Forum di Altritaliani sulla lingua italiana

Questo forum è a disposizione di tutti gli amanti della lingua italiana e di coloro che vogliono intervenire sui temi relativi a questa nostra bella lingua. Ci rivolgiamo, ma non esclusivamente, ai tanti insegnanti che nel mondo fanno conoscere l’italiano. Tutti troveranno uno strumento e uno spazio per scambiarsi idee, esperienze e finanche materiali didattici ed informazioni. CONTACT: redazione@altritaliani.net

_lingua-italiana-16908.jpg

Article précédentLa notte stellata: uno sguardo a Saturno e Van Gogh.
Article suivantCinepanettoni, si chiude il cerchio?
Altritaliani
Altritaliani est un journal on-line franco-italien, de culture, d’information et d’opinion dédié à l’Italie et aux rapports Italie/France. Le site est géré par une association culturelle loi 1901 dont le siège est à Paris. Vous êtes italien ? Vous l’étiez ? Vous êtes intéressé à en savoir plus sur l’Italie d’aujourd’hui, sa politique, sa langue, ses cultures, son histoire… ? Suivez-nous, abonnez-vous à notre newsletter !

298 Commentaires

  1. Obliterare, vidimare, convalidare…
    I « titoli di viaggio », alias i comuni biglietti del treno o dell’autobus, devono essere obliterati, altrimenti si rischia di incorrere in una multa (del tutto improbabile sugli autobus, vista la quasi inesistenza di controlli in Italia). Ma accanto al termine « obliterare », di per sé piuttosto ermetico, abbiamo « timbrare », « vidimare », « validare », « convalidare », « annullare ». All’incertezza dei termini si aggiunge la poco efficace e veramente ridicola macchinetta atta alla bisogna: la striminzita obliteratrice situata sugli autobus, la cui minuscola fessura richiede vista acuta e grande destrezza manuale. Per poi ritirare, quando l’operazione riesce, un biglietto « obliterato », ossia recante una linea di microscopici caratteri di stampa, in cui teoricamente il controllore, che non passa mai, dovrebbe essere in grado di leggere l’ora e la data fatidiche dell’avvenuta timbratura.

    • Le razze non esistono
      Ha scritto Susanna Tamaro: « La nostra è una società che sta diventando sempre più afasica. Il crollo verticale della padronanza della lingua, il drastico impoverimento lessicale delle nuove generazioni contribuiscono in maniera determinante a questa impossibilità di ragionare. Se non si conoscono le parole per esprimere ciò che si prova, si diventa rapidamente estranei a sé stessi e al proprio destino (…). »

      Pensiero profondo, con cui concordo. Ma oltre alle parole scomparse, di cui parla la Tamaro, vi sono parole tabu’ che ormai pronunciamo solo a nostro rischio e pericolo. Una di queste è « razza ».

      Il candidato del centrodestra in Lombardia. Attilio Fontana, si è azzardato a dire: « Dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o se devono essere cancellate. »

      « Le razze non esistono, e men che meno esiste la ‘razza italiana' », è stata l’immediata reazione. D’accordo, invece di “razza” si dovrebbe parlare di “etnia”, di “cultura”. Ma dovrebbero farlo tutti, e non tutti lo fanno. Non lo fanno certe etnie minoritarie che usano la parola « razza » molto volentieri per designare sé stessi: vedi gli aborigeni nordamericani. Il calcolo della percentuale giusta di sangue è per loro è un elemento fondamentale, poiché essi intendono escludere da certi diritti e privilegi chi non appartiene alla loro tribù.

      Anche se “razza” è ormai termine tabù, “multirazziale” è accettabile. Su “multirazziale” non c’è il veto benché parli di “razze”. Come mai? Quel “multi” rende la parola virtuosa: multirazziale evoca la non esclusione, la coesistenza, la parità di etnie, di… “razze” stavo per dire. Sarebbe ingiusto a chi parla di una società sanamente multirazziale opporre l’obiezione: “Ma lei di cosa sta parlando… Le razze non esistono!”.

      Poi vi sono le frasi improntate ai buoni sentimenti, nelle quali il termine razza è ammesso perché il ragionamento è virtuoso. “Gli ebrei, sono una razza o un gruppo religioso?” È una domanda che troviamo, in tutte le lingue, in Rete. Vi sono addirittura libri consacrati all’importante questione. E la virtuosa risposta di rabbini, studioso, esperti, è, parola più parola meno: “No, gli ebrei sono un gruppo religioso, un popolo, una nazione, ma non una razza, poiché nel corso dei secoli sono confluite nei loro ranghi razze diverse”.

      La “political correctness” dovrebbe spingerci a rifiutare sia il quesito che la risposta al quesito, attraverso la ferma obiezione: « le razze non esistono! »

      Vi sono poi termini ambigui, su cui occorrerà fare chiarezza, invitando gli autori di dizionari a evitare la parola razza nelle loro definizioni (che attualmente purtroppo la includono). Mi riferisco a “meticcio”. In inglese “half-breed”. Meticcio = “Persona nata da un genitore di razza bianca e da uno di razza diversa”. Half-breed = “A person whose parents are of different races, especially the offspring of an American Indian and a person of white European ancestry.”

      Il vocabolario cambia perché la lingua è viva, ci dicono. Ebbene, ogni tanto una parola viene colpita da decreto di morte: è il caso della nostra « razza ».

  2. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: L’uso della lingua nella canzone italiana
    Il Ragazzo della via Gluck, Adriano Celentano, compie ottanta anni. Ma cosa?

    Rimane sempre quel ragazzo maldestro che di ogni sua canzone ne ha fatto un racconto di epoca, un mito, ovvero la più popolare di tutte.

    Milano è stata ed è bello la sua sede del cuore, ma le radici sono a sud. Eppure Adriano è universale, conosciuto nel mondo, la sua Azzurro (di Paolo Conte) è ormai un inno nazionale. I suoi dischi sono i più venduti, un record inarrivabile. Da quella prima 24mila baci che Emir Kusturica inserisce in suo film
    straordinario (Ti ricordi Dolly Bell) a riprova di quanto persino in quei « chiusi » paesi balcanici Celentano era amato.

    Il ragazzo della Via Gluck rimarra uno dei brani più celebri di ogni tempo, ignorato all’epica dal festival più nazional popolare del mondo.

    Di Adriano e il Cinema si potrebbe scrivere anche tanto, ci limitiamo al personale ricordo dell assegnazione del Leone d oro alla carriera a Venezia insieme ad Ermanno Olmi. Sembrava intimanamente coinvolto.

    Immenso Adriano, la sua voce e la sua presenza sulla scena non avranno tempo. È l’interezza del tempo che nell’arte non passa mai.

    (Armando Lostaglio)

    ****

    L’USO DELLA LINGUA NELLA CANZONE ITALIANA.

    La linea verde nelle canzoni con gli esempi di Celentano e Gaber

    L’evoluzione del costume italiano, negli anni sessanta passò anche attraverso l’uso dell’italiano. Vediamo sul tema della “città” il confronto poetico-linguistico tra due note canzoni di Adriano Celentano e Giorgio Gaber. Due esempi emblematici del rapporto tra la poetica della canzone e il linguaggio del suo tempo. Cambiava il modo degli italiani di percepire il mondo, così anche la lingua andava “rivoluzionandosi”.

    Luisa Tramontana

    Docente di lingua italiana Università per stranieri di Perugia – esperta in linguaggi giovanili.

    [*VEDI QUESTO LINK CHE A NOI ALTRITALIANI PIACE RICORDARE*]

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article347

  3. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: quesito sulla correttezza di una frase
    Buonasera, ho da un po’ di giorni un dubbio che mi assilla… è corretta la frase : avevo intenzione di chiederle se sarei potuta venire anch’io all’incontro ? In questa frase il se non rientra in un periodo ipotetico, ma in una interrogativa indiretta quindi l’uso del condizione non dovrebbe essere sbagliato, tuttavia non ne sono convinta .. grazie per l’aiuto

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: quesito sulla correttezza di una frase
      Si tratta di un’interrogativa indiretta e non di un periodo ipotetico. L’imperfetto « avevo intenzione » costituisce la frase reggente, mentre il « se » introduce la frase subordinata che è appunto un’interrogativa indiretta. Le grammatiche ci dicono che nelle interrogative indirette il condizionale passato (composto) (« se sarei potuta venire ») contrassegna un’azione posteriore rispetto a un tempo storico (« avevo intenzione ») della reggente, ossia indica il futuro nel passato.

      Quindi, la formulazione « avevo intenzione di chiederle se sarei potuta venire anch’io all’incontro » è corretta. La persona non ha partecipato all’incontro che doveva avvenire e domanda : avrei potuto anch’io partecipare all’incontro se glielo avessi chiesto ?
      Ma è questo il vero senso espresso dalla frase ? Ci cerca delle complicazioni puo’ continuare nella lettura di questa mia analisi (non sono un linguista e cerco d’imparare anch’io).

      Non vi nascondo che dopo averla pronunciata sommessamente un paio di volte, mi sono sorti dei dubbi su questa frase a causa del suo significato che non mi appare del tutto esplicito e chiaro, dato anche che ignoriamo il contesto cui essa si riferisce (tra l’altro, non sappiamo a chi riferisca quel « chiederle » : è forse un « chiederLe ») ?
      La frase, presa da sola, puo’ prestarsi a delle interpretazioni.

      1. Avevo intenzione di chiedere a quella persona (o a Lei, egregio signore) se sarei potuta (se potevo, se potessi) venire anch’io all’incontro. Un incontro che al momento della richiesta, anzi dell’intenzione, doveva ancora svolgersi.

      2. Avevo intenzione di chiedere a quella persona (o a Lei, egregio signore) se sarei potuta venire anch’io all’incontro (già avvenuto rispetto al momento di « avevo intenzione »). Ma il condizionale passato dà invece l’idea che l’incontro era nel futuro. Quindi questa interpretazione del senso della frase è forzata.

      3. Un’interpretazione che mi appare ugualmente forzata e addirittura sbagliata è : Ho intenzione di chiedere a Lei, egregio signore, se potro’ venire anch’io all’incontro.

      Se l’imperfetto di « chiedersi » – « mi chiedevo » – esprime un evento del passato (l’interrogante si chiedeva allora, in quelle circostanze) cui si contrapponeva un evento del futuro (il progettato incontro), è certo che nell’interrogativa indiretta della nostra frase il « se sarei potuta venire » è grammaticalmente corretto, poiché « in un’interrogativa indiretta il condizionale composto indica il futuro del passato ».
      Se quell’ »avevo intenzione » è un imperfetto con valore di presente, ossia è un imperfetto di cortesia (« al quale si ricorre per smorzare in modo garbato la perentorietà di una richiesta » – Wikipedia), e se l’incontro in questione, in riferimento al tempo passato, doveva ancora svolgersi, ugualmente la frase è corretta perché nelle interrogative indirette il futuro del passato si esprime preferibilmente con il condizionale composto.
      Se l’evento (l’incontro) è invece in un futuro che non si è ancora realizzato, e se il richiedente intende attraverso questa frase chiedere il permesso di parteciparvi, la chiarezza vorrebbe che egli usasse il condizionale semplice, oppure l’indicativo al presente o al futuro. Ripeto : se il dicitore o lo scrivente attraverso quella sintetica frase mira, nel presente, a ottenere il permesso di partecipare a un « incontro » che deve ancora aver luogo (« se sarei potuta venire anch’io all’incontro ») le cose cambiano. Per rendere questo futuro rispetto al presente di « avevo intenzione = ho intenzione » (nel caso in cui si tratti di un imperfetto con valore di presente) occorrerebbe servirsi, secondo me, del condizionale semplice : « Avevo (= ho) intenzione di chiederle se potrei venire anch’io all’incontro ». O anche l’indicativo : « Avevo (= ho) intenzione di chiederle se posso venire anch’io all’incontro » o « Avevo (= ho) intenzione di chiederle se potro’ venire anch’io all’incontro ». O anche il congiuntivo : « Avevo (= ho) intenzione di chiederle se possa venire anch’io all’incontro ».

      Non mi avventuro personalmente oltre, anche perché mi rendo conto che le mie sofferte spiegazioni possono non apparire del tutto chiare. Cedo ora la parola a un linguista del Web, e quindi alla Crusca.

      Dal Web. Il linguista Francesco Bianco scrive : Mi chiedevo se ti andasse di uscire si può usare in riferimento a una domanda passata. Mi chiedevo se ti sarebbe andato di uscire si usa con riferimento al futuro nel passato : è qualcosa che si chiedeva lei ieri a proposito di un evento che sarebbe avvenuto in futuro (ieri stesso, dopo alcune ore, oggi, oppure domani). Mi chiedevo se ti andrebbe di uscire si può usare per il presente, p. es. per invitare qualcuno. Mi chiedo se ti andasse di uscire è una domanda che ci si pone riguardo a un evento passato. Mi chiedo se ti andrebbe di uscire si può usarla nel presente, per invitare qualcuno. Mi chiedo se ti vada di uscire si usa sempre nel presente, ma piuttosto per domandarsi qualcosa che per rivolgere un invito. Mi chiedo se ti sarebbe andato di uscire (qualora te lo avessi chiesto) è una domanda che ci si pone rispetto a eventi non realizzati nel passato. I dubbi, su cui spero di aver fatto luce, sono legati alla possibilità dell’imperfetto di agire non solo come tempo storico, ma anche come da tempo « attenuativo » (caratteristica che condivide con il condizionale), in vece del presente indicativo. Quando diciamo al salumiere volevo [= vorrei] due etti di prosciutto non stiamo raccontando ciò che avremmo desiderato mangiare il giorno prima, ma stiamo esprimendo una richiesta concreta.
      Ecco il quesito posto a quelli della Crusca. « Vorrei sapere se la domanda che segue è corretta o no. ’Vorrei chiederle se potesse darmi qualche suggerimento al riguardo…’

      Risposta. L’attenzione verte principalmente sulla consecutio temporum. Nella dichiarativa, compare una forma di cortesia, che attenua il tono diretto della richiesta, realizzabile in vari gradi a scalare (Voglio chiederle, Le chiedo, Le chiederei) grazie all’introduzione del verbo modale volere e all’adozione del condizionale. Vorrei chiederle equivale dunque a Le chiederei : in dipendenza da un condizionale (qui di cortesia, equivalente, di fatto, a un presente indicativo più “gentile”), l’interrogativa indiretta esplicita, portatrice di un’azione posteriore rispetto a quella della reggente, seleziona il modo, tra congiuntivo e indicativo, a seconda della maggiore o minore ricercatezza stilistica : vorrei chiederle se possa darmi (più elevato) / vorrei chiederle se può darmi (standard). In questo caso, può avere senso anche l’uso del condizionale, vale a dire lo stesso modo che useremmo nell’interrogazione diretta, volendo essere cortesi (Potrebbe darmi…?) : vorrei chiederle se potrebbe darmi. Il tempo dell’interrogativa indiretta è il presente (o, al limite, il futuro, nel caso di uso dell’indicativo : vorrei chiederle se potrà darmi).

  4. « RISPLENDUTO » MI È SEMPRE PIACIUTO
    Gli Italiani, inventori dell’opera lirica, sono terrorizzati dal ridicolo di certi suoni. Io considero invece che il « Suona bene? Suona male? », test per loro supremo, è una camicia di forza che spesso va a scapito della chiarezza e dell’arricchimento della lingua: vedi i participi passati di tanti verbi italiani, che nessuno in Italia osa pronunciare perché cacofonici, con il risultato d’impoverire ancora di più il vocabolario di cui uno dispone.

    Il linguista Aldo Gabrielli ha proposto, senza successo ahimé, che si comincino ad usare i participi « procombuto, penduto, spanduto, striduto, mesciuto, splenduto, risplenduto, fenduto ». Ha scritto: « So già che tutti arricceranno il naso e diranno che sono orribili; ma solo perché non abbiamo mai fatto l’orecchio a queste forme verbali; tuttavia corrette sono, non ci son santi; e fanno male, malissimo i dizionari e le grammatiche a ignorarle, e peggio a dire che non esistono affatto. La verità è, ripeto, che a certi suoni bisogna abituarsi, come ci siamo abituati a suoni non meno brutti come quelli dei participi perduto, creduto, caduto, bevuto, riflettuto, piovuto, giaciuto, combattuto, taciuto, temuto, piaciuto, cresciuto, rincresciuto, e via all’infinito. » (A. Gabrielli, Si dice o non si dice, Mondadori, 1976).

    È proprio vero: nella Penisola nessuno mai avrà il coraggio di usare il participio passato di risplendere: « risplenduto ». D’Annunzio osò farlo, ma noi sappiamo che con la lingua, e non solo con quella, il Vate osò molto…

    « Risplenduto » per le caste orecchie degli Italiani (oggigiorno morbosamente attratti, invece, dai suoni sgangherati di un inglese mal capito e mal parlato) « suona male! ». Condanna suprema!

    Strano, perché il participio passato di perdere suona altrettanto male, eppure non ce lo siamo « perduto ».

  5. I FEMMINILI PROFESSIONALI
    Sgarbi, qualche tempo fa, ha preso pesantemente in giro la « Boldrina » (Laura Boldrini) perché questa si batte affinché gli italiani usino il femminile di certi sostantivi: i « femminili professionali ». Sgarbi: “Ministra e sindaca? Cara Presidenta Boldrina, sei una zucca vuota!” E ancora, sempre riferendosi alla Boldrini: « Rappresenta l’ignoranza italiana, si dimetta ».

    Strano che una persona colta come Sgarbi esibisca la sua stupida avversione ad adottare il femminile, quando invece sarebbe molto logico usarlo. Ma alle caste orecchie di molti orecchianti italiani, tra cui vi è non solo Sgarbi ma anche l’ex presidente Napolitano, espressosi perentoriamente anche lui contro « ministra » e « sindaca », questa « a » finale reca un suono tremendamente sgradevole.

    La giornalista femminista Monica Lanfranco ha reagito « portando avanti » il solito discorso basato su vittimismo e complottismo: « Abbiamo un eminente esponente del patriarcato di sinistra che sceglie due parole molto significative, ‘orribile’ e ‘abominevole’, per stigmatizzare l’uso del femminile (previsto sin dalle elementari nella lingua italiana) per vocaboli che indicano ruoli di rappresentanza: sindaca e ministra. » Gli uomini – secondo la Lanfranco – riescono ad accettare questi « ruoli relativamente nuovi per le donne, funzioni di potere, mansioni che rimandano simbolicamente all’autorevolezza » solo cancellando « il corpo femminile che li incarna ». Si domanda quindi enfaticamente: « Solo maschilizzandole per definirle possiamo sopportare che le donne accedano a posizioni di potere? »

    In realtà il maschilismo c’entra assai poco in questo resistere di Sgarbi, uomo di destra, e di Napolitano, uomo di sinistra, ai femminili.

    Vi propongo qui di seguito una mia stringata analisi di questa resistenza da parte sia degli uomini che delle donne della penisola ai « femminili professionali ».

    Molti si oppongono all’uso della variante femminile di cariche, professioni e mestieri. La maggioranza tende a servirsi del termine solo al maschile: sindaco, notaio, deputato, ministro, assessore, ferroviere; anche quando la logica, ma non ancora l’abitudine, vorrebbe che si dicesse: sindaca, notaia, deputata, ministra, assessora, ferroviera… Tantissimi femminili sono ormai, invece, consacrati dall’uso: scrittrice, pittrice, infermiera, biologa, ambasciatrice… E nessuno trova da ridire.

    Per giustificare questa resistenza all’adozione dei « femminili professionali » alcuni sostengono che i sostantivi in questione sono « neutri » e che quindi sono da usare per entrambi i sessi. E in realtà in certi contesti questi termini sono usati in maniera impersonale, quindi se vogliamo sono « neutri ». Ma non in tutti i casi.

    Alla base di questa non volontà di adottare le varianti femminili vi è, in realtà, la tirannia del “Suona male!” È vero: il femminile di certe professioni produce un suono ostico. Ma solo all’inizio… poi l’orecchio finisce con l’abituarsi ai nuovi suoni. E cosi’ oggi abbiamo « ambasciatrice » (ma anni fa un giornale parlo’ imperterrito del « marito dell’ambasciatore americano a Roma » riferendosi all’editore Henry Luce, coniuge di Clara, l' »ambasciatrice »), « elettrice », « senatrice » (alla Merlin va il merito del neologismo). Lo stesso dicasi di « professoressa », « poetessa », « avvocatessa » (ma ad avvocatessa si dovrebbe preferire « avvocata »; dopotutto Maria santissima è « avvocata nostra » e non « avvocatessa nostra »). Il linguista Aldo Gabrielli: « Scrivere ‘maestra’ e ‘infermiera’, quando si tratta di donne, è una questione di chiarezza, risolta ormai da tempo con l’adozione del femminile per queste due professioni. Il trovare invece scritto in un articolo ‘il marito del sindaco’ lascia confusi sul sesso del sindaco.” Qui s’impone una chiosa: ciò prima del matrimonio gay.

    Questa resistenza all’evoluzione normale della lingua italiana spiega perché essa sia rimasta, per molti aspetti, quella che era ai tempi del « dolce stil novo ». Ed anzi da allora, sotto molti aspetti – se si eccettua il vocabolario tecnico – si è impoverita (fatte salve le varianti di forma di una miriade di parole: « denaro-danaro », « insieme-assieme », « lacrima-lagrima », « fra-tra », etc. con doppioni perfettamente inutili che pero’ « suonano bene »). Cosa volete… l’abitante della penisola è ossessionato dal « suona bene », vera palla al piede del nostro idioma.

    Vi è poi un fatto paradossale che meriterebbe gli sghignazzi sia di Sgarbi che di Napolitano: le verginelle italiche le cui delicate orecchie venate di azzurro rifiutano l’entrata nel padiglione di questi strani nuovi suoni terminanti in « a », accettano, godendo, che nello stesso pertugio entrino in massa gli sgangherati suoni di un inglese cacofonico mal parlato e mal capito. E l’effetto di questa sconcia apertura al suono diverso – un « diverso » da amare perché « straniero » – è di privare la nostra lingua di termini perfettamente validi, rimpiazzati dal loro « corrispettivo » inglese.

    È un fiasco – anzi un « flop » – su tutta la linea. Ma per gli italiani è come vincere l’intero montepremi, anzi l’intero « jackpot ». Un « jackpot » molto simile per contenuti a « the pot », ossia a un pitale.

  6. « Piuttosto che… Gli errori da non fare » e i libri da non scrivere
    Il manualetto « Piuttosto che, le cose da non dire, gli errori da non fare » di Valeria Della Valle e Giuseppe Patota (Sperling & Kupfer, 163 pagine) si propone, appunto, di istruire il lettore circa « le cose da non dire e gli errori da non fare ». Aggiungo, molto onestamente, che questa operetta denunciante « gli errori da non fare » è anche un esempio di libro « da non scrivere ». O da non scrivere nel modo in cui i due autori lo hanno concepito e redatto.

    Il « piuttosto che » dell’errore, anzi dell’orrore, è visto come una metastasi minacciante la lingua italiana, ed è fatto bersaglio di mille anatemi: « tossina grammaticale », « immonda accezione disgiuntiva », « sciatteria linguistica », « infelice novità lessicale », « sgrammaticatura »…

    La spiegazione che gli autori ci danno sul significato erroneo di « piuttosto che » è però laconica e direi insufficiente: l’uso errato di questa espressione avviene quando ce ne serviamo « in funzione disgiuntiva », ossia come un « o disgiuntivo ». Quanto al significato di « disgiuntivo », al lettore non rimarrà altro che consultare il vocabolario di casa.

    Perché non aver aggiunto « o anche », « oppure » a questa striminzita vocale « o » che, disgiuntiva o non disgiuntiva che sia, spiega assai poco?
    Il metodo del libretto è basato sull’enumerazione di termini errati. La lista degli errori è però magra, e inoltre essi ci sono presentati passivamente senza che gli autori si preoccupino di enunciare la regola, quando essa esiste, che ci permetterebbe in futuro di evitarli. Prendiamo « films ». « La parola films è invariabile, non bisogna aggiungere la s finale al plurale », ci è detto, senza che gli autori si preoccupino di enunciare la regola generale: in italiano il termine straniero va in genere usato solo al singolare.

    Nell’illustrare i termini erronei, gli autori spesso identificano l’autore dell’errore in questione, invitando il lettore a non seguire un tal cattivo esempio. L’invito prende la forma di « Non fate come… ».

    Berlusconi e la sua compagine sono i destinatari preferiti delle frecciate linguistiche di Della Valle e Patota. Ed è forse Michela Vittoria Brambilla (ministra del turismo del quarto governo Berlusconi) la detentrice del record italiano di « piuttosto che » sbagliati pronunciati nello stesso discorso. I due giustizieri linguistici denunciano numerosi altri abusi grammaticali e sintattici della Brambilla, tanto che questa potrebbe, secondo me, rivendicare il titolo di coautrice del manualetto, vista la sua sostanziosa contribuzione ai testi in esso contenuti.

    Appare evidente che la lingua di Berlusconi non piace per nulla ai due autori, i quali dopo il classico avviso « Non fate come… » citano spesso gli errori suoi e quelli della sua compagine politica. Gli autori gli rimproverano, tra le tante cose, l’uso di « avvocatessa », secondo loro da bandire « perché contiene una sfumatura spregiativa ». Io trovo invece che « avvocatessa » è forma diffusa, che non può essere di certo equiparata a « giudichessa », « vigilessa », « ministressa », « generalessa », forme, quest’ultime, di stampo, sì, ridicolo. Apprendiamo anche che « benedire » non fa all’imperfetto « benedivo » né « benediva », modi incorretti per i quali i due autori condannano Berlusconi, propinandoci l’intero discorso dell’allora presidente del consiglio; discorso da « maledire » in blocco.

    Scorrendo gli errori inseriti nel lessico, viene il forte sospetto che questi siano stati scelti a caso e non per la loro frequenza o gravità. Non mancano nel lessico errori di battitura o svarioni tratti dalla Rete: « Non fate come… Flavio Briatore, imprenditore, Twitter, 11 dicembre 2012: non dovrei arrabiarmi ».

    Abbondano nell’operetta gli spazi bianchi e le pagine vuote, come se gli autori avessero voluto riempire il numero di pagine prefissato senza troppo preoccuparsi dei contenuti. Ampi spazi sono poi occupati da lunghi inutili testi, miranti a mettere in evidenza una singola parola errata.

    Vengono inoltre messi alla gogna errori assai poco diffusi, come « d’avvero » al posto di « davvero ».

    Alla voce « laurea » gli autori si prendono burla di Elena Guarnieri del Tg5 che avrebbe detto « laura ad honorem » al posto di « laurea ad honorem ». Quando si tratta di lingua parlata, è facile che scivoli un errorino. Oltretutto, chi può veramente distinguere il suono di « ea » da quello di « a », inserito in una parola pronunciata rapidamente in televisione?

    Il difetto maggiore di questo manualetto è una mancanza di rigore metodologico che sfiora addirittura la sciatteria.

    Il chiaro orientamento politico, antidestra e « progressista », di questo raffazzonato « breviario » dai toni politico-moralistici, probabilmente spiega il commento elogiativo espresso nei confronti degli autori da Silvana Mazzocchi, sulle colonne di « Repubblica. E spiega l’interesse che il libricino suscitò tra gli addetti ai lavori, alias « padroni del discorso ».

    Grazie a questa operetta impariamo che « regime » è una parola che « deve essere pronunciata con l’accento sulla i, non sulla e », ma se cerchiamo « zaffiro » e « recluta » e altre simili non caviamo un ragno dal buco perché tali parole sono assenti dal lessico. Ci avverte comunque il « breviario »: « Acrìbia: l’unica pronuncia corretta è acribìa, con l’accento sull’ultima i ». Io trovo che gli autori avrebbero potuto anche fornire al lettore il significato di questo termine di raro uso. Colmerò io questa lacuna, azzardandomi a dire, già che ci siamo, che « Piuttosto che; le cose da non dire, gli errori da non fare » difetta proprio di acribìa [= « accurata e scrupolosa osservanza delle regole proprie di uno studio, una ricerca e simili (Zingarelli) »].

    • « Piuttosto che… Gli errori da non fare » e i libri da non scrivere
      Ritengo che il libro « piuttosto che…gli errori da non fare…. » sia un libro molto utile .
      Anch’io mi sono accorta della grande quantità di persone che usano a sproposito la allocuzione « piuttosto che.. » e ogni volta che assisto a questo errore salto sulla sedia, mi contorco per la sofferenza e mi chiedo perchè l’intervistatore non intervenga a correggere l’intervistato, perchè « piuttosto che » è un errore di logica prima che di grammatica. « Piuttosto », a me è stato insegnato, si deve usare col significato di « invece », mentre spesso è usato nelle frasi in cui si sta facendo un elenco; è come se ad un certo punto, siccome ci si è stufati di usare la virgola per elencare le cose ( ad es. questo, quello, quell’altro) si introduca la parola « piuttosto » per semplice gusto di variabilità nel discorso che si sta facendo, che altrimenti sarebbe troppo ripetitivo, allora appare la parola « piuttosto che », che sembra dare alla frase, anche in senso sonoro, una forza che altrimenti il discorso non avrebbe. Credo che l’errore nasca da un’esigenza “estetico-musicale” del discorso.
      Sulla connotazione politica di questo errore , sinceramente non ci avevo mai fatto caso; non so se sia stato Berlusconi ad usare erroneamente per primo « Piuttosto che »nel discorso e quindi a diffondere l’errore; non mi sento di dirlo, comunque è un errore che fanno molte persone del nord , ma anche persone di altre parti d’italia, perchè ormai l’errore si sta diffondendo.
      Non so se siete d’accordo su questa mia modesta analisi anche voialtre persone che leggete.

  7. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    “Guerra agli anglicismi. Il nostro linguaggio quotidiano è infarcito di parole inglesi che potrebbero essere sostituite con l’equivalente in italiano”, proclama il « Corriere della Sera » in un pezzo che mi sono affrettato a leggere nella speranza, risultata poi vana, di veder denunciati termini come il ridicolo “killer” che ha eliminato in un colpo solo quattro termini italiani validissimi: “uccisore”, “assassino”, “omicida”, “sicario”.

    Speravo inoltre di veder messo alla berlina “in tilt”, espressione che nata anni fa nei bar della penisola quando gli italiani giocavano al cosiddetto “flipper” (in inglese “pinball machine”), infetta ormai il linguaggio orale e scritto non solo della gente comune ma di intellettuali e linguisti. Questi ultimi si consacrano invece alla denuncia giornaliera del “piuttosto che”, usato nel senso errato di “oppure”, errore in cui io non mi sono mai imbattuto ma che sembra essere invece una metastasi che occorra combattere ad ogni costo anche per ragioni ideologiche: l’espressione sarebbe di casa nei salotti berlusconiani.

    Ripeto: avrei voluto veder denunciati “in tilt” e “killer”, invece no. Nella lista degli anglicismi da condannare non ho mai trovato questi termini barzelletta, né in questo pezzo né nelle centinaia di articoli consacrati al tema del ridicolo scimmiottamento della lingua inglese o pseudo-inglese, fatto dagli italiani per provincialismo, snobismo e innata vocazione a lustrare le scarpe dello straniero. Come anglicismi si citano gli immancabili weekend, blue jeans, sandwich… Evidentemente “in tilt” e “killer” sono considerati termini ormai insostituibili.

    E mai che si denunciasse il ruolo del governo italiano che con i suoi “stalking”, “welfare”, “social card” e altre piacevolezze da lustrascarpe, contribuisce, dall’alto della sua mediocrità, alla colonizzazione linguistica della lingua nazionale che tende sempre più a divenire una « lingua barzelletta ».

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Sono onestamente d’accordo su questa impropria assunzione della terminologia inglese proprio adesso che l’Inghilterra se ne va.

       D’altra parte è scusabile anche se non accettabile al 100% che anche lo stato abbia acquisito l’inglese per il fatto che a Strasburgo si pala Inglese tra i deputati.
      Per cui le loro proposte di legge a cui noi dobbiamo adeguarci sono in Inglese.

       Mia mamma era una sarta e faceva i tailleurs ovvero i vestiti a giacca; era evidente che la parola faceva « MODA ».

      Anche il garage è francese e sta per autorimessa.

      Mia madre faceva anche i paletot ‹paltó› s. m., fr. [dall’ingl. medio paltok «giacca corta»]. – Cappotto,

      D’altra parte tutti gli altri paesi hanno assunto la pizza.

      Cordiali saluti

  8. La crina una parola antica ma ancora attuale
    Ciao a tutti,
    vi propongo la parola Crina
    alla crina s.f.s. dal latino crinis (3°) oggi in molti vocabolari non si danno significati suoi propri ma la si appoggia diciamo così ad altri termini simili, quasi sempre maschili, per il fatto che non la si conosce.
    La crina è invece un cascame della fibra tessile della canapa simile alla stoppa da idraulico ma ancora più grezza e un tempo non lontano serviva per imbottire i materassi.

  9. Questione
    Salve a tutti ! 🙂

    Amo l’Italiano (principalmente attraverso canzone delle ’60, e dei FPA) e ho una domanda : qualcuno potrebbe dirmi se questa frase è corretta ?

    (udita in una canzione, ma problema ricorrentissimo)

     » la rosa che mi hai lasciato è ormai seccata  »

    Io avrebbe pensato a  » la rosa che mi hai lasciata è ormai seccata  »

    Grazie in anticipo ! :-))

    PS Ascolto & leggo molto ma non parlo nè scrivo… dunque scusi per gli sbagli… :’-(

  10. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Il significato delle parole e la comprensione della lingua
    Mettere in risalto le parole o le frasi con più di un significato e far rivelare la differenza tra denotazione e connotazione

    La comprensione non è solo una barriera linguistica e culturale, ma qualcosa di molto più complesso che non si basa solo nel capire il significato delle parole o del discorso, ma soprattutto ci impone di intendere e non equivocare quello che gli altri dicono, il che, spesso, rispecchia il loro mondo o la comunità in cui vivono

    Ogni rapporto o incontro umano è portatore di valori, significati e ambivalenza. Uno dei problemi tra interlocutori è la comprensione, o il fraintendimento delle parole usate da uno o più parlanti. Alcune parole sono ambivalenti e hanno un duplice significato, quindi creano incomprensioni tra amici intimi, colleghi, in famiglia, tra marito e moglie, oppure fra genitori e figli.

    Parlare la stessa lingua non basta, e nemmeno essere cresciuti nella stessa città o condividere la cultura e le stesse usanze. La comprensione non è solo una barriera linguistica e culturale, ma qualcosa di molto più complesso che non si basa solo nel capire il significato delle parole o del discorso, ma soprattutto ci impone di intendere e non di equivocare quello che gli altri dicono, il che, spesso, rispecchia il loro mondo o la comunità in cui vivono.

