Libretti d’opera italiani. Ginevra e il cardinale di C. Faverzani – Recensione

Qualche osservazione sul libro di Camillo Faverzani, “Ginevra e il cardinale. Libretti italiani da Salieri a Ponchielli”, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2015. La ricerca di un italianista, professore all’Université Paris 8 Saint Denis, studioso di “parole e musica”, in un arco di tempo che va da fine Settecento a primo Novecento, volta a riabilitare il libretto d’opera e il suo valore drammaturgico e letterario.

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Durante gli anni ’80, Italo Calvino si cimentò nell’avventura operistica con Luciano Berio e, preso nel turbine di questo incontro (che poi si concluse i maniera misteriosamente ambigua) fu intervistato dal giornalista musicale Lorenzo Arruga nel febbraio del 1982. In questa occasione, parlando delle opere di cui avrebbe dovuto occuparsi nella parte scritta, disse: “Due fatti musicali (l’opera incompiuta di Mozart Zaide e La vera storia di Berio) che ad un certo punto avevano bisogno della parola, e cosi’ ci si è rivolti a un artigiano della parola”.

L’artigiano in questione è il librettista. Il libretto è dunque lo “script” dell’opera. Può trattarsi di una creazione originale, qualche volta scritta da un poeta o da un autore celebre (supra et alii) ma spesso si tratta dell’adattamento di testi teatrali, di racconti ( o di fiabe), di romanzi. Il risultato dell’incontro fra un testo e la musica ci ha dato opere sublimi che hanno fatto sognare e amare la letteratura e la musica, diffuse entrambi in ogni ambiente, anche i più emarginati e non colti. Soprattutto in Italia.

Queste storie varie e ricche di colore, arrivavano ovunque, perfino nelle campagne e servivano spesso come canovacci per serenate e cantate durante feste e sponsali. Un modo di diffondere la letteratura e la musica anche con scopi pedagogici e didattici della lingua.

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Il soggetto dei libretti d’opera merita studi approfonditi e considerazione, nonché l’erudita cura di uno studioso di “parole e musica” quale Camillo Faverzani, italianista, professore all’Université Paris 8 Saint Denis. La sua passione per l’opera e dunque per i libretti lo ha coinvolto e gli ha fatto organizzare seminari, convegni, giornate di studio e pubblicazioni su questo soggetto. Oggi Faverzani ha edito un libro – prezioso e raffinato anche nella veste editoriale – dal titolo suggestivo Ginevra e il cardinale. Libretti italiani da Salieri a Ponchielli (Lucca, Libreria musicale italiana, 2015).

Affidiamo il compito di presentarlo a un altro studioso, esperto in materia di opera lirica e di libretti. Vittorio Coletti, nella prefazione, ricorda che “negli ultimi decenni, letterati, linguisti, storici del teatro si sono avvicinati all’opera lirica, portando linfa nuova agli studi e arricchendone le prospettive. Formatosi agli studi operistici per passione, Camillo Faverzani è uno di questi amatori del melodramma che hanno mostrato quanto sia importante esaminarlo anche da angolature non esclusivamente tecnico-musicologiche, pur nella imprescindibile priorità del suo progetto musicale. Se oggi si parla comunemente di opera anche come testo letterario e prodotto teatrale, come fusione di scenografia, letteratura e lingua, è in gran parte merito dell’acquisita capacità di studiarla e di comprenderla non solo dalla prospettiva della partitura, ma anche da quella di tutti gli altri elementi coinvolti. L’incremento della conoscenza di questa straordinaria invenzione artistica regalata dall’Italia all’Occidente e al mondo va visto in parallelo col grande approfondimento e miglioramento odierno dei modi e delle ragioni della messainscena dell’opera, sempre meno convenzionale e sommaria e sempre più originale e motivata. L’incredibile crescita in qualità e quantità delle regie d’opera (la novità forse più importante del teatro lirico tardonovecentesco), per cui oggi le regie più interessanti e i registi più celebri si trovano più sulle scene cantate che su quelle recitate, è un aspetto di quella stessa sensibilità culturale che ha indotto letterati, drammaturghi, linguisti, a studiare l’opera, rivalutando anche le sue componenti non strettamente musicali.

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Tra queste, inutile dire che un ruolo di primo piano spetta al libretto. A lungo trascurato o disprezzato, spesso deriso in una stilizzazione caricaturale del suo linguaggio e delle sue trame, il libretto d’opera è cresciuto di recente nella considerazione scientifica e critica, che ha via via recuperato a dignità letteraria non solo i libretti eccelsi di Metastasio, Da Ponte o Boito, ma anche i testi di servizio dei tanti, mirabili professionisti della parola che hanno lavorato per il teatro in musica. Oggi i libretti d’opera sono accolti in antologie dalla sede editoriale prestigiosa (i Meridiani), sono studiati da esperti di prim’ordine, sono diventati il punto di incontro di musicologi, letterati e linguisti in uno scambio di competenze e sensibilità che, superate le iniziali gelosie, si è rivelato di grande utilità per tutti.

