltre, che sono diversi da quello effettivo per cui l’elettore è chiamato. Cosi con il referendum sulle trivelle si elugubrava sulle percentuali di votanti. Si diceva: “Se si supera il 50% il governo dovrebbe dimettersi” quasi che i cittadini fossero sollecitati a dare o meno una preferenza sulla complessiva azione dell’esecutivo.

Cosi oggi i commentatori politici a destra e a manca si affannano a dire che se il PD perde Milano è in gioco il governo. Come a dire che i milanesi in nome di tutto il popolo italiano avrebbero bocciato non Sala ma Renzi.

La realtà delle votazioni è diversa e malgrado le sensazionalistiche e schizofreniche spettacolarizzazione di TV e giornali, si vota scegliendo programmi, valutando i candidati alle poltrone di sindaco, per la loro storia, preparazione, competenza ed efficienza.

Solo cosi si puo’ capire che, ad esempio, alle europee il PD a Livorno ebbe da solo più del 53% dei voti mentre nello stesso giorno e nella stessa città, perdeva le amministrative con la vittoria di Nogarini dei 5 Stelle. E allora, qual era il vero PD? quello delle europee o quello delle amministrative? Dare sempre una valenza di politica generale ad ogni voto è un azzardo. Negli anni settanta il PCI dominava nelle amministrative, ma malgrado ogni sforzo non riusci’ mai a prevalere nelle politiche sulla DC.

Il che non vuol dire che il voto dell’amministrative non sia rilevante o che i risultati debbano suscitare indifferenza nei partiti a livello nazionale. Tutt’altro, le amministrative sono il più immediato riscontro del rapporto tra cittadinanza e forze politiche, il primo e il più diretto livello per valutare la capacità di penetrazione e di consenso.

Questo voto, sia pure frammentato e contraddittorio, conferma l’esistenza da noi del tripartitismo, ed allora facciamo un breve punto dividendo, nel modo classico, forse non corretto, per tre aree questa riflessione: Destra, 5 Stelle e PD, naturalmente rischiando anche qualche previsione sugli imminenti ballottaggi, specie nelle città più grandi. Dulcis in fundo tentiamo una considerazione finale.

La destra.

Silvio Berlusconi

La contraddizione a destra non è solo giocata sulla leadership, non si tratta solo di stabilire chi sia il capo (oggi il confronto sarebbe tra l’ottantenne e malandato Berlusconi e il leghista Salvini), è da stabilire, anche quale debba essere il modello di destra del nuovo millennio. Non è un problema che puo’ ridursi a tattica o strategie. In queste amministrative la contraddizione della destra si è palesata in tutta la sua evidenza. Il modello Milano ha dimostrato che una destra unita è più forte (almeno come proposta agli elettori), resta poi da verificare se sia anche credibile e quanto sia possibile mantenere in giunta questa coesione elettorale. Non è impossibile immaginare, nel caso di successo di Parisi, che tra gli alleati possano venire al pettine molti nodi: Aprire la moschea, come porsi rispetto agli immigrati? Come gestire le periferie, ecc..

Una convivenza rivelatasi impossibile nella surriscaldata campagna elettorale romana, che da un lato ha portato all’inevitabile sconfitta delle due destre, ma che al contempo prova che al di là delle auspicate, da taluni, ammucchiate, il problema è ancora forte ed irrisolto. Il vero tema è il fronteggiarsi di una destra assolutamente estrema, quella di FDI e Lega Nord, che cuce alleanze con appariscenti gruppi fascisti, che nell’anima è lepenista e profondamente antieuropea, sostanzialmente xenofoba ed intollerante; dall’altro lato c’è una destra, incarnata da Forza Italia, meno radicata nel territorio, più moderata e che ambisce al centro dell’agone politico. Si tratta di differenze decisive su cui ci si gioca la storia politica e la visione futura per il paese e i suoi territori. Le stagioni delle coalizioni “anti-qualcuno” (Fossero Berlusconi, Prodi o lo stesso Renzi) hanno mostrato, anche in sede nazionale, tutto il loro limite. Prodi molto potrebbe raccontare dei governi falliti per improvvide alleanze con Mastella o Bertinotti e che dire viceversa, del cavaliere con (Bossi e poi Fini)? Il percorso di una nuova destra è tutto da costruire e in queste votazioni Parisi puo’ giocarsi le sue chances, anche se per lui il difficile verrebbe dopo.

M5S.