    Leggi l’articolo completo:

    http://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2016/10/23/il-significato-delle-parole-e-la-comprensione-della-lingua/

  11. Un circo felliniano
    Il vocabolario politico italiano è pieno di termini da circo felliniano.

    Il campo della riforma elettorale è costellato di conati legislativi, come il Mattarellum (1993), dal nome del suo relatore: Sergio Mattarella. Che dire del “Porcellum” (2005), marchingegno elettorale ideato da Roberto Calderoli, dal nome evocante il Satyricon, i banchetti di Trimalcione e i lupanari della Suburra?

    Nel 2007 tento’ di venire alla luce, senza successo, il “Vassallum” (Salvatore Vassallo).

    Il “patto del Nazareno” sembrerebbe parlare di Vangelo e di mercanti del tempio. Deve invece il suo nome al Largo del Nazareno, dove avvenne l’incontro tra Renzi e Berlusconi, i due mercanti del tempio.

    La “Leopolda” non è il nome di una casa di tolleranza, ma è l’ex stazione ferroviaria di Firenze, dove Matteo Renzi radunava periodicamente la sua corte.

    Nel 2014 l’”Italicum” sembro’ restituire una certa dignità al linguaggio dei politici. Ma fu solo un’illusione da nostalgici della grandezza di Roma. Il giudizio dei giuristi fu categorico: “Italicum peggio del Porcellum!”

    Subito dopo si cerco’ di procreare il “Democratellum”, un sistema di preferenze che, nato morto come tutti gli altri, ando’ ad ingrossare la pila degli aborti legislativi elettorali.

    Oggi si parla di Tedeskellum o anche di Merkellum per designare il modello elettorale tedesco, e di Rosatellum (da E. Rosato del Pd) che è invece una sorta di Mattarellum corretto.

    Cosa volete, le porcate sono all’ordine del giorno nella politica italiana e nel suo vocabolario. Quello dei politici è un gergo da addetti ai lavori che si fanno sberleffi e versacci, e si giocano tiri mancini.

    A Napoli ci si serve dell’espressione « E’ gghiuta a pazziella ‘mmane e’ criature », ossia « È finito il giocattolo in mano ai bambini » per indicare « l’uso inopportuno di una cosa di valore lasciata nelle mani di un incapace ». Vi è poi una versione molto ma molto piu’ volgare, che s’intona ancora meglio al carnevale parlamentare italiano: « E’ gghiuta ‘a pucchiacca ‘mmano e criature… » che, per rispetto, mi esento dal tradurvi in italiano. Dal Web: « Sono icastiche espressioni napoletane pronunciate a sapido commento di avvenimenti sviluppati da incompetenti, ovvero, dare dei mezzi a soggetti incapaci – per propria natura – di farne buon uso. »

    Ebbene, invece di far ridere queste pagliacciate linguistiche che trattano un problema serio, chiave della democrazia: il sistema elettorale, dovrebbero far piangere. Invece sollazzano un po’ tutti…

  12. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Dubbio frase italiana
    Salve,

    Ho scritto : non importa quale sport praticate, l’importante è che sia green

    Ho usato il presente per il vero praticare per rendere la frase più colloquiale ma un mio collega mi ha detto che in questo caso andrebbe usato il congiunto

    Cosa ne pensate?

    Grazie mille

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Dubbio frase italiana
      Buongiorno,

      Certamente in questo caso andrebbe detto: pratichiate.

      Tuttavia nel linguaggio corrente molti usano l’indicativo.

  13. quesito sulla correttezza di una frase
    Buonasera.
    da ieri,tra i miei compagni è nato un quesito sulla correttezza di una di queste due frasi.
    gradirei un aiuto da parte vostra…..le frasi sono:
    se anche tu vorresti essere in Africa , clicca mi piace.
    se anche tu volessi essere in Africa, clicca mi piace.
    quale delle due è corretta?
    vi ringrazio di cuore anticipatamente.

    • Quesito sulla correttezza di una frase
      « Buonasera. Da ieri, tra i miei compagni è nato un quesito sulla correttezza di una di queste due frasi. Gradirei un aiuto da parte vostra… Le frasi sono: « Se anche tu vorresti essere in Africa, clicca mi piace »; « Se anche tu volessi essere in Africa, clicca mi piace ». Quale delle due è corretta? Vi ringrazio di cuore anticipatamente. »

      La grammatica italiana Treccani:
      Il periodo ipotetico è un periodo attraverso il quale si esprime un’ipotesi da cui può derivare una conseguenza. È formato dall’unione di una proposizione reggente, o apodosi, con una subordinata condizionale, o protasi. La reggente esprime la conseguenza che deriva o deriverebbe dal realizzarsi della condizione indicata nella subordinata.
      Se avessi tempo (protasi), verrei volentieri (apodosi).

      Da parte mia, una semplice opinione che non ha la pretesa di dirimere la controversia, dato anche che do ragione a entrambe le parti.

       Prima frase, con il congiuntivo: « Se anche tu volessi essere in Africa, clicca mi piace. »
      Molti diranno (ed io fra questi): si tratta di un « periodo ipotetico », con la « protasi » (introdotta da se: se anche tu volessi essere in Africa) al congiuntivo. Nel pieno rispetto, quindi, delle regole. Frase pertanto corretta.

       Seconda frase, con il condizionale: « Se anche tu vorresti essere in Africa, clicca mi piace. »
      Alcuni potranno dire (ed io fra questi): quest’ultima è una frase altrettanto corretta, anche se c’è il condizionale (vorresti) e non il congiuntivo (volessi) dopo il fatidico « se ». Si tratta, infatti, di un periodo ipotetico « sui generis », poiché la proposizione introdotta da ‘se’ (la protasi) non ha un senso condizionale nettamente marcato nel suo rapporto con l’apodosi (« clicca mi piace ») ed anzi equivale ad una proposizione indipendente esprimente l’idea del « vorrei essere in Africa ». Quindi, il condizionale dovrebbe essere ammesso. Insomma, l’intera frase equivale a: « Clicca mi piace, se rispondi che anche tu vorresti essere in Africa. »

      Qualche anno fa, nel forum « Scioglilingua del C. della S. online (22 maggio 2009) vi fu un dibattito simile. Ecco cosa scrisse Gianni Pardo:
      « Un lettore chiede se sia corretto l’invito seguente: ‘Se anche tu vorresti che non fosse così sottoscrivi!’ e lei [= il responsabile del Forum] propende per il sì. In realtà, bisognerebbe ricordare che ‘se’ richiede il condizionale nelle interrogative indirette (non so se ne saresti contento), nelle concessive (non posso, anche se sarei contento di farvi questo favore) e per indicare il futuro nel passato (non sapeva se ce l’avrebbe fatta). Nella frase proposta si ha evidentemente una dubitativa: ‘non so se anche tu sia scontento della situazione’. Dunque ‘se’ richiede il congiuntivo: ‘Se anche tu volessi che non fosse così, sottoscrivi’. E si sarebbe potuto dire, più semplicemente: ‘Se anche tu vuoi che non sia così, sottoscrivi!’ Ma la semplicità è un raggiungimento, non un punto di partenza. »

      Subito dopo (23 maggio) vi fu l’intervento di un partecipante, certo Bathor, che si dichiaro’ di avviso contrario:

      « ‘A guper’, che contesta il suo parere positivo circa la frase ‘Se anche tu vorresti che non fosse così, sottoscrivi’ proposta da un lettore, il professor De Rienzo cede con inopinata arrendevolezza. In realtà, le cose non sono così piane.

      Anzitutto, non si può affermare semplicemente che ‘siamo di fronte a un periodo ipotetico, nel quale la protasi ovviamente richiede il congiuntivo’. Tutti noi conosciamo parecchi casi in cui la protasi non richiede il congiuntivo. Inoltre, come al solito, la lingua è una giungla lussureggiante ed intricata, e tende all’ibridazione. In questo caso, a ingarbugliare le cose sono i periodi ipotetici ‘misti’, categoria alla quale mi pare che debba essere ascritto l’esempio in questione: il periodo, infatti, è formato da una protasi con valore condizionale-restrittivo (o blandamente causale) e da un’apodosi imperativale. […] a mio avviso la natura imperativale dell’apodosi e la presenza del modale ‘volere’ consentono alla protasi di accettare il condizionale.

      La cosa richiederebbe, ahimè, tempo e forze; perciò, data l’ora tarda e le energie fisiche e mentali ormai al lumicino, concludo con un ultimo esempio (sempre casuale e astratto): ‘se la mattina, svegliandoti, vorresti essere in un altro Paese, chiediti che tempo fa a Oslo e resisti’.
      Buonanotte. »

  14. Linguistica. Il declino dell’italiano – Sgroi versus Galli della Loggia
    Galli della Loggia in « Il ribaltamento pedagogico che rovina la nostra lingua » (C. della S., 6-02-2017) ha mosso una dura critica alla lotta condotta a suo tempo da De Mauro a favore di « un ribaltamento in senso democratico della pedagogia linguistica tradizionale ». Ribaltamento da attuarsi, secondo il famoso politicizzato linguista, attraverso l’abolizione delle regole della grammatica tradizionale, perpetuante l’ordine costituito attraverso la consacrazione dei modi linguistici delle classi dominanti, i soli ammessi. De Mauro – di cui Galli della Loggia cita le asserzioni – rivendicava « la dignità dell’inventività, dell’informale, rispetto all’ossequio agli stilemi della lingua scritta« .

    Anche il dover scrivere una parola con la doppia o con la scempia, per imposizione dell’ortografia, non era altro per De Mauro che « cercare di essere graditi ai rappresentanti delle classi dominanti. » Il bilancio di questa lotta politico-linguistica condotta da due o tre decenni, che ha abolito nei fatti la grammatica, è – secondo Galli della Loggia – la « balbuzie twittesca » dei giovani italiani, ossia la loro asinina ignoranza della lingua nazionale.

    A queste accuse, il professor Claudio Salvatore Sgroi di Catania reagisce con : « Il declino dell’italiano di Ernesto Galli della Loggia »

    [*Per saperne di più LEGGI l’articolo Altritaliani a firma di Claudio Antonelli a questo link:*]

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article2859

  15. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. L’Italiano che cambia: L’e-taliano
    L’Italiano che cambia. L’e-taliano


    UN ITALIANO VERO. LA LINGUA IN CUI VIVIAMO.

    di Giuseppe Antonelli

    Rizzoli

    Collana: LA SCALA

    Prezzo: 18.00 €

    Pagine: 266

    A disposizione anche una versione e-book

    L’italiano perfetto non esiste, e non è mai esistito. L’italiano continua a cambiare: cambia il nostro modo di usarlo, perché cambia il mondo in cui lo usiamo. In pochi anni si è passati dall’epistola all’e-pistola: e-mail, chat, messaggini, social network. E così – per la prima volta nella sua storia – l’italiano si ritrova a essere non solo parlato, ma anche scritto quotidianamente dalla maggioranza degli italiani.Giuseppe Antonelli racconta la storia di ognuno di noi: noi che scrivevamo le lettere e oggi scriviamo su Whatsapp. Ci accompagna tra sigle e parole inglesi, tra punteggiatura ed emoji, tra dialettismi ed espressioni alla moda. Con un tono agile e godibile, ci spiega come si stanno modificando alcuni aspetti della grammatica. Ricostruisce il passaggio epocale dall’italiano all’e-taliano: dai cyberpioneri al salto con l’hashtag, passando per le leggende metropolitane sugli effetti del computer e sulla lingua degli sms. Un libro prezioso per tutti: per quelli che “digito ergo sum”, ma anche per quelli che quando sentono “chiocciola” pensano ancora alle lumache.

    [*Recensione Altritaliani a cura di Daniela Cundro’ :*]

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article2814

  16. L’italiano è la lingua più romantica del mondo, evoca cose belle e seduce
    Morbido, quasi invisibile, soffice e sinuoso come una nuvola è il potere della nostra lingua. L’italiano piace, seduce, evoca cose belle ed è la quarta lingua più studiata al mondo.

    La lingua italiana sembrerebbe essere la più romantica del mondo, a rivelarlo fu qualche anno fa un gruppo di 320 linguisti dell’azienda londinese Today translations a cui non mancano di certo termini di paragone, offrendo traduzioni e interpreti in oltre 200 lingue.
    Anche Thomas Mann la chiamava la « Lingua degli Angeli ».

    Indubbiamente sugli stranieri esercita fascino e magnetismo, non a caso è la quarta lingua più studiata al mondo, non solo perché ha un’immensa autorevolezza culturale, discendente diretta del latino, ma è studiata proprio per il piacere di studiarla, perché è ‘bella’.

    Ascoltare la lingua italiana ricorda i piaceri e la bellezza della vita

    Gli stranieri sono da sempre attratti dalla nostra lingua. Le motivazioni sono fra le più svariate e una lista pubblicata dall’Università di Princeton ne mette in luce alcuni aspetti salienti come la sua musicalità, il diretto richiamo all’arte, l’opera, l’architettura, il cibo buono. Princeton dice proprio che l’italiano è ‘sonoro’ e ‘bellissimo’, ed è la lingua di chi ama la vita. Affascianante quanto utile anche all’apprendimento dell’inglese poiché il 60 per cento del vocabolario inglese deriva dal latino. Nelle università statunitensi le iscrizioni ai corsi di lingua italiana stanno crescendo a vista d’occhio.

    « Con l’italiano entri in contatto con la storia, l’arte, la religione, la musica, il cibo, la moda, il cinema, la scienza – tutto ciò che la civiltà occidentale ha inventato.”

    Queste le parole di Dianne Hales, autrice di « La bella lingua », che si aggiungono al parere condiviso di molti. Per captare il valore della nostra lingua stiamo però ricorrendo ad un punto di vista esterno. Si sa che guardare le cose dal di fuori offre una visione più lucida e ampia su quanto accade dentro. Siamo assuefatti alla bellezza della nostra lingua, la possediamo con padronanza o meno ma non ci rendiamo conto del prezioso strumento che abbiamo. Senza ombra di dubbio possiamo definirlo un ‘mezzo seduttivo’ che rientrerebbe fra i soft power di una nazione. Andrebbe coltivato questo ‘potere morbido’ e in questo potremmo prendere lezioni da tutti i paesi anglofoni che sin dai tempi della guerra fredda hanno compreso quanto fosse scaltro investire sulla promozione della propria lingua. Così come anche la Cina, super determinata nella diffusione dello studio del cinese.

    Il soft power come il butterfly effect: impercettibile ma in grado di influenzare l’intero ecosistema.

    Non bisogna sottovalutare l’effetto sottile e benefico del ‘potere morbido’: è come l’impercettibile battito d’ali delle farfalle che influenza però l’intero ecosistema. Il concetto di soft power è stato formulato sul finire degli anni ottanta da Joseph Nye, politologo e docente ad Harvard, che in una memorabile conferenza lo definì come “nient’altro che la possibilità di influenzare gli altri per ottenere i risultati voluti”. Non abbiamo bisogno di forza e carri armati per imporre la nostra autorevolezza culturale. Morbido, quasi invisibile, soffice e sinuoso come una nuvola è il potere della nostra lingua. Il soft power non è altro che un fatto di desiderabilità inconsapevole, e rendere irresistibile l’italiano è di gran lunga più facile che per il cinese. Bisogna solo prendere coscienza dei propri mezzi preziosi e con uno sguardo esterno si fa prima. I fatti parlano e dimostrano che l’italiano piace, seduce ed evoca cose belle

    http://www.fanpage.it/
    (3 gennaio 2017)

  17. Razza, patriota, nazionalista, populista… Le parole cambiano.
    In ogni lingua vi sono parole divenute tabù, quindi impronunciabili. In Occidente è stato bandito il termine « razza » perché considerato « razzistico ». « Le razze non esistono » s’insegna nelle università, anche in quelle in cui, grazie alla « positive action », vi è una forte presenza di « minoranze » non bianche, alias razze.

    In Québec, la parola « race » conobbe anni di gloria. Ma oggi sia la parola che l’idea di razza sono state abolite, al punto che il progettato regolamento del comune di Montréal d’interdire il possesso di cani « di razza pitbull » ha suscitato la riprovazione di certi benpensanti perché « le razze non esistono ».

    Un tempo il « Canadien français » (o « Canadien ») aveva il dovere morale di mettersi all’ascolto del richiamo della « razza ». La propria, beninteso… In « L’appel de la race » (1922) Lionel Groulx elevò un inno a questo per lui nobile sentimento di fedeltà ai valori ancestrali. Siete scandalizzati? Non dovreste esserlo, perché la parola « race » non aveva a quei tempi la connotazione « razzistica » che ha assunto oggi.

    In Québec, ma non nel resto dell’Occidente (Usa eccettuati), le parole « patriottismo », « patriota », « nazionalismo », « nazionalista » continuano ad avere una connotazione positiva. Populista, invece, è una « mala parola ». Anche in Québec. È facile quindi capire lo sdegno espresso dai fedeli del PQ, partito nazionalista (parola, quest’ultima che, come dicevo, ha un senso tutt’altro che negativo in Québec) quando il primo ministro Philippe Couillard ha definito il PQ « partito di populisti ». E populista è un insulto ormai per tutti, anche per i nazionalisti del PQ…

  18. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Lanciato il « Portale della lingua italiana nel mondo »
    Lanciato oggi il « Portale della lingua italiana nel mondo », realizzato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

    https://www.linguaitaliana.esteri.it/

    “Gli angeli nel cielo parlano italiano”, fa dire Thomas Mann al protagonista di un suo romanzo. Chissà. Certo è che nel mondo cresce il numero delle persone che hanno necessità o piacere di imparare l’italiano. A loro è dedicato questo portale, un canale di accesso completo e ordinato all’insegnamento della nostra lingua all’estero e, più in generale, agli stranieri. Chi vuole studiare l’italiano troverà qui informazioni, indirizzi, notizie e approfondimenti.

    Realizzato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese), il Portale della Lingua Italiana si avvale della collaborazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. “Sentinelle” autorevoli, insieme alla rete diplomatico-consolare e degli Istituti Italiani di Cultura all’estero, sono gli enti certificatori per la lingua italiana e le istituzioni di seguito elencate, che hanno lavorato con la Farnesina per la realizzazione del Portale.

  19. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Stati generali della lingua italiana nel mondo
    Il 17 e 18 ottobre si svolgerà a Firenze la seconda edizione degli Stati Generali della lingua italiana, intitolata Italiano Lingua Viva. L’evento sarà dedicato ad approfondire i temi della promozione linguistica e culturale all’estero con particolare attenzione al ruolo del mondo dell’impresa e delle produzioni creative del Made in Italy, proseguendo la riflessione avviata nel 2015.

    L’iniziativa avverrà in concomitanza con la XVI Settimana della lingua italiana nel mondo (17 – 23 ottobre 2016) che sarà dedicata al tema della creatività ed avrà il titolo L’italiano e la creatività: marchi e costumi, moda e design.

    Il 17 ottobre verrà lanciato il nuovo Portale della lingua italiana nel mondo. Verrà inoltre approfondita il tema dell’uso della lingua italiana nelle strategie di comunicazione delle aziende del Made in Italy con la partecipazione di rappresentanti dei settori della moda, del design, dell’enogastronomia e dell’auto-motive.

    Il 18 ottobre verranno presentati i risultati dei progetti avviati con la prima edizione del 2014 e i dati aggiornati sulla diffusione dell’insegnamento dell’italiano nel mondo. Allo stesso tempo si discuterà del legame tra lingua italiana e creatività.

    Anche in questa edizione degli Stati Generali, sarà centrale il contributo di esperti, accademici e rappresentanti degli altri enti attivi nella promozione linguistica all’estero, convocati lo scorso 6 maggio dal Vice Ministro Mario Giro e dal Direttore Generale per la Promozione del Sistema Paese, Vincenzo De Luca, per l’avvio dei seguenti 5 Gruppi di Lavoro:
    • L’italiano nel mondo e l’italofonia
    • Strategie di promozione linguistica all’estero e attrazione degli studenti
    • Le nuove tecnologie e la comunicazione linguistica
    • La certificazione unica
    • Lingua, valore e creatività

    Questa seconda edizione segue la prima edizione degli Stati Generali dell’ottobre del 2014, manifestazione che ha avuto il merito di rilanciare la promozione della lingua italiana all’estero, quale straordinario strumento di politica estera e di promozione del sistema paese nel suo insieme. In quell’occasione si è fatto il punto sullo stato di diffusione dell’insegnamento dell’italiano all’estero e si è definita una strategia operativa con l’avvio si progetti nuovi ed innovativi.

    Per saperne di più:

    http://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/cultura/promozionelinguaitaliana/stati_generali_lingua_italiana.html

  20. La settimana della lingua italiana – Ben poco da celebrare
    Lo slogan della campagna di reclutamento della marina militare italiana, campagna rivolta quindi a degli italiani, è « Be cool and join the Navy ». Per incoraggiare gli italiani ad avere figli, il ministero italiano della Salute ha lanciato il « Fertility Day ». Nel parlamento italiano siede il « ministro del Welfare ». La legge contro lo « Stalking » ha fatto dell’Italia il paese con il maggior numero di denunce per stalking al mondo.

    È proprio vero: perché una legge abbia successo occorre darle un titolo inglese. L' »Election Day », infatti, ha avuto gran successo, ma solo per il nostro Matteo Renzi, divenuto primo ministro senza essere mai stato eletto.

    Non c’è che dire: per gli italiani, in inglese è meglio. E visto che l’inglese comporta « glamour », io proporrei che la « Settimana della lingua italiana » diventi « Italian language week ». Ciò le conferirebbe un gran prestigio, se non proprio all’estero, certamente tra i nostri « sciuscià » appecoronati di fronte al mitico « Altro », oggetto delle loro ardenti brame onanistiche cioè segaiole.

    Per tornare allo slogan della campagna di reclutamento della marina militare italiana « Be cool and join the Navy », mi è impossibile non fare un commento amaro: il fondo è stato raggiunto da questi italioti che tradiscono la memoria di coloro che combatterono e morirono per l’affermazione dell’Italia, e per i suoi valori, tra cui anche la lingua.

    Il « Fertility Day » nonostante il buon proposito ha avuto l’immediato effetto di partorire polemiche. Roberto Saviano e numerosi altri si sono risentiti perché « Fertility Day » « è un insulto a chi non riesce a procreare e anche a chi vorrebbe ma non ha lavoro ».

    Saviano e gli altri hanno invece tenuto gli occhi chiusi su questa ulteriore operazione di « sterilizzazione » della lingua italiana compiuta vergognosamente dal bisturi del governo. « Fertility Day » è un insulto alla lingua italiana, e dovrebbe essere considerato un insulto rivolto agli italiani tutti. Ma non è stato così…

  21. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Salve,
    ho lavorato a stretto contatto con una persona in un’azienda.
    vorrei scriverle un messaggio.
    Come posso continuare la seguente frase?

    “mi hai fatto sentire parte integrante di ……………”

    Non posso aggiungere “team/gruppo” perché nell’azienda c’eravamo solo io e lei.

    Grazie per l’attenzione

  22. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: L’italiano al tempo di internet e dei social
    Come scrivere su internet: i consigli e le risposte dell’Accademia della Crusca in una lunga intervista di Alessia Liparoti per ilLibraio.it | 30.06.2016

    Come si sta sviluppando e come si svilupperà la lingua italiana? Tra « petaloso » e « sindachessa », anglicismi e burocratese, ecco l’italiano al tempo dei social.

    ilLibraio.it ne ha parlato con Paolo D’Achille, responsabile della Consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca.

    Fra i tanti temi affrontati nell’intervista, il dibattito sui neologismi, quello sui forestierismi, quello sulle parole cadute nell’oblio e quello legato alle resistenze all’uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali…

    Ecco il link di questa interessante intervista:

    http://www.illibraio.it/accademia-crusca-intervista-370323/

  23. I « populisti » della Brexit – Chiarire i termini
    La Brexit ossia la decisione dei cittadini della Gran Bretagna di uscire dall’Unione Europea dovrebbe valere anche come un invito, ai nostri europeisti benpensanti, adepti del politically correct, a rivedere il loro demagogico vocabolario. “Populista” è il primo di questa serie di termini che andrebbero rivisti.

    Sarebbe bene che i benpensanti – o “progressisti” come si diceva un tempo – ricorressero con minor frequenza all’uso indiscriminato di “populista”, termine al quale sono affezionatissimi. Le nostre élites pensanti designano con questo comodo stereotipo tuttofare chiunque non condivida le loro idee sature di “condivisione” e di “solidarietà” col “Diverso”; purché beninteso non si tratti di un “diverso” loro conterraneo, immediatamente degradato sul campo come “populista”; e con il quale beninteso non intendono condividere un bel nulla né far prova della minima solidarietà.

    È assurdo appiccicare l’etichetta “populista” a interi popoli, ma i nostri benpensanti – decisi a ben pensare per tutti noi – lo fanno con gagliardia: Ungheresi, Austriaci, Polacchi… oggi anche i Britannici sono “populisti” perché non “europeisti” alla maniera “professionale” di Renzi, Merkel, Holland, Juncker … Dovrebbero capire, questi manipolatori del vocabolario, che si dovrebbe eliminare il popolo per far tabula rasa dei populismi. Perché il popolo di per sé è, purtroppo, populista: vedi anche gli svizzeri che da perfetti populisti vogliono dire sempre la loro attraverso i referendum. E se il populismo fa paura a tanti per le sue idee poco elitistiche, cio’ vuol dire che a far paura è il popolo.

    Tra coloro che demonizzano oggi il popolo e i suoi tribuni, numerosi sono quelli – o forse erano i loro padri – che ieri intonavano “Avanti popolo alla riscossa!” e che oggi si sono riciclati in fautori della mondializzazione, di cui l’europeismo costituisce per loro la necessaria prima fase. Internazionalisti filosovietici ieri, e internazionalisti filoamericani e antirussi oggi, vedi lo stesso Giorgio Napolitano… Anche questo, dopo tutto, è progresso.

    Ma allora che termini usare al posto di “populista” e “populismo”? Semplicemente “demagogico” e “demagogia”. Termini antichi ma tuttora validi, e di cui la nostra élite pensante, ammalata di “Diverso”, potrebbe anche adottare la forma inglese che fa piu’ snob perché meno popolare – “less popular” – in Italia: “demagogue”, “demagogy” o la forma piu’ raffinata: “demagoguery”…

    Io non nego che vi possa essere demagogia in un certo antieuropeismo. Ma è piu’ che evidente che vi è una gran dose di demagogia in coloro che denigrano sistematicamente le idee del popolo e dei suoi tribuni, avvalendosi di un vocabolario diretto ad abbassare e svilire chiunque non sia d’accordo con le loro alte idee…

    Insomma diciamo pane al pane e vino al vino. Anche se la cosa puo’ dispiacere ai nostri demagoghi anti-populisti.

    • I « populisti » della Brexit – Chiarire i termini
      Caro Claudio, condivido le tue perplessità sull’uso a volte abusato del termine populista. Tuttavia faccio notare che il populismo attuale è figlio di quella politica liquida che è stat ben raccontata da diversi studiosi fra cui il sociologo Bauman. La fine delle ideologie novecentesche a portato al fenomeno dei partiti « Fai da te ». In Italia prima Berlusconi, poi Grillo, hanno creato dei partiti senza storia, come direbbe il politologo Diamanti, che fondano il loro consenso sulla base di sondaggi e seguendo quelli che sono, a loro giudizio, gli umori popolari. Ecco quindi che Grillo svaria da posizioni xenofobe o fasciste come in Europa ad altre che seguono la scia della sinistra estrema, facendosi interprete dei malcontenti di ogni orientamento, raccogliendo anche consensi, come le recenti amministrative dimostrano. Le proposte grilline come un tempo quelle di Berlusconi, sono assolutamente campate in aria, ma seducono facilmente il popolo che soffre. Ieri era 1 milioni di posti di lavoro e meno tasse per tutti, oggi è il reddito di cittadinanza e le ondivaghe posizioni sull’Europa. Un tempo erano i partiti che guidavano il popolo oggi siamo quasi al popolo che guida alcuni partiti. Si è arrivato finanche alla disastrosa piattaforma di internet con cui i grillini chiedono ai cittadini di formulare delle leggi. Insomma tra poco le riforme saranno stabilite al Bar Sport e non nelle canoniche sedi istituzionali. Per me questo è populismo, arte di sedurre il popolo per poi magari ingannarlo a risultato acquisito. Come a fatto Farage, l’amico di Grillo, in occasione del Brexit.

      • I « populisti » della Brexit – Chiarire i termini
        Sempre a proposito di « populisti », ecco alcune considerazioni, che condivido in pieno, tratte dall’articolo di Galli della Loggia, pubblicato oggi dal C. della S. (30-06-16).

        LA CRISI DELL’UE
        Gli intellettuali europei
        lontani dall’opinione pubblica

        « Per antica consuetudine gli intellettuali europei — specie quelli di sinistra, da settant’anni in strabocchevole maggioranza — sono molto bravi nel trovare i termini appropriati per designare le cose che non gli piacciono usando il marchio dell’infamia ideologica. Questa volta è stato Bernard –Henri Lévy che non si è lasciata scappare l’occasione fornitagli dalla vittoria inglese della Brexit. I cui fautori, ai suoi occhi, non sono altro che «populisti», «demagoghi», «ignoranti», «cretini», seguaci più o meno inconsapevoli di tutto ciò che c’è di peggio al mondo da Le Pen a Putin a Trump, «nuovi reazionari», «incompetenti», «volgari» «sovranisti ammuffiti» ( termini testuali che traggo da un articolo del nostro sul Corriere di lunedì scorso).

        « Mi chiedo come sia possibile, con tutto quello che sta succedendo, non rendersi conto che proprio pensando, dicendo e scrivendo da anni, a proposito di parti sempre crescenti delle opinioni pubbliche del continente cose come quelle scritte da Lévy , non rendersi conto, dicevo, che proprio in questo modo le élite intellettuali (e politiche) europee sono riuscite a scavare tra sé e le opinioni pubbliche di cui sopra un solco profondo di avversione e di disprezzo. »
        (…)
        « E’ accaduto precisamente così che l’ insoddisfazione che andava crescendo nell’opinione pubblica di molti Paesi del continente, vedendosi impossibilitata ad accedere al circuito della discussione pubblica qualificata e ostracizzata dai media ufficiali, vedendosi regolarmente ridicolizzata e pubblicamente apostrofata con i peggiori epiteti, sia andata sempre più radicalizzandosi, sempre più caricandosi di astio , diciamolo pure, spesso sempre più incarognendosi, dando vita alla difficilissima situazione attuale. Con l’Unione a pezzi, i sistemi politici di mezza Europa alle corde, le loro élite boccheggianti e delegittimate. Non c’è che dire: gli aedi della democrazia possono essere soddisfatti. »

  24. L’appecoronamento all’“italianese” – Un paese gioiosamente “bipartisan”

    Al posto dei termini nostrani, consacrati dall’uso e che tutti capiscono, in Italia si tende sempre di piu’ ad adottare parole americane. Cosa volete, ai nostri provincialoni, eternamente ammalati di “esterofilia”, tali parolette esotiche appaiono brillanti e vibranti quando invece sono quasi sempre mal scelte o inutili, oltre ad essere pronunciate in maniera comica. Parole che risultano oltretutto incongrue e stridenti perché i fonemi della lingua inglese sono in contrasto con il sistema fonetico italiano. Ma in omaggio al mitico Altro, allo splendido Diverso, all’incomparabile Straniero, anche l’aurea regola del “suona bene”, vero diktat per le caste orecchie degli italiani, va a farsi benedire.

    E pensare che per evitare il “suona male” gli italiani hanno amputato del participio passato diversi verbi, come “risplendere” ad esempio, il cui “risplenduto” ce lo siamo irrimediabilmente perduto. Evitano poi il femminile “ministra” perché suona male. Ma l’inglese evidentemente è una “minestra” che sentono di dover mangiare…
    Tappeto rosso, anzi “red carpet” come ormai si dice, per le parole e le locuzioni inglesi.

    E solo in pochi casi il foresterismo importato colma una reale lacuna del nostro vocabolario non proprio ricchissimo, mentre il piu’ delle volte si tratta di puro scimmiottamento. Cosa volete è il trionfante « italianese » [Dizionario Treccani. Italianese: « Lingua ibrida derivante dalla commistione di elementi lessicali e costrutti sintattici penetrati in italiano dall’inglese. »] divenuto il fiore all’occhiello dei “citizen” di questa “Banana Republic”, come ormai converrebbe chiamare la terra dove al posto del dolce “Si’” suona ormai l’obbediente “Yes sir!” dei nostri nuovi “sciuscià”.

    Questo fenomeno di scimmiottamento è anche la risposta, in campo linguistico, all’insistente appello di “copia e incolla”: metodo spicciativo e parassitario che i partecipanti alla miriade di spettacoli televisivi della penisola basati su chiacchiere e polemiche, i cosiddetti « talk show » [in alcuni casi, come in questo, la lingua inglese è inevitabile] non si stancano di proporre come la maniera di correggere i tanti mali italiani in ogni campo. Peccato che i partecipanti a questi urlanti programmi, in cui si propone ogni volta il modello straniero come soluzione ai nostri problemi, non siano in grado di comportarsi da svizzeri, da austriaci o da svedesi neppure per qualche minuto, di fronte alle telecamere, dimostrando di saper avere un normale confronto d’idee discutendo in maniera pacata e civile, invece di urlare a piu’ non posso per dimostrare di avere ragione, come quasi sempre fanno.

    Il rapporto che molti italiani hanno con la lingua nazionale è strumentale e “neutro”. Evito quindi di parlare della nostra lingua come di una “bandiera”, perché il mio discorso suonerebbe per molti retorico o addirittura f…a. Con il dialetto (“dialetto” = “campanile”) il rapporto è invece affettivo, tanto che chi si sforza di parlare un dialetto che non è il suo di nascita, e lo pronuncia quindi in una maniera che non è “naturale”, suscita talvolta un certo imbarazzo e anche diffidenza presso i veri “paesani”. “In dialetto” insomma si nasce: è l’idioma del cuore, di come ci ha fatto la mamma. Forse questo spiega anche perché le offese alla lingua nazionale, lingua cosiddetta « madre » ma che si direbbe sia considerata da molti italiani lingua « matrigna », non sono sentite come un’offesa né alla mamma né alla bandiera.

