Divi – La mascolinità nel cinema italiano ǀ Recensione

Il divismo cinematografico nasce in Italia con le favolose dive del cinema muto. Ma come nasce e cosa significa il divo? Qual è il rapporto che si instaura fra la star maschile e la mascolinità italiana? Questo volume, il primo studio dedicato interamente al divismo maschile nel cinema italiano, esamina lo sviluppo del fenomeno dal periodo muto al cinema contemporaneo.

Marcello Mastroianni è forse l’epitome del latin lover, il simbolo consumato della mascolinità che il cinema italiano ha indagato tanto a fondo, con ironia, comicità, ma anche con crudezza, mettendo a nudo molti nodi della società italiana, quasi che lo scanzonato modello impersonato da Mastroianni fosse lo specchio di un intero mondo e delle sue dinamiche. Oltre i tanti latin lover del cinema nostrano, Jacqueline Reich smaschera la realtà dietro il mito: dietro a questa immagine di “iper-mascolinità” si nasconde infatti la figura dell’inetto, del babbeo, di un uomo alla continua ricerca del proprio posto e del proprio ruolo in una società in rapida trasformazione. Tanti sono i modelli, tutti in fondo negativi e perdenti, di mascolinità che il cinema italiano ha indagato: l’impotente, il cornuto, la vittima di donne spregiudicate; quasi a mitizzare una serie di anti-eroi intrappolati in un modello di mascolinità tradizionale, ma sempre più instabile. Il cinema ha così saputo cogliere, prima forse di altri luoghi della narrazione del paese, l’instabilità politica e sociale del dopoguerra, raccontandoci un’Italia in cui la questione del genere è molto più presente e probabilmente più in divenire di quanto si sia soliti credere.
(Presentazione dell’editore Donzelli)

RECENSIONE

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Nonostante da molti anni il cinema italiano non sia più, qualitativamente parlando, quello di una volta, esso tuttavia continua a calamitare l’attenzione di addetti ai lavori, critici e studiosi esteri. L’uscita, dell’interessante volume “Divi – La mascolinità nel cinema italiano”, di Jacqueline Reich e Catherine O’ Rawe (Donzelli 2015, in coedizione con il Centro sperimentale di cinematografia) costituisce una ulteriore conferma della circostanza citata.

Ad occuparsi della nostra cinematografia, stavolta, sono due appartenenti rispettivamente al corpo accademico americano e inglese: Jacqueline Reich della Fordham University di New York e Catherine O’ Rawe dell’Università di Bristol. Questa pubblicazione mi dà occasione di parlare di cinema, una delle forme d’arte che prediligo. Dico subito che Divi – La mascolinità nel cinema italiano è un testo scientifico, pertanto il rigore e il livello di approfondimento con cui vengono trattati gli argomenti contenuti al suo interno sono quelli che caratterizzano ogni ricerca accademica che si rispetti. Le stesse autrici, peraltro, chiariscono fin dalle prime pagine che per rendere esauriente la comprensione degli argomenti trattati è essenziale “far riferimento a una pluralità di campi disciplinari quali l’antropologia, la sociologia, la storia e la teoria del cinema, gli studi di genere, la semiotica, gli studi su divismo e celebrità nonché la riflessione sui media digitali.

Nel libro la prima parte teorica è seguita da una seconda parte dedicata a profili di attori del nostro cinema considerati esemplari. Ognuno di essi, a seconda dello stile recitativo prevalente, corrisponde ad una ben individuata tipologia attoriale.

Nella parte storico speculativa del volume si può apprendere con interesse che “negli studi sul cinema italiano i divi maschi hanno goduto di scarsa attenzione; al contrario, le ricerche si sono focalizzate sulle dive del secondo dopoguerra, come ad esempio Sophia Loren e Gina Lollobrigida, e al loro legame con le mutevoli concezioni dell’identità nazionale. Stephen Gundle è giunto a sostenere l’esistenza di un’identità tra la bellezza femminile e l’Italia”.