Il filosofo Becchi vicino ai Cinque Stelle

Un po’ di premessa è necessaria, sono d’accordo con Ilvo Diamanti quando dice che M5S è un movimento (un partito?) senza storia, ma questo gli dà anche una certa modernità. Appare infatti difficile definire se sia di destra o sinistra e per questo pesca sia da Casa Pound che da Fassina. Ai ballottaggi la Lega, ad esempio, ha promesso il suo sostegno alle candidate grilline di Roma e Torino. Questa contiguità populista e destrorsa qualcosa vorrà dire (si parla di accordi non ufficiali ma di sottobosco politico, finanche di accordi sottobanco). In loro aiuto vi è anche il colpevole sensazionalismo della TV (anche pubblica) che arriva a deformare i duri dati della realtà? Si è fatto passare la prima tornata elettorale dei grillini come una marcia trionfale. In realtà come certifica l’Istituto Cattaneo: i grillini sono migliorati rispetto alle comunali di 5 anni fa, quando esordivano pressoché sconosciuti, raccogliendo scarsi risultati, ma arretrano ancora rispetto al voto del 2013. Se è vero che i grillini vanno benissimo a Roma e Torino onestà vuole che si dica che i risultati di Napoli, Milano, Bologna sono deludenti, con il M5S che non arriva neanche ai ballottaggi. Andrebbe aggiunto infine, che il movimento era presente solo in 261 degli oltre 1300 comuni in cui si vota (segno dell’ancora scarso radicamento nel Paese) e pertanto risulta molto complessa l’interpretazione dei suoi dati elettorali.

Probabilmente, dietro i successi di Roma e Torino vi è l’oggettiva crisi della destra e della sinistra in quelle città, crisi che è resa evidente anche dal dato di astensioni che dimostra che esiste un’ampia area di cittadini che si è allontanata dalla politica e che non vuole neanche manifestarsi nel voto di protesta antisistema a favore di forze “populiste” come Lega (che non cresce) e M5S (che come detto in linea generale cala rispetto al 2013).

Certo i ballottaggi sono tutta un’altra partita, che la Raggi non sembra affrontare nel migliore dei modi. C’è la faccenda del mini direttorio nominato dal vertice grillino (quale? Grillo? Il direttorio? La Casaleggio associati? La trasparenza tra i cinque stelle appare proprio il punto debole), che dovrà controllare l’operato della Raggi, qualora vincesse.

Un arbitrio inconcepibile, i sindaci hanno una giunta per verificare e attuare il programma e devono dare conto del loro operato ai cittadini e non al vertici del loro partito o movimento che sia. L’altro rischio per i Cinque Stelle è che i cittadini possano riflettere sul fatto che una città complessa come Roma, ma anche Torino, richiede un’amministrazione ricca di passione e volontà ma anche di esperienza e autorevolezza, e su questo terreno la Raggi appare un’incognita, diversamente da Giachetti che ha già dato, personalmente, una buona prova di sé ai tempi di Rutelli.

Conoscendo l’effervescenza di quel movimento è facile immaginare perniciosi conflitti interni al suo “direttorio”, le estemporanee del “garante” Grillo e le espulsioni “anonime” della Casaleggio associati. Raggi ancora non ha una giunta (e anche in questo caso pare che la sua autonomia sia limitata), diversamente da Giachetti che l’ha annunciata, senza ascoltare nessuno, assumendosi da solo la scelta. Una candidata che teme le responsabilità sarà quella giusta per la capitale? Infine c’è la grana Olimpiadi che la Raggi non vuole e Giachetti si. In effetti sarebbe una straordinaria occasione di rilancio per la capitale, come fu nel 1960 (si parla di decine e decine di migliaia di posti di lavoro ed un indotto ragguardevole). Il rischio è che la Raggi nella sua insicurezza finisca per limitarsi da sindaco all’ordinaria amministrazione. E’ già qualcosa ma forse non abbastanza per la città eterna.

Eppure la Raggi potrebbe farcela, visto anche l’endorsement a suo favore dei leghisti di Salvini che giurano che a Roma come a Torino non voteranno mai per un candidato del PD, ed in generale potrebbero saldarsi in un’alleanza inquietante che va da Fassina a Berlusconi (il filosofo Becchi, vicino ai grillini, propone uno scambio con Berlusconi: Noi vi votiamo Parisi a Milano e voi sostenente la Raggi a Roma). Un’alleanza di sistema contro l’unico partito, il PD, che paradossalmente, questo sistema vuole cambiarlo anche con la riforma Costituzionale.

La sinistra.