    Un dato incontrovertibile: l’italiano è una lingua ricca di “varianti di forma”. Infatti è « uguale-eguale » dire: familiare/famigliare; sino a/fino a; dinnanzi/dinanzi/innanzi; in seguito a/a seguito di; sotto il tavolo/sotto al tavolo; sino a/fino a; insieme/assieme; dietro al/dietro il; devo/debbo; musulmano/mussulmano; perso/perduto; rinunciare/rinunziare; ormai/oramai; anglismi/anglicismi/inglesismi; etc.

    L’importazione frenetica di doppioni inglesi non fa quindi che aggiungere ridondanza a ridondanza. “What a pity!” direbbero gli anglofoni. E altrettanto efficacemente noi ci permetteremo diremo in italiano finché ci sarà permesso: “È un vero peccato!”

    L’abitante della penisola è portato a fare politica su tutto, con tutti. Dobbiamo invece resistere alla tentazione di pensare che vi sia una contrapposizione ideologica intorno a questo “servilismo linguistico”. Sarebbe un errore credere che siano di sinistra quelli che sono favorevoli all’“italianese”, ossia coloro che usano con voluttà le parole di nuovo conio di stampo angloamericano, mentre siano di destra coloro che difendono la lingua madre dagli inquinamenti stranieri. È vero che vi è tendenza a tacciare di populismo, di nazionalismo, di spirito autarchico e reazionario e di nostalgie pericolose chi mira a proteggere la lingua nazionale (e io ne so qualcosa). Si tenta invece di far passare per spirito di apertura al diverso, per progressismo e per saggia adattabilità e disponibilità, le motivazioni di coloro che farciscono il loro discorso di termini americani. La tentazione insomma è forte di fare il solito discorso « calcistico » – all’insegna del « manicheismo » all’italiana – che vede due campi contrapposti in cui un goal fatto corrisponde a un gol subito; lanciando cosi’ strali alla sinistra per una sua mancanza di spirito nazionale che la spingerebbe nelle braccia nerborute dell’“italianese”, e conversamente lodando la destra che sarebbe invece in armi contro l’imbastardimento della lingua nazionale.

    L’idea che esista una tale contrapposizione è errata. Chi impone dall’alto o ripete dal basso locuzioni e termini come “Jobs Act”, “Election day”, « Family day », “Welfare”, “Social card”, “Question time”, “Stalking”, “Pressing”, “Gossip”, “In tilt”, “Killer”, “Borderline”, “Flop” e altre amenità del genere, merita una scarica di pernacchie prescindendo dal colore politico del propagandista esterofilo di turno.

    È l’intera nomenklatura intellettuale, politica, giornalistica, artistica della penisola a comportarsi da “sciuscià” di fronte agli ex liberatori che oggi ci liberano anche della nostra lingua. E il popolo da parte sua segue scodinzolando…

    Governo, opposizione, élites e masse sono per una volta solidali e omogenei senza distinzioni di colore politico in un Paese attraversante una fase anale sgradevolmente cacofonica, ma dispensatrice di bassi godimenti attraverso pratiche quotidiane d’auto-penetrazione linguistica.
    E come lo “stalking” del “killer” non fa distinzioni politiche quanto alle sue vittime, anche il vecchio “assassino” e “omicida” del codice Rocco ha tirato ormai le cuoia, tramutandosi a guisa di zombie in un moderno “killer”, e cio’ tanto per i giornalisti di destra che di sinistra.

    Cerchiamo, nonostante tutto, di terminare su una nota positiva: finalmente unità e concordia tra gli italiani. Il “flop” in materia linguistica (gli italiani hanno mollato il “fiasco” per abbracciare il “flop”), in un’Italia da sempre divisa su tutto, rende finalmente “bipartisan” i suoi abitanti nel loro spiccicare le magiche parole americane. Peccato solo che tali patetici « abracadabra » all’americana invece di aprire chiudano a doppia mandata la caverna già cosi’ povera della dignità nazionale.

  25. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana.Anche Francesco le diceva, un libro di Natale Fioretto

    “Anche Francesco le diceva” è il titolo del nuovo libro di Natale Fioretto (editore Graphe.it €. 5,00), esperto di linguistica italiana all’Università per stranieri di Perugia, con il quale si affronta, sotto tutti gli aspetti dal semantico al comunicativo, un tema sempre attuale e scabroso: le “maleparole”. Un piccolo ed intrigante viaggio che ci aiuta a conoscerci un po’ meglio, una riflessione sociolinguistica.

    Lungi dal fare valutazioni moralistiche, Natale Fioretto evidenzia come la “cattiva parola” incarta in se il portato dell’azione ed esprime il carattere del dicitore, sia esso un politico o un qualunque mortale dei nostri media. Come diceva Dario Fo: “Dimmi le parolacce che usi (noi aggiungeremmo e come le usi) e ti diro’ chi sei, da dove vieni, da quale popolo sei stato educato o negativamente condizionato”.

    [*Leggi tutta la recensione:*]

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article2606

    Natale Fioretto è un professore che in passato si è molto impegnato nello studio e nella divulgazione dell’italiano neo-standard.

    Vedi: [*L’italiano neo-standard. Per parlare l’italiano di oggi*]

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article341

  26. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana- Modi di dire della lingua italiana
    Oggi il sintagma « camera ardente » viene usato per indicare un allestimento funerario ma la sua origine è nella Francia del 1547.
    Già Francesco I (1494-1547), re di Francia dal 1515, si ritrovò a fronteggiare l’ondata dei calvinisti e luterani. Infatti, ben sei anni prima che cominciasse l’azione di Lutero, era iniziato in terra francese un movimento evangelistico ad opera dell’umanista Lefèvre d’Étaples (1450 ca.-1538 ca.) che sosteneva la necessità di leggere le Sacre Scritture, “fonte d’ogni vita”, e di “ricondurre la religione alla sua primitiva purezza”. Lo stesso Lefèvre aveva pubblicato una traduzione della Bibbia in francese quasi contemporanea alla traduzione tedesca di Lutero. La riforma luterana trovò dunque in Francia un terreno fertile dove le nuove dottrine si diffusero dapprima fra gli umili, fra gli operai, che ne adottarono con entusiasmo le idee generali, e ad essi si aggiunse a poco a poco un certo numero di preti.
    Questi primi dissidenti non furono perseguitati, ed anzi fino al 1534, Francesco I, forse con la segreta speranza dell’appoggio dei luterani di Germania contro Carlo V, si mostrò assai favorevole ai riformati e a parecchie riprese impedì al Parlamento di agire contro gli eretici. Ma poi di fronte alle violenze permise la loro persecuzione ed in pochi mesi circa una quarantina furono condannati e bruciati vivi. Nel 1535 ebbe però un ripensamento e si avvicinò agli eretici promulgando anche un editto che ponesse fine alle persecuzioni per una conciliazione fra dottrine. Ripensamento che fu di breve durata e quindi si riaccesero le persecuzioni e le condanne.
    Gli successe nel 1547 il figlio Enrico II (1519-1559) che fu decisamente intransigente con gli eretici ed infatti istituì nel Parlamento una sezione speciale, detta “Camera ardente”, ch’ebbe l’unico incarico di sbrigare i processi di eresia. Il tribunale si componeva di giudici delegati dal papa.
    A capo di questo tribunale vi era Antoine De Mouchy (1494-1574) che si faceva chiamare Democharès, dottore di Sorbona. “Questo monaco si disimpegnò con tanto zelo nel suo alto offizio che corre fama che da lui sia derivato poscia il vocabolo francese mouchard. Il termine, che significa informatore di polizia, spione, identificava le persone impiegate da De Mouchy per scoprire gli eretici. Il tribunale dell’inquisizione faceva i requisitorii, informava i processi, e la Camera ardente del parlamento giudicava per ultimo infliggendo le pene, che per gli eretici e i riformati era quasi sempre il fuoco, da ciò il suo appellativo.
    © Ivana Palomba

  27. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: La questione della lingua italiana
    La questione della lingua italiana

    Parlare bene vuol dire pensare bene, diceva Nanni Moretti in un suo film, ed effettivamente come sostiene l’antropologo Giovanni Caselli, la lingua italiana nata dal fiorentino appare oggi sempre più depauperata dall’appiattimento linguistico imposto in particolare dalla televisione che tende a forme di semplificazione estrema, dall’uso di neologismi e di forestierismi che la oscurano, causando così un danno gravissimo alla capacità di riflessione e di pensiero degli italiani.

    Nonostante il fatto che l’Italia sia una penisola e da sempre percepita come un paese ben definito dalla geografia, non lo si può definire tale dal punto di vista della cultura e della lingua, almeno fino all’arrivo della radio e della televisione.

    [*Articolo pubblicato su Altritaliani a questo link:*]

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article2581

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: La lingua degli angeli
      Buon giorno,

      Vorrei contribuire al grande dibattito sulla lingua italiana, promosso da Giovanni Caselli. (Che bravo!)

      Vi mando due recensioni. Grazie!

      LA LINGUA DEGLI ANGELI

      In quella lingua parlano gli angeli in Paradiso? In Italiano, naturalmente, perchè è questa la lingua più bella fra tutte le altre, la più musicale, quella più adatta ad esprimere l’armonia del creato.

      « Si, caro signore, per me non c’è dubbio che gli angeli del cielo parlano italiano. Impossibile d’immaginare che queste belle creature si servano di una lingua meno musicale. »

      Con queste frasi si conclude il libro « La lingua degli angeli » di Harro Stammerjohann; editore l’Accademia della Crusca Firenze 2013.

      Harro Stammerjohann è tedesco, nato in Germania a Bad Segeberg nel 1938. Professore di Linguistica Romanza insegna ed ha insegnato in Germania e negli Stati Uniti, è accademico straniero all’Accademia della Crusca. Ha scritto molte cose su lingue e linguistica, tanti libri e saggi fra cui Lexicon Grammaticorum. A Bio Bibliographical Companion to the History of Linguistics (2° edizione 2009). Ha scritto pure « Dizionario di Italianismi in francese,inglese e tedesco« .

      Crediamo opportuno segnalare questo volume ai lettori. Si tratta di un contributo notevole alla comprensione della « grandeur » della nostra lingua, che va ben al di la del numero dei suoi parlanti e della sua diffusione al di fuori dei confini nazionali.

      Nel libro viene illustrata la presenza della lingua italiana fuori d’Italia da tre punti di vista che si completano a vicenda: Italianismo, Italianismi e giudizi sulla lingua italiana.

      La prima parte è dedicata ai contatti con la civiltà italiana, per secoli modello per tutta l’Europa e oltre, l’italiano come lingua classica erede naturale del latino.

      Vengono trattati argomenti come « lombardi », l’attrazione delle università italiane, l’italianismo delle corti europee, la tradizione del Grand Tour, l’Italiano come la lingua della musica, il ruolo dell’emigrazione per la diffusione della lingua.

      I contatti con la civiltà italiana sono spesso attestati da prestiti, cioè da parole e locuzioni italiane passate ad altre lingue. L’esemplificazione e la classificazione di tali prestiti in quanto oggetti della linguistica sono l’argomento del capitolo « Italianismi« .

      La terza parte, giudizi sulla lingua, è dedicata a come gli stranieri hanno percepito la lingua italiana, con le opinioni di tanti stranieri, dal medioevo ad oggi, fino all’accettazione generalizzata dell’italiano come la lingua più bella del mondo.

      Apprendiamo così’ in questo volume che, dopo l’inglese dei tempi odierni, è l’italiano la lingua che più di ogni altra ha influenzato le altre lingua europee, soprattuto il francese. L’autore cita infatti nella prefazione un breve brano di un autore francese di 12 righe in cui sono citati ben 27 italianismi, molti dei quali non del tutto riconoscibili. BAGUETTE,ESQUISSE, CALECON, BANDIT e BRIGANT invece sono facilmente riconoscibili.

      Nella parte centrale del libro, Italianismi, senza essere ne apologetico né denigratorio l’autore ci dimostra quante parole dall’italiano sono passate a lingue straniere fino a destare preoccupazioni, nel’500, dei puristi francesi. Ma non solo la Francia fu contaminata, tutte le lingua, anche indirettamente, hanno subito la contaminazione dell’Italiano.

      • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: La lingua degli angeli
        Sulla musicalità dell’taliano di oggi ho delle riserve.

        Sulla « lingua degli angeli » ho ancora più riserve. Le sgradevoli interiezioni di carattere sessuale, sempre fuori luogo (C…o e simili) non possono far parte di un linguaggio angelico,ma piuttosto « diabolico ».

        Personalmente ritengo meno diabolica una bella bestemmia classica e musicale (Porca M……). Trovo le imprecazioni le parole a sfondo sessuale assolutamente intollerabili, eppure ormai le si sentono ovunque al cinema e in televisione.

        Queste degradano e squalificano culturalmente e moralmente chi le pronuncia .

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: L’italiano nascosto di Enrico Testa
      L’ITALIANO NASCOSTO di Enrico Testa

      Una storia linguistica e culturale

      In questo volume, di un interesse straordinario, viene messo in evidenza un fatto molto importante: cioè che la lingua italiana cominciasse ad essere parlata da gran parte degli italiani fin dagli inizi del’500. La lingua naturalmente non era quella letteraria erede dei grandi autori del ‘300, limitata ad una cerchia ristretta di fruitori ed utilizzatori, né era uno dei tanti dialetti di cui facevano uso, per le comunicazioni familiari ed in ambito locale.

      Si trattava di un italiano standard usato nelle relazioni con italiani al di fuori dalla propria regione, con gli stranieri che avevano altre lingue materne, nelle prediche in chiesa e nei rapporti fra i meno colti ed i ceti istruiti.

      L’interpretazione prevalente della storia dell’italiano si è per molto tempo fondata sulla contrapposizione tra lingua letteraria e dialetti: da un lato raffinati eruditi della pagina, dall’altro una schiera di rozzi interpreti degli idiomi locali, incapaci di esprimersi nella lingua comune. Si è a lungo dissertato sul fatto che solo dopo l’unità si è cominciato ad usare un italiano standard grazie alle scuole del nuovo Regno d’Italia.

      Utilizzando studi recenti e commentando numerosi documenti, anche inediti o rari, questo libro propone una visione radicalmente diversa e prospetta l’esistenza, nel corso dei secoli, di una terza componente: un italiano di comunicazione dalla vita nascosta, privo di ambizioni estetiche ma utile a farsi capire. Uno strumento linguistico spesso trasandato che, basato su una forte stabilità di strutture e su un’identità di lunga durata, ha permesso, sotto la spinta di bisogni primari, il concreto definirsi di rapporti tra scriventi (e parlanti) di luoghi e statuti sociali diversi.

      Per definire questo inconsueto quadro linguistico e culturale sono citati le numerose testimonianze di
      personaggi, infimi e noti: streghe e servitori, mezzadri e parroci di campagna, mercanti, scrivani, interpreti e pescivendoli, mugnai e sovrastanti, briganti e soldati, ma anche catechisti e maestri d’abaco, monache, vescovi e santi insieme a famosi letterati che, nel disbrigo delle loro faccende quotidiane, non esitano a ricorrere a una semplicità comunicativa contigua al mondo subalterno.

      Un’avventura o percorso nella storia della nostra lingua che consegna al lettore un panorama complesso e iridescente, ricco di forme intermedie e in chiaroscuro.

      Approfondendo questo argomento si arriva alla constatazione che contrariamente a quanto si è a lungo creduto la bipartizione fra italiano letterario scritto e dialetto parlato va sostituto con una tripartizione che mette in evidenza una terza forma espressiva: un italiano orale che permetteva la comunicazione interregionale, non solo fra tutti gli abitanti degli stati italiani, ma anche fuori d’Italia nel Mediterraneo.

      I preti predicatori venivano esortati ad fare uso, nelle prediche, né della lingua nativa, che sarebbe il dialetto, né del « fiorentino » che sarebbe la lingua letteraria ma della lingua comune, italiana, al di sopra delle tante altre in uso nella penisola.

      L’autore citando varie fonti fa notare come fosse questo italiano standard, né dialettale, né fiorentino, diventato, dal ‘500 al ‘700 la lingua intermediaria in tutta l’area del Mediterraneo.

      L’Italiano colto veniva usato nella diplomazia per la sottoscrizione di trattati internazionali, in cui nessuno dei firmatari era di lingua italiana; veniva pure usato dalla corte ottomana per comunicare con tutte le potenze europee. L’italiano era la lingua che i dracomanni- interpreti ufficiali nelle corti turche ed arabe, dovevano conoscere.

      Tuttavia accanto all’italiano colto e letterario entrato nell’uso diplomatico prosperava nella vasta area che comprendeva la penisola italiana, i Balcani e la sponda sud del Mediterraneo un italiano standard sovraregionale usato non solo dagli italici ma da tutto un vasto mondo di commercianti navigatori marinai, scribi e militari, operatori vari per i quali era lo strumento indispensabile per comunicare con chi parlava un’altra lingua.

      Proprio come l’inglese oggi.

      Enrico Testa

      L’italiano nascosto

      Una storia linguistica e culturale

      Piccola Biblioteca EINAUDI

      Torino 2014

      Enrico Testa insegna storia della lingua Italiana all’Università di Genova

      Il commento è di Mauro Marabini

  28. Una galoppante colonizzazione linguistica
    Il classico detto anglosassone “The grass is always greener on the other side of the fence” ricorre ormai di frequente anche nel parlare italiano: “L’erba del vicino è sempre piu’ verde” (penso anche al programma di Severgnini: “L’erba dei vicini…”).

    Nella scala dei valori nordamericani, il praticello di casa rappresenta l’ordine, la bellezza, la laboriosità, i valori domestici, i buoni rapporti di vicinato. Di qui un impegno totale a favore dell’erbetta. Il manto erboso va purificato di ogni erba estranea, ostile, cattiva, e gli si deve far avere la giusta tinta, la giusta altezza, ed essere sano e folto. Sicché i proprietari tondono ostinati l’erbetta, estirpano i “dandelions” [taràssacco, dente di leone, soffione, piscialetto], veri fiori del male, e osservano con invidia il prato del vicino, la cui erbetta è immancabilmente più verde della loro.

    Com’è potuta avvenire questa trasformazione dell’abitante della penisola, coltivatore di verdure, ortaggi, alberi da frutta, e divoratore di spaghetti, risotti, ossibuchi, e frutta fresca, in un “ruminante” anglofono desideroso di verde erbetta? Dopo aver molto ruminato sulla cosa, sono giunto alla conclusione che la trasformazione è avvenuta in virtu’ della galoppante colonizzazione linguistica in atto nella penisola. Nella stessa maniera in cui “fare fiasco” è stato rimpiazzato da “fare flop”, “montepremi” da “jackpot”, “revisione della spesa” da “spending review”, e “tifoso” da “supporter, la mutazione pro-USA del parlare e dello scrivere ha investito anche aforismi e proverbi contribuendo a denaturare la nostra identità antropologica d’origine.

    Penso che dovremo aspettare tuttavia un bel po’ prima di veder adottato l’equivalente italiano del virile ma troppo britannico “Nothing to fear but fear itself”, al posto dei nostri tradizionali “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, “Chi va piano va sano e va lontano”, “Chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa quel che lascia ma non quel che trova”, “Chi si fa i fatti suoi, campa cent’anni”…

  29. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Sempre
    L’avverbio sempre è un avverbio indefinito, pertanto non indica il momento preciso in cui avviene un’ azione, e non dice nulla nemmeno riguardo ai limiti entro i quali avviene l’azione. A meno che non si tratti di date o orari (dal 2000 al 2006 ho sempre vinto le competizioni di pallavolo; dalle 15 alle 21 ho sempre studiato e fatto i compiti). Se invece dico  »in quel cinema ci sono sempre andata », gli estremi quali potrebbero essere?

    E per quanto riguarda le frasi al futuro, anche in quelle il sempre sottintende i limiti?  »Dio esisterà sempre »,  »Ti amerò sempre »: qui è chiaro che non si hanno dei limiti; mentre  »La Terra girerà sempre »?

     »Sempre caro mi fu quest’ermo colle » (G. Leopardi): il Treccani la inserisce nella definizione di  »sempre, con limite sottinteso », mentre Sapere.it la inserisce nella sezione  »senza fine, senza limiti ecc ecc… ». Come fa l’ermo colle ad essergli caro anche prima che lui nascesse? Così come inserisce nella sezione  »senza fine, senza limiti » la frase  »è sempre vissuto in povertà ». Se uno nasce, e quindi prima di nascere non esiste e non si può dire nulla a riguardo, come fa a vivere in povertà per un tempo  »senza limiti di tempo nel passato »?

    Mi occupo di filologia ed esegesi, e spesso mi trovo in difficoltà nel decifrare il senso di alcune frasi.

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Sempre
      Ritengo Viapolabear che la premessa sia sbagliata. Infatti “sempre” è un avverbio di tempo che indica la continuità di un’azione sia nel passato, sia nel presente, sia nel futuro. Nell’uso poi ha acquistato varie sfumature di significato, infatti può valere “ancora” es: “mi saluta sempre”, può indicare una indefinita durata futura, es: “ti amerò sempre” o passata, es: “lo conosco da sempre” o di un’eternità, es: “Dio esisterà sempre” “ormai tace per sempre”.
      Cordialiltà

  30. La nostra lingua non è un vuoto a perdere
    L’effetto inevitabile dell’immissione selvaggia nella nostra lingua di americanismi o inglesismi, fenomeno sviluppatissimo, è di snaturarla e di sgretolarla attraverso un trapianto contro natura che non solo ne distorce l’eufonia (il famigerato “suona bene”) ma indebolisce la coerenza e la chiarezza del “discorso”.

    Tale auto-inondazione lungi dall’essere prova di apertura di spirito – come tanti sostengono – e di adattabilità, di elasticità, di disponibilità verso cio’ che di buono ci viene dal mitico “Estero” e in particolare dagli USA, è invece la triste cartina di tornasole dello straordinario sviluppo che ha conosciuto nella penisola il vizio antico dell’esterofilia. Lo scimmiottamento della parlata dello straniero, infatti, non è altro che servilismo linguistico, noncuranza del proprio passato, disprezzo verso il grande bene comune che è la lingua nazionale.

    Difendere l’italiano dagli amplessi contro natura dell’inglese non è andare contro la storia, la modernità, il progresso, il celebrato “multiculturalismo”, ma è semplice rifiuto di farsi subordinare, trasformare, denaturare, emarginare.

    Invece d’innestare nel corpo della lingua italiana spezzoni di frasi e termini stranieri in un ridicolo e nocivo processo di trapianto linguistico contro natura, gli italiani, sempre cosi’ pronti al “copia e incolla”, potrebbero cercare di imitare lo spirito anglosassone, portato piu’ del nostro al rispetto delle regole, alla chiarezza della comunicazione e del linguaggio, e al rispetto del cittadino cui è diretta la comunicazione. In Italia, persino il linguaggio dei vari contratti di utenza e delle stesse bollette è poco comprensibile per il comune dei mortali. Occorrerebbe semplificarlo espungendo i termini spesso assurdi di cui è costellato. Ma la funzione del burocratese è proprio quella di tenere a distanza il cittadino, il quale, poverino, è oggi vittima anche di un burocratese a stelle e strisce che di certo non migliora il suo “welfare”.

    Possiamo dire che la nostra lingua, afflitta da un “borderline personality disorder”, rischia sul serio di andare “in tilt” per usare quest’altra balorda espressione presunta “inglese”.

    L’indebolimento e l’erosione dell’identità nazionale, o quanto meno dei canoni nobili dell’identità italiana, sono a uno stadio avanzato. Lo prova anche il farfugliante pseudo-inglese degli italiani con il loro “italianese”. E, tuttavia, non è appellandosi ai valori che sostanziano l’identità e l’unità dell’Italia che si riuscirà a dare un colpo di frusta alle coscienze in un paese in cui gli aspetti caricaturali, basati sull’opportunismo e su una teatralità di basso rango, hanno ormai preso il sopravvento sugli aspetti migliori del carattere dei suoi abitanti. È inutile cercar di far leva sul ridicolo che dovrebbero provare i parlanti di questa lingua a pelle di leopardo. Il carattere grottesco di questo pulcinellesco processo di “copia e incolla” sfugge, infatti, a coloro che possiedono in misura microscopica – quando lo possiedono – il sentimento della dignità nazionale: la maggioranza degli italiani.

    Lo scimmiottamento degli americani risponde in pieno alla voglia che ha l’italiano medio di “distinguersi” facendo come tutti gli altri, ossia inchinandosi di fronte al feticcio del marchio di prestigio, alias “brand”, che in questo caso è la lingua “estera”.
    Io non propongo che si espungano dal dizionario italiano i termini inglesi e tanti altri di origine straniera radicativisi da tempo, né intendo indire una crociata in favore di una purezza linguistica che non è mai esistita. Vorrei solo che ci si interrogasse sulle conseguenze che l’auto-inondazione di termini stranieri finirà con l’avere sulla lingua italiana, strumento non puramente utilitario e “neutro”, ma simbolo e cardine della nostra identità, e voce forte della nostra cultura.

    È da considerare poi che, nella maggioranza dei casi, la paroletta modaiola inglese, che è sempre estranea al sistema eufonico della lingua italiana, e che viene pronunciata per soprammercato in maniera “maccheronica” dai nostri italiani, i quali pur si dichiarano ossessionati dal “suona bene”, espropria un termine nostrano perfettamente valido che finisce in naftalina: vedi “flop” al posto di “fiasco”, “pressing” invece di “pressione”, “badge” in luogo di “cartellino” o “tessera”, “killer” invece di “assassino” o “uccisore”…

    Concludo con queste citazioni provanti l’alta considerazione che la lingua nazionale, la lingua “madre”, dovrebbe godere presso i suoi figli:
    Johann Gottfried Herder:
“La ragione stessa è e si chiama linguaggio.”
    Wilhelm von Humboldt: “La lingua è la manifestazione fenomenica dello spirito dei popoli: la loro lingua è il loro spirito e il loro spirito è la loro lingua.” E ancora: “L’uomo vede le cose sostanzialmente, anzi direi esclusivamente, nel modo in cui la lingua gliene propone.”

    Alexis de Tocqueville: “Il legame del linguaggio è forse il più forte e duraturo che possa unire gli uomini.”

    Francesco Alberoni: “Quando una nazione perde il contatto col suo passato, con le sue radici, quando perde l’orgoglio della sua storia, della sua cultura e della sua lingua, decade rapidamente, smette di pensare, di creare e svanisce.”

    Ed infine Dante: “…molti per questa viltà dispregiano lo proprio volgare, e l’altrui pregiano…”

    • La nostra lingua non è un vuoto a perdere
      La sola lingua italiana paragonabile al francese o all’inglese era la defunta lingua toscana. Infatti non esiste storicamente che la lingua toscana derivata dalla lingua di Dante e che mio nonno contadino parlava. Poi sono arrivati scrittori napoletani e abruzzesi che per campanilismo rifiutarono la lingua di Dante e infine Mike Bongiorno che segnò la morte di una gloriosa lingua. La lingua italiana è stata sputtanata dagli scrittori non toscani per motivi campanilistici. Se la lingua italiana ha oggi il vocabolario più piccolo di ogni altra lingua non c’è da meravigliarsi e non mi meraviglio che i semianalfabeti , per scarsezza di vocabolario, attingano dall’inglese, che poco conoscono e per nulla sanno pronunciare.

  31. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Buongiorno,c’è una regola base per formare queste frasi??

    Vi abbiamo voluto…..voluti portare qua
    vi ho voluti……voluto molto bene
    ci hanno presentati……presentato Mike Buongiorno ad una festo
    vi ho scelto ….. scelti perchè siete talentuosi
    ce lo siamo combattuti ……..combattuto fino alla fine
    ci avrebbero chiamati….chiamato
    vi ho sempre accompagnati….accompagnato io alla festa
    Se lo sono portati………portato via
    Ve lo siete portati ………portato via
    Può essere che vi accontento ………accontenti
    ce lo siamo dato ……dati (un bacio)
    Ci ha abbandonati……abbandonato
    rivivere momenti che ho stampato….stampati in testa

    Grazie per l’attenzione

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Gentile Simone
      Cerco di rispondere alla sua domanda.
      La regola generale dice che il participio passato (che è presente nelle sue frasi) unito al verbo essere si accorda in genere e numero con il soggetto, unito al verbo avere rimane generalmente invariato; ma si può notare che: 1) il participio passato dei verbi riflessivi apparenti si può accordare anche con l’oggetto e 2) il participio passato di un verbo transitivo attivo (coniugato con l’ausiliare avere) può accordarsi con il complemento oggetto in particolare se questo precede il verbo o se è espresso da una particella pronominale atona (mi-ti-ci –si-vi-la-le-lo-ne).
      Spero di essere stata chiara,
      cordialità

    • ho un dubbio su congiuntivo
      Gentile Ester
      “se” è la congiunzione semplice subordinante che introduce la “protasi”, cioè la premessa (se andrai in Thailandia), l’ipotesi, la condizione data la quale avviene o può avvenire l’azione espressa poi dall’”apodosi”, cioè la proposizione reggente (scoprirai il vero massaggio). La regola del corretto modo verbale da usare è la seguente: 1) verbo al modo indicativo quando si esprime opinione di chi parla o di chi scrive o fatto certo e vero 2) verbo al modo congiuntivo quando indica ipotesi possibile o irreale- Detto ciò la frase corretta è: se vai in Thailandia scoprirai il vero massaggio.
      Cordialità

    • ho un dubbio su congiuntivo
      Così la frase, sintatticamente, non è corretta.

      Due, secondo me, le versioni corrette, la prima usando condizionale e congiuntivo, ‘correntemente’ – si dice così, NON ‘correttamente’, separate le due frasi – la subordinata e la principale da una bella virgola, la LINGUA ITALIANA è ANCHE MUSICA e la PUNTEGGIATURA il suo CONTRAPPUNTO!.

      La seconda rispettando la sempre perfetta e puntuale ‘consecutio temporum’ latina, ormai totalmente ignorata e, direi, sconosciuta, ai più, purtroppo.

      1)SE ANDASSI IN THAILANDIA, SCOPRIRESTI IL VERO MASSAGGIO.

      2)SE VAI IN THAILANDIA, SCOPRIRAI IL VERO MASSAGGIO.

      Grazie per l’attenzione,

      MCNS

  32. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana-Una parola “quasi” obsoleta: Neghittoso
    In pochi giorni e per ben due volte ho sentito la parola “neghittoso”. In una società, come la nostra, dove il lessico standard è povero di appena 2000 (logore) parole, sentirla mi ha fatto bene all’anima.
    Forse, ho pensato, la nostra cara lingua ha qualche speranza.
    “Neghittoso” che significa pigro, indolente non è un neologismo, non è una parola come “petaloso”, anche se ne condivide il suffisso in “oso”, che ha riempito di sé i social, i media e quant’altro. È una parola che viene da lontano sembra che per prima ne abbia usato Brunetto Latini nel suo “Tesoretto” (XIII sec.).
    Giovanni Villani nella sua Cronica (1294) così tratteggia il personaggio “ « Nel detto anno […] morì in Firenze uno valente cittadino il quale ebbe nome ser Brunetto Latini, il quale fu gran filosafo, e fue sommo maestro in rettorica […….] .. Fu mondano uomo, ma di lui avemo fatta menzione però ch’egli fue cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini, e farli scorti in bene parlare….”.. Il “Tesoretto” , poema didattico-allegorico, in distici di settenari, una sorta di enciclopedia dello scibile, doveva, nell’intento dell’autore, “digrossare i Fiorentini” cioè indurli a parlare bene, forse si può arguire che l’intento sia riuscito dato che il Manzoni per i suoi “Promessi” è andato a risciacquare i panni in Arno.
    Il Dna della parola è comunque nel latino neglēctus p.p.di neglĕgĕre (trascurare) col suff. –oso.
    Da ciò è evidente che le parole sono tracce, segnali indistruttibili che percorrono epoche e paesi un vero viaggio nel tempo che arricchisce di curiosità la nostra cara lingua.

    Ivana Palomba

  33. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Una rondine non fa primavera …. o forse si’.
    Una rondine non fa primavera …. o forse si’.

    Ieri sera ho dato un sussulto di gioia cosi’ forte nella mia bara, che tutto il Famedio del monumentale di Milano si è risvegliato.

    Ho sentito uno dei giornalisti più seguiti sulle reti televisive italiane, Enrico Mentana, pronunciare la parola configlio, accettando cosi’ il suggerimento di alcune settimane fa del presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Francesco Sabatini, di utilizzare il termine configlio, invece di « step child« , o figliastro, termine quest’ultimo che gli italiani non vogliono pronunciare perché a loro sembra una bestemmia.

    Attraverso un’eco sinistra, la parola step child era arrivata alle mie ceneri facendole fibrillare. Avessi un ventilatore, le avrei mandate a posarsi sul capo di quei cronisti da quattro soldi che ne fanno sfoggio a tutte le ore e a tutte le latitudini, scimmiottando i capi di governo, i ministri e i politici che finora non hanno capito che significa figliastro.

    Addirittura, udite udite, adesso per alcuni di loro l’articolo cinque della legge in discussione non è l’articolo cinque, da approvare o meno, è « la step child », cioè la figliastra.

    Si può’ essere più …. più…. più qualunquisti?

    Mi è sembrato un buon esempio, quello di Mentana; spero segni l’inizio di una svolta culturale importante, una in cui i grandi nomi del giornalismo ritrovino il loro orgoglio e la loro immaginazione e la smettano di voler sembrare più intelligenti perché LORO l’inglese lo parlano.

    Come se gli altri, poveri stupidi, non lo parlassero.

    Bravo Mentana, un piccolo grande passo!

    La criticheranno per questo; ma se a costoro il termine configlio non piacesse proprio, consigli loro la versione 1.0 : figliastro. C’è ancora sui dizionari italiani.

    Don Lisander

  34. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Le 40 regole di Umberto Eco per parlare (e scrivere) bene l’italiano.
    Piccolo omaggio a un grande maestro

    1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

    2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

    3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

    4. Esprimiti siccome ti nutri.

    5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

    6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

    7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.

    8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.

    9. Non generalizzare mai.

    10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.

    11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”

    12. I paragoni sono come le frasi fatte.

    13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

    14. Solo gli stronzi usano parole volgari.

    15. Sii sempre più o meno specifico.

    16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.

    17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

    18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

    19. Metti, le virgole, al posto giusto.

    20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

    21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.

    22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.

    23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?

    24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

    25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

    26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

    27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

    28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

    29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

    30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.

    31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

    32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.

    33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

    34. Non andare troppo sovente a capo.
    Almeno, non quando non serve.

    35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

    36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

    37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

    38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.