Come recita il sottotitolo, questo è un libro sui libretti: un’angolatura che permette come poche altre di misurare la vastità e l’incidenza delle ricerche recenti su questo specialissimo testo, l’acquisita consapevolezza del suo ruolo, la sua importanza teatrale, letteraria, metrica e linguistica.

Camillo Faverzani infatti affronta i libretti non solo con la sua personale competenza di studioso e di appassionato spettatore d’opera, ma facendosi forte anche della ormai cospicua produzione saggistica su di essi, fornendo, insieme col suo personale contributo, anche una perfetta messa a punto dei recenti studi su questo vasto e pur ancora in parte inesplorato dominio. Con un vantaggio: Faverzani non percorre il territorio librettistico lungo i suoi ormai ben lavorati viali principali; o meglio non passa solo attraverso i massimi capolavori del repertorio ottocentesco, per altro ripetutamente osservati ed esplicitamente trattati in alcuni saggi d’insieme di questa raccolta (quello sull’invettiva nel teatro lirico, sull’eccentricità estrema dei suoi personaggi, sull’elemento esotico che non di rado lo contraddistingue), ma si incammina coraggiosamente su vie oggi secondarie e trascurate, mostrandoci quanto primarie e fortunate fossero state un tempo; così facendo, contribuisce a completare un quadro conoscitivo che del melodramma oggi contempla spesso solo i nodi salienti, dimenticando o semplificando l’incredibile ricchezza e varietà del mondo dell’opera italiana.

A parte i tre saggi iniziali dedicati all’opera settecentesca, seria e comica, il nucleo di questo libro è l’Ottocento operistico, affrontato specialmente a partire da titoli finora meno esplorati o del tutto negletti e ripercorso minutamente nell’ampia zona centrale, fino ai tre saggi dell’ultima sezione, dove si legge, tra l’altro, la bella ricostruzione della fortuna (e sfortuna) di Cristoforo Colombo all’opera, seguita da Faverzani a partire dal Seicento fino ai lavori di Franchetti a fine Ottocento e di Milhaud in pieno Novecento.

Ritratto di Giuseppe Verdi (1858), Domenico Morelli e Filippo Palizzi, Piacenza, collezione Carrara Verdi

Al centro del libro di Faverzani c’è dunque il libretto d’opera ottocentesco: quello di opere note e ancor oggi fortunate, come La forza del destino o il Don Carlo o I vespri siciliani di Verdi; quello dimenticato ma a suo tempo grande e importante perché musicato da compositori di indubbio rilievo.

Cominciamo dal primo filone: di fronte a testi ben noti Faverzani sceglie strade originali o meno battute, come l’approccio iconografico alla Forza del destino o il passaggio all’italiano delle due opere francesi. Faverzani mette a frutto le sue doppie competenze di francesista in Italia e italianista in Francia esaminando le due opere nate francesi (per libretto, musica, drammaturgia e scenografia) e poi tradotte in italiano, e adattate al nostro speciale linguaggio librettistico.

In questo libro sui libretti, essi hanno una proprietà di cui Faverzani non si dimentica mai sono testi destinati alla musica e alla scena, e condizionati quindi dalle convenzioni vigenti, per cui l’esame di ognuno di essi tiene conto della distribuzione dei numeri musicali e delle parti vocali non meno di quella di atti, scene e attori. Non sorvolando sulla relativa autonomia del libretto, Faverzani instaura una sua prospettiva di lettura che non prescinde dalla loro destinazione musicale in un felice equilibrio tra analisi letteraria e vitalità scenica, autonomia testuale e finalità musicale”.

Ma chi sono questa affascinante Ginevra e il cardinale del titolo? Nella sua introduzione Faverzani risponde: “Ginevra è l’Orlando furioso, fonte inesauribile di gran parte delle produzioni operistiche settecentesche, come nel caso dell’Alcina haendeliana che inaugura il volume e poi ovviamente Ginevra di Scozia di Gaetano Rossi per Giovanni Simone Mayr”. Il cardinale è Victor Hugo, tra i maggiori ispiratori della librettistica ottocentesca che, nella sua Marion de Lorme, lascia intravvedere l’ombra di Richelieu…

Ritratto di Fra Hortensio Félix Pallavicino (1609), Boston, Museum of Fine Arts.