Giachetti e Fassina

Liquidiamo rapidamente il discorso su quella che un tempo era detta “sinistra radicale” per poterne certificare, dopo diversi elezioni, nazionali, amministrative, europee, la definitiva scomparsa. Airaudo leader della Fiom a Torino (citta storica della sinistra operaia), prende il 3,5% dei voti, Fassina a Roma poco meglio. Per questo non comprendiamo perché ci siano ancora nostalgici di un « fronte popolare » che la nostra realtà storica ha evidentemente archiviato per sempre.

La sinistra in Italia è oggi un’altra cosa. E’ il PD, ed esattamente il PD della gestione Renzi, che puo’ presentare una classe dirigente giovane, che ha in prima linea donne preparate e competenti come la Boschi, la Giannini, la Serracchiani, che fa ripartire seppure lentamente il mondo del lavoro dopo venti anni di calo, che si batte in Europa da sola per gli immigrati, che bene o male cambia la scuola, che mette in primo piano la cultura dopo anni di dimenticatoio, che porta l’Italia al primo posto per l’uso delle energie rinnovabili.

Una sinistra propositiva, di contenuti e di cambiamento, puo’ piacere o meno, ma è questa la sinistra oggi. La sinistra moderna è Sala a Milano, Giachetti a Roma, gente che ha capito che non puo’ esserci progresso sociale, economico e culturale se non si cambia il Paese e che quindi contrasta con un sistema storicamente fondato sulla conservazione di privilegi di caste e lobby. Forse bisognerebbe chiedersi con lucidità che cosa ci sia dietro un insieme di partiti che (un tempo fieri rivali) trasversalmente fanno oggi blocco contro il PD e Renzi sempre e comunque.

roma-2024-logo-300x225.jpg Nelle difficoltà del PD, in queste amministrative, si sono saldate due cose, da una parte l’antirenzismo, ma soprattutto un fenomeno tutto locale, che mi fa ritenere che in questo voto siano stati prevalenti i temi delle città più che il quadro politico generale. Il voto è stato frammentato, non uniforme, credo che questo dipenda anche da un errore grave del PD renziano quello di non aver portato la sua rivoluzione anche nei territori, nella gestione della base del partito. Vorrei dire che la “rivoluzione” renziana se per un verso ha dato una scossa a livello nazionale, in molte aree locali deve ancora iniziare.

Si pensi alla débâcle della sinistra a Napoli e più in generale alle diverse difficoltà riscontrate in diversi paesi del sud, con il caso clamoroso della candidata renziana nel comune calabrese di Plati, costretta a rinunciare dagli intrecci tra politica e ndrangheta, con il PD locale che non l’ha sostenuta per connivenza o paura. Va preso atto che a livello locale non comanda Renzi ma il vecchio PD, quello delle passate gestioni. Una contraddizione interna che va definitivamente risolta, specie nel sud dove quel partito latita. In molte aree territoriali il PD è composto da comitati d’affari, sostanzialmente marci, legati a lobby, soggetti a corruzione e spesso corruttori. Un’evidente contraddizione con la linea nazionale del nuovo corso. In quei territori Renzi non è arrivato ancora. E i comitati di affari continuano le loro pratiche.

Roma è stato il caso più clamoroso di questa contraddizione nel PD ed è per questo che il risultato di Giachetti è stato salutato come un autentico miracolo. Ma la realtà è semplice. Giachetti per Roma è credibile e capace, la Valente per Napoli no.

Considerazione finale.

Il vero problema è che in Italia, purtroppo, esiste una sola forza politica organizzata su criteri democratici e partecipativi ed è il PD, forse anche per questo, tutto il blocco di opposizione oggi punta ad un voto isterico e spinge gli elettori ad una sorta di schizofrenia, chiedendo un voto non per le città, ma contro Renzi. Un’operazione populista e fuorviante, che ove fosse seguita sarebbe pericolosa. L’ennesimo tentativo di manipolare le coscienze dei cittadini. Il punto non è Renzi, che ha si una forte leadership ma frutto di primarie democratiche e prive di contestazioni. Il punto sono le città. Semmai c’è da chiedersi del blocco di sistema composto da una destra quella di Berlusconi che in venti anni ha fatto un solo congresso, o quella di Salvini oppure quella di M5S che, a parte i passi di lato, non conosce congressi ed è di fatto gestito da una società commerciale la Casaleggio associati. Il PD ha un segretario eletto davvero, ha organismi dirigenti ed è strutturato sul territorio. Occorrerebbe più rispetto dei cittadini che sono chiamati, in questa occasione, a scegliere il futuro delle loro città e non per un inesistente referendum su Renzi.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Amministrative all’arrivo. Le città scelgono.
    Bravo Nicola, il punto è proprio questo: il futuro delle città e non un referendum sul presidente del Consiglio. Speriamo che gli italiano lo capiscano

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