    39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

    40. Una frase compiuta deve avere.

    (da: Umberto Eco, La Bustina di Minerva, Milano, Bompiani, 2000)

  35. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Da dove viene il nome « Italia”?
    La Crusca risponde «Italia è un nome di tradizione classica, in origine con riferimento all’estremità meridionale della Calabria; si estende poi alla penisola con l’avanzarsi della conquista romana.

    La sanzione ufficiale del nome si ha con Ottaviano nel 42 a.C., mentre l’unione amministrativa con le isole si ha con Diocleziano (diocesi italiciana). Nei secoli il nome rimane di tradizione dotta (l’evoluzione popolare del latino Italia sarebbe stato Itaglia, Idaglia, a seconda delle zone). L’origine del nome è discussa e incerta. Alcuni suppongono che derivi da una forma di origine osca e corrisponda a Viteliu accostato all’umbro vitluf ’vitello’, latino vitulus. Per altri avrebbe il senso di « terra degli Itali », popolo che avrebbe come totem il vitello (italos), perciò la denominazione si fonderebbe sull’uso antichissimo di divinizzare l’animale totem della tribù; oppure “il Paese della tribù degli Itali”, nome totemistico da *witaloi “figli del toro”.

    Non mancano le interpretazioni leggendarie, come quella del principe Italo, l’eroe eponimo che avrebbe dominato il Sud della penisola. Vi è poi il mito secondo il quale Eracle, nell’attraversare l’Italia per condurre in Grecia il gregge di Gerione, perde un capo di bestiame e lo cerca affannosamente; avendo saputo che nella lingua indigena la bestia si chiama vitulus, chiama Outalía tutta la regione».

    E c’è anche l’immagine evocata da Giovanni Pascoli, per il cinquantenario dell’allora Regno, nell’orazione ai giovani allievi della R. Accademia Navale (Italia! Zanichelli, Bologna, 1911, p. 7).

    Il poeta parla del popolo dell’antica terra che si chiamò poi Italia, ma che ancora “il nome suo non l’aveva”, di quelle tribù, “meglio che popoli”, che prendevano il nome da un animale sacro: «Uno di essi popoli prendeva il nome dal « bove ». Narravano d’esser giunti alle lor sedi seguendo un toro. Grande cammino avrebbe lor fatto compiere l’animale sacro: da quei grandi monti per tutto il silvestre paese, attraversando via via altri monti, guadando rapide fiumane, sotto un cielo sempre più azzurro, sotto un sole sempre più ardente. Ma ecco il bove condottiere mugliò, fermandosi. Era avanti a lui un fiume inguadabile. Dall’altra sponda, in lontananza, una montagna fumava: nella notte il fumo si sarebbe converso in anelito di fiamma. Il popolo si fermò anch’esso, si estese lungo la spiaggia (quel fiume era il mare), si propagò, fondò città, e infine vanì. Non se ne ricordò se non il nome, che era quello del toro che li aveva guidati, ed era il segnacolo e si credeva il progenitore. In lor lingua si chiamava ITAΛΟΣ: Italo. Onde quel lembo di terra estrema sul mare, circa due millenni e mezzo fa, già si indicava col nome sacro d’Italia».

    A cura di Matilde Paoli

    Redazione Consulenza Linguistica

    Accademia della Crusca

  36. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: La lingua italiana nel mondo, opportunità e sprechi di una grande risorsa
    Intervista di FILOMENA FUDULI SORRENTINO per La Voce di New York con il Professor LUCA SERIANNI, storico della lingua italiana all’Università La Sapienza di Roma e vice presidente della Dante Alighieri:

    L’italiano quarta lingua studiata nel mondo? « Non è facile dare cifre precise. Comunque è significativo che l’italiano risulti in una posizione alta della classifica, di fronte a lingue che contano su un numero di parlanti molto più alto ».

    Domanda: Secondo i dati diffusi dal ministero degli Esteri, il nostro idioma sarebbe la quarta lingua fra quelle più studiate al mondo. Prof. Serianni, lei dirige una ricerca sulla diffusione dell’italiano nel mondo, secondo i suoi dati quanti studenti lo studiano?

    Risposta: Non è facile dare cifre precise. L’italiano, come altre lingue straniere, si può studiare in molti modi: presso un gran numero di scuole private, le sedi della Società Dante Alighieri, gli Istituti italiani di cultura; oppure anche attraverso corsi individuali. La ricerca più recente e attendibile, di Claudio Giovanardi e Pietro Trifone, ha accertato che nell’anno 2009-2010 il numero di studenti d’italiano che seguivano un corso tenuto da un lettore nominato dal Ministero degli Esteri assommavano a 51.640. I due studiosi si sono anche chiesti quale sia la posizione in classifica nel mercato delle lingue. Risulta che l’italiano è, col francese, la prima lingua straniera tra le « terze scelte » e la prima tra le « quarte scelte ». Questo vuol dire che un apprendente, dopo avere studiato altre due lingue (tipicamente l’inglese, saldamente al primo posto) e il francese (al secondo), e volendo affrontare lo studio di una terza o quarta lingua si rivolgerà con buona probabilità all’italiano. Le cifre assolute non possono essere molto elevate, perché sono pochi nel mondo coloro che studiano o conoscono, più di due lingue, oltre alla madrelingua. Comunque è significativo che l’italiano risulti in una posizione alta della classifica, di fronte a lingue che contano su un numero di parlanti molto più alto, come il russo o il portoghese (per non parlare di cinese o arabo), e con un notevole prestigio culturale e politico.

    Domanda: Perché l’italiano ha tanto successo in questo momento all’estero?

    Risposta: L’Italia continua a godere di un’immagine positiva come paese di grande cultura (pensiamo non solo all’arte e alla classica cultura alta, ma anche alla musica pop al cibo), espressione di uno stile di vita gradevole, favorito dalla mitezza del clima. Anche se negli ultimi decenni l’Italia è arretrata come meta turistica internazionale, a causa dei prezzi alti e dei cattivi collegamenti — pensiamo solo alla difficoltà di raggiungere il Mezzogiorno, con le sue spiagge –, questa immagine positiva continua a farsi sentire. E non si possono trascurare lo studio e il lavoro: nel 2010 quasi la metà degli apprendenti si riconoscevano appunto in una di queste due motivazioni.

    [*LEGGI TUTTO QUI:*]

    http://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2014/12/14/la-lingua-italiana-nel-mondo-opportunita-e-sprechi-di-una-grande-risorsa/

  37. Licenza media
    Difendiamo la lingua italiana……!!!!dall’ignoranza di un popolo mal governato , e male rappresentato…… Un grande politico disse ,che la lingua madre , viene protetta dalla buona politica…….. E la lingua italiana, non merita scomparire , se mai la male politica merita scomparire ….. Un saluto ……!! Difendiamo la lingua italiana….!!!

    • FAMILY DAY ED ALTRE PIACEVOLEZZE
      Il 30 aprile del 1999 fu adottata dal parlamento italiano una legge sulle elezioni. Il nome italiano di questa legge? “Election day”: quasi il titolo di uno sceneggiato americano. Da allora, gli Italiani, sia i filoamericani che gli antiamericani, entrambi “ass-kisser” in campo linguistico, non hanno mai smesso con i loro “days”.

      Mi limiterò a menzionare il “Family day”, in risposta alla celebrazione delle unioni omosessuali, lo “Young day” (sic), voluto da Alfonso Pecoraro-Scanio per rimettere al centro il problema dei giovani e del precariato, i “Referendum days” dei radicali, il “Maiale day” dei leghisti contro la costruzione di una moschea, il “No tax day” del Pdl contro il sindaco di Milano Pisapia, il “No porcellum day”… La lista è molto lunga. E infatti dimenticavo di menzionare le sagre paesane che adesso si chiamano “Day”, come “Porchetta day” di una frazione montana marchigiana, e soprattutto dimenticavo il glorioso “Vaffa… day” di Beppe Grillo contro i politici italiani.

      Già che ci siamo io proporrei un “F… off day” o “F… you day” o “Go f… yourself day”, secondo i gusti, per tutti i ridicoli scimmiottatori – nella penisola sono legioni – della parlata americana.

  38. From Bello to biutiful . Cosa succede alla nostra lingua.

    https://www.youtube.com/watch?v=Wr2YJoQeYsE

    Ho avuto occasione di imbattermi in questo filmato e l’ho trovato simpatico e pertinente al tema essenziale di questo forum : conservare – almeno – la lingua italiana. Ve lo segnalo pensando sia di interesse. Cordiali saluti a tutti, uno particolare all’amico che è ospite frequente.

    Luciano Fornasar

    • Coniugare x con y, coniugare x e y, coniugare x a y
      In Italia il desiderio di sposarsi, congiungersi in matrimonio, coniugarsi insomma, è fortemente calato. Sempre meno gente insomma « convola a nozze ». I soli rimasti a desiderare intensamente di sposarsi sembrano essere gli omosessuali. Ma sempre piu’ numerosi sono gli italiani ben disposti al « coniugare » sulla carta.

      Mi riferisco al gran successo che ha tra gli scriventi il verbo « coniugare » nel senso di unire, far coesistere, combinare, congiungere, abbinare, appaiare… Ormai, invece di « unire l’utile al dilettevole » molti preferiscono « coniugare l’utile al dilettevole », anche se a me quest’espressione sa di matrimonio forzato.

      Matteo Renzi: « Io credo che oggi riuscire a coniugare il riformismo con la capacità di appassionare le persone significhi portare un po’ di calore… »
      Dal web: « Pizze e antipasti dunque coniugano gusto, profumo e sapori con qualità e genuinità. »

      Per Don Antonio Sciortino di Famiglia Cristiana « L’amore deve coniugare passione e ragione. »
      Giacomo Pierobon: « Didattica che punta a coniugare fiducia e responsabilità. »

      Talvolta ci si imbatte anche in « a ».
      Dal Web: « Elena è una guida turistica che sa coniugare conoscenza a piacevolezza. »

      Al posto di « coniugare », verbo che gli italiani ormai « coniugano » secondo i modi e i tempi spesso e volentieri, fino a qualche decennio fa si sarebbe usata una varietà di verbi: combinare, mettere insieme, rendere compatibili, unire, affiancare, riunire, associare, sommare… Oserei dire che una variante naturale e legittima del coniugare sarebbe « accoppiare », parola della quale, nel paese dalla denatalità diffusa, pochi però si servono, forse per pudore.

      Se ce l’ho con « coniugare » non è perché questo verbo mi dispiaccia per il suo sapore borghese, evocante i valori tradizionali, domestici, famigliari da cui pero’ i maschi e le femmine della nostra società attuale hanno da tempo divorziato. Ma perché mi sorge sempre un dubbio sulla preposizione da usare dopo questo verbo. Occorre mettere « con », « e » o invece « a », dopo « coniugare »? Anche negli esempi citati, vediamo che le preposizioni (con, a) e la congiunzione (e) cambiano secondo gli autori delle frasi: coniugare « passione e ragione », « sapori con qualità », « conoscenza a piacevolezza ».

      Non esistendo una regola al riguardo, oso dire che dopo il verbo coniugare, opportunamente « coniugato » secondo i tempi e i modi che la frase esige, troviamo una ricca dote: « con », « e », « a ».

  39. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Innanzitutto grazie per la bella iniziativa.
    Ormai da più di dieci anni pensionato, ho lavorato come insegnante di lingua e cultura italiana all’estero per circa trentasei anni, la maggior parte in Belgio, dipendente dal Ministero degli Affari Esteri.Moltissimi miei colleghi si sono dedicati a formare, non solo linguisticamente, migliaia di nostri piccoli connazionali facendo di loro dei continuatori della nostra bella espressione, per loro purtroppo, una seconda lingua destinata ad essere dimenticata perchè non praticata in quanto le nostre autorità non dedicano altrettanta cura affinché le conoscenze vengano sfruttate dal più ampio numero possibile di persone che, fra l’altro, si sono in gran parte naturalizzate nei Paesi dove si sono stabilite. Ben venga, dunque, la vostra iniziativa per incitare tanti miei colleghi a descrivere i più significativi ricordi della loro attività di insegnamento in ambito estero e a voi l’auspicio che ve ne farete portavove. A ciascuno di voi i più cordiali auguri per il 2016.

  40. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: La Befana racconta l’origine della sua tradizione
    Il 6 gennaio è la festa della Befana, giorno festivo in Italia. Qual’è l’origine di questa tradizione?

    Per chi vuole saperne di più ed esercitarsi in italiano, leggete l’intervista esclusiva che la strega buona aveva rilasciato ad italyamonews lo scorso anno.
    (livello B1-B2)

    Ha lavorato tutta la notte. È stremata. Ha i vestiti logori e sporchi di cenere. Ma negli occhi neri e profondi si legge tutta la soddisfazione per la missione compiuta. Nonostante l’età anche quest’anno la Befana è riuscita ad entrare in tutte le case italiane e lasciare doni ai bambini buoni……

    CLICCA QUI

    Paola Gagliano

  41. L’accordo del verbo con « uno di quelli che… »
    Io non sono sicuro che la lingua francese possa dettare regole alla lingua italiana ma, dato che in francese esistono delle regole circa l’accordo del verbo per « uno di quelli che… », forse si può procedere per analogia, fatta salva la sacrosanta regola nostrana del « suona bene… » che, per certi italiani, ha priorità su tutto, persino sulla chiarezza e sul senso logico del testo.
 E a differenza delle grammatiche italiane da me consultate, mute al riguardo, la grammatica francese di Maurice Grevisse « Le bon usage » consacra ampio spazio all’accordo del verbo dopo « uno di quelli che… »


    La regola generale vuole che il verbo si metta al plurale se nell’idea la relativa si unisce intimamente al pronome o al nome plurale: « Uno di quelli che legavano Gesù Cristo al palo… » ; « Vincenzo possedeva uno di quegli orologi che si caricano da soli. » 


    Ma se l’attenzione è posta sull’unità designata da « uno », « una », il verbo si mette al singolare: « Ho bisogno di un operaio: uno di quelli che sappia bene il suo mestiere mi andrà benissimo »; « Andavo proprio a casa di una di quelle donne che abita in via Pauquet. »

    
In particolare quando « uno di quelli che » contiene un attributo, spesso è il nome plurale che determina l’accordo: « La poesia francese del XVI secolo è uno dei campi che sono stati più esaminati… »; « Era uno di quegli uomini che si sono sempre privati… » 


    Se il senso lo esige o se ci si sofferma su « uno (una) », come per sottolinearne l’eccellenza o la singolarità, si mette il verbo al singolare: « Io sono di sicuro uno di quelli che sa meglio riconoscere quelle qualità »; « Di tutte le cose al mondo la sofferenza è una di quelle che somiglia meno ad una illusione »; « May Sinclair è una di quelle che sollecita e ritiene l’attenzione ».

  42. Singolare o plurale?
    Singolare o plurale? Non è facile sapere quando si deve usare il verbo al singolare e quando al plurale in certe frasi.

    Alla domanda: Si scrive « c’è una moltitudine di errori » oppure « ci sono una moltitudine di errori »? Alessandro Frustaci dell’Istituto Treccani risponde: « Il soggetto singolare, pur se di valore collettivo, a rigor di norma vuole il predicato concordante per numero (in questo caso è, preceduto da ci presentativo). Però, come spiega Luca Serianni nella sua grammatica Italiano (garzantina), ‘con un soggetto singolare di valore collettivo (specie se seguito da un sostantivo plurale in funzione di specificazione) […] non è rara la concordanza ‘a senso »’. A questo proposito, Serianni allega esempi d’autore (Carlo Levi, Cesare Pavese, prosa giornalistica).

    Anche a me sembra che non esistano regole fisse a questo riguardo. Infatti, ci s’imbatte in frasi come queste. « ‘Vieni, stiamo organizzando una partita, tu non puoi mancare’, gli avevano detto un gruppo di detenuti. » (Corriere della Sera).

    Ma se un « gruppo di detenuti » richiede o richiedono il plurale, il soggetto « un milione e passa di truffati » sembra esigere il singolare: « Un milione e passa di truffati è quindi insorto devastando banche e municipi, sedi gendarmeria e istituzioni amministrative. » (La Stampa)

    Troviamo il plurale per « oltre un centinaio di uomini »: “Oltre un centinaio di uomini sono stati mobilitati per riparare i danni del nubifragio.” (Il Giornale) Nel settimanale Panorama, “Mezzo milione” ha diritto, ugualmente, al plurale: “ (…) in cui prestano la loro opera mezzo milione di addetti.”

    Per quanto poi riguarda le percentuali, anche qui c’è chi mette il singolare e chi invece il plurale (« Tertium non datur… »). « Tricarico ha precisato che ‘in Aeronautica queste cose non esistono’, citando a riprova il fatto che un buon 50 per cento degli allievi è figlio di agricoltori, operai e pensionati. » (Adnkronos). Non so perché, ma leggendo distrattamente per la prima volta la frase appena citata, a causa di quel « è figlio » mi sono venuti alla mente le campagne spopolate, la denatalità e il figlio unico… Se il “50 per cento” è, il “35 per cento” sono : “Infine il 35 per cento degli istituti di insegnamento sono di istituzioni cattoliche” (L’Espresso)

    • Singolare o plurale?
      Claudio Antonelli ha sottolineato un frequente dubbio grammaticale: in presenza di un nome collettivo (quel nome che esprime un insieme di più persone, animali o cose) come dobbiamo comportarci con la concordanza del verbo?

      Aldo Gabrielli nel suo “si dice o non si dice” ci spiega che la regola è la seguente:
      “quando un nome collettivo singolare è seguito da un complemento di specificazione (es: una folla di uomini, un migliaio di anni ecc.) si può usare sia il verbo al singolare concordando con il nome collettivo singolare sia al plurale, in questo caso, concordando a senso col valore plurale del collettivo stesso. Se invece il complemento di specificazione manca il verbo sarà usato al singolare.

      Ma come al solito alla regola vengono fatti molti strappi come quello famoso del Manzoni: “Sappia dunque che questa buona gente son risoluti d’andar a metter su casa altrove” (Promessi Sposi, XXXVIII).

      Approfitto dell’occasione per augurare a tutti serene feste.
      Ivana Palomba

      • Singolare o plurale?
        Grazie Ivana Palomba, grazie Claudio Antonelli, grazie a tutti quelli che partecipano o leggono (e sono numerosi) questo nostro forum della lingua italiana. E’ sempre molto interessante (io che sono francese imparo molte cose e sfumature) e a questo spazio del sito siamo molto affezionati.

        Buone feste e tanti auguri a tutti!

        Evolena, coordinatrice di Altritaliani

  43. Frasi celebri. Divertiamoci!
    Cari amici,

    ho trovato un elenco di frasi adatte per le relative occasioni, è un prontuario che dovreste sempre tenere sotto mano. In questo periodo tutt’altro che roseo, divertiamoci!

    « Mi nonno ieri ha detto che doveva piove e ha piotto. »

    « M’hai attaccato la nervosia. »

    « Ma gli ebrei hanno la circoscrizione al pisello »?

    « Che bella coppia quei 3! »

    « Ho gli occhi a 380 gradi. »

    « Domani piove, c’e’ il cielo a pecorina. »

    « Io sono una ragazza pane e acqua. »

    « Quand’è la prossima lezione dul Tanga »?

    « Attento!L’hai dammaggiato! »

    « La colpa è anche la mia perchè ho accondisciuto. »

    « Ma gli infarti vengono solo al cuore »?

    « Tra l’anguria e il martello. »

    « Non sono in degna di scherzi. »

    « Mi madre c’ha le vene vanitose »

    « La smetti de fa sti slogan col motorino?!! »

    « Il mio materasso ha le droghe in legno. »

    « Nel sangue ci sono i globuli bianchi,rossi e verdi »

    « Quello c’ha il naso a inquilino »

    « Albero ginecologico »

    « Non tutti i maschi vengono per nuocere »

    « I giardini prensili »

    « Questi sono i miei e questi sono i suei »

    « Che bei rinfreschi che ce stanno sulla Cappella Sistina »

    « Se lo sapessi te lo dissi »

    « Per tutto il film non ho aperto parola »

    « E dai, spegniscila la luce! »

    « C’ho pensato….Se mi telefoni tu bene……. Senno lo faccio io! »

    « Questa maglietta mi piace perchè ha gli spacchetti ai ladri…. »

    « Quello che è morto a 136 anni è entrato nel BUSINESS dei primati. »

    « Scusa… potresti masticare la gomma un pò più sottovoce? …Mi dai fastidio… »

    (rivolto ad un amico particolarmente taciturno).. « Cioè non parli mai e quando parli dici cazzate a nastro.. »

    « Anche l’occhio va dalla sua parte »

    « Non mettere il dito nella piastra! »

    « Mettiamo i bastoncini sulle i »

    « Uniamo l’utero al dilettevole »

    « Sono giorni che non vado al bagno, ho una occasione intestinale »

    « Ho lo zagarolo nell’occhio »

    « I bambini devono mangiare i biscotti al plasma »

    A una cameriera: « Vorrei una birra doppio smalto, grazie »

    « Quando muoio mi faccio cromare »

    « Ma il piercing te lo hanno fatto senza anastasia? »

    « Col mio cellulare chiamo il mio stesso numero, ma risulta sempre occupato… »

    « Fuma, Fuma, tu fumi e io tosso! »

    « Io sono una donna precauta! »

    « Io vedo gente che esce a mezzogiorno dalla mattina alla sera »

    « Se verrei con voi dovrei lasciare a casa tutto! Oddio che ho detto? ci vuole il congiunzionale vero? »

    « Il figlio piu’ giovane, quello di vent’anni, quanti anni ha? »

    « Lei era li’ finché non se ne è andato, giusto? »

    « Non puoi capire che dolore, mi si è reincarnata un’unghia! »

    « Questa è la goccia che ha fatto traslocare il vaso! »

    « Sta cominciando a piovere, accendi lo spargicristallo »

    « Ma che canno vai cercazzo! »

    « tu l’hai visto Mary Pompins »?

    « Che sguardo linguido che hai… »

    « Questo vestito è lungo, ma se una cosa è lunga si fa stringere! »

    « Due persone con qualità uguali si equipaggiano. »

  44. Viaggio attraverso la lingua – Le « start up ».
    Startup è parola ricorrente nella bocca degli addetti agli organi d’informazione. In Italia è tutto un invocare le startup. “Il nostro sistema burocratico scoraggia le startup”, “l’Italia è il fanalino di coda per startup”, « Occorrono più startup », « All’estero finalmente i nostri giovani riescono nei loro progetti di startup. »

    La « start up » non è altro che mettersi in proprio, lanciarsi in affari, intraprendere un nuovo progetto o un nuovo modello di attività economica (idealmente « ad alta intensità tecnologica »).

    Ancora una volta la magia del discorso all’americana camuffa approssimazione e pressapochismo linguistico. Infatti, anche il giovane che spinto dalla disoccupazione in città decide semplicemente di consacrarsi al lavoro nei campi, rimboccandosi le maniche ed impugnando la zappa, diviene, secondo questo nuovo ridicolo gergo, un iniziatore di startup. Molto realisticamente Flavio Briatore, rivolto agli studenti della Bocconi: “Le startup? Fate un lavoro normale, magari apritevi una pizzeria. Così se fallisce almeno vi mangiate una pizza.”

  45. Un termine onnipresente: il « tabulato »
    Il sostantivo « tabulato », sottintendente l’aggettivo « telefonico », è usatissimo in Italia. Il suono « tecnologicamente avanzato » di « tabulato » sembrerebbe relegare il termine in un lessico da addetti ai lavori. In realtà « tabulato » è termine molto diffuso nel parlare comune, proprio perché in fatto di telefonate e di telefonini gli italiani si considerano tutti, a giusta ragione, degli addetti ai lavori.

    All’inizio del suo folgorante successo linguistico « tabulato » poteva far pensare a un tipo di cioccolato, che so un cioccolato « Toblerone » nuovo formato… Ma subito il « tabulato » superò il dubbio culinario espresso da « che se magna? » per assumere tranquillamente la propria identità tecnico-scientifica che può essere resa in « l’elenco di tutte le chiamate effettuate da un certo telefono in un certo arco di tempo ». Assieme al tabulato e accanto all' »utenza » si sono affermati nel parlare comune dell’italiano anche i termini « cella » e « traffico ».

    Con orgoglio noi italiani possiamo dire che né i francesi, né gli angloamericani possono vantare di avere nel loro vocabolario un termine altrettanto incisivo ed espressivo del nostro « tabulato ». Giudicate voi. Gli anglofoni ricorrono a « printout », « spreadsheet », « call record », « CDR », « phone calls », « phone record »… I francofoni a « sortie imprimée » e « relevés téléphoniques », « factures téléphoniques », « listing d’appel », « liste des appels », « relevé d’appels »… Un marasma dispersivo che non può che umilmente inchinarsi di fronte ai nostri tabulati tutti d’un pezzo.

    « Tabulato » non rischia di essere soppiantata dal solito americanismo, proprio perché possiede un’aura d’efficientismo americano. È termine sonoro, icastico, ben accetto a tutti e soprattutto agli inquirenti. In Italia, senza intercettazioni e senza tabulati – tutti noi lo sappiamo – moltissime indagini si risolverebbero in un nulla di fatto.

    L’italiano è forse il popolo al mondo che parla di più al telefono. Fortunatamente per la mamma, destinataria di molte delle sue telefonate. E fortunatamente anche per magistrati e poliziotti. Infatti, se nella penisola si parla per parlare, ossia per non dire granché, a parte i ricorrenti sfoghi d’umore o il necessario « Butta la pasta! », in altri casi ciò che gli italiani dicono, chi chiamano, e da dove chiamano, possono costituire prove incriminanti.

    E gli inquirenti rendono note con generosità ai giornalisti, ben prima del processo (che forse non avrà mai luogo perché in molti casi non esiste reato) le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche fatte al personaggio di spicco, i cui maneggi interessano grandemente il pubblico, i giornalisti, e i talk show.

  46. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: un piccolo contributo
    Il buon esempio: ecco cosa serve! Un buon esempio.

    Mentre certi ciarlatani ingolfano i loro testi di vocaboli stranieri, atteggiandosi e facendo i saputoni, il presidente della Banca Centrale Europea, rivolgendosi in italiano a un gruppo di economisti e studenti, ha usato un’espressione molto semplice che può piacere o meno, ma che ha il merito di essere formulata in italiano: ACCOMODAMENTO MONETARIO. Qualcuno aveva cercato di introdurre il termine già diversi anni fa, ma senza successo…

    Si, amici miei cari che avete a cuore l’italiano, è l’equivalente del Quantitative Easing, espressione che ancora va per la maggiore e viene pronunciata nei modi più stravaganti; usata senza che nessuno dei nostri GRANDI economisti o giornalisti abbia mai cercato di far capire ai lettori o agli ascoltatori cosa voglia dire, senza un minimo sforzo per tradurla in italiano. Ci voleva Mario Draghi!

    Personalmente preferirei ALLENTAMENTO o ALLEGGERIMENTO, oppure AGGIUSTAMENTO MONETARIO, o addirittura ALLENTAMENTO QUANTITATIVO ma ACCOMODAMENTO MONETARIO, mi sembra più che accettabile.

    Direte, ma chi sei tu per giudicare? Appunto, non giudico, suggerisco. Con molta umiltà, dalla tomba in cui pezzo a pezzo, parola dopo parola, sta arrivando anche la mia adorata lingua italiana.

    Don Lisander

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: un piccolo contributo
      Gentile Don Lisander
      (Milanese presumo, e forse anche un caro amico che si nasconde dietro numerosi soprannomi- da notare che non ho usato il termine inglese nickname)
      Giustissimo il consiglio di usare termini italiani e non, pedissequamente, quelli inglesi dalla pronuncia ostica, tanto più che il termine “quantitative easing” non è riportato nemmeno nel glossario dell’European Central Bank.
      Forse il proliferare di termini inglesi nella nostra cara lingua è la spia del nostro provincialismo e della non identificazione unitaria mentre altri popoli (vedi Francia e Spagna), molto nazionalisti hanno tradotto nella loro lingua molti dei termini tecnici inglesi.
      Cordialmente
      Ivana Palomba

      • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: un piccolo contributo
        Gentile Ivana,
        mi sono imbattuto in questo forum per caso, mentre cercavo altro, e vi ho aderito subito, quasi d’istinto, come temendo di perdere, col secondare la mia attitudine all’indugio, un’occasione rara. Mi ha fatto l’effetto di una boccata d’ossigeno a chi sta per annegare. Il mare della metafora è la povera, devastata lingua nostra, insultata all’interno dai suoi stessi parlanti, aggredita dall’esterno, ovunque minacciata da forme sempre nuove di protervo analfabetismo. Lei ha ragione quando ascrive al nostro provincialismo l’utilizzo di terminologia anglosassone in modo indiscriminato quando non addirittura forzato. Parliamo la nostra lingua a malapena, e ci illudiamo grottescamente di « arricchirla » infarcendola di superflue voci straniere che, tra l’altro, non sappiamo nemmeno pronunciare! E non mi riferisco alla calata, a quella particolare intonazione fonetica che non ci è propria e dunque non esigibile, bensì alla pura e semplice pronuncia per cui diciamo « bisness » (da « business ») invece di « bisniss », « plànet » al posto di « plènet », « stòlker » da (« stalker ») e non « stòoker » che è la dizione corretta… Non ci basta l’ignoranza totale della nostra ortoepia: andiamo a massacrare anche quella degli altri!
        Ringrazio Lei e l’altro suo interlocutore che si firma don Lisander. Sicuramente milanese… Immagino sia un velato omaggio al Manzoni…

        • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: un piccolo contributo
          Gentile Doriano
          Mi ha fatto molto piacere il suo post. Per anni ho partecipato, con grande divertimento, al forum di Scioglilingua del Corriere della Sera, poi, con la morte del Prof. De Rienzo il piccolo circolo che si era creato si è dissolto.
          Un vero peccato perché si parlava delle tante curiosità della nostra lingua che oltre ad essere melodiosa e cara è anche molto ricca. Speriamo di poter ricreare un piccolo salotto dove poter disquisire con diletto del nostro italiano.
          Cordialità
          Ivana Palomba

          • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: un piccolo salotto dove poter disquisire con diletto del nostro italiano
            Cari amici,

            Nel sito, proponiamo, dalla nostra nascità, quasi 7 anni fa, due spazi molto seguiti in cui ognuno puo’ intervenire direttamente, partecipare alla vita di Altritaliani.

            C’è il “Café des Italiens”, un « café » virtuale all’italiana o alla parigina, in cui ognuno puo’ dare una notizia, diffondere informazioni, parlare delle sue iniziative, scrivere una riflessione, una poesia…

            e

            c’è questo forum della lingua italiana a disposizione di tutti gli amanti della lingua italiana e di coloro che vogliono intervenire sui temi relativi alla nostra bella lingua.

            Saremmo davvero felici e onorati che fosse il piccolo salotto che sogna di ricreare Ivana Palomba.

            Cordiali saluti a tutti voi. Aspettiamo i vostri post e le vostre interessantissime riflessioni.

            Evolena per Altritaliani

          • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: un piccolo salotto dove poter disquisire con diletto del nostro italiano
            In questi giorni c’è una parola, in tutte le sue declinazioni, che è sulla bocca di tutti: Terrorismo.

            Può una sola parola evocare l’orrore di un massacro d’innocenti? Può evocare l’impotenza e la disperazione?

            Cerchiamo di capirne il percorso da significante a significato. Intanto è da premettere che gli “ismi” presuppongono un’estremizzazione della parola da cui derivano ed anche se il suffisso nasce con la civiltà greca è nell’Ottocento, come afferma il linguista torinese Giovanni Flechia, che acquista il significato di astratto, di fazione o di sistema dottrinario. Nel Novecento “ismo” indica la degenerazione di un qualcosa d’iniziale, una sua demonizzazione.

            Secondo la definizione del DIR (diz. Italiano ragionato)il Terrorismo è:– “in origine regime che si serve del terrore per governare- metodi di guerra instaurati da un belligerante per incutere il terrore nella popolazione avversaria. Nell’accezione più diffusa. Metodo di lotta politica che tende alla sovversione e alla conquista del potere con atti sanguinosi di intimidazione e violenza volti non solo a colpire direttamente esponenti, sedi e simboli della parte avversaria ma a diffondere nell’opinione pubblica terrore e disorientamento”.

            Il lemma deriva dal francese “terrorisme”, a sua volta dal latino “terror”. Il termine “terror” deriva dal verbo “tèrreo” che significa, atterrire, faccio tremare e, quindi, per estensione impaurisco e in seguito “stato emotivo di estrema paura” ma è solo nel corso della rivoluzione francese, da questo preciso momento storico, che la parola latina in trascrizione francese assumerà significato per la storia in generale e per la politica in particolare.

            Infatti, i termini “terrore” e “terrorista”, nella loro accezione moderna, comparvero per la prima volta all’interno del supplemento al Dictionnaire de l’Académie Française del 1796. Il supplemento del 1798 definiva il terrorismo come “système, regime de la terreur”. Prima di tale periodo però i Giacobini avevano usato il termine, per parlare o descrivere se stessi, esclusivamente in accezioni positive fu soltanto dopo il famoso colpo di stato che pose fine al periodo del Terrore di Robespierre che “terrorista” significò “un abuso con implicazioni criminali”.

            Un abbraccio affettuoso ai nostri fratelli francesi.
            Ivana Palomba

          • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: un piccolo salotto dove poter disquisire con diletto del nostro italiano
            vorrei sapere una cosa importante per tutti che stanno imparando la lingua italiana ,perche in italiano si usano tante parole inglesi malgrado ci siano altre uguali in italiano ?????????????

  47. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Milano: Stazione Centrale, François Fasoli
    Un racconto per il forum della lingua italiana

    Come tutti gli anni mi sono concesso una piccola vacanza nel mio paese nativo. Francavilla al Mare. La sua spiaggia, il pontile, San Franco, il cimitero sulla collina dove sono seppelliti i miei nonni, i miei genitori, una delle mie sorelle. Molto stranamente quando passeggio lungo i viali del cimitero penso al « Cimetière marin » di Paul Valéry ! Perché no ?

    Potrei parlare del cappuccino che costa 1,20€ mentre a Strasburgo costa 3,10€. Potrei parlare dei ristoranti dove, per 30€, si puo fare un ottimo pranzo di pesce (La Nave o Il Brigantino).

    Ma prima di arrivare a Francavilla bisogna fare un lungo viaggio in treno. Strasburgo, Basilea, Milano, Pescara. Dove mi aspetta una mia cara nipote, che mi accompagna a Francavilla (8 kilometri).

    Lo so: c’è l’aereo. Già c’è l’aereo. Ma poiché sono partito dall’Italia con un treno nel lontano 1960 mi sento obbligato di ritornare in Italia in treno!