Il manifestarsi del divismo viene dalle autrici esaminato dinamicamente in relazione ai vari cambiamenti della temperie storica politica ed economica italiana e anche in relazione agli interventi moralizzatori della chiesa, istituzione che in Italia ha influito non poco, sul fenomeno in argomento.

Senza trascurare il fatto che “Considerata come merce, la star è un prodotto deliberatamente promosso, distribuito e venduto sul mercato, capace di pubblicizzare al contempo il film e il proprio personaggio intertestuale”, e dopo aver ammesso che “interpretazione e recitazione sono state trascurate negli studi sul cinema italiano, e più in generale negli studi sul divismo, tanto che è diventato quasi un luogo comune degli studi sul divismo, attorialità e recitazione mettere in evidenza tale mancanza” Reich e O’Rawe accennano alla necessità urgente “di considerare lo stile recitativo congiuntamente alla tecnologia, e distintamente da un modello soltanto teatrale di perfomance […]. Tale analisi,” sostengono le studiose, “implica non solo la funzione della fotografia e del montaggio nella definizione della performance, ma anche l’impatto delle tecnologie audio”.

La seconda parte (la meno, per così dire, “ardua” da leggere, delle due) è quella dedicata all’esame del profilo di un certo numero di divi che coprono un ampio arco temporale e un vasto spettro di generi cinematografici. Ognuno di essi è presente in questa sezione del libro in virtù di una o più caratteristiche personali che lo fanno rientrare in una ben determinata classificazione attoriale.

Amedeo Nazzari

Vi compaiono numi tutelari del cinema italiano d’altri tempi come Vittorio De Sica, quale divo e regista dal fascismo in poi, Amedeo Nazzari, quale attore che incarna l’italiano ideale e Vittorio Gassman, quale perfetta figura dell’italiano medio.

Capitoli a parte anche per i divi del cinema muto Bartolomeo Pagano ed Emilio Ghione e per Raf Vallone, in quanto divo neorealista.

Alberto Sordi, Marcello Mastroianni e Gian Maria Volontè rappresentano rispettivamente le categorie della Commedia all’italiana, del divo come “inetto” e dell’attore impegnato civilmente e politicamente.

Vittorio Gassman

Le autrici dedicano gli ultimi capitoli alle generazioni di attori più recenti: Roberto Benigni e Carlo Verdone rappresenterebbero la componente “regionale” del nostro cinema mentre Toni Servillo sarebbe l’attore prediletto dal cinema d’autore. Riccardo Scamarcio, infine, occuperebbe il miglior posto tra i divi delle adolescenti e gli attori più amati dallo spettatore medio.

Alla trattazione, ad essere sinceri, mancherebbe il capitolo dedicato ad Ugo Tognazzi quale attore che si è sempre distinto, unico forse tra gli italiani, per la sua eccezionale versatilità interpretativa.

Ciò, peraltro, non compromette il grande valore di una pubblicazione agile (circa 150 pagine) ma densa e importante che fornisce molti elementi conoscitivi e di studio sul nostro cinema.

Giovanni Graziano Manca
Da Cagliari

Scheda del libro:

Divi
La mascolinità nel cinema italiano
Jacqueline Reich e Catherine O’Rawe

Donzelli Editore
2015, pp. VI-154,
ISBN: 9788868432362
€ 21,00

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Giovanni Graziano Manca
Giovanni Graziano Manca nasce a Nuoro nel 1962, ma vive a Cagliari da decenni. Laureato in filosofia, ha sempre coltivato l’amore per la poesia, ma frequenta in modo altrettanto intenso altre derive artistiche (musica, pittura, architettura e cinema) e letterarie (saggistica, filosofia, narrativa). Pubblicista, critico musicale e letterario, ha collaborato e collabora con le più diffuse e interessanti riviste sarde e le più lette riviste musicali. Tra le sue pubblicazioni le due raccolte poetiche “In direzione di mete possibili”, LietoColle, Faloppio (Co), 2014 e “Voli in occidente” Eretica, Buccino (Sa), 2015.

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