Prima di lasciare spazio al corposo apparato critico – l’elenco delle sigle, gli indici (nomi e opere, luoghi e teatri) – il volume si conclude con una gustosa chiosa di Marco Beghelli Finché canta la cicciona…Non solo una postfazione, in cui l’autore osanna il canto “Forza rituale, cuore pulsante dell’opera, corporeità…” e la segreta bellezza dei libretti ancora tutti da scoprire come testi letterari a tutto tondo; a volte travisati, snobbati, manipolati con imprudenza dai registi d’opera.

Giustamente è di questi giorni la notizia che Katie Mitchell, regista dell’ultima produzione della Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti presso il Covent Garden Opera House di Londra, abbia “usato” il libretto dell’opera, scritto da Salvadore Cammarano e tratto dal romanzo di Walter Scott The Bride of Lammermoor, come pretesto per una rappresentazione osée che ha sconvolto gli spettatori. Atti sessuali di ogni genere, la messinscena di uno stupro, cose che di fatto non pare rientrino in nessun caso nel libretto e quindi siamo nel campo della più totale improvvisazione sul tema.

Il pubblico dell’opera, da sempre molto esigente, ma anche molto preparato e colto, non sembra apprezzare scelte del tutto arbitrarie nonché troppo sbilanciate rispetto ai libretti originali. Qualcosa dunque che ricorda, ma probabilmente supera di gran lunga, il Macbeth di Verdi portato in scena prima a Novara e poi a Pisa da Dario Argento, nel corso del quale completamente nude e a gambe aperte erano le ragazze componenti il coro delle streghe. Una scelta che provocò i fischi del pubblico di Novara, ma dinanzi alla qual cosa il regista del brivido intese minimizzare con le parole: “Erano quattro gatti. Probabilmente dei moralisti scandalizzati dalle scene di nudo. E l’orchestra ridacchiava nel sentire quei dissensi sparuti”.

Vero è che le regie d’opera richiedono una preparazione, Faverzani docet, che spesso, con l’intento di sfruttare nomi altisonanti per richiamare maggior pubblico, non trova adeguati interlocutori.

Adesso, dopo l’inconveniente incorso nella preparazione della nuova produzione della Lucia di Lammermoor di scena al Covent Garden Opera House di Londra dal 7 aprile, è salito sugli spalti dell’accusa anche Norman Lebrecht, blasonatissimo critico d’opera che ha voluto inserire l’operazione di comunicazione preventiva del teatro verso il proprio pubblico sotto l’etichetta della censura. A tali accuse il teatro, con la voce del suo direttore, Holten, ha però replicato spiegando che “non è un caso di censura, ma il contrario. Quello che ho imparato dal Guglielmo Tell – altra produzione, questa volta di Adriano Michieletto, che aveva messo in scena uno stupro – è che avremmo dovuto mettere in guardia il pubblico, in modo che possa scegliere autonomamente”.

Insomma libretti d’opera ancora in scena quindi per Camillo Faverzani à suivre

Maria G. Vitali-Volant

N.B. I quadri inseriti nell’articolo sono elementi iconografici del libro di Faverzani. Quello d’El Greco richiama il personaggio di “Padre Guardiano”, ne La forza del destino.

Scheda del libro:

Camillo Faverzani
Ginevra e il Cardinale
Libretti italiani da Salieri a Ponchielli

Prefazione di Vittorio Coletti
Con una postfazione di Marco Beghelli
Edizione: Lucca, LIM, 2015 (Biblioteca Musicale Lim – Saggi)
pagine: 23 + 460
ISBN: 9788870968354
lingua: Italiano
Prezzo indicativo: 40€

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Maria G. Vitali-Volant
Maria G. Vitali-Volant : nata a Roma, laureatasi all’Università di Roma; abilitata in Lettere, storia e geografia; insegnante e direttrice di biblioteca al Comune di Roma, diplomata in Paleografia e archivistica nella Biblioteca Vaticana, arriva in Francia nel 1990 e qui consegue un dottorato in Lettere, specializzandosi in Italianistica, con una tesi su Giuseppe Gorani, storico viaggiatore e memorialista nel Settecento riformatore. Autrice di libri in italiano su Geoffrey Monthmouth, in francese su Cesare Beccaria, Pietro Verri, è autrice di racconti e di numerosi articoli sull’Illuminismo, sulla letteratura italiana e l’arte contemporanea. In Francia: direttrice di una biblioteca specializzata in arte in una Scuola Superiore d’arte contemporanea è stata anche insegnante universitaria e ricercatrice all’ Université du Littoral-Côte d’Opale e à Paris 12. Ora è in pensione e continua la ricerca.

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