    E poi in treno si passa per la « Stazione Centrale » di Milano.

    Ah la « Stazione Centrale » di Milano! Ci sono tante cose da dire su questa stazione ma ho cominciato questa lettera allo scopo di portare a conoscenza dei lettori un problema che mi preoccupa. Non devo lasciarmi distrarre da pensieri o evocazioni del passato. Parlerò un’altra volta dell’importanza per me della « Stazione Centrale » di Milano.

    Ecco i fatti. Veri. Senza niente di immaginario. Fatti crudeli.

    Sono arrivato a Milano verso le 16 e 30. Binario 3. Sapevo che il treno per Pescara partiva dal binario 18, 19 o 20. Quindi ho attraversato tutta la stazione per recarmi nelle vicinanze del binario 20. Arrivato lì, su un pannello elettronico di informazione, ho letto « Pescara 17 e 35 gate E ». Sapevo che « gate » in inglese può significare « porta » ma nessuna porta era in vista. Mi sono detto « E adesso come faccio? Chissà dove si trova questa porta E? »

    Meno male che c’era un poliziotto lì vicino. Gli ho chiesto:

    – Mi scusi ma dove si trova il « gaté é » ? (ho pronunciato « gate E » in italiano)

    – Che cosa?

    – « gaté é »

    – Come dice?

    – « gaté é »

    Di colpo il poliziotto mi ha fatto un gran sorriso e mi ha detto con un accento inglese perfetto:

    – Lei vuole dire « geite ei »?

    – Sì, « geite ei ».

    Il poliziotto mi ha indicato la direzione dei binari 18-19-20, poi mi ha spiegato che fra 20 minuti il pannello avrebbe indicato il binario. Ho ringraziato il poliziotto per la sua gentilezza.

    Avevo 20 minuti di attesa. Mi sono detto « Adesso mi vado a mangiare un panino ».

    Così mi sono allontanato dai binari e mi sono trovato davanti a una porta vetrata (che non c’era negli anni precedenti), sulla quale un pannello luminoso indicava « Exit-Uscita ». Mi sono detto « Ma perché scrivono « uscita » in inglese e non in francese? ».

    Ci deve essere una profonda ragione che io non sono in grado di capire. Lasciamo perdere.

    Mi sono mangiato tranquillamente il mio panino e poi mi sono diretto verso la porta vetrata da cui ero uscito per raggiungere di nuovo i binari. Sulla porta in grandi lettere luminose c’era scritto « NO TRESPASSING ».

    Se capisco bene l’inglese si può tradurre con « Passaggio vietato » per esempio. Ma perché in inglese? Se io vado in Italia non é per trovarmi davanti a un imperioso « NO TRESPASSING ».

    E che figura ci fanno, con i loro alunni, i professori d’italiano nei licei francesi? Senza parlare dei centri culturali italiani che organizzano corsi d’italiano. Che cosa devono rispondere a un alunno che domanda:

    – Monsieur (ou Madame), comment dit-on « Passage interdit » en italien ?

    – NO TRESPASSING!
    Se per caso i professori d’italiano insegnano in italiano allora avrei dovuto scrivere :

    – Professore (o professoressa), come si dice « Passage interdit » in italiano?

    – NO TRESPASSING!

    Ah! Il mestiere di professore (o professoressa) d’italiano è molto difficile!

    Certe persone mi diranno che la lingua inglese è parlata dai numerosi turisti cinesi o giapponesi che vengono a visitare l’Italia. I responsabili della Stazione Centrale di Milano hanno sicuramente pensato che un messaggio in italiano di tipo « Passaggio vietato » li avrebbe impauriti e persino fatti scappare. È possibile. Ma io penso che sarebbe una forma di rispetto verso i turisti cinesi (o giapponesi, francesi, eccetera) parlare italiano in Italia. Sarebbe un gioco molto apprezzato dai turisti cinesi (per esempio) cercare di capire che cosa vuol dire « Passaggio vietato ».

    Penso che si potrebbe distribuire ai turisti cinesi (per esempio) un piccolo fascicolo sul quale a fronte di espressioni italiane ci sia l’equivalente in cinese. Si potrebbe anche creare un sito Internet…

    Ma non è tutto.

    Su un pannello laterale accanto alla porta c’era scritto in italiano, in inglese, in tedesco (non sono ancora riuscito a capire perché non c’era il francese): « Si prega di preparare il biglietto per il controllo ai gate » (cito a memoria). Si può constatare che per la persona che ha scritto il messaggio « gate » è invariabile in italiano poiché, per lui, il plurale di « gate » è « gate ». Molto stranamente nella versione inglese c’è scritto « gates ». Quindi al plurale, in inglese, gate si scrive gates. Il messaggio in inglese è, probabilmente, stato scritto da un’altra persona! I responsabili della stazione centrale di Milano sono riusciti a creare una nuova parola « gate » che non è né italiana né inglese.

    Chissà che lingua è?

    Non sarebbe stato meglio usare la parola « porta »? O « ingresso »?

    Ma forse i responsabili della stazione centrale di Milano si vergognano di parlare italiano? Pensano che l’italiano sia una lingua inferiore?

    François Fasoli

    Immigrato italiano a Strasburgo

    Autore del racconto:

    Francavilla al Mare, Abruzzes: La cloche de San Franco.

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article1975

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Milano: Stazione Centrale, François Fasoli
      Alcuni commenti su facebook:

      Anna Livia Van Wynsberghe: Articolo interessante e ben scritto! Mi pongo le stesse domande dell’autore!

      Romeo de Biasi: temo che la frase conclusiva dell’articolo sia vera e che l’uso a sproposito dell’inglese non sia semplice snobismo.Con tutto il rispetto, quando sento un Capo di Governo parlare di « Jobs act » il resto non mi meraviglia.

      Giulia de Napoli: Io non sarei così severa…cioè concordo sulla necessità di usare l’italiano (uscita lo capiscono tutti del resto). Ma penso che in una stazione, frequentata da molti stranieri l’uso dell’inglese sia dettato dalla necessità di evitare confusione
      Purtroppo oggi si segue ciò che « serve ». La dico brutalmente: vedi le discipline umanistiche sempre meno studiate (anche grazie alla scelleratezza di vari ministri dell’istruzione). Liceo classico in calo, in crescita quelli tecnici o professionali. Ecco l’inglese é la lingua che serve di più nel lavoro. Per la mia esperienza vedo che in pochissimi studiano l’italiano per interesse o per amore della sua bellezza. Veramente pochi. La cosa non mi stupisce, se molti italiani ignorano la cultura umanistica del nostro Paese…

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Milano: Stazione Centrale, François Fasoli
      Buongiorno, Vi ringrazio molto per l’interesse che avete manifestato nei confronti del mio piccolo articolo. Mi ha fatto molto piacere scrivere in italiano. Dopo tanti anni…

      Mi descrivete (alla fine dell’articolo) come « immigrato italiano a Strasburgo »

      Avete senza dubbio ragione pèro io non mi sono mai sentito « immigrato ». Non sono io che ho deciso di andarmene dall’Italia…Mi è molto dispiaciuto abandonare Francavilla, il mare, le piante di fichi, mia nonna e i suoi gatti…Pero questa era la condizione (fissata da chi ?) per ritrovare mio padre.

      A bientôt pour d’autres écrits
      Et encore merci.
      François Fasoli

  48. Master Italien en CEAD – Université Blaise Pascal (Clermont-Ferrand)
    Dès la rentrée 2015-2016, le Département d’Italien de l’Université Blaise Pascal de Clermont-Ferrand a mis en place un Master d’Italien à distance (4 semestres, 120 crédits ECTS).

    Il s’adresse à tout titulaire d’une Licence études italiennes (LCE ou LEA) qui, pour les raisons les plus variées, ne peut pas être assidu. Les candidatures d’autres diplômés (Licence en Langues, Lettres, Histoire, Histoire de l’art…) seront étudiées.

    Le Master se propose de donner aux étudiants une solide préparation en Littérature, Civilisation et Langue italiennes (traduction littéraire, interprétariat), une spécialisation progressive et modulable selon le projet professionnel et la poursuite des études, une formation à des outils divers et complémentaires (méthodologie de la recherche en langue, littérature et civilisation, analyse sémiologique du texte et de l’image; analyse du discours) offrant une ouverture tout en permettant une flexibilité et une personnalisation du parcours.

    Grâce à l’approfondissement des connaissances et des méthodes, le master LCE Etudes italiennes donne des atouts supplémentaires aux étudiants qui passeront par la suite les concours de recrutement dans l’enseignement du second degré. D’autres débouchés sont possibles vers le tourisme, l’édition, la traduction.

    Un bilan de recherche est prévu pour le deuxième semestre. Ce travail de recherche sera développé dans le mémoire du semestre 4. L’étudiant est invité à prendre contact avec l’équipe pédagogique du diplôme afin de discuter le projet de mémoire dès son inscription en Master 1.

    Pour tout renseignement complémentaire, n’hésitez pas à vous connecter au site:

    http://cead.univ-bpclermont.fr/rubrique95.html

    ou à prendre contact avec Mme Donatella Bisconti Donatella.BISCONTI@univ-bpclermont.fr ou M. Nicolas Violle Nicolas.VIOLLE@univ-bpclermont.fr

    Les inscriptions sont ouvertes jusqu’à la fin du mois d’octobre.

  49. I montanti a tradimento di certi nostri « falsi amici »
    Per noi, italiani espatriati che ci serviamo quotidianamente di una lingua diversa dalla nostra lingua materna, è quasi inevitabile incorrere in certi errori assai particolari quando poi ritorniamo alla lingua italiana. Lingua che pur crediamo di conoscere bene, ma sulla quale certi « falsi amici », come vedremo, hanno invece facile gioco con i loro inganni.

    Ho già parlato in un’altra occasione di « montante », termine usato da moltissimi italiani del Québec al posto di « ammontare », « importo », « somma ». Riprendo il tutto per sommi capi.

    « Montante » nella lingua italiana è termine da usare soprattutto in campo pugilistico: è un « colpo portato dal basso verso l’alto, a braccio flesso, al mento o al busto ». In contabilità e finanza sta invece per « somma del capitale più l’interesse da questo prodotto ». Ma non designa il semplice ammontare, ossia la « somma », l' »importo ». Eppure, noi italofoni del Québec ci serviamo del termine « montante » sempre e unicamente nel senso nudo e crudo di « importo » o « somma », senz’alcun riferimento ai calcoli di ragioneria. Il nostro, insomma, è un francesismo, anche se è un francesismo di scarso peso che nulla toglie alla comprensione della frase e che oltretutto « suona bene ».

    Non penso di essere mai incorso in questo errore, anche se so che quegli italiani del Québec che mi leggono assorbirebbero senza scomporsi (« sans broncher ») un mio « montante », dato che per loro « montante » non è altro che « ammontare ». Termine questo – « ammontare » – che è sparito dal vocabolario degli italiani del Québec perché azzerato da un « montante » francesizzante che lo ha messo definitivamente K.O.

    Il « montante » degli italofoni del Québec oltretutto fa bella figura se comparato ad una serie di parole da « corte dei miracoli » che udiamo quotidianamente nella conversazione degli italo-canadesi della Belle Province, come « fattoria » (per fabbrica), « sciomaggio » (per disoccupazione), « giobba » (per lavoro), « begga » (per sacchetto), « cecca » (per assegno), « pippa » (per tubo), « cotto » (per cappotto), « pusciare » (per spingere), « plombiere » (per idraulico), « marchetta » (per mercato), « benevolo » (per volontario)… Il contrario è anche vero: il nostro francese ci fa talvolta sdrucciolare, e non su una buccia di banana, quando ad esempio ci serviamo, parlando francese, di « chier » convinti di tradurre il verbo italiano « sciare ».

    Devo confessarvi che, mentre non ho mai usato in italiano « montante » al posto di « importo », ho commesso invece l’errore di servirmi di « primordiale » in senso inappropriato, ossia invece di « indispensabile », « di grande importanza », « capitale », « cruciale », « fondamentale », « basilare », « essenziale ».

    In francese « primordial » significa 1. qui existe depuis toujours 2. indispensable, capital, essentiel. In italiano « primordiale » ha il significato di 1. « che esiste da sempre », ma non invece di 2. « indispensabile, capitale, essenziale. »

    In definitiva, il termine italiano « primordiale » non è l’esatto equivalente del « primordial » francese. Ne consegue che quando troviamo un « primordial » francese, usato nel testo originale nell’accezione « indispensabile, capitale, essenziale », e non nel senso di « risalente ai primordi », noi non dovremmo renderlo in italiano con « primordiale » perché in italiano tale aggettivo significa unicamente « risalente ai primordi, ossia primitivo, originario, iniziale ».

    Il « primordiale » italiano, inteso come perfetto sinonimo del « primordial » francese, è un francesismo che fa molte vittime nel linguaggio parlato e scritto degli italiani che vivono in una terra francofona qual è il Québec. E tra queste vittime devo essere conteggiato, purtroppo, anch’io che commisi piu’ di una volta questo errore nel passato. Un passato ben lontano, quasi primordiale posso dire a mia discolpa (come passa il tempo…).

    Ad esempio, scrissi erroneamente, anni addietro:
    « L’associazionismo è una molla direi primordiale per le comunità d’italiani presenti nelle varie province canadesi. »

    « L’italiano ama stare assieme agli altri: familiari, amici, compaesani. È un fatto risaputo. Egli ama conoscere, incontrare, comunicare, parlare, discutere, meglio ancora se intorno ad una tavola imbandita. Il mangiare – e dovrei invero dire la mangiata – occupa un posto primordiale nella sua vita. »

    « Lo scrittore Edward Said, nato in Palestina e costretto all’esilio, ha per tutta la vita fatto valere quest’idea per lui primordiale: ‘Niente esiste in sé, né lo scrittore, né la letteratura, né i popoli, né l’Islam, né l’Occidente, niente è e non ha senso e non è comprensibile, se posto al di fuori del mondo e della relazione all’ altro' ».

    È piu’ che evidente che, nelle frasi qui sopra, avrei dovuto ricorrere alla parola « fondamentale » o un altro sinonimo al posto del mio trogloditico « primordiale », il quale nel contesto di ciascuna frase altro non è che un calco dal francese.

    Concludendo dirò che, soprattutto quando si scrive, poiché « scripta manent », è primordiale – mbé … mi scuso – è « molto importante », « essenziale », « cruciale », « capitale », cercare di evitare i francesismi, veri montanti linguistici che suonano molto bene, ma dai quali noi italiani del Québec rischiamo di uscire suonati.

  50. Viaggio attraverso la lingua – I domiciliari
    Da un titolo del Messaggero: « Mafia capitale, lista degli arresti e dei domiciliari. »

    L’aggettivo « domiciliari », così da solo senza un riferimento a un sostantivo, poteva in un passato ancora recente evocare situazioni, idee, sentimenti connessi alla « domus », al focolare, ai riti domestici e agli ozi pantofolai. Ci si poteva infatti chiedere: ozi domiciliari? pennichelle domiciliari? partite a carte domiciliari?

    No, ormai tutti sappiamo che si tratta di « arresti » domiciliari.
    Si badi: il termine arresti non è quasi mai menzionato dagli organi d’informazione. L’omissione è dovuta a discrezione? Forse sì, ma solo all’inizio, quando l’espressione fu introdotta. Oggi la latitanza di « arresti » nella famigerata espressione « essere ai domiciliari » non fa più fesso nessuno, perché « domiciliare » al plurale sottintende inequivocabilmente il sostantivo poco gradevole « arresti ». Arresti in forma casalinga, domestica, familiare, sì, ma comunque arresti.

    L’aggettivo « domiciliare » si è sostantivato, acquisendo un significato indissolubilmente legato, e si dovrebbe poter dire « ammanettato », a quella forma di prigionia in casa propria che nell’Italia di oggi la magistratura – sia la parte « democratica » come una porzione della magistratura si autodefinisce, sia quella « non democratica » come mi sembra allora lecito chiamare il resto dei magistrati – non nega quasi mai a nessuno. Non solo a causa del sovraffollamento delle carceri, ma per le condizioni precarie di salute dell’indagato, il quale – sono sicuro – già prima di ricevere l' »avviso di garanzia » non si sentiva perfettamente bene, ed ora che lo ha ricevuto comincia a sentirsi decisamente male.
    Gli italiani nel parlare non ricercano tanto la chiarezza quanto il « suona bene ». E non c’è che dire: l’espressione icastica « essere ai domiciliari » suona decisamente bene. E suona ugualmente bene l’espressione « avviso di garanzia », anche se si tratta di una « garanzia » di cui il destinatario-beneficiario farebbe volentieri a meno.

    Leggiamo sui giornali: “’X.Y.’ è ai domiciliari”. ‘X.Y.’ è il personaggio di turno, oggetto dell’attenzione del magistrato inquirente di turno, il quale sa tutto su di lui grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali di turno.

    Il rimanere prigioniero tra le quattro mura della propria casa è tanto più sopportabile quanto più la residenza familiare è ampia, comoda, e forse provvista anche di giardino e piscina, e con un bagno dotato d’idromassaggio. Le ville non mancano di certo nel patrimonio di tanti inquisiti, nel paese in cui « Costituzione » fa rima baciata non con « lavoro » o con « Resistenza », ma con « corruzione ». Una corruzione motivata spesso dall’altruistico desiderio provato da ogni italiano che si rispetti di far del bene alla propria famiglia. E quindi è giusto che la custodia cautelare avvenga in famiglia. Una famiglia complice, affettuosa, riconoscente.

    • Viaggio attraverso la lingua – I domiciliari
      Gentile Claudio Antonelli
      Intanto piacere di ritrovarla al di fuori di Scioglilingua. Ho letto il suo pezzo su “i domiciliari” ed anche se ne ho apprezzato la forma mi permetta di dissentire dal contenuto.
      Lei sostiene che gli italiani, nel parlare, ricercano non tanto la chiarezza ma il “suona bene” e dire o scrivere “i domiciliari” al posto di “arresti domiciliari” è più icastico. Ma lei dimentica che stiamo parlando di linguaggio giornalistico che per sua natura deve essere di immediato impatto. Nei titoli giornalistici, poi, sono frequenti scorciatoie più disinvolte secondo una prassi comune a tutte le lingue europee e da noi mediata dalla Francia, a detta di Migliorini. Nel giornale, infatti, la prerogativa della tecnica della titolazione è la brevità per cui vengono eliminate parole non essenziali a una comunicazione rapida e sintetica.
      La sintassi del titolo giornalistico oltre ad essere “una delle note fisionomiche più spiccate” all’interno del linguaggio del giornale obbedisce a strutture codificate dalla prassi del genere come ben spiega l’ottima Garavelli Mortara.
      La saluto cordialmente
      Ivana Palomba

      • L’ossessione del « suona bene? »
        Gentile Ivana Palomba,
        la ringrazio per la precisazione, che mi trova d’accordo, e che cioè i titoli dei vari articoli di giornale debbano mirare, per ovvie ragioni, alla brevità e sinteticità.

        L’ossessione del « suona bene-suona male » di tanti italiani è rivelata non tanto dall’omissione di « arresti » (non solo nel titolo ma spesso anche nel corpo dell’articolo) ma da una moltitudine di esplicite prese di posizione al riguardo.

        DI tale ossessione ebbi per la prima volta, anni fa, diverse significative esperienze, lavorando io in una modesta stazione radio italiana di Montréal. Era l’accento sbagliato a turbare ogni volta i sonni dei miei colleghi annunciatori (ad esempio la parola « penuria » da loro pronunciata, per sbaglio, alla francese, con l’accento sulla « i ») e non altri errori ben più’ gravi, perché errori di sostanza e non di « forma », come il fatto ad esempio che avessero, leggendo il notiziario, sempre per sbaglio tolto uno o due zeri alla cifra dei morti di un gravissimo fatto di sangue da loro riportato.

        Un saluto da Montréal, dove la pronuncia francese, e non inglese, di « Montréal »(Québec), è un fatto non tanto di forma quanto di sostanza…

  51. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Buongiorno a tutti. Ho mandato questa lettera al giornale « La Repubblica ». Buona lettura. Cordiali saluti. Mario Salerno

    La Repubblica – Giornale ancora stampato in italiano

    Italia : il 29/7/2015

    Buogiorno caro giornale « La Repubblica »
    Sono in ferie in Italia e abito Parigi. In questi momenti di pausa professionale ho il tempo di leggerti ogni giorno. Pero’ tanto grande è il mio stupore di italo francese nel leggere nelle tue colonne una lingua tanto macchiata da parole inglesi da fare vergogna alla letteratura italiana e i suoi scrittor nonchè una mancanza del minimo rispetto ai tuoi lettori che non le capiscono. Mi sembra che quest’atteggiamento non serva altro che a gonfiare di vanità i giornalisti, i quali pensano che scrivendo tali parole anglosassone, il loro argomento vale di più. Noi lettori che siamo più intelligenti sappiamo che è esattamente il contrario, e non l’hanno capito. Dovrebbero riprendere una risorsatina alla scuola di giornalismo !
    Ti prego, caro giornale, di leggere un riassunto informativo che ho estratto nelle tua pagine, negli ultimi dieci giorni (puoi controllare).
    Nella spending review, ancora work in progress, si puo’ notare un fiscal compact sviluppato dalla community per i nostri managers under i 60 anni a favore della new economy e lo knowledge economy (nella sua version beta). Il blog divulgato tramite sharing e nelle open source ci consente un meet up della versione top dei brand on line. Lo staff, in possesso dei password constituiti in high grade corporate ci conferma l’autority nella austerity nella quale la nostra compound customizzatione pronunciata con la « a » ci da une versione top dal concept e i suoi standard. I vari competitors nel marketing e nel quantitative easing nelle varie high grade corporate non usufruiscono ai designers ma bensi ai low cost della soft culture delle start up. L’exit strategy, dispiace a dirlo, non sopporta un trolley pressing della corporation americana, mentre il ranking e il torque vectoring, confermato da un check in dell’Intercity puo efficacemente trasformare le ddl e il think tank del Welfare. Lo streaming nei vari links oppure linkato negli establishments della call center o nei social net-works hanno emesso un profit warning a favore degli jobs act a degli scoop nello shut down business emarginato da joint venture nella delayed strategy. Nel talk show di release 2.0, i vari like promessi ad una black list si sono invece sviluppati nei pop up, con slogan di under level exibition , veramente first class. Che piacere ! Lo shock degli over i 99 anni li ha portati ad una escalation degna dei cartoons prodotti dalla baby generation in cerca di una introvabile baby pension. Ma al rendering allo stalking del prossimo week-end la soft culture manderà un tweet ai vari speakers della country per farla finita con la delay stategy negli assets di tutti i tipi. I blogger inciappati nel web dello strorage di un pay back time sono rimasti stecchiti come single alla inverter utility. Non hanno nemmeno usato lo smartphone ma sono saliti nella self driving car con soft e hard power (il massimo !) sviluppata dalla deluxe car sharing company per una exit strategy nell’ e-learning.

    Caro giornale, grazie di avermi ascoltato oggi. Non ti mando la fattura della traduzione perchè non l’ho capita (la traduzione, non la fattura). Ma se me la mandi tu la stimero’ di più. Mi sono permesso di leggere questo progetto all’occasione dell’ultima riunione in famiglia. E ti posso assicurare che tutti hanno apprezzato l’affidabilità dell’informazione
    Grazie.
    Buona giornata
    Mario Salerno, lettore di « La Repubblica »

    • LO SFASCISMO LINGUISTICO
      Il ridicolo vezzo di adottare parole tratte da una lingua straniera – oggi il modello schiacciante è l’inglese, domani forse sarà il cinese – sostituendo con esse termini italiani perfettamente validi è stato denunciato dal linguista Bruno Migliorini: « Il danno per le singole lingue non sta tanto nell’accogliere parole forestiere, quanto nell’accogliere parole di forma aliena dal sistema fonologico di ciascuna lingua; e nell’accogliere parole per cui già esisteva un termine adeguato. » (Bruno Migliorini, Lingua contemporanea). Una spiegazione di questo vezzo esterofilo, sempre secondo Migliorini, è che « Crollato il fascismo, il gusto della ritrovata libertà spinse ad adoperare parole forestiere a dritto e a rovescio. » Insomma dal fascismo siamo passati ad una sorta di « sfascismo ».

      « E così – scrive la giornalista Ercolina Milanesi – abbiamo un Veltroni che, anni fa, ad un congresso Ds fece fare un cartello con un logo che recitava: ‘I care’ (me ne importa), un Rutelli che interviene ad una conferenza sullo sviluppo economico dal titolo: ‘pro growth’ (pro crescita), i nostri politici dibattono certi argomenti durante il ‘question time’ (spazio dedicato all’interpellanze ), abbiamo un ministro del ‘welfare’ (stato sociale), organizzazioni che si definiscono ‘no profit’ (senza scopi di lucro), revisori dei conti che analizzano il ‘rating’ (punteggio o valutazione), assessori comunali all’urbanistica che promuovono il ‘bike o car sharing’ (noleggio cittadino di biciclette ed auto), supermercati dotati di ‘health corner’ (angolo della salute, cioè quello spazio dove da qualche tempo si possono vendere medicinali), cantanti intervistati nel « back-stage » (dietro le quinte), gli indici di ascolto che diventano ‘shares’, sceneggiati che ora si chiamano ‘fiction’ per non parlare degli idioti ‘reality show’, l’allenatore in palestra è divenuto un ‘personal trainer’, i travestiti dello spettacolo diventano ‘drag queen’, la nostra marca di automobili nazionale nel lanciare un nuovo modello, alcuni mesi fa lasciava l’annuncio pubblicitario ad un attore americano che parlava solo inglese ma con sottotitoli in italiano, e per una TV italiana è il colmo! Ci sono, poi, giochi di memoria che si chiamano ‘brain training’, i dibattiti televisivi diventano ‘talk-shows’. L’ultimo tormentone insopportabile è quello dove due noti calciatori scimmiottano la frase: ‘life is now’(la vita inizia ora) pubblicizzando telefonini cellulari. Chi vuole una bevanda alcolica con ghiaccio deve ordinarla ‘on the rocks’ altrimenti il barista ci rimane male. »

      Ed ecco cosa dissi in un mio intervento nell’ambito di un gruppo di discussione sul web: « Trovo molto utile la discussione su ‘scannerizzare’, ‘scannare’, etc. come maniera italiana di rendere ‘to scan’. Io sono per la lingua viva, quindi accetto le inevitabili adozioni di parole straniere, e considero ancora più lodevole il tentativo di adattarle al nostro contesto linguistico, anche se a tutta prima certi adattamenti possono sembrare non troppo convincenti perché l’orecchio non vi si è ancora fatto. Ciò che trovo veramente ridicolo, invece, è l’azione d’impoverimento della lingua italiana in cui tante parole sono rimpiazzate dalla paroletta americana mal pronunciata e qualche volta anche mal scritta. Ciò avviene perché gli Italiani sono dei gran adoratori del feticcio della moda (ed amano salire sul carro dei vincitori; dei più forti, più belli, più moderni…) A chi vive all’estero questo scimmiottamento italiano della lingua inglese appare ancora più ridicolo, a causa forse di quella particolare sensibilità che una vita ‘in casa altrui’ (o meglio in un mondo fatto da altri) sa talvolta dare. »

      Di fronte all’invasione di parole e frasi inglesi nella lingua italiana, essi reagiscono… prendendo in giro i Francesi che si coprirebbero di ridicolo con i loro tentativi, giudicati assurdi e vani, di « purezza linguistica ». I Francesi possiedono infatti una commissione nazionale per la difesa della lingua. E hanno difeso con successo, tra l’altro, la parola « ordinateur », mentre si direbbe che per gli italiani la parola « computer » possegga un potere taumaturgico.

      Io non sono contro l’uso nella nostra lingua di parole coniate dagli americani e che identificano prodotti o conoscenze « made in USA ». Pertanto accetto anche computer, anche se sono sicuro che l’adozione di « elaboratore », o di un altro termine autarchico, non ritarderebbe di un nanosecondo l’avanzare dell’informatica. Il fatto è che nella loro precipitazione imitativa, gli italiani – questo popolo afflitto da un cocente bisogno di seguire le mode, e in particolare le mode straniere – non si fermano a « computer ». Vanno oltre, ben oltre, masticando parole e frasi mal comprese, senza accorgersi di suscitare il riso. A chi chi usa « jackpot » al posto di monte premi, « flop » invece di fiasco – questa parola italiana usata quasi universalmente – « killer » invece di assassino (o omicida, o sicario), e che ricorre gioiosamente all’espressione « traffico in tilt », che consacra nella Gazzetta Ufficiale l’espressione « question time », e che ha un ministro del « welfare », devo dire che trovo molto meno ridicoli i Francesi. Adesso anche la parola italianissima « tifoso », così espressiva, è diventata rara nei giornali, sostituita sempre più da « supporter », parola, evidentemente, tecnologicamente più avanzata come lo è computer nei confronti di « calcolatore » o « elaboratore ». Le parole « international », « welfare », « killer », « jackpot », « flop », comicamente pronunciate dagli italiani, con suoni forti e vibranti che fuoriescono dalle loro bocche come da canne d’organo, lungi dal garantire una patente di cosmopolitismo e di progressismo riescono solo a far ridere.

      L’inglese è senz’altro una lingua straordinariamente ricca, bella, e soprattutto utile perché lingua della più grande potenza economica e militare, e inoltre perché diffusa in tutto il mondo. Ma bisogna poterla capire, parlare in tutta la sua ricchezza, e pronunciarla in maniera comprensibile. Allora sì che potrà sostituire efficacemente, in tutto o in parte, le lingue nazionali, a mo’ di nuovo esperanto. Nel frattempo, parliamo tra noi « come ci ha fatto nostra madre ».

      Parlare americano come sembrano voler fare gli Italiani somiglia un po’ al gesto di quelle bambine che si pavoneggiano dopo essersi infilate la gonna e le scarpe della madre, e che incespicano ad ogni passo. Così fanno loro con l’inglese, sorta di formula magica di Aladino, con la quale non riusciranno ad aprire nessuna caverna del tesoro.

      Io so che gli Italiani non possiedono la sensibilità necessaria per trovare ridicolo un popolo che scimmiotta un altro popolo. Ed è, secondo me, un vero peccato.

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate se non ci fosse in realta’ da piangere! Grazie di aver scritto a Repubblica dovremmo farlo tutti, scrivere a repubblica od ai tg ed ai vari programmi di « sottocultura »! Purtroppo gli italiani sono pecore e sono convinti che questo atteggiameno linguistico sia un segno di avanguardia, modernizzazione ed importanza, nonche’, secondo alcuni, dimostrazione di quanto sappiano bene l’inglese!! Che tristezza!

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Génial, si direbbe in francese. Potrei avere l’aggancio, il collegamento elettronico, insomma il « link » per condividere in rete? Grazie!

      • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
        Buongiorno

        grazie del suo sostegno.
        Pertanto poche persone reagiscono all’invasione della lingua inglese (americana?) nell’informazione enfaticamente dataci dai giornalisti.
        Nella parola enfaticamente c’è fatica. E ce la fanno positivamente subire.

        Cordiali saluti

        Mario Salerno

        Se volete leggere un buon libro, ecco un buon indirizzo.
        http://mario-salerno.publibook.com/bibliographie.php

  52. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: La musicalità della lingua italiana
    La musicalità della lingua italiana

    Sentiamo spesso affermare, soprattutto dagli stranieri, che l’italiano sia caratterizzato da una intrinseca musicalità che lo rende una lingua meravigliosamente piacevole da ascoltare.

    In molti sostengono che la nostra lingua suoni quasi come un canto e risulti amabile e dolce.

    Si tratta, naturalmente, di giudizi che sfociano spesso nel gusto personale e che sono molto difficili da valutare su basi obiettive.

    In effetti i giudizi sull’italiano nella storia della cultura europea e straniera sono moltissimi e se ne perde il conto………….

    UN ARTICOLO INTERESSANTE E PIACEVOLE DA SCOPRIRE A QUESTO LINK:

    http://www.scuolaromit.it/articoli/musicalita-lingua-italiana/

  53. Utilizzo del Trapassato Prossimo
    Sono a telefono con un amico. Nel mezzo della conversazione, mi rendo conto di aver dimenticato di togliere il pane dal congelatore. Grido: il pane! Lascio il telefono, raggiungo il congelatore, estraggo la quantità di pane che mi serve per la cena. Fatto questo, torno in salone, impugno il telefono e, a giustificazione del mio atteggiamento di poc’anzi, affermo: « Avevo dimenticato di cacciare il pane dal congelatore ». Tenendo presente che già da due ore ripetevo a me stesso « devo cacciare il pane dal congelatore », e relativamente alla situazione sopra esposta, l’utilizzo del trapassato prossimo (avevo dimenticato) è, in questo caso, da ritenersi un errore?

    • Utilizzo del Trapassato Prossimo
      Gentile Andrea
      Il tempo di un verbo indica qual è il rapporto cronologico che intercorre tra l’azione o lo stato espressi dal verbo e la persona che parla (o scrive). Il rapporto può quindi essere di contemporaneità (quando il fatto avviene nel momento in cui si parla), anteriorità (quando il fatto avviene in un momento anteriore) e posteriorità (quando il fatto avviene in un momento posteriore). Da ciò detto, e dato che la sua intenzione era anteriore, ne risulta che è corretto l’uso del trapassato prossimo.
      P.S. direi piuttosto che non è molto corretto il verbo cacciare che denota o un linguaggio familiare oppure un regionalismo meridionale
      Cordialità
      Ivana Palomba

  54. Quesito sulla correttezza grammaticale di una frase
    Salve, desidererei sapere se la seguente frase è grammaticalmente corretta: « Oggi come sotto suo consiglio mi sono presentata alla prova d’esame. » Grazie

    • Quesito sulla correttezza grammaticale di una frase
      Salve a lei,

      non ‘come sotto’, ma ‘oggi grazie al suo consiglio…’
      oppure ‘come da suo consiglio…’

      indica la causa la ragione (a causa di, grazie a, a ragione di, ecc.) per cui lei ha agito in una certa maniera

      saluti
      carla

  55. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Ortografia/ Maiuscolo o minuscolo?
    Sempre che possa essere utile ai lettori di questo forum Altritaliani sulla lingua italiana, ecco un nuovo mio post:

    Ortografia/ Maiuscolo o minuscolo?

    L’utilizzo del maiuscolo o minuscolo può per alcuni studenti stranieri rappresentare un problema. Ecco alcune semplici regole per non sbagliare.

    In italiano le parole vengono scritte con la lettera maiuscola nei seguenti casi:

     All’inizio di una frase e dopo un punto: Un dedalo di vicoli che si inerpicano su un promontorio roccioso. Un castello normanno.

