I Magliari, 1959. Uno spunto di riflessione.

I Magliari, girato da Francesco Rosi nel 1959, racconta il destino tragico degli emigrati italiani in Germania, appunto negli anni cinquanta.

L’ho visto per la prima volta l’altro giorno, l’ho trovato splendido ; e solo verso la fine mi sono d’un tratto ricordato che lo avevo già visto tantissimi anni fa (ero ancora, probabilmente, un ragazzino) e lo avevo trovato splendido.

Questa coabitazione di oblio e ricordo, come l’identità di impressioni (entrambe le ‘prime volte’ ho trovato il film splendido) m’è sembrata rivelatrice, ed è su questo, più che sullo splendido film, che voglio soffermarmi brevemente, qui.

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Quando il film uscì, e anche quando qualche anno dopo lo vidi io, credo agli inizi degli anni settanta, questa Italia emigrata era terribilmente vicina, se non ancora attuale, e le sue vicende erano qualcosa che ci apparteneva e, anche, una sorta di monito, da poterne e doverne parlare a scuola : guarda che cosa siamo, o cosa eravamo solo un attimo fa, guarda cosa sono ancora adesso molti dei nostri parenti, amici, o connazionali.

Così, ci si commuoveva per quelle storie di miseria, si rispettava il sudore, il lavoro, ci si indignava contro l’ingiustizia che obbligava molti a partire.

Oggi, quelle storie sembrano lontanissime, preistoriche, quasi l’itinerario di un’altra civiltà, al punto che la parola « Magliari » mi è sembrata, all’inizio, incomprensibile (chi lo ricorda, ancora ? I « Magliari » erano i venditori ambulanti di stoffe…).

Eppure, nella lontananza, il film mi è apparso, m’appare, di terribile, come profetica attualità, al di là dell’evidente riflessione su quel che significa, oggi, la collettiva «dimenticanza» della coscienza nazionale, che tende inquietantemente alla xenofobia.

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L’attualità cui alludo – ma forse farei meglio a parlare di attualità ‘trans-temporale’, o quantomeno ‘trans-secolare’ – emerge nel confronto fra i due principali protagonisti : l’uno, Mario (il bravissimo Renato Salvatori), il lavoratore, generoso, onesto – l’altro, Totonno (Alberto Sordi, come sempre, un genio), l’emblema dell’eterna cialtroneria italica (parafrasi e stretta parente dell’ « eterno fascismo italiano », di cui parla Carlo Levi, ma che già conosceva e descriveva, prima del fascismo, Alessandro Manzoni).

L’arte di Rosi consiste nel separare nettamente il « buono » e il « cattivo », il gentiluomo e il camorrista, pur facendo emergere i cedimenti, o i rischi di cedimento dell’uno, e i possibili rigurgiti di umanità dell’altro : il che, per quanto possa sembrare incredibile a chi non ci sia nato, è proprio quello che succede in Italia, paese fra tutti complessamente ma fanaticamente manicheo, e in certo senso sempre come sul bordo di una strisciante guerra civile.

Il film, da questo punto di vista, finisce bene (eticamente, e nel senso delle storie individuali ; globalmente, « politicamente », è straziante): il « buono » e il « cattivo » sono sconfitti entrambi – ma il « cattivo », cioè il cialtrone, a volte divertente, magari seducente (per alcuni), che si arrangia cinicamente per sopravvivere fregando (possibilmente il vicino, anche se, proprio se, amico, e soprattutto se più debole), il cialtrone, dicevo, sembra sconfitto due volte. Perché perde, e perché la vigliacca e ridicola tirata con cui minaccia vendette e annuncia resurrezioni è pateticamente destinata a sgonfiarsi.

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« Ve lo meritate Alberto Sordi », urla Nanni Moretti, non ricordo più in quale suo film, rivolgendosi a una virtuale comunità italiana, intrappolata nella sua spirale di mediocrità piccolo-borghese, perché Sordi è riuscito a rappresentare questo miracoloso miscuglio di simpatia , furbizia e vero e proprio schifo (con lo schifo che sempre finisce per imporsi) facendone un prodotto unico, e tipicamente italiano. (Provate a tradurre in francese o in inglese la parola « cialtrone »).

Ma – e c’è da tremare – riguardando I Magliari oggi, le rodomondate e lo stile di Totonno-Alberto Sordi sconfitto non sembrano più, come nelle intenzioni di Rosi, destinate pateticamente a sgonfiarsi : piuttosto ricordano, nei contenuti e nel tono, chi nel Paese ha vinto e lo governa da quasi vent’anni. Neanche il più pessimista dei Nanni Moretti o dei Francesco Rosi, o di noi stessi, avrebbe mai immaginato questo.

Giuseppe A. Samonà

Fiche du film :

Titre : I MAGLIARI
Réalisateur(s) : Francesco ROSI
Année : 1959
Nationalité : Italien
Genre : Comédie Dramatique
Durée : 1H51
Acteurs principaux : Belinda LEE, Renato SALVATORI, Alberto SORDI, Linda VANDAL
Résumé : Mario, un jeune ouvrier spécialisé, arrive d’une petite bourgade italienne avec un contrat en poche à Sankt Pauli, le quartier « chaud » du port de Hambourg, en ruines.

Venezia: ‘I magliari’ di Francesco Rosi restaurato alle Giornate degli Autori
8 settembre 2009

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Giuseppe A. Samonà
Giuseppe A. Samonà, dottorato in storia delle religioni, ha pubblicato studi sul Vicino Oriente antico e sull’America indiana al tempo della Conquista. 'Quelle cose scomparse, parole' (Ilisso, 2004, con postfazione di Filippo La Porta) è la sua prima opera di narrativa. Fa parte de 'La terra della prosa', antologia di narratori italiani degli anni Zero a cura di Andrea Cortellessa (L’Orma 2014). 'I fannulloni nella valle fertile', di Albert Cossery, è la sua ultima traduzione dal francese (Einaudi 2016, con un saggio introduttivo). È stato cofondatore di Altritaliani, ed è codirettore della rivista transculturale 'ViceVersa'. Ha vissuto e insegnato a Roma, New York, Montréal e Parigi, dove vive e insegna attualmente. Non ha mai vissuto a Buenos Aires, né a Montevideo – ma sogna un giorno di poterlo fare.