     Nei nomi propri di persona, animale, luogo geografico: Montalbano Elicona, isole Eolie, Etna ecc…

     Dopo i due punti quando si riporta quanto detto o scritto da un’altra persona: “Nulla è più prezioso di quello che abbiamo intorno”

     I numeri cardinali che indicano un secolo: il Duecento, Trecento

     Gli appellativi via, piazza, corso si scrivono generalmente con la minuscola a meno che non facciano parte della denominazione: via Cavour, piazza Mazzini, Piazza di Spagna

     Le lettere che copongono una sigla : RAI

     I nomi comuni Regno, Presidente della Repubblica, Papa si preferisce scriverli con la maiuscola tranne quando sono accompagnati dal nome: papa Francesco, il presidente Mattarella

     Il titolo delle opere letterarie, musciali, teatrali, scientifiche ecc..hanno la prima lettera maiuscola: Il borgo dei borghi

     I nomi derivati da un luogo geografico si scrivono la maiuscola: il Pavese, il Savonese

     Mentre per i nomi che indicano gli abitanti si usa la minuscola: i tedeschi, gli italiani, i francesi. Attenzione: le popolazioni antiche si possno scrivere con la maiuscola, i Normanni

     Con i nomi ufficiali di enti, istituti e organizzazioni: Banca del lavoro, Mercato comune europeo, Università degli studi di Perugia

     Con i nomi ufficiali di palazzi, musei, teatri, locali pubblici: Palazzo Madama, Teatro alla Scala, Caffè Pedrocchi

    Fonte: Italyamonews

  56. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Pillole/ L’uso errato di “piuttosto che”
    Piuttosto che signfica anziché e si usa per indicare una preferenza accordata ad una cosa rispetto ad un’altra.

    Es: Preferisco cantare in italiano piuttosto che in francese perché in un’altra lingua non sarei naturale.

    Piuttosto che mangiare un panino, preferisco restare digiuna.

    Negli ultimi anni tuttavia si è diffuso nella lingua parlata l’utilizzo di piuttosto che in forma disgiuntiva, vale a dire con il significato di oppure indicando un’alternativa equivalente.

    Un uso sconsigliabile non solo nello scritto ma anche nel parlato.

    Es: Per rilassarmi posso leggere un libro, piuttosto che preparare una torta, piuttosto che fare un bagno caldo (sbagliato)

    Altrettanto scorretto è l’uso di “piuttosto che” con significato aggiunitvo di oltre che.

    Es: Al mercato potete trovare ogni tipo di verdura: pomodori piuttosto che (= oltre che) peperoni, piuttosto che melanzane (sbagliato).

    Fonte: Il blog di Paola Gagliano Italyamonews

  57. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Pillole grammaticali: questo, codesto e quello
    Questo, codesto e quello sono aggettivi o pronomi dimostrativi a seconda se precedono il nome o lo sostituiscono e si usano in base alla posizione di una persona o di una cosa nello spazio, nel tempo o nel discorso, rispetto a chi parla o a chi ascolta.

    Nello spazio:

    questo si riferisce a persona o cosa vicina sia a chi parla, sia a chi ascolta;

    Es: voglio comprare questo libro

    codesto si riferisce invece a persona o cosa lontana da chi parla, ma vicina a chi ascolta;

    Es: Passami codesto libro

    quello è usato per una persona o cosa lontana sia da chi parla, sia da chi ascolta.

    Es: Quel bambino è suo figlio

    Nel tempo

    questo indica che il tempo cui si riferisce è vicino:

    Es: Ricorderò a lungo questo incontro;

    quello indica che il tempo cui si riferisce è lontano:

    Es: Quello di Fabio Sasso e Juan Caro non è stato un salto buio.

    Quello più importante perché apre loro il sipario delle passerelle internazionali

    E quelli che hanno sfilato a Milano la scorsa settimana parlano di una vita ricca

    Nel discorso

    questo indica qualcosa di cui si sta per parlare o di cui si è parlato da poco:

    Es. Quest‘arte applicata alla moda li ha portati a vincere il primo Awards di Strolli e a partecipare per la prima volta a Milano Moda Donna

    Un dualismo questo, ben rappresentato dai palchi ramificati verso alto simbolo del marchio Leitmotiv

    quello richiama, invece, qualcosa che è stato già detto:
    Es. quelle parole mi sono rimaste in mente

    Fonte. Il blog di Paola Gagliano che Altritaliani ringrazia: Italyamonews

  58. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: accenti e apostrofi
    Vorrei fare il punto della situazione su accenti e apostrofi. Mi dispiace dirlo, ma purtroppo noto spesso uno scorretto uso di entrambi.

    Fa (3a ind. pres. verbo fare): nessun accento né apostrofo

    Fa’ (imperativo)

    Da (preposizione semplice)

    Dà (3a ind. Pres. verbo dare)

    Da’ (imperativo)

    Po’ (avverbio, sempre con l’apostrofo, mai con l’accento)

    Gli accenti in italiano sono sempre gravi (è), tranne pochi casi, come tutte le congiunzioni (benché, perché, affinché…)

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: accenti e apostrofi
      Grazie. Trovo davvero utili queste precisazioni su accenti ed apostrofi. In effetti hanno risposto ad alcune domande cui non sempre avevo trovato risposta.

  59. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Umberto Eco – 40 regole per parlare bene l’italiano
    – Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

     Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

     Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

     Esprimiti siccome ti nutri.

     Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

     Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

     Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.

     Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.

     Non generalizzare mai.

     Le parole straniere non fanno affatto bon ton.

     Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”

     I paragoni sono come le frasi fatte.

     Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

     Solo gli stronzi usano parole volgari.

     Sii sempre più o meno specifico.

     L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.

     Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

     Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

     Metti, le virgole, al posto giusto.

     Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

     Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
    è Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.

     C’è davvero bisogno di domande retoriche?

     Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

     Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

     Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

     Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

     Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

     Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

     Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.

     All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

     Cura puntiliosamente l’ortograffia.

     Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

     Non andare troppo sovente a capo.
    Almeno, non quando non serve.

    35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

    36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

    37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

    38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.

    39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

    40. Una frase compiuta deve avere.

    (tratto da: Umberto Eco, La Bustina di Minerva, Bompiani 2000)

    FONTE:

    http://www.italianalingua.it/index.php?page=umberto-eco-40-regole-per-parlare-bene-l-italiano

  60. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    sono giornalista e scrittore, mi piace inventare neologismi identificativi e uno sgtile abbastanza creativo, ho un editor impenetrabile a deformazioni o abbreviazioni sintattiche. per esempio ha ingaggiato un corpo a corpo con me perché vorrei scrivere « depresso in foschi pensieri » e lui insiste per aggingere « immerso », a md sembra ovvio che il depresso sia immerso, lui invece si oppone perché depresso non regge in. secondo me è una stupida impuntatura, o forse lo stupido sono io?
    grazie, cordialità gianluigi gasparri

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Gentile Gianluigi
      Non si tratta di stupide impuntature da ambo le parti ma di semplice corrispondenza delle parole. A volte basta un dizionario e la parola depresso nelle sue varie connotazioni di aggettivo (a), sostantivo (b)e di participio passato del verbo deprimere (c) significa: a) situato in basso rispetto alla zona contigua o al livello del mare o ancora compresso, schiacciato, incavato oppure economicamente povero o arretrato, sottosviluppato; a-b) in psichiatria, affetto da una sindrome depressiva; c) avvilito, scoraggiato.
      Ciò detto, e nel suo caso, se lei mette al posto di depresso la parola avvilito oppure scoraggiato si accorge che non è possibile far seguito con la preposizione semplice in, ma sarebbe corretta la preposizione da.
      Cordialità
      Ivana Palomba

  61. farebbe o facesse?
    Ciao a tutti, il quesito è semplice, eccovi la frase incriminata:

    Premessa: questa mia amica non ha modo di fare colloqui di lavoro ne possiede azienda alcuna ma ha di recente partecipato ad un colloquio di lavoro.
    (Riporto testuali parole)

    (Lei)-Ma che figata cosa? Assumimi e basta.

    (Io)-Hahahahahaha come se lei farebbe così se dovesse assumere dei dipendenti..

    La mia risposta è scorretta?
    Grazie a tutti 🙂

  62. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: domanda.
    Salve. Ho un dubbio. Nel seguente dialogo:

     riusciresti ancora a fare qualcosa?

     qual’è la domanda?

     se si riuscirebbe ancora a fare qualcosa.

    È sbagliato usare il condizionale nella riproposizione della richiesta?? È obbligatorio il congiuntivo? Vi ringrazio in anticipo!

    Khrystyna

  63. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Una novità editoriale
    In libreria

    “LINGUA MADRE”

    ITALIANO E INGLESE NEL MONDO GLOBALE

    di Gian Luigi Beccaria e Andrea Graziosi

    Nella comunicazione globale, l’italiano è destinato a perire, rimanendo solo la lingua dei sentimenti? Oppure può convivere proficuamente insieme all’inglese e ad altre lingue secondo il principio che ‘più si è mescolati più si è ricchi’? Questi gli interrogativi che si pongono Gian Luigi Beccaria e Andrea Graziosi in “Lingua madre. Italiano e inglese nel mondo globale” (Il Mulino, pp. 128).

    L’Italia vive da tempo una questione della lingua che tocca problemi d’identità e orgoglio nazionali. Ma il dominio dell’inglese è ormai un dato di fatto. Il linguaggio quotidiano ne fa un uso disinvolto e invasivo, mentre sempre più numerosi sono i corsi universitari tenuti in lingua inglese. Che cosa implica per il nostro patrimonio culturale l’ascesa dell’inglese come lingua veicolare? Un destino di subalternità? O viceversa l’opportunità di un arricchimento?

    Sul tema discutono uno storico contemporaneo come Graziosi e un italianista come Beccaria. Il primo prende atto del tramonto delle lingue nazionali come lingue scientifiche, ma coglie in questo processo anche la possibile, vitale affermazione di un plurilinguismo europeo. Il secondo difende con vigore l’uso dell’italiano a tutti i livelli, come dispositivo utile a promuovere una comunicazione diffusa e non solo d’élite.

  64. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Far fare/ lasciar fare
    Salve,

    Chi mi potrebbe spiegarmi che forme sono queste?

    Far fare/ lasciar fare

    ho fatto fare

    ho lasciato fare

    e

    Il marito della mia amica ____si è lasciato__operare.

    Ha lasciato____ uscire Sua figlia con uno dei Rolling Stone?

    Sembrerebbero frasi passive ma…non ne sono sicura

    Grazie

    Marina

  65. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Il linguaggio dei giovani e l’italiano (che cambia)
    Il linguaggio dei giovani e l’italiano (che cambia):
    « Lo slang aiuta a diventare adulti »

    [*Vorrei segnalare questo articolo pubblicato il: 28/04/2015 su adnkronos.com*]

    In principio era il verbo, poi arrivò ‘scialla’. Una lingua nasce, cambia, si rinnova. E lo fa anche (o soprattutto) grazie ai neologismi inventati dai giovani o portati nel linguaggio comune dai grandi cambiamenti, come quello innescato da Internet.

    Dopo la creazione, arriva la diffusione. Nel caso di ‘scialla’ (che vuol dire ‘stai tranquillo, rilassati’), probabilmente è stato grazie al film del 2011 di Francesco Bruni – tratto dall’omonimo romanzo di Giacomo Bendotti – che la parola ha raggiunto un gran numero di persone, molto al di là della cerchia dei più giovani.
    Ma perché nascono i neologismi? « Il motivo più semplice è: perché servono ». Non ha dubbi Vera Gheno, Twitter manager e collaboratrice dell’Accademia della Crusca, che all’Adnkronos dice: « Abbiamo un nuovo significato, come dice il linguista svizzero Saussure, ovvero un concetto, una cosa, un oggetto, qualcosa insomma che prima non c’era e che quindi ha bisogno di un nome, ovvero, per dirla sempre alla Saussure, un significante ».

    « Si possono creare parole nuove per gioco – prosegue – per voglia di fare esperimenti con la lingua. Non a caso i linguaggi giovanili e i linguaggi telematici, particolarmente ‘giocosi’, sono terreno fertile per la creazione di neologismi ».

    Sono infatti loro, i ragazzi, che continuano ad usare la gran parte di espressioni ‘in codice’ per capirsi senza troppe giri di parole. Così se due amici si dicono ‘quella è una busta’, i loro coetanei sanno che stanno parlando di una ‘cozza’ o ‘ciste’, ‘scaldabagno’, ‘lavatrice’, ‘scallapizzette’. Ovvero, una ragazza non bella.

    Una vera e propria ‘Slangopedia’, come la chiama Maria Simonetti nel suo ‘Dizionario dei gerghi giovanili’ edito da Stampa Alternativa. Nel libro, sul versante delle parole mutuate dagli animali, ci sono tra le altre ‘mi cangura’ (per indicare che una questione ‘non mi riguarda’) e ‘inscimmiarsi’ (per chi si concentra su una sola cosa e la ripete in modo ossessivo).

    E, ancora, chiamare ‘limone’ chi si circonda di ‘cozze’, ‘rimastino’ chi alle feste non balla, ‘rimastone’ l’over 40 che si veste e si comporta da giovane (ma il giovane dei suoi tempi) oppure ‘sdraiona’ per una ragazza molto emancipata e ‘dentiera’ per riferirsi alla prof o – in senso lato e un po’ perfido – agli anziani.

    A questi si accompagnano i più storici ‘trescare’ (avere un flirt), ‘camomillarsi’ (calmarsi), ‘tranqua’ (tranquillo), ‘sbalconato’ (essere fuori di testa), ‘incicognarsi’ (restare incinta) e ‘citofonarsi’ (chiamare qualcuno per cognome).

    Tutte queste espressioni come si diffondono? « In generale – aggiunge Vera Gheno – un neologismo inizia a circolare se è utile, o se piace, oppure se viene usato da qualcuno che ammiriamo: oggi si potrebbe parlare di ‘influencer’, ovvero personaggi che in qualche modo sono in grado di influenzare i gusti delle persone. Sicuramente, un neologismo può venire veicolato da un film, da un libro o da un social network, ma contano moltissimo le persone, in questo processo ».

    Dalle persone al web, il passo è breve. Non si può negare che anche Internet abbia cambiato il modo di comunicare, non solo nella realtà di quali modi vengono usati per ‘parlare’ (applicazioni, chat, social network) ma anche nelle espressioni mutuate dal mondo dell’on line.
    Del resto, se dieci anni fa qualcuno avesse detto « mi whatsappi la foto che hai twittato così la posto su Facebook? », molti – forse chi era over ‘una certa età’ – avrebbero alzato un sopracciglio perplessi. Oggi, probabilmente, no.

    Tanto che del linguaggio mutuato dal mondo dell’Information and Communication Technology e da quello dell’informatica fanno parte anche parole come bannare (bloccare l’accesso, escludere), loggarsi (effettuare un accesso), cliccare (parola onomatopeica per indicare di premere un pulsante), crackare (aggirare le protezioni di un programma), scrollare (scorrere la rotella del mouse per leggere una pagina sul web) o zippare (comprimere file in una cartella per occupare meno spazio).
    « Certamente – sottolinea Vera Gheno – i nuovi media hanno velocizzato la circolazione di notizie, parole, espressioni; basti pensare alla facilità con cui tutto oggi può diventare virale, o magari un meme: i vecchi tormentoni oggi si chiamano così ». Una sorta di contenuto intergenerazionale, compreso e condiviso sui social da figli e genitori allo stesso tempo.

    Esistono naturalmente differenze di ‘linguaggio’ tra generazioni ma « anche all’interno della stessa generazione – afferma – possono cambiare letteralmente da gruppo a gruppo, da compagnia a compagnia e la nascita e morte di parole nuove è sempre stata velocissima, forse oggi ancora di più, semplicemente perché si può arrivare prima alla fase del tramonto, del non poterne più ».

    Veloce, ma anche utile? Ovvero, lo slang arricchisce la lingua? « I linguaggi giovanili – dice la Twitter manager e collaboratrice dell’Accademia della Crusca – sono delle varietà particolari perché sono di transizione tra la fase dell’infanzia e la fase della maturità. Servono moltissimo per costruire il sé crescendo e tale autodefinizione deve per forza passare da una fase di rottura con le generazioni precedenti ».

    Quindi, afferma, « questi slang appariranno sempre strani e ‘brutti’ ai ‘vecchi’ ma normale che sia così. Poi si cresce e in teoria si abbandonano i giovanilismi, anche se questo non sempre avviene ». Crescendo, infatti, « si dovrebbe ridurre l’uso di stilemi del linguaggio giovanile » anche se, ammette la Twitter manager e collaboratrice dell’Accademia della Crusca, « la pervasività dei nuovi media ha allargato la forbice anagrafica » di chi li usa.

    Tanto che potremmo trovare un 40enne che sui social usa le stesse espressioni dei 20enni, entrando da ‘fuoriquota’ in gruppi anagraficamente lontani da lui, considerando che « il linguaggio giovanile e quello dei nuovi media, spesso, si sovrappongono ».

    Inoltre, « nella comunicazione giovanile è implicita una funzione tribale », afferma Vera Gheno, una sorta di « codice per riconoscersi fra simili ed escludere gli altri dalla comunicazione del gruppo », all’interno del quale « il lessico permette l’identificazione, anche attraverso epiteti o soprannomi a volte crudeli ». Ci si rende conto che certi nomignoli possono ferire la sensibilità delle persone? « Non sempre. La coscienza dell’offesa viene dallo sviluppo ».

    Offese a parte, però, lo slang rimane insomma una ‘risorsa’ per l’autodefinizione e finisce per conquistare anche chi giovane non è più: « A volte – conclude Gheno – succede anche che elementi di questi linguaggi finiscano nel parlato di tutti i giorni. Con la loro velocità, i linguaggi giovanili rappresentano una formidabile fucina di idee linguistiche, alcune assolutamente transitorie, altre destinate a rimanere ».

    [*FONTE:*]
    http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2015/04/28/linguaggio-dei-giovani-italiano-che-cambia-slang-aiuta-diventare-adulti_To9455nAjreP1Hl9jcsMkI.html?refresh_ce

  66. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: 300 parole da dire in italiano
    300 parole da dire in italiano: la lista definitiva

    Succede qualche tempo fa. Propongo su nuovoeutile.it una lista di parole inglesi che si usano spesso e di corrispondenti parole italiane d’uso altrettanto comune.

    Non si tratta di una crociata contro le lingue straniere, né contro l’impiego dei molti termini inglesi che, da mouse a discount, da toast a software, non hanno corrispondenti italiani efficaci e accettati. Esistono forestierismi insostituibili (come computer), utili (come autobus) e superflui (come ticket): l’idea è trovare alternative italiane realistiche ai forestierismi superflui. E suggerire che qualche volta si può, senza far troppa fatica, dire in italiano quel che, magari per abitudine o pigrizia, si dice in inglese, e dare così un taglio allo stucchevole, provincialissimo itanglese.

    Aggiungo che spesso le parole inglesi vengono caricate di un senso e di un potere esoterico che, di loro, non avrebbero. Per esempio, brand è la marca (non il marchio) e brand image è l’immagine della marca. Né più, né meno.

    Segnalo inoltre che, per via della (ignorata) regola inglese di anteporre l’aggettivo al sostantivo, l’itanglese frettoloso e sbracato genera mostri: così, per esempio, spending review diventa “la spending” (urca, dobbiamo tener conto della spending!) e bodycopy diventa “la body” (ehi, tagliami un po’ questa body! Schizzi di sangue dappertutto).

    La lista gira in rete e raccoglie, di pagina in pagina e di condivisione in condivisione, oltre quattrocento commenti: un’appassionata revisione collettiva a partire dalla quale riscrivo tutto quanto togliendo, integrando e modificando. Qui sotto trovate il risultato. Cliccate sul link:

    http://nuovoeutile.it/300-parole-da-dire-in-italiano/

    A cura di Annamaria Testa

  67. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    La fiera degli strafalcioni

    Dal Corriere della Sera:
    « Consecutio temporum sballate, costruzioni di frasi arrovellate, accenti gravi invece che acuti (e viceversa), e poi italianismi, refusi, strafalcioni. Leggendo le versioni straniere del sito Internet di Expo, insegnanti di lingue, interpreti e traduttori hanno scoperto numerose anomalie. »

    L’inglese pieno di strafalcioni della costosa pubblicità dell’Expo-Fiera di Milano ha messo in ridicolo, ancora una volta, gli ingloriosi sbandieratori del gergo anglo-americano dello Stivale, rivelatisi incapaci di redigere persino delle semplici scritte in inglese.
    Ma gli italiani, cosa volete, sono anglofoni creativi. E la lingua inglese paga il prezzo della « creatività » italiana (alla « sciuscià »).
    Nella penisola, le parole d’accatto inglesi sono in genere mal usate, mal capite, o ridotte a una sola delle loro accezioni originarie. E sono mal pronunciate. Ma nessun avverte il ridicolo della cosa, perché nel paese dove tutti vogliono apparire alla moda, la dignità nazionale non è mai di moda.
    Siamo noi all’estero, e non i rimasti in patria, a dover poi cercare di spiegare agli allievi d’italiano, avidi di bellezza italiana, per quale strana ragione, nella penisola, giornali, radio, TV, e gli stessi governanti si gargarizzino con parole e frasi tratte da una lingua che non conoscono.
    L’inglese « ufficiale » della cerchia degli specialisti, addetti alle redazioni e traduzioni per la Fiera di Milano, è uscito « con le ossa rotte » da questa ulteriore incursione linguistica da armata Brancaleone. L’inglese della madonnina, insomma, « è andato in tilt » (per usare quest’espressione più facile da capire per gli italiani).
    Possiamo comunque consolarci perché alla scrittura maccheronica della Fiera degli orrori non si è aggiunta la pronuncia maccheronica, trattandosi di testi scritti.
    A commento di questi strafalcioni di scrittura, tra cui l’invito a comprare, con un « Buy » scritto « But » – forse trasformazione inconscia del « però  » con cui iniziano tante frasi italiane, « sì, però… » o forse perché il tasto della « y » e della « t » sono contigui -“What a fiasco!” direbbero gli inglesi, e “Quel fiasco!” i francesi. Ma rischierebbero di non essere capiti dagli italiani che hanno da tempo sostituito il “fiasco”, che faceva evidentemente troppo provinciale, con il “flop” di sapore, per loro, “hollywoodiano.

  68. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: congiuntivo o indicativo?
    Salve,

    « non credo che » o « credo che non » si usa il congiuntivo o l’indicativo?

    per esempio.

    credo che non viene o non credo che viene.

    credo che non venga o non credo che venga.

    quali sono corrette e perché, se esiste una regola.

    Grazie anticipatamente.

    Mauro

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: congiuntivo o indicativo?
      Caro Mauro,

      l’uso del congiuntivo è la norma, quindi è corretto dire « non credo che venga » e « credo che non venga ».

      E’ tollerato il futuro nel secondo caso : « credo che non verrà », dipende sempre dai contesti. Da evitare assolutamente l’uso dell’indicativo. Perché ? Perché si esprime incertezza e dubbio. Ma è inutile reinventare la ruota, segui questo aggancio :

      http://parliamoitaliano.altervista.org/il-congiuntivo-come-e-quando-si-usa/

      Un saluto

      Romano

      • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: congiuntivo o indicativo?
        Scusi ho trovato questo su l’accademia della crusca:

        Reggono il congiuntivo i verbi che esprimono “una volizione (ordine, preghiera, permesso), un’aspettativa (desiderio, timore, sospetto), un’opinione o una persuasione”, tra cui: accettare, amare, aspettare, assicurarsi, attendere, augurare, chiedere, credere, curarsi, desiderare, disporre, domandare, dubitare (ma all’imperativo negativo può richiedere l’indicativo: “non dubitare che faremo i nostri conti”, C. Collodi, Le avventure di Pinocchio), esigere, fingere, illudersi, immaginare, lasciare, negare, ordinare, permettere, preferire, pregare, pretendere, raccomandare, rallegrarsi, ritenere, sospettare, sperare, supporre, temere, volere.

        Purtroppo parla solo dell’imperativo negativo di dubitare.

        Cerco però di ragionarci un po’ sopra al mio problema:

        « Non credo che tu sia brutto ».
        « Non credo che tu sei brutto ».

        Non credo esprime certezza. Non c’è dubbio, per questo sarei tentato di mettere l’indicativo.
        Lei cosa ne pensa?

        • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: congiuntivo o indicativo?
          Mauro,
          la cosa si fa intrigante e comincio a pensarci un po’ di più anch’io.
          La frase di Collodi: ‘Non dubitare che faremo i conti’, mi suona bene. In effetti qui troviamo un imperativo negativo seguito da un futuro, quindi siamo in linea con quanto afferma LA CRUSCA. Ma…
          Quel ‘che’, secondo me, ha un significato particolare. La frase si potrebbe infatti leggere così:
          « Non dubitare! faremo i conti! ». Mi sembra che ‘faremo i conti’ non sia una frase subordinata; quel ‘che’ forse non ha funzione congiuntiva tra principale e subordinata, mi sembra quasi pleonastico. Fosse stato Manzoni invece di Collodi, forse avrebbe scritto: ‘Non dubitare, ché faremo i conti!’
          A parte questa considerazione e cercando di risalire a delle regole, c’è una coincidenza parziale di soggetto nelle due frasi: ‘[tu] non dubitare, [tu e io] faremo i conti (N.B. quando il soggetto è il medesimo, un verbo dubitativo regge comunque l’indicativo : ‘Credo che non verrò, penso che non verrò’).
          Prendiamo la cosa in altro modo, supponiamo due casi.
          Primo caso. La madre al figlio: ‘Non hai fatto ancora i compiti? Non dubitare che faremo i conti! Non ti lascerò andare al cinema!
          Secondo caso. La madre al figlio: ‘Voi due state ancora giocando?’ Risposta: ‘non dubitare che non facciamo i compiti’ oppure: ‘non dubitare che facciamo i compiti’. Risposta blanda e accondiscendente.
          Ma anche: ‘Non dubitare che [li] faremo [questi dannati] compiti! Il tono però è ben diverso, è lo stesso tono di: ‘Non dubitare che faremo i conti!’
          Nella frase ‘non credo che sei brutto’ non c’è un imperativo e mi suona stonata. Ci troviamo di fronte molto chiaramente a una principale e una subordinata e i soggetti sono diversi. Quindi le sacre regole vorrebbero in ogni caso il congiuntivo. Ma anche in questo caso si potrebbe dire: ‘[No], non [ci] credo che sei brutto’. Quindi probabilmente tu hai ragione Mauro: dopo una dubitativa, per contraddire con forza il dubbio ed esprimere una certezza, si usa l’indicativo. Cambia completamente il tono, ma con quel tono l’indicativo ci sta…. E qui ci starebbe bene un vero linguista! Romano

          • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: congiuntivo o indicativo?
            Egregio signor Romano,

            E quale linguista sarebbe meglio di Lei? Fa veramente piacere leggere delle osservazioni di questo tipo, che rendono la scoperta della nostra lingua davvero interessante!

            La saluto cordialmente.

            Mauro

  69. curiosità
    Ciao a tutti,
    ho una curiosità e spero che qualcuno mi possa aiutare.
    L’espressione  » mi sono presa di freddo » è corretta nella lingua italiana?

    Grazie
    Monica

    • curiosità
      Monica,
      come sempre, tutto dipende dal contesto. Si tratta di una risposta a una domanda bizzarra? di un’espressione coniata su un’espressione dialettale?
      Presa cosi’ non sembra corretta.
      Cosa vuoi dire?
      Sono stata presa dal freddo?
      Sono morsa dal freddo?
      Ho preso freddo?
      Sono stata colta di sorpresa?
      Sono stata raggelata dalle sue parole, dalla sua reazione?
      Sono stata colta dal panico?
      Romano

  70. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: aggettivo buono. Domanda.
    Salve,

    ho di nuovo bisogno di aiuto:

    L’aggettivo « buono » quando precede un sostantivo viene usato come un articolo indeterminativo (regola) ma allora posso dire « un buono sciatore » per via della regola degli articoli (s+consonante al maschile uno?)? Perché allora mi suona meglio un buon sciatore o un buon scolaro?

    Spero di essermi spiegata bene.

    Grazie e cordiali saluti

    Marifilla

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: aggettivo buono. Domanda.
      Gentile Marifilla
      Non mi è molto chiara la regola a cui si riferisce.
      Non si tratta di suono migliore (buon sciatore e buon scolaro) ma di regola grammaticale che applica il troncamento dell’aggettivo buono.
      Il troncamento, cioè l’eliminazione della sillaba finale di una parola dinanzi ad un’altra che comincia per vocale o consonante, è d’obbligo con uno (un uomo) alcuno (alcun pensiero), nessuno (nessun uccello) e buono (buon libro ecc.).
      Spero di essere stata chiara.
      cordialità
      Ivana Palomba

      • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: aggettivo buono. Domanda.
        Si, mi scusi non sono stata chiara ma vivo all’estero.
        In poche parole: quando « buono » è seguito da un sostantivo lo si usa come un articolo(regola: sostantivo che inizia per s+consonante, z, ps e gn, prende l’articolo lo o uno), per cui dovrebbe scriversi:
        « un buono sciatore » o « un buono scolaro », ma in un libro ho trovato scritto un buon sciatore ed un buono sci ed anche online lo trovo scritto così e non mi spiego il perché.
        Secondo me é esatto scrivere « un buon libro » (il libro) ma é anche esatto (da regola articolo sopra) « nessuno scoglio » o « alcuno scoglio » o « nessuno zaino »… come me lo spiega?
        Avrei bisogno della regola esatta che non trovo più.

        Mille grazie e cordiali saluti

        Marifilla

      • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: aggettivo buono. Domanda.
        Gentilissima signora Palomba,

        io parto da questa regola sugli articoli per poi arrivare a « buono »:

        gli articoli determinativi:

        – il e i si usano davanti ai nomi maschili inizianti per consonante (il libro, i piatti);

         lo e gli si usano davanti ai nomi maschili che hanno per iniziale:
        pn- (lo pneumatico);
        ps- (gli psicologi);
        gn- (lo gnomo);
        z- (gli zoccoli)
        x- (lo xilofono);
        y- (lo yogurt);
        s- seguita da consonante (gli scogli);
        i- seguita da vocale (lo iodio);

         l’ o gli davanti ai nomi maschili che hanno per iniziale una vocale (l’orso, gli uomini);

        indeterminativi

         un si usa davanti ai nomi maschili inizianti per vocale (un armadio)o consonante (un ragazzo)

         uno è utilizzato davanti ai nomi maschili che cominciano per:
        gn- (uno gnomo);
        pn- (uno pneumatico);
        ps- (uno psicologo);
        z- (uno zaino)
        y- (uno yogurt);
        x- (uno xilofono);
        i- seguita da vocale (uno iettatore);
        s- seguita da consonante (uno sceriffo);

         una si usa davanti a tutti i nomi di genere femminile (es: una casa) e, in caso si trovi davanti a un nome iniziante per vocale, si apostrofa, es: un’amaca.

        Nota: non si apostrofa mai l’articolo maschile un, poiché trattasi di una forma tronca, e non della forma elisa dell’articolo maschile uno e quindi avremo un albero e non un’albero, un atrio e non un’atrio, e così via.

        • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: aggettivo buono. Domanda.
          Gentile Marifilla

          La regola che lei ha citato sugli articoli (determinativi e indeterminativi) è esatta.
          Infatti riassumendo, gli articoli lo, gli, uno si usano ( invece di il, i, un) davanti a parole che iniziano con z, con s impura (cioè seguita da consonante), con i gruppi sc , gn, ps, pne con x. E per “buono” vige la stessa regola anche se vengono accettati come errori veniali le forme diverse che lei ha trovato.
          Cordialmente
          Ivana Palomba

  71. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: futuro o condizionale?
    Salve,

    scusate avrei bisogni di aiuto, quali di queste due frasi é grammaticalmente corretta?

     Se mi assolveste, il popolo sarà contento della mia libertà

     Se mi assolveste, il popolo sarebbe contento della mia libertà

    Vi ringrazio anticipatamente.

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: futuro o condizionale?
      Gentile Marina Russotto
      Grammaticalmente corretta è senz’altro la seconda con il tempo del verbo al condizionale presente (sarebbe) che soddisfa il periodo ipotetico introdotto dalla protasi (se mi assolveste, congiuntivo imperfetto) ma a ben guardare anche la prima, quella usata dal brigante Musolino potrebbe avere una sua validità in quanto usando il futuro semplice (sarà) esprime una certa sicurezza nel giubilo del popolo alla sua assoluzione.
      Cordialmente
      Ivana Palomba

  72. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Un italiano su due bocciato all’esame di grammatica
    UN ITALIANO SU DUE BOCCIATO ALL’ESAME DI GRAMMATICA

    Qual è o qual’è? Da o Dà? Sapete la risposta? Benissimo, allora voi siete promossi a pieni voti. Ma non tutti, purtroppo (o pultroppo?), scrivono in italiano corretto anche se l’italiano è la lingua madre. Oltre un italiano su due (53%) commette regolarmente errori grammaticali quando scrive un testo, un messaggio o una lettera, non rispettando le regole basilari della grammatica. Altro che discendenti di Dante, Petrarca e Boccaccio. Gli italiani finiscono dietro la lavagna a causa delle loro sviste in fase di scrittura. Gli errori più grossolani? Scrivere “un pò” (73%), “qual’è” (68%), e l’uso errato del congiuntivo (61%). È quanto emerge da uno studio promosso da Libreriamo.it, su circa 5.000 utenti di blog, forum e community, per capire come scrivono gli italiani oggi.

    In cima alla classifica degli errori più frequenti degli italiani, ovviamente, troviamo l’apostrofo, vero tallone d’Achille per oltre 7 italiani su 10 (73%). Quando si mette? Semplice, con tutte le parole femminili, quindi: un’amica sì, un amico no. E quindi apostrofo? Si tratta di elisione: non si può dire lo apostrofo, diventa quindi l’apostrofo. Al secondo posto (68%) troviamo un altro degli errori più comuni commessi dagli italiani: “Qual è” scritto in maniera errata. Qui, l’apostrofo ci vuole oppure no? Assolutamente no. Qual è si scrive senza. Sempre sul gradino del podio troviamo l’uso del congiuntivo (61%), il vero tallone d’Achille di moltissimi studenti e non. Quanti strafalcioni sentiamo ogni giorno anche, e soprattutto, in televisione? “L’importante è che hai superato l’esame”, seppur molto usata questa è una formula grammaticale scorretta perché in questo caso, bisogna usare il congiuntivo: “L’importante è che tu abbia superato l’esame”.

    Altro dilemma per il 51% degli italiani è: si scrive “Entusiasto o entusiasta?” Anche se ci si riferisce a un soggetto maschile, la forma corretta di quest’aggettivo è entusiasta. Questo vale solo quando si parla al singolare perché invece quando ci si riferisce a più soggetti si distingue nuovamente tra maschile e femminile. Quindi si avrà entusiasti per il maschile e entusiaste per il femminile.

    A proposito di dilemmi, è giusto usare “e” o “ed”? “a” o “ad”? Un vero dubbio che attanaglia, portando all’errore il 47% degli italiani. La soluzione è semplice: l’aggiunta della ‘d’ eufonica deve essere fatta solo nel caso in cui la parola che segue comincia con una vocale. Quindi: vado ad Amburgo; Era felice ed entusiasta. Sulla punteggiatura continua a cadere in errore il 43% degli italiani. Virgole, punti e virgola, due punti, non vanno mai usati a casaccio. Ogni segno di punteggiatura ha la propria regola.

    I pronomi sono un altro grande errore commesso dagli italiani. Il 38% sbaglia nell’utilizzo di “gli e le”. Sembra facile, ma non lo e’. “Gli ho detto che era molto bella”. In questo caso, riferendoci ad una persona di sesso femminile, bisogna usare il pronome “le”: “Le ho detto che era molto bella”.

  73. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: L’italiano lingua “in tilt”, un libro di C. Antonelli
    L’italiano lingua “in tilt”, un libro di Claudio Antonelli

    Segnalazione di una novità editoriale 2014

    Per quali strani meccanismi la mania esterofila linguistica si è spinta al punto da introdurre nella nostra lingua una caterva di parole, parolette, frasette angloamericane, mal capite, mal pronunciate ed oltretutto estranee alla musicalità dell’italiano?

    Può esser vero che il caos della lingua italiana sia una forma di ricchezza. Un caos spiegabilissimo, data la storia, la geografia e altro ancora.

    [*LEGGI LA RECENSIONE ALTRITALIANI:*]

    http://www.altritaliani.net/spip.php?page=article&id_article=2093

    Claudio Antonelli

    L’italiano, lingua « in tilt »

    Parole, voci, gesti, immagini…


    EDARC Edizioni

    ISBN 978-88-97060-28-4

    Pagine: 254

    Prezzo indicativo: Euro 16,00

  74. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Salve,

    avrei una domanda: male è un avverbio. il suo aggettivo è … malvagio o cattivo?

    Grazie

    Marifilla

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: A proposito di « male »
      Esiste un aggettivo italiano MALO, dal latino malus, anche se usato molto raramente e solo in alcune espressioni , pensa a quella gergale usatissima:  » in malo modo pure »; uomo di mala maniera o di male maniere. Poi ci sono le malelingue, il malcostume, il malaffare , le malefatte ormai diventati vocaboli a sé stanti; la malafemmina è …. partenopea (ricordi la bella canzone di Toto’?).

      Maligno vuol dire generatore di male; malefico si dice di qualcosa o qualcuno che fa del male (male è sostantivo stavolta); malvagio qualcuno che è cinicamente cattivo, perverso, perfido.

      Perlomeno così interpreto io i vocaboli di cui sopra.

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Gentile Marifilla

      Male è un avverbio qualificativo che esprime un giudizio fortemente negativo nei riguardi di un comportamento, di una situazione o di un aspetto.
      Si unisce di solito ad un verbo per specificare la qualità di un’azione o di uno stato, es: stava proprio male, gli ha risposto male, ecc.
      Deriva direttamente dal latino, il comparativo è peggio.
      È anche sostantivo maschile ed in questo caso indica il contrario di bene, es: era afflitto da molti mali, mi ha fatto tanto male, ecc.
      Va da sé che i percorsi etimologici e semantici di malvagio e cattivo sono diversi.
      Malvagio ( dal francese antico=malvais, aggettivo dal significato di indifferente o addirittura che prova compiacimento nel fare il male e cattivo (dal latino captivus = prigioniero attraverso la locuzione captivus diaboli cioè prigioniero del diavolo e quindi malvagio per eccellenza- aggettivo- comparativo peggiore e superlativo pessimo, generalmente opposto a buono)
      Spero di esserle stata di aiuto
      Cordialmente
      Ivana Palomba

      • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
        Gentilissa signora Palombo,

        Allora in parole povere
        aggettivi buono-malo
        avverbi bene-male

        Ho compreso bene?

        la ringrazio della sua cortese risposta.

        Marifilla

        • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
          Gentile Marifilla
          Ha compreso bene, buono e malo sono aggettivi qualificativi anche se, nel caso di malo, si tratta di un aggettivo di uso assai raro ed in sua vece si usa cattivo o malvagio. Bene e male possono essere sia avverbi sia sostantivi. Bene, come sostantivo, si usa nel significato di ciò che è buono, es: faccio questo per il tuo bene, bisogna fare il bene e fuggire il male, ecc. Come avverbio significa correttamente, perfettamente, es: erano vestiti proprio bene, sta bene salutare prima le persone anziane, ecc.
          Saluti
          Ivana Palomba

  75. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Lingua e cultura italiana Italicon.it
    Buongiorno,

    vorrei segnalare questo sito di un Consorzio interuniversitario italiano denominato ICoN – Italian Culture on the Net, che promuove la lingua e la cultura italiana nel mondo attraverso corsi in e-learning di lingua italiana, un corso di Laurea in Lingua e cultura italiana per cittadini residenti all’estero e alcuni master universitari post-laurea (didattica della lingua e della letteratura italiana, traduzione specialistica dall’inglese verso l’italiano e tutela e valorizzazione del patrimonio culturale italiano all’estero.

    Ringrazio anticipatamente per l’attenzione e invio
    Cordiali saluti

    Laura De Renzis

    Consorzio ICoN

    Italian Culture on the Net

    http://www.italicon.it

  76. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Perché si studia la lingua italiana
    Buonasera, da noi vengono a studiare, oppure a praticare la lingua italiana, persone di varie estrazioni sociali : studenti, impiegati, dirigenti, disoccupati, professori, medici, artisti … di tutto un po’. E lo fanno per due motivi: i Francesi per passione della cultura italiana, mentre gli oriundi Italiani (ce n’é circa 80 milioni in giro per il mondo), per ritrovare le loro radici. Insomma, si studia l’Italia per passione, più che bisogno economico.
    Giampaolo Presidente Italo Calvino, langue et civilisation italienne Paris Corsi di lingua, conversazione, letteratura, canto e teatro in italiano

    http://www.italocalvino.fr

  77. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: C’est la vie, di Simone Rovellini. Parole francesi di uso comune nella lingua italiana
    Avete mai fatto caso a quante parole francesi usiamo ogni giorno? C’est la vie, il video del regista italiano Simone Rovellini

    Visto al Festival Internazionale del Film di Roma, C’est la vie dell’italiano Simone Rovellini è arrivato in rete mostrandosi con forza in tutta la sua delicatezza. La sfida del cortometraggio è quella di mettere in fila in una trama di senso compiuto molte parole francesi di uso comune nella lingua italiana.

    Quante parole della lingua francese usiamo abitualmente senza rendercene conto? Da C’est la vie, a viveur, da clochard a débacle, l’elenco è davvero lungo.

    Questo delizioso corto ne raccoglie un bel po’ per raccontare una storia che non è solo un gioco linguistico, ma anche un modo per dimostrare come, a volte, “cadere nei cliché serve ad uscire dalla routine”.

    C’est la vie racconta la giornata tipo di Henriette, ragazza comune se non fosse per quel suo immancabile bon ton che si porta sempre dietro, da quando le suona la sveglia a quando va nuovamente a dormire.

    Lo stile richiama molto la storia di Amélie, probabilmente perché ambientazione e atmosfera sono intrise di Francia, ma anche per quell’ironia sottile e leggera che caratterizza l’intero corto.

    C’est la vie è opera del video maker italiano, Simone Rovellini, non ancora trentenne che, come da lui dichiarato, “da grande avrebbe voluto impagliare animali, ma quando ha scoperto che prima bisognava ucciderli ha deciso di fare il regista”. Très chic! (La redazione di Tafter.it)

    [**Clicca qui per visionare il video:*]

    http://vimeo.com/58725896

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: La grandeur
      Fu in un Club Méditerannée che ebbi a sorbirmi per la prima volta la boria e la prosopopea di quel concentrato d’etnocentrismo che sa talvolta essere il francese medio (soprattutto il parigino). Il contatto con la realtà dell’estero fu tanto più deludente quanto più intensa era stata la mia educazione esterofila. Infatti, da buon italiano, avevo imparato ad ammirare le virtù degli altri popoli. La storia ha completamente trasformato le situazioni che furono alla base del prestigio della Francia, ma i francesi continuano a vivere di rendita con le trine e gli “chiffons” del passato.

      Un francese ha ogni interesse a conservare il suo accento, anche dopo cinquant’anni d’America. La sua pronuncia, infatti, evoca come minimo i giardini di Versailles, il Moulin Rouge, le crinoline, il « savoir-faire » e l’ »art de vivre ».

      Un italiano che parli l’inglese con un accento nostrano evocherà, invece, cantieri edili, mercatini rumorosi, funerali mafiosi, pizze, fiaschi di chianti, cuochi baffuti, grasse matrone sudate. Hollywood docet.

      Non è un caso se il vocabolario francese usato dagli inglesi è quasi tutto “aristocratico”. La parola “accouchement” in inglese è riservata solo alle nascite regali e principesche. Nell’amore tutto quanto è francese parla di “charme”, oppure è peccaminoso. Nel campo culinario, ciò che è “flambé”, “glacé”, o “rosé” è il non plus ultra della squisitezza.

      In realtà la cucina francese, troppo elaborata e ricca di colesterolo, può essere gustata solo nei migliori ristoranti, mentre la cucina italiana, trionfo della semplicità, noi l’assaporiamo, con disinvoltura, ogni giorno a casa. Eppure nelle bocche vellutate dei nostri cugini d’oltralpe – ramo nobile beninteso – i maccheroni si sono trasformati in “macaroni”, diventando un insulto contro di noi.

      • Le parole francesi usate dagli inglesi
        Continuo con la mia breve analisi dei vocaboli francesi usati dagli inglesi.

        Il vocabolario francese, usato dagli inglesi, è quasi tutto aristocratico. Le parole francesi, infatti, hanno una funzione stilistica ben precisa che è di proiettare un’immagine “de noblesse” della Francia su chi parla e sulle cose menzionate.
        Per quanto riguarda colui che parla, è chiaro ch’egli vuol far sapere che appartiene ad un’élite sociale ed intellettuale. Le cose nominate fanno sempre parte di una categoria speciale: la cucina, la moda, l’amore, la danza. Attraverso i vari “soufflé”, “velouté”, “farci”, “Maître d’hôtel”, “gourmet”, si esalta la cucina come arte. Nella moda, il tessuto francese è sempre leggero, vaporoso e fragile, o allora è una seta pesante, ma ricca e sontuosa: “brocatelles”, “moires”, “velours”, “marocain”. La parola “accouchement”, in inglese – come ho già detto nel mio intervento precedente – è riservata soltanto alle nascite regali e principesche.
        Benché il linguaggio internazionale della musica sia d’origine soprattutto italiana, la Francia fornisce all’inglese un contingente notevole di parole in questo campo. Il vocabolario del balletto è poi interamente francese: “ballet”, “pirouette”, “danseur”, “tutu”, “soliste”, etc.
        Nell’amore tutto quanto è francese parla di “charme”, oppure è peccaminoso: “chaperon”, “fille de joie”, “cocotte”, “voyeur”, “ménage à trois”, etc. Nel campo culinario ciò che è “flambé”, “glacé” ou “rosé” è il non plus ultra della squisitezza.
        La Francia evoca ricchezza e prestigio aristocratico. In una conversazione mondana fa molto più chic parlare di camembert che di parmigiano, anche se poi quest’ultimo è la Rolls-Royce, pardon la Ferrari dei formaggi.
        (Per saperne di piu’: “Les mots français et le mythe de la France en anglais contemporain” di Laure Chirol

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: C’est la vie, di Simone Rovellini. Parole francesi di uso comune nella lingua italiana
      Gustosissimo, fatto molto bene. Complimenti al regista, grazie a altritaliani per averlo reso disponibile. Romano.

  78. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: A proposito di difetti
    « A proposito di difetti …

    Questa trasmissione di Rai Parlamento settegiorni di oggi 15 novembre ci voleva proprio per farmi iniziare bene il fine settimana.

    Mentre sul Bel Paese continua a scatenarsi il cielo, RAI UNO sulla terra ha scaricato un diluvio di default. Si parlava e si dibatteva della situazione critica in cui versano molti comuni italiani. In mezz’ora la giornalista deve aver pronunciato quella sublime parola inglese almeno trenta volte. Naturalmente pronunciandola a modo suo (defolt, invece di difolt – da pronunciare con una i molto breve e una o chiusa). Avrei dovuto riderne, ma non ci sono riuscito; anzi, la cosa mi ha messo di malumore.

    Deve aver studiato l’inglese la nostra giornalista, e desidera farlo sapere a tutti. Mi imbatto spesso in questi cronisti che vogliono far sapere all’umanità tutta che hanno studiato inglese.

    In quel contesto economico finanziario ha usato la parola default per esprimere un concetto che nella nostra lingua ha almeno quattro traduzioni possibili, con sfumature di volta in volta diverse: inadempienza, insolvenza, fallimento, dissesto.

    Per non parlare di tanti altri casi in cui può’ significare altro: difetto, defezione; come nel caso della nostra giornalista, che difetta d’italiano« .

    Romano

  79. Il senso e il valore di certi termini…
    lo spirito dei tempi influenza fortemente il senso e il valore di certi termini. Ad esempio, molti sembrano aver dimenticato che il muro di Berlino, che è conosciuto oggi come “Muro della vergogna”, fu invece costruito come un muro di difesa contro il Fascismo. La designazione ufficiale del Muro, fatta dal governo della Germania dell’Est, del resto era: “Barriera di protezione antifascista” (antifaschistischer Schutzwall)
    Sì, muro antifascista, ma non muro « antinazista » perché dopotutto la Repubblica Democratica Tedesca contava molti più ex nazisti tra i suoi quadri di quanti ne riuscisse a contare la Repubblica Federale Tedesca.
    Sarebbe anche opportuno ricordare oggi che chi avesse osato proporre allora la riunificazione della Germania, trovando disumana e assurda la divisione di quel Paese in due, sarebbe stato immediatamente etichettato come « fascista ».
    Oggi tutti esultano commemorando la caduta del Muro divenuto semplicemente “comunista” e « Muro della vergogna ». Esultano in tanti anche in Italia, patria in tempi più gloriosi del più forte partito comunista al di fuori della cortina di ferro, e oggi patria anche di aspiranti rifondatori del comunismo.
    Torno a ripetere: non dobbiamo dimenticare che il Muro, a suo tempo, ebbe una sua nobiltà antifascista, e che tra le due Germanie ad essere considerata ufficialmente democratica e popolare, e quindi oggetto del desiderio dei nostri « progressisti », era la Germania comunista.

  80. Unabomber
    Dai giornali: « Unabomber, caso chiuso. L’ingegnere Elvo Zornitta: ‘Così un poliziotto mi trasformò in un mostro' »
    Il misterioso, inafferrabile criminale – rimasto fino ad oggi ignoto – che in Italia si divertì per anni a collocare pericolosi meccanismi esplosivi nei posti più impensati, al chiaro scopo di uccidere o almeno di storpiare gente innocente, fu chiamato da tutti, autorità comprese, “unabomber”.
    Unabomber, come quel ben più celebre matematico americano folle (Theodore John Kaczynski) che si era fatto beffe della polizia per anni, inviando e collocando dispositivi micidiali in una sua crociata contro il progresso tecnologico. (Unabomber era il nome in codice datogli dal FBI.)
    Ma perché aver chiamato il bombarolo nostrano “Unabomber”? Gli italiani, tifosi fanatici delle celebrità mediatiche e grandi “spettatori-guardoni”, usano le stesse parole che vengono usate dagli americani perché pensano di poter, grazie alla magia del verbo italo-americano, salire anche loro su scena e pavoneggiarsi, sul palcoscenico, mescolandosi ai cosiddetti “grandi” del bene e se necessario anche del male.

  81. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Nello Zingarelli entra il « selfie » e lo « svapare »
    Tra le oltre 144mila voci e 380mila significati dell’edizione 2015 ecco quindi il selfie, l’autoscatto col cellulare, la foto scattata a sé stessi o in gruppo con uno smartphone o una webcam, ormai un rituale più che una moda, che si svolge ovunque. Ci sono passati tutti dalle rockstar che dal palco si immortalano di fronte al pubblico, al presidente Obama e first lady fino ai selfie del premier Renzi. Ma tra le novità linguistiche anche svapare, il produrre la nuvola di fumo delle e-cigarette (le sigarette elettroniche).

    Il dizionario racconta l’Italia della crisi, del Redditest (software che l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei contribuenti perché possano autovalutare, la congruenza del reddito dichiarato con i beni posseduti e i servizi fruiti) e della spesa spalmabile.

    Nuove figure come il collocatario (la persona presso la quale qualcuno è collocato. Nelle separazioni di coniugi con un figlio minorenne, il genitore con il quale il figlio abita prevalentemente). E modi di dire: empatizzare, svirgolata sfoltitura.

    Nuove attività come videoreporter, doula (donna che svolge una funzione di sostegno psicologico e pratico a una puerpera durante la gravidanza, il parto e nei primi mesi di vita del bambino), lo scouting e il wedding planner (l’organizzatore dei matrimoni).

    Ma non mancano anche neologismi sulle nuove paure: la eterofobia (l’avversione, ostilità per tutto ciò che è altro, diverso, alternativo) e la nomofobia (timore ossessivo di non poter disporre del telefono cellulare).

    Lo Zingarelli 2015 contiene inoltre 55 definizioni d’autore:
    da Giorgio Armani a Carlo Verdone, 55 riflessioni, piccole narrazioni, o ricordi personali, su altrettante voci del vocabolario, scritte da personalità della cultura, dello spettacolo e del costume. Punti di vista originali sul significato di una parola. Così alla voce “cantautore” si trova il commento di Francesco Guccini; lo scrittore Claudio Magris racconta la sua “frontiera”; lo psicanalista Massimo Recalcati la parola “figlio”.

    Nello Zingarelli 2015 sono segnalate anche oltre 3mila “parole da salvare”:

    come coriaceo, ingente, onere, perorare il cui uso diviene sempre meno frequente perché si privilegiano sinonimi più comuni ma meno espressivi; 964 sfumature di significato; 44600 locuzioni e frasi idiomatiche.

    Lo Zingarelli 2015 è anche in versione digitale che contiene tra l’altro:

    l’Enciclopedia Zanichelli, aggiornata all’aprile 2014; il dizionario delle lingua italiana Tommaseo Bellini (1865-1879); l’Analizzatore morfologico che fornisce l’analisi grammaticale delle forme coniugate dei verbi e delle forme flesse di sostantivi, aggettivi, pronomi.

  82. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: 300 suggerimenti per difendere la lingua italiana in un nuovo libro

    La nostra bella lingua, in tempo di globalizzazione, gode di numerosi contributi linguistici provenienti da diversi paesi, specie anglo-sassoni. C’è il rischio che il nostro lessico venga invaso da troppi esotismi e si impoverisca. Un utile vademecum di Romano Ferrari (edito da Senso Inverso) per evitare l’uso inopportuno, e spesso l’abuso, di vocaboli e termini stranieri.

    [**LEGGI l’articolo Altritaliani.net per saperne di più:*] http://www.altritaliani.net/spip.php?page=article&id_article=2073

    UN AMORE DI LINGUA –

    300 suggerimenti per difenderla e farla amare di pù

    Un libro di Romano Ferrari

    Senso Inverso Edizioni

    ISBN 9788867931040

    Pag. 335 – € 17,00

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: 300 suggerimenti per difendere la lingua italiana in un nuovo libro
      Gentile Sig. Ferrari

      Condivido con lei l’amore per la nostra lingua che trovo, non mi tacci di partigianeria, la più dolce, la più musicale e la più completa, purtroppo ad oggi così bistrattata da far male al cuore. Orfana del forum « Scioglilingua » del Corriere della Sera, a cui quotidianamente partecipavo con interesse, mi sono avvicinata al forum di altritaliani per ritrovare lo stimolo al dialogo. Aggiungerò senz’altro il suo libro alla mia collezione.

      Cordiali saluti Ivana Palomba

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: 300 suggerimenti per difendere la lingua italiana in un nuovo libro
      La stupidità ed il provincialismo di tantissimi giornalisti, politici e acculturati di varia specie che, quasi si vergognassero della nostra lingua, ricorrono all’americanese per darsi un tono, non sanno, né la sudditanza culturale al mondo anglosassone gli può dare la possibilità di sapere che lo strumento più efficace per cancellare la cultura di un popolo è distruggerne la lingua. Oppure forse lo sanno ma, come collaborazionisti della globalizzazione, direbbe Kundera, ne condividono gli scopi e si adoperano a che si raggiungano. Mi auguro che il libro di Ferrari possa far vergognare, se mai lo legga, quel giornalista che dicendo « saine dai » non conosce neanche il corrente « sine die » alla latina.

  83. Si legge « streaming » ma significa « screaming »
    Il termine “streaming” è usatissimo dagli organi d’informazione italiani.
    Qualche esempio. Corriere della Sera: “Dalla violenza verbale al confronto tecnico – Lo streaming soffice” ; “La nuova puntata del tormentone in streaming”; “Una guerra tra primedonne in diretta streaming”; “Molto piu’ di uno show in streaming”.
    Da una “Repubblica” che ho in mano: “Renzi: ‘Si’ al dialogo ma in streaming' »; “Lo streaming si farà”; “Chi di streaming ferisce di streaming perisce”; “Renzi: lo streaming lo vogliamo noi.”
    Confesso di averci messo un po’, a suo tempo, per capire cosa significasse « streaming », che non è altro che la diretta web, ossia la ripresa di discussioni e dibattiti trasmessa immediatamente in Rete. E questo flusso diretto in Rete, ossia lo « streaming », è divenuto sinonimo, nello Stivalone, di trasparenza democratica. I Grillini rivendicano la loro superiorità democratica grazie appunto allo “streaming”.
    Accanto allo « streaming » sarebbe doveroso dare il risalto che merita a un altro strumento italiano di “democrazia” che gli ininterrotti talk show televisivi portano nei salotti italiani ogni giorno: lo “screaming”. Ossia il gridare tutti insieme, gli uni contro gli altri, in grotteschi dibattiti all’ultimo sangue spacciati per scambi d’idee.

  84. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Salve,

    scrivo dalla Germania, seguo il vostro sito web e mi chiedevo se poteste aiutarmi a risolvere un dubbio su una frase:

    « Ho notato come Marco parli sempre di sport »

    Va bene usare il congiuntivo o bisogna usare l’indicativo? per me con il « come » suona bene il congiuntivo e con il « che » l’indicativo, ma non trovo una regola.

    Per favore potreste darmi delle delucidazioni?

    i ringrazio anticipatamente e spero in una vostra risposta.

    Marifilla

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Marifilla, nel caso che lei cita credo che la forma corretta sia proprio : « ho notato come Marco parli sempre di sport », intentendosi il fatto di parlare sempre di sport. Diverso sarebbe se lei usassi il che: « ho notato che Marco parla sempre di sport ».
      La prima forma dà l’impressione di qualcuno che osserva il fatto quasi con distacco e con rispetto per Marco; la seconda è pienamente affermativa.
      Non è una regola fissa che « come » regga sempre il congiuntivo; infatti si potrebbe dire: « ho notato come Marco parla di sport », ma in questo caso ci si riferirebbe al modo in cui Marco parla e non al fatto che ne parla sempre. Insomma a parte le regole, le sfumature possono cambiare passando dal congiuntivo all’indicativo. Romano.

  85. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Per amore della mia lingua: Lettera aperta a Mr Renzi
    Dear Mr Renzi,

    immagino che ieri sera domenica 28 settembre molti italiani la abbiano seguita in televisione. C’ero anch’io.

    D’accordo o meno con i suoi programmi di governo, molti italiani l’hanno sentita parlare di bellezza dell’Italia e ascoltandola nel suo splendido accento toscano avranno pensato alla bellezza della nostra lingua.

    L’abbiamo anche sentita parlare di importanza della RAI e della necessità che diventi uno strumento di informazione, di cultura e di insegnamento.

    Bravo, complimenti, molti italiani saranno d’accordo con lei.

    Allora chieda gentilmente alla RAI e ai suoi giornalisti di usare l’italiano tutte le volte che si può’ e, per esempio, usino la parola incursione o attacco invece di raid (nei telegiornali serali ieri s’è sentita la parola raid almeno una ventina di volte).

    Anzi, Mr Renzi, cominci lei: provi a pronunciare unioni civili invece di civil partnerships; provi pure a vedere se pacchetto lavoro non suona meglio di jobs act.

    La prego di accettare la presente nota come un suggerimento e non una critica e, confidando che per le proposte del governo relative ai due argomenti appena citati venga usato l’italiano e non l’inglese, le porgo i sentimenti della mia più profonda stima e considerazione.

    Cordialmente

    Romano Ferrari

    BLOG PER AMORE DELLA MIA LINGUA

    http://peramoredilingua.blogspot.fr/?spref=fb

  86. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. L’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo.
    L’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo.

    Corriere della Sera.it

    Articolo di Marco Gasperetti del 16 giugno 2014

    Al primo posto l’inglese, al secondo il francese e al terzo lo spagnolo. Dietro il successo anche la passione per la nostra cucina.

    Il rating è lunghissimo, un elenco di più di seimila nomi, ordinato rigorosamente, come una classifica universale. Sono le lingue più studiate al mondo. Al primo posto, e non è una notizia, c’è l’inglese, al secondo il francese, al terzo lo spagnolo. E, sorpresa, al quarto c’è l’italiano. Sì, proprio l’idioma di Dante, che supera cinese, giapponese, tedesco. Un trionfo, insomma.

    Inaspettato, per i non addetti ai lavori, una conferma per linguisti e cultori dell’italianistica. Che da martedì 17 giugno a Roma (Palazzo San Macuto) si ritrovano per una giornata di studio dedicata alla lingua italiana come strumento di promozione dell’Italia all’estero………….

    Leggi tutto cliccando sul seguente link:

    http://www.corriere.it/scuola/14_giugno_16/dante-pizza-italiano-quarta-lingua-piu-studiata-mondo-4edfb4fe-f57a-11e3-ac9a-521682d84f63.shtml

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. L’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo.
      « L’italiano è la quarta lingua piu’ studiata nel mondo… »

      Oso allora proporre quanto già scrissi in merito al sentimento di ridicolo che lo scimmiottamento della parlata americana suscita in chi, all’estero, ha deciso d’imparare l’italiano perché attratto dalla bellezza e dall’originalità di suoni della nostra cara lingua…

      « Gli Italiani, terrorizzati dal ‘suona male’ e paralizzati all’idea di apparire ridicoli, si rivelano refrattari al ridicolo e ai lazzi che suscitano presso gli altri popoli con il loro voler riprodurre i borborigmi anglo-americani; assai poco aiutati in ciò da bocche mobili e cascanti abituate alle tagliatelle e all’ossobuco, e propense al parlare urlando.

      « Lazzi e ridicolo di cui noi ‘Italiani all’estero’ facciamo purtroppo le spese, soprattutto se insegniamo l’italiano a degli alloglotti desiderosi d’italianità. I quali trovano sommamente ridicola la mentalità da camerieri-imitatori che invece trionfa nella penisola. »

      Da « L’italiano, lingua in tilt » di Claudio Antonelli (Firenze: Edarc, 2015)

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. L’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo.
      Pubblicati gli Atti del seminario « L’italiano come risorsa per il Sistema Italia. Idee e sinergie per il futuro ». Scaricabili in vari formati dal sito http://www.italicon.it, il sito internet di ICoN Italian Culture on the Net, il consorzio universitario che promuove la lingua e la cultura italiana nel mondo attraverso l’e-learning.

      con ICoN si può imparare l’italiano online e si possono frequentare un corso di laurea online in Lingua e cultura italiana riservato a cittadini stranieri e italiani residenti all’estero e alcuni master universitari post laurea: Didattica della Lingua e della Letteratura italiana http://www.masterdidattica.it, Traduzione specialistica inglese>italiano http://www.mastertraduzionespecialistica.it e Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale italiano all’estero http://www.mastertutelabeniculturali.it Le iscrizioni al Master in Didattica della Lingua e della Letteratura italiana sono aperte fino al 15 novembre. Per gli altri Master la scadenza è 21 novembre. Le iscrizioni al corso di Laurea online in Lingua e cultura italiana apriranno a metà novembre e i corsi di italiano online sono acquistabili in ogni momento dell’anno. Per informazioni, consultare http://www.italicon.it
      Spero di avervi fornito indicazioni e informazioni utili!
      Laura De Renzis
      Consorzio ICoN Italian Culture on the Net
      http://www.italicon.it

  87. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. L’italiano come risorsa.
    16 giugno 2014

    L’ITALIANO COME RISORSA

    Un articolo di Mirko Tavoni per Treccani.it

    Chi viaggia oggi per il mondo scopre, a volte con sorpresa, la presenza e la diffusione della lingua italiana. O perlomeno, la diffusione di alcuni suoi brandelli. Attorno al Tempio del Cielo a Pechino ci sono bancarelle che offrono “Gelato italiano”; scritto così, in italiano, in mezzo a una distesa di caratteri cinesi. Ci sono tifoserie di squadre di calcio in Indonesia che si presentano come “Brigata curva sud”. Nel centro di Delhi o in quello di Ulaanbaatar campeggiano scritte piene non solo di “Pizza” ma anche di “Sanremo” e di “Felicità”.

    Diversi studi confermano che non si tratta solo di impressioni registrate dal viaggiatore nostalgico e un po’ provinciale. L’italiano è effettivamente, dopo l’inglese, la lingua straniera più visibile nelle scritte promozionali in tutto il mondo.

    Soprattutto, questa diffusione non si esaurisce nelle insegne pubblicitarie. L’italiano è saldamente una delle lingue straniere più studiate nel mondo: quarta, quinta o sesta che sia, a seconda delle classifiche, è una lingua che pesa molto più di quella di paesi di dimensioni e peso economico ben superiori rispetto a quelli dell’Italia.

    Pochi giorni fa, a Pechino, il primo ministro Renzi ha rilasciato una dichiarazione molto ribattuta dalle agenzie di stampa: “c’è fame di Italia nel mondo”. Non è compito dei linguisti confermare queste affermazioni, ma i linguisti possono sicuramente dire che nel mondo c’è fame di lingua italiana.

    Leggi tutto cliccando su questo link:

    http://www.treccani.it/magazine/piazza_enciclopedia_magazine/cultura/L_italiano_come_risorsa.html?nt=1

  88. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    entro il 13 giugno presenta anche tu la domanda per diventare uno di noi. è valida per i militari in servizio nell’esercito e aperta alle categorie sottufficiali

    Domanda: io sostengo che la « e » prima di « aperta » è verbo. Viceversa, il mio collega sostiene che trattasi di congiunzione poiché unisce. Chi ha ragione?
    Grazie per il tempo dedicatomi

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Gentile Signor Piero,

      in effetti bisognerebbe scrivere: « E’ valida ed è aperta ». Quindi è vero che la seconda “è” sarebbe con l’accento ma occorrerebbe la congiunzione “ed” (per evitare la cacofonia tra e è).

      Quindi è chiaro che scritto come l’avete scritto, quella seconda “è” appare come una congiunzione e non come un verbo. Quindi noi consiglieremmo di scrivere: »…. ed è aperta alle categorie sottufficiali.

      Cordiali saluti

    • Concordanza dei tempi
      Buongiorno, quale delle due frasi È corretta: « Tutti i performer che si Avvicenderanno in questa edizione sono a chilometro zero » o « tutti i performer che si Avvicenderanno in questa edizione saranno a chilometri zero ».
      Grazie

      • Concordanza dei tempi
        Gentile Paulo,

        Se l’edizione è presente, ma ancora deve avvenire la performance, allora « sono ». Se parliamo di un’iniziativa che è futura, allora « saranno ».

        Cordiali saluti

      • Concordanza dei tempi
        Sono entrambe corrette, dipende da quale sfumatura di significato vuoi dare alla frase. Con…
        « [..] sono a chilometro zero » sottointendi che i performer sono già attualmente e saranno in tale condizione, mentre con…
        « […] saranno a chilometro zero » non dai alcuna informazione sullo stato attuale dei performer.
        Però mi raccomando non usare l’espressione performer… non è assolutamente italiano, e neppure accettata, né facilmente compresa.

  89. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Si scrive qual è o qual’è?
    Per quanto mi riguarda ho sempre avuto dei dubbi su questo problemino di grammatica.

    Ecco cosa scrive Maurizio Pistone su questa questione:

    Piaccia o no, la regoletta è semplice e si trova in qualunque testo scolastico. Alcune parole possono perdere un pezzetto alla fine sia davanti a vocale sia davanti a consonante: uno diventa un gatto e un amico. In questo caso abbiamo un troncamento, e non si usa l’apostrofo. Altre possono essere tagliate solo davanti a vocale: una rimane una gatta, ma diventa un’amica. Questa è l’elisione, e ci vuole l’apostrofo.

    Nel caso di qual, espressioni come nel qual caso, in un certo qual modo ci obbligano, secondo quasi tutti gli autori, e secondo l’uso corrente, a concludere che si tratta di troncamento; e quindi: qual è, senza apostrofo.

    Mi ero proposto di non intervenire in simili questioni, cioè in dubbi che possono essere risolti agevolmente consultando una qualunque grammatica elementare della lingua italiana.

    Ma qui faccio eccezione per rendere un omaggio a Luciano Satta, che ha mostrato come, anche su questioni banali e un po’ aride come quella di troncamento/elisione, si possano scrivere cose intelligenti ed interessanti.

    Se sei interessato a saperne di più, clicca sul link perché questo qual è non è del tutto ovvio:

    http://www.mauriziopistone.it/testi/discussioni/gramm01_qual.html

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Si scrive qual è o qual’è?
      -QUAL È CON L’APOSTROFO: UN OBBROBRIO
      Il gusto italiano per il bizantinismo e lo snobismo ha demonizzato l’uso di “qual è” scritto con l’apostrofo: “qual’è” (errore anche di Roberto Saviano), visto come una manifestazione assoluta di ignoranza, di cattivo gusto, di cafoneria.
      L’intervento di due partecipanti al forum “Scioglilingua” del “C. della S.” può dare un’idea dell’emotività che circonda l’uso di “qual’è”: “Possibile che sul sito del più prestigioso quotidiano nazionale si leggano abomini lessicali tipo ‘qual’è’?” Ed anche: “Quando leggo in articoli di giornali, o nelle scritte in sovraimpressione delle trasmissioni televisive o anche in semplice corrispondenza privata, ‘qual’è’, mi sento un brivido lungo la schiena…” Parole di fuoco le loro, anche se poi tanti puristi all’italiana usano con disinvoltura vocaboli come “killer”, “boss”, “flop”, “jackpot”…
      Ebbene, in un momento di umiltà linguistica vi devo confessare che ho scritto anch’io una volta ma una sola volta “qual’è”, proprio così con l’apostrofo. Imperdonabile errore quel mio “qual’è”, “perché si tratta di troncamento (o apocope vocalica) e non di elisione, e le parole troncate non richiedono apostrofo”: è il responso dei grammatici che citano, a loro sostegno, Dante e Manzoni, padri linguistici, e dopo Gucci, Pucci, Valentino, Versace… anche padri estetici e morali di noi Italiani.
      “Qual pronome è parola tronca, dunque non ha bisogno di elisione” ha ricordo’ sobriamente il compianto prof. De Rienzo in risposta ad un ennesimo intervento moralizzatore sull’uso inaccettabile di “qual è” con l’apostrofo.
      Bruno Migliorini arriva ad equiparare l’errore di scrivere “qual’è” a quello di scrivere “un’uomo” con l’apostrofo. Questo però prima dell’avvento dell’orgoglio gay, è doveroso precisare…
      Vi invito ora ad un minuto di raccoglimento per uno sfortunato linguista, persona del tutto degna, che non sapendo che condannava la propria memoria all’obbrobrio delle masse di puristi e pseudo-puristi della Penisola, si pronunciò a suo tempo a favore di qual è con l’apostrofo: fu Franco Fochi, il cui nome, infatti, è stato escluso dalla lista dei grammatici italiani in Wikipedia.
      La lingua italiana “va a ramengo”, insidiata da faciloneria, esterofilia, pressappochismo, politichese, burocratismo, scarsa preoccupazione da parte di chi scrive per la chiarezza del testo? La crociata snobistica contro “qual’è con l’apostrofo” da parte dei patiti dell’“apocope vocalica” continua.

      Claudio Antonelli

      (da « L’italiano, lingua in tilt – Parole, voci, gesti, immagini… » (Edarc, 2014) di Claudio Antonelli)

  90. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. Sugli avverbi di tempo stanotte e stamani / stamane.

    Abbiamo ricevuto diverse richieste riguardo all’uso corretto dell’avverbio stanotte in riferimento alla notte appena trascorsa o a quella che deve arrivare. In realtà come testimoniato dalla lessicografia la forma può riferirsi a tre momenti diversi, ovvero, alla notte in corso, a quella immediatamente passata, o a quella che sta per venire. Effettivamente l’avverbio è tuttora « trasparente », cioè facilmente analizzabile nel suo valore di ‘questa notte’ e quindi concordemente con il significato dell’aggettivo dimostrativo questo, si riferisce alla notte ‘più vicina nel tempo al momento in cui agisce il parlante’.

    Altre lingue come l’inglese o lo spagnolo distinguono la notte appena trascorsa (last night, anoche) da quella che è in corso o sta per venire (tonight, esta noche), il tedesco ha un sistema tripartito ed usa il dimostrativo per la notte in corso diese Nacht, kommende Nacht per quella ventura e letzte Nacht per quella appena trascorsa, a cui però si affianca l’unica forma heute Nacht, che vale come in italiano per tutte e tre i riferimenti temporali.

    In realtà anche la nostra lingua ha ampie possibilità di distinzione avendo a disposizione la scorsa notte, o la notte scorsa, la notte passata, e la notte ventura, o prossima; è vero però che non esiste una forma che si sia fissata nell’uso per l’uno o l’altro senso. D’altra parte il nostro sistema verbale con l’uso del passato prossimo, del presente e del futuro risolve all’interno del contesto l’eventuale ambiguità ingenerata dall’avverbio.

    LEGGI L’ARTICOLO DELL’ACCADEMIA DELLA CRUSCA

    http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/avverbi-tempo-stanotte-stamani-stamane

  91. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Lingue e mentalità

    V. Vannuccini e F. Predazzi consacrano « Piccolo viaggio nell’anima tedesca » (Milano: Feltrinelli, 2012), volumetto di 139 pagine, ad una serie di frasi tipiche della lingua tedesca. L’intento, pienamente riuscito, è di farci meglio capire il carattere di quel popolo. Gli autori ci ricordano, attraverso le parole di Wilhelm von Humboldt, che « L’uomo vede le cose sostanzialmente, anzi direi esclusivamente, nel modo in cui la lingua gliele propone ».

    Grazie a questo lessico e ai sapienti commenti degli autori, il lettore italiano riesce, volendo, a rendersi conto anche delle lacune della nostra lingua. Non solo, ma a queste frasi tedesche rivelatrici di una mentalità particolare viene poi istintivo contrapporre la mentalità italiana, spesso assai diversa.

    Il tedesco è una straordinaria lingua, piena di sottigliezze e con un' »infinita capacità di astrazione » superando « qualsiasi altra in fatto di concetti ». Lingua – è doveroso precisare – che sfortunatamente io non conosco. Quindi mi limiterò, anche a causa del ridotto spazio concessomi, a fare un paio di riflessioni molto rapide su queste differenze di vocabolario e di mentalità.

    Il peggiorativo « Insozzatore del nido » (« Nestbeschumutzer ») identifica un individuo che insozza il suo « nido »: la famiglia, la chiesa, la patria. Inutile dire che la fedeltà dei tedeschi alla patria mette ancora più in risalto l’esterofilia, il trasformismo, l’opportunismo dilaganti invece nello Stivale.

    La visione del mondo (« Weltanschauung »), il pensatore laterale (« Querdenker »), l’unione per interesse (« Zweckgeneinschaft »), il riposo della sera (« Feierabend »), lo spirito dei tempi (« Zeitgeist »), il camminare quando l’altro cammina (« Mitläufer ») ed altre espressioni tipiche di questa ricca lingua, esprimenti una maniera « nazionale » d’interpretare la realtà. Anche il rapporto « intimista » con la natura è rivelato da termini ed espressioni tipiche, ad esempio « Wanderweg » (« Il sentiero per gite a piedi »).

    « L’amicizia tra uomini » ossia la « Männerfreundschaft » è un’amicizia virile « fatta di poche parole e di stima reciproca, d’intesa sui valori di fondo ». Gli autori precisano che « può esistere a tutti i livelli sociali, ma solo tra pari. » In questo rapporto di amicizia virile un elemento da menzionare è il frequente silenzio: i due « solitamente tacciono ». Inoltre « essenziale è che il loro atteggiamento comunichi la considerazione, il rispetto che i due nutrono l’uno per l’altro. » Ebbene, gli italiani hanno un senso dell’amicizia duraturo e profondo, ma non fatto certamente dei silenzi tipici di questa solidarietà cameratesca, « alla tedesca ». Anzi l’italiano parla, parla, parla… scherza e prende in giro l’amico.

    La ricchezza della lingua tedesca affascina. Un esempio tra i tanti: « Il tedesco batte il record delle parole che indicano atteggiamenti di puntigliosa superiorità ». Vi è persino un termine specifico per designare il « bambino saputello che fa la morale ai grandi » (« altklug »). Caratteristica, quest’ultima – aggiungo io – di tutti i bambini che sono creati da Hollywood e finiscono sullo schermo. Se non altro saprò adesso come chiamare – anche se la mia pronuncia sarà sballata – il bambino-saputello, saggio e puntiglioso come un vecchietto, che dà lezioni di morale e di vita agli adulti, e che a me ogni volta dà tanto sui nervi…

  92. Concezione dell’età
    Salve a tutti!(premetto che non sono madrelingua italiana, quindi mi scuso per eventi errori)
    La parola « età » in italiano viene intesa in senso cronologico cioè come « gli anni di vita, il periodo di tempo trascorso dalla nascita »
    La mia domanda è se esiste qualche costruzione linguistica (mi va bene anche in dialetto)ove l’età viene concepita rispetto all’evento della morte.
    Grazie

  93. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Italyamonews
    Ciao a tutti,
    vi segnalo questo blog-journal per studenti d’italiano L2

    italyamonews.com

    Ci troverete articoli dall’Italia e sull’Italia corredati da una parte di vocabolario e un punto di grammatica.

    Spero lo troviate utile !

  94. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana Traduzione
    Cari amici, scusate. Potreste aiutarmi di capire che cosa significa « strappate alla macchia »?

    Grazie.

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana Traduzione
      Essere alla macchia fu un termine utilizzato a partire dall’ottocento a proposito dei briganti che, ricercati dalle forze dell’ordine, si nascondeva nella macchia mediterranea nel sud Italia. La macchia mediterranea è quel tipo di vegetazione diffusissima nei territori meridionali come la Lucania, Calabria, parte della Campania e del Molise, territori (non solo quelli) all’epoca con forte prenza di briganti. Essere strappati alla macchia voleva dire quindi, essere catturati, aver concluso la propria latitanza.

  95. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Il plurale dei nomi in “-io”
    Molto spesso siamo assaliti da dubbi amletici quando dobbiamo formare il plurale dei sostantivi che finiscono in “-io”: lenocini o lenocinii? Oli o olii? Insomma, prendono o no la doppia “i”? La questione non è semplice in quanto occorre rifarsi all’etimologia e non sempre si è in grado di farlo. Si può, tuttavia, fissare una regola generale. I nomi in “-io” con la “i” tonica, vale a dire i sostantivi sulla cui “i”, nella pronuncia, si “posa” l’accento, prendono regolarmente la doppia “i” (ii): zio, zii; leggio, leggii; oblio, oblii; tramestio, tramestii.

    I nomi, invece, che hanno la “i” atona (sulla quale non cade l’accento tonico) nella forma plurale prendono una sola “i”, perdono, cioè la “i” del tema: olio, oli; bacio, baci; odio, odi; vizio, vizi. Vi sono dei casi, però, in cui una o due “i” possono creare degli equivoci; è bene, quindi, mettere l’accento circonflesso (^) sulla “i”: principî (per non confonderlo con il plurale di “principe”); direttorî (per non confonderlo con il plurale di “direttore”); templî (per non confonderlo con il plurale di “tempo”).

    Non tutti i vocabolari, però, concordano su queste “regole”; consigliamo di seguire i… consigli del Dop (Dizionario di Ortografia e di Pronunzia della Rai) cliccando su questo collegamento:
    http://www.dizionario.rai.it/ricerca.aspx

  96. Parole, parole, parole… quelle del Festival di San Remo di quest’anno

    Lorenzo Coveri è professore ordinario di « Linguistica italiana » presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’ Università degli Studi di Genova.

    Grazie al suo contributo scopriremo quali sono i testi migliori (e i peggiori!) di questa edizione del Festival.

    Ascolta l’intervista su Babboleo.it

    http://www.babboleo.it/radio-babboleo/musica-eventi/163588-paroleparoleparolequelle-del-festival

  97. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: I dubbi sull’articolo indeterminativo
    I dubbi sull’articolo ‪#‎indeterminativo‬ non sono rari. L’incertezza maggiore riguarda i casi in cui va usata la forma apostrofata. Tuttavia, una volta memorizzate alcune semplici regole grammaticali che ne disciplinano l’uso, il sistema degli articoli indeterminativi non presenterà più problemi.

    La parola alla ‪#‎Crusca‬!

    http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/larticolo-indeterminativo

  98. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Buongiorno,
    Sarei interessata a partecipare al Forum. Quando si svolge? Mi potreste mandare qualche dettaglio? Grazie

    Cordialmente

    Ileana Bertelli

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Gentile Ileana,
      La ringraziamo del suo messaggio e del suo interesse per il nostro forum sulla lingua italiana.

      Questo forum è purtroppo virtuale.

      In esso vengono riportati iniziative, articoli e quesiti che riguardono la nostra lingua e la sua evoluzione.

      Se vuole intervenire, arricchirlo, sarà benvenuta. Basta cliccare su « rispondere all’articolo » e scrivere un post che dopo moderazione pubblicheremo.

      E’ uno spazio molto seguito e apprezzato dai nostri lettori.

      Cordiali saluti

      La redazione di Altritaliani.net

  99. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. Il tema del mese dell’Accademia della Crusca.
    Buongiorno,

    Grazie per questo forum!

    Segnalo a tutti una pagina interessante nel sito dell’Accademia della Crusca. Si chiama « Il tema del mese ». Ecco alcuni esempi di temi in archivio a cui potete accedere cliccando su questo link:

    http://www.accademiadellacrusca.it/it/tema-del-mese/archivio

     La lingua italiana e l’economia

    Alfredo Gigliobianco propone una riflessione intorno al linguaggio specialistico dell’economia e della finanza: siamo in grado di comprenderlo e di padroneggiarne l’uso? I vocabolari sono strumenti adeguati a catturarne la ricchezza semantica?

     L’italiano della politica

    Come è cambiato l’italiano della politica negli ultimi anni? Vittorio Coletti apre una discussione sulle caratteristiche della lingua del potere e sul suo rapporto con la lingua quotidiana.

     La Chiesa e la lingua: cambiano i papi, ma l’italiano resta

    Sulla scia della polemica sollevata dalla battuta del comico tedesco Harald Franz Schmitd, Claudio Marazzini propone una riflessione sul ruolo della Chiesa nella diffusione dell’italiano nel mondo.

     Infermiera sì, ingegnera no?

    Perché l’uso delle forme femminili per i titoli professionali e per i ruoli istituzionali riferiti alle donne incontra ancora tanta resistenza? Forse soltanto per ragioni…culturali? Ne parliamo con Cecilia Robustelli.

     Lingua inglese all’Università?

    Nicoletta Maraschio propone una riflessione sull’uso dell’inglese come lingua esclusiva dell’insegnamento universitario in Italia.

  100. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Le Olimpiadi di italiano
    La quarta edizione delle Olimpiadi:

    Anche quest’anno la finale nazionale delle Olimpiadi di Italiano si svolgerà a Firenze insieme alle Giornate della lingua italiana, nei giorni 11 e 12 aprile 2014. Ai finalisti delle Olimpiadi saranno offerti eventi culturali finalizzati a celebrare anniversari letterari significativi e ad approfondire interessanti temi di attualità relativi all’evoluzione dell’italiano.

    Le Olimpiadi di Italiano si propongono di:

     incentivare e approfondire lo studio della lingua italiana, elemento essenziale della formazione culturale di ogni studente e base indispensabile per l’acquisizione e la crescita di tutte le conoscenze e le competenze;

     sollecitare in tutti gli studenti l’interesse e la motivazione a migliorare la padronanza della lingua italiana;

     promuovere e valorizzare il merito, tra gli studenti, nell’ambito delle competenze linguistiche in Italiano.

    COME PARTECIPARE? PER SAPERNE DI PIU’:

    http://www.olimpiadi-italiano.it/

  101. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. Il dialetto napoletano diventa patrimonio dell’Unesco.
    Il dialetto napoletano diventa patrimonio dell’Unesco. E’ la seconda lingua d’Italia.

    Il napoletano non è « un dialetto bensì una lingua ». A dirlo è l’UNESCO, il napoletano è secondo, nella nostra penisola, soltanto alla lingua ufficiale, l’italiano, per diffusione sull’intero territorio nazionale ; è infatti un idioma parlato in tutto il sud Italia continentale, nonché in Abruzzo, Molise, Lazio.

    Esportato in tutto il mondo grazie alla canzone classica napoletana, è anche una delle primissime lingue romanze le cui tracce scritte risalgono al X secolo, ancor prima della nascita del Regno di Napoli.

    La storia di questa lingua è anche la storia trimillenaria di una cultura ricchissima che non ha mai avuto « tempi morti ».

  102. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: La Rai propone un canale in lingua inglese

    Il progetto della Rai d’istituire un canale in lingua inglese è accolto favorevolmente da chi ritiene che, portando quest’importante lingua in tutte la case italiane, la si renderà familiare un po’ a tutti nella penisola tanto da permettere agli italiani di capire cosa voglia dire Matteo Renzi quando propone loro un « jobs Act » (che non è certamente un « blow job »…). In linea di massima sì, sono anch’io d’accordo con questa lodevole intenzione, visto che oggi – come tutti noi possiamo constatare – è difficile vedere o ascoltare programmi in inglese sia in TV sia in rete.

    Sulla via che conduce a questo auspicabile apprendimento di massa alla nordcoreana, vi è tuttavia un ostacolo ingombrante di cui pochi sembrano essersi resi conto. Questo ostacolo è l’anglo-italiano che già trionfa nelle strozze di tanti. Occorrerà in sostanza, anzi « in substance », far disimparare agli italiani quel coacervo di parolette inglesi che già infarciscono la lingua italiana e che hanno quasi sempre un significato distorto rispetto all’uso originale. Per non parlare della pronuncia pseudoinglese che questi « prestiti di lusso » di tipo un po’ « angiporto » hanno nelle roteanti bocche degli italiani adusi a pronunciare, tra l’altro, con una prolungata « eee » all’amatriciana ogni « a » contenuta nei vocaboli inglesi. E tutto ciò non sarà facile.

    I più diligenti e seri capiranno che dovranno prima di ogni altra cosa sottoporsi ad una laboriosa e fastidiosa ginnastica boccale e mentale di tipo rieducativo. Dovranno insomma dimenticare l’inglese che già si usa nella penisola e che sta espropriando una parte sempre più ampia del vocabolario italiano. Gli italiani dovranno insomma rivedere criticamente sia il significato sia la pronuncia della loro sgangherata base inglese di partenza con i tanti « in tilt », « box », « killer », « pressing », « trolley », « assist », « welfare », « boss », « bipartisan », « happy hour », « vintage », « jobs act » e via enumerando.

    Altrimenti, invece di riuscire ad attingere al sognato « jackpot » anglo-americano, rischiano un « flop » linguistico su tutta la linea. Un flop degno dell’istituzione di un realistico « macaroni-day » nazionale.

  103. punteggiatura con alias, cioè
    Salve,
    scrivendo il titolo di un testo mi è venuto un dubbio sulla corretta punteggiatura da usare quando si utilizza l’espressione « alias » (cioè), sono indecisa tra:

     abcd alias efg

     abcd, alias efg

     « abcd » alias « efg »

     « abcd », alias « efg »
    (abcd ed efg sono due frasi, non due parole singole)

  104. Domanda per il Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    scusate. scrivo dalla Germania. studio italiano e vorrei sapere se la seguente frase è corretta: « Cinquantamila lire da cambiare non ce l’ho ». io avrei detto non ce li ho, riferendomi alle lire ma forse si riferisce a banconota.

    Grazie

    Marifilla

    • Domanda per il Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Gentile Signora Russotto,
      è proprio cosi. In effetti, si puo’ dire in tutti e due i modi a seconda se ci riferiamo alla banconota o ai soldi in questo caso lire, in genere.

    • Domanda per il Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Ciao,
      Io avrei detto « …. non ce le ho » dato che è il femminile plurale.
      vabbe, non sono italiano e posso sbagliare…
      Gianmaria

  105. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Presentazione del volume La Crusca risponde. Dalla carta al web (1995-2005)
    La Crusca risponde. Dalla carta al web (1995-2005)

    A cura di Marco Biffi e Raffaella Setti. Prefazione di Nicoletta Maraschio

    «La Crusca risponde. Dalla Carta al web» segue, a quasi venti anni di distanza, «La Crusca risponde» (1995) e contiene le risposte a circa duecento nuovi quesiti sul lessico e sulla grammatica dell’italiano. La Consulenza Linguistica della Crusca, nell’arco di un decennio, ha risposto, sia attraverso il semestrale «La Crusca per voi», sia attraverso il sito
    http://www.accademiadellacrusca.it a oltre seimila domande.

    Il dialogo con scuole e «amatori della lingua», inaugurato da Giovanni Nencioni nel 1990 con la fondazione della rivista, è proseguito sotto la direzione di Francesco Sabatini e si è ampliato, grazie alla rete, in modo straordinario aprendosi a un pubblico vasto ed eterogeneo, anche non italiano. Le domande di lettori curiosi e sempre più appassionati individuano un importante repertorio dei fenomeni che caratterizzano il movimento dell’italiano contemporaneo, tra continuità e trasformazione. Le risposte, documentatissime, sono opera sia di accademici e linguisti (tra i quali si ricordano Nicoletta Maraschio, Bice Mortara Garavelli, Giovanni Nencioni, Sergio Raffaelli, Francesco Sabatini, Luca Serianni, Salvatore Claudio Sgroi, Serge Vanvolsem), sia del gruppo di giovani ricercatori impegnati quotidianamente in questa delicata e importante attività dell’Accademia della Crusca. A due di loro, Raffaella Setti e Marco Biffi, si deve la cura del presente volume.

  106. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: I nuovi errore da non fare
    Pillole di italiano: i nuovi errori da non fare

    Dalla carta al web 1995-2005: ecco il libro dell’Accademia della Crusca che risponde alle domande di specialisti e non, rispolverando vecchie regole e rinfrescando la lingua con neologismi

    La lingua italiana è un labirinto più intricato di quello di Creta. E come Arianna tendeva a Teseo il filo per non smarrire la strada, così a noi l’Accademia della Crusca dispensa consigli, pareri, e regole da non trascurare. E sebbene formata da specialisti che tentano di preservare la purezza della lingua dal 1583, come segnala il portale
    http://www.Skuola.net
    questa volta la Crusca ci spiazza con regole e termini altamente innovativi che metteranno alla prova persino i prof di italiano. I quattro secoli di vita dell’Accademia insegnano che la conservazione di un idioma non significa necessariamente “fossilizzarlo” come ha rivelato il presidente della stessa, Nicoletta Maraschio.

    IL MINISTRO DONNA – Quando vi capiterà di leggere su un quotidiano “la ministra dell’Istruzione, la ministra della giustizia”, sappiate che la penna che ha scritto quelle parole non è tanto aggiornata. Infatti la Crusca ha ufficialmente indicato come espressione corretta “il ministro” che sia riferito a donna o uomo. In questo discorso prevale la tendenza alla conservazione: infatti, come nell’antichità, l’uso del genere maschile esteso al femminile vale quando ci si riferisce a proprietà condivise da tutto il genere umano. Aboliti gli incroci tra articolo femminile e sostantivo coniugato al maschile tipo “la ministro”, “la presidente”.

    LO ZUCCHERO E IL ZUCCHERO – Cari studenti, la notizia choc è che accanto al normale e corretto modo di dire “lo zucchero”, si può utilizzare anche “il zucchero”. Stesso vale per i termini inizianti per “z”, come “lo/il zaino”. Sappiate che se la prof vi corregge questo insolito modo di scrivere potete appellarvi alla regola riconosciuta dalla Crusca e consigliare all’insegnante di rinfrescare la sua grammatica. Anche la regola di evitare tassativamente di iniziare un periodo o una frase con il gerundio è stata bocciata dalla secolare Accademia. Quindi via a “camminando, sono arrivato”, “leggendo, ho memorizzato” ecc.

    SCRIVERE COME GLI APOSTOLI E DANTE – L’Accademia della Crusca ha inoltre sfatato alcune abitudini linguistiche e stilistiche diffuse tra giornalisti come quella di incominciare i titoli con la congiunzione “e”, senza che la frase sia effettivamente preceduta da un antefatto. Una prassi ereditata direttamente dagli Apostoli che tuttavia qualche ragione per utilizzare così frequentemente quella congiunzione ce l’avevano. Infatti, come
    spiega Francesco Sabatini uno degli autori del libro, i Vangeli rappresentano non altro che “collane di episodi della vita di Gesù”, e prevedono pertanto uno svolgimento senza soluzione di continuità. Mentre ad un tal signore che pretendeva di sostituire l’espressione “tutti e quindici” con “tutti i quindici”, l’esperto risponde che si tratta di un cavillo inutile e insensato, essendo la prima utilizzata da uno dei padri della lingua italiana come Dante.

    Infine tra i verdetti dell’Accademia, l’approvazione a certi neologismi o termini dialettali quale “inciucio”, o “grande Mela” come epiteto per New York.

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: I nuovi errori da non fare
      C’è una svista nel titolo del post precedente:

      « I nuovi errore da non fare », ovviamente la scritta corretta è:

      I nuovi errori da non fare!

      Le redazione di Altritaliani

    • Ministro e ministra…
      Per giustificare la reticenza ad accettare i « femminili professionali », alcuni sostengono che i sostantivi in questione sono « neutri » e che quindi sono da usare per entrambi i sessi. E in realtà in alcuni casi questi termini sono impersonali, quindi se vogliamo « neutri ». Ma non in tutti i casi. Il linguista Aldo Gabrielli: « Si intende, e sia ben chiaro, che il maschile resta maschile quando si voglia impersonalmente indicare la carica, il titolo in sé: ‘La signora tale è stata nominata sindaco di S…’ 
Scrivere ‘maestra’ e ‘infermiera’, quando si tratta di donne, è una questione di chiarezza, risolta ormai da tempo con l’adozione del femminile per queste due professioni. Il trovare invece scritto in un articolo ‘il marito del sindaco’ lascia confusi sul sesso del sindaco. »[Questo prima, però del matrimonio gay…]

  107. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Salve a tutti. Sono un cantante lirico. Nell libretto di Nozze di Figaro di Mozart e il testo: Quanto duolmi, Susanna,
    che questo giovinotto abbia del Conte le stravaganze udite! La parola « udite » sta anche nell autografo e recenti partiture. Pero ho visto le partiture con « udito » E un modo di dire vecchio? Quale e giusto? Grazie per la risposta. Giuseppe

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Gentile signore,
      In effetti nell’italiani antico come quello di Lorenzo Da Ponte, librettista delle Nozze di Figaro, era previsto che in taluni casi il participio del verbo riferito al nome potesse concordare anche in presenza dell’ausiliare avere. « Le stravaganze udite » dove udite assume una funzione aggettivale delle stravaganze. In realtà, anche se va perdendosi l’abitudine, ancora oggi in forma relativa il participio passato puo’ essere aggettivale quando è riferito al soggetto. Es. Le canzoni che io ho udite sono belle. Probabilmente, nel corso degli anni, nella riscrittura dei libretti udite è stato trasformato nel più usuale udito.

  108. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Imparare l’italiano attraverso le canzoni
    Imparare l’italiano attraverso le canzoni

    SE SEI UN DOCENTE D’ITALIANO L2

    SE STAI IMPARANDO L’ITALIANO

    Questo sito web è il risultato di tre progetti Europei Grundtvig Learning Partnership progettati e coordinati dalla FENICE: “Languages and Integration through Singing ».
    L’obiettivo di questo sito, prodotto da un gruppo di docenti di vari paesi nell’ambito di due progetti di partenariato Europeo è quello di diffondere un metodo didattico per l’insegnamento/apprendimento di una lingua straniera basato sull’uso di video, karaoke e canzoni.
    I materiali prodotti possono essere utilizzati dai docenti delle lingue Italiano, Romeno, Russo, Francese, e Spagnolo e Portoghese come lingua straniera interessati all’uso di detto metodo, dagli allievi che desiderano fare una ulteriore pratica a casa e, infine. da coloro che autonomamente studiano una di dette lingue.
    Le competenze linguistiche richieste come prerequisito sono a livello almeno A1 del Quadro Comune di Riferimento Europeo (QCER). I livelli linguistici sui quali il progetto si concentra sono compresi tra A2 e B1/B2.
    I materiali didattici per l’apprendimento della lingua italiana sono stati sperimentati in dodici istituzioni di 4 paesi su un totale di 469 allievi di diverse età ed i questionari di valutazione compilati dagli sperimentatori ne hanno attestato la qualità e l’efficacia didattica. Nella pagina “Karaoke ed esercizi” sono stati inseriti per ciascuna canzone il testo, un video, un karaoke, un foglio di lavoro ed, infine, un foglio risposte finalizzato ad una auto-valutazione da parte degli allievi.
    Il foglio di lavoro oltre gli esercizi di apprendimento della lingua, contiene informazioni relative alla storia, cultura e costumi del paese di cui si studia la lingua, temi musicali, glossari, contenuti grammaticali, ed esercizi orali con uso del karaoke.

    Imparare l’italiano attraverso le canzoni

  109. Dal tu al te. La degenerazione della Lingua Italiana parlata.
    Sono sempre più stupefatto che sempre più Italiani usino il te complemento al posto del tu soggetto.
    Qualcuno sa darmi una spiegazione?

    • Dal tu al te. La degenerazione della Lingua Italiana parlata.
      Effettivamente, risulta un po’ strano sotto il profilo grammaticale questo « te » che sostituisce il soggetto « tu ». Specie considerando che dal dopoguerra la lingua italiana (ma un po’ tutte le lingue occidentali) ha sempre più manifestato attenzione verso il soggetto e la sua emotività. Al punto che spesso il soggetto è diventato prevalente nella costruzione delle frasi e nell’uso dei verbi. Esempio: « Domani vado a Roma » piuttosto che il più formale e corretto: « Domani andro’ a Roma ». Come in altri casi il te invece del tu ha un origine fonetico regionale. Spesso sostituendo il « ti »: « Ti stai fermo! » in romanesco: « Te stai fermo! » Oppure: « E tu come stai? » con il romanesco: « E te come stai? » E’ bene ricordare che dal dopo-guerra la lingua italiana ha subito prevalentemente le cadenze e il lessico di due città; Milano e Roma per evidenti motivi politici ed economici che hanno sempre influenza sullo sviluppo linguistico di una società.

    • Traduzioni: FOOTBALL e CALCIO
      Volendo essere solo un po’ cattivi potremmo dire che il traduttore italiano (fatte salve le solite eccezioni) compie un’attività che va contro la sua intima natura di « protagonista-esibizionista ». Tradurre vuol dire rimanere in ombra, adattarsi, farsi strumento altrui, seguire un metodo rigoroso di ricerca e verifica dando prova anche di autodisciplina e modestia. Il che per molti Italiani non è facile. Di qui gli strafalcioni.

      A proposito di traduzioni approssimative vi propongo questa perla di una grande protagonista della traduzione: Fernanda Pivano, da non molto scomparsa, da tutti acclamata in virtù anche delle sue previdenti scelte politiche, elemento di certo non trascurabile dato il pesante condizionamento politico in vigore nel mondo italiano della cultura.

      Nella sua traduzione del romanzo « The Great Gatsby » di F. Scott Fitzgerald, un personaggio, rappresentato dall’autore come un noto campione di football celebrato dalle folle americane, diventa nella traduzione italiana un giocatore di « calcio » (ossia di « soccer », sport allora pochissimo diffuso in America). Scott Fitzgerald: « Her husband, among various physical accomplishments, had been one of the most powerful ends that ever played football at New Haven-a national figure in a way ». »

      Ed ecco la traduzione della Pivano: « Il marito di Daisy, tra le varie doti fisiche, aveva quella di essere una delle ali più potenti che mai avessero giocato al calcio a New Haven; era, per così dire, una figura nazionale ». Ed ancora: « … but I felt that Tom would drift on forever seeking, a little wistfully, for the dramatic turbulence of some irrecoverable football game. » Pivano: « … ma sapevo che Tom sarebbe rimasto eternamente in moto, alla nostalgica ricerca di qualche squadra di calcio, drammaticamente compromessa nel campionato e di cui potesse rialzare le sorti. »

      E a proposito dell’ultima frase di Scott Fitzgerald, il traduttore italo-canadese Ercole Guidi ci propone più appropriatamente: « … ma sentivo che Tom avrebbe vagato per sempre inseguendo, un po’ nostalgicamente, il trambusto eccitante di una partita di football che non sarebbe più stata. »

  110. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Il gesticolare degli Italiani, un linguaggio nazionale in più.

    Gli stranieri notano subito il nostro modo di gesticolare mentre parliamo, anche se noi non ce ne accorgiamo nemmeno. Il “New York Times” ha recentemente dedicato un intero servizio interattivo alla nostra abitudine di muovere le mani mentre parliamo. Attraverso un grafico animato l’articolo passa in rassegna tutti i significati dei nostri gesti. Le riflessioni di un’Altritaliano emigrato a Montréal (Canada) sull’argomento e il link all’articolo del noto giornale statunitense.

    Emigrando, la percezione che noi italiani abbiamo della nostra maniera di vivere e di sentire “collettiva” acquista per la prima volta un forte rilievo. Prendiamo il gesticolare ed il parlare a voce alta, che in Italia sono gli atteggiamenti un po’ di tutti. Ma pochi abitanti della Penisola si rendono conto di questa loro particolarità, perché essa costituisce la maniera normale, diffusa, “nazionale” di fare.

    LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO

    http://www.altritaliani.net/spip.php?page=article&id_article=1563

    • Una video divertente e utile sur « l’articolo determinativo » in italiano
      Post pubblicato il 11 giugno 2013

      L’apostrofo o l’ apostrofo? Salve,sono Vito Luongo. Dopo anni di lettura durante il lungo percorso scolastico (diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli), non mi so mai chiesto nè ho domandato mai a un professore perché l’apostrofo non lascia lo spazio alla parola che segue, es. l’amore e non l’ amore?

      In base a quale criterio è stato scelto il primo e non il secondo esempio? Scrivere scegliendo il secondo esempio è un errore o una possibilità? Grazie, saluti.

      Vito

  111. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Ciao, sono Chiara un’insegnante di italiano L2 con la passione per le storie che racconto in un blog che si chiama

    http://www.italianopiccolipassi.wordpress.com.

    Le storie pubblicate sul Blog “Piccoli Passi” nascono dalla vita e dalle esperienze di tutti i giorni. Trattano temi attuali, attraverso risorse 2.0 messe a disposizione dalla Rete.

    Le storie che scrivo sono state ispirate da mostre visitate, persone incontrate durante il mio lavoro di insegnante o foto trovate sulla rete. Tutto quello che raccolgo e racconto da e per mezzo del blog vuole offrire un’ occasione di lettura, scambio e confronto con chi è interessat* alla nostra lingua e alla nostra cultura.

    Gli aggiornamenti sono mensili e per questo strano Maggio ho dato un pò di esempi di uso e abuso della parola MICA.
    Per seguirmi potete iscrivervi inserendo la vostra email dalla prima pagina del blog. E sono più che graditi i commenti ! Grazie e a presto.

  112. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: L’invito a « far chiarezza »
    In un forum linguistico del « C. della S. » online un partecipante, deprecando la scarsità di termini usati dai mass media, ha espresso il timore che la lingua italiana « si riduca ben presto a 200 vocaboli ».

    È proprio vero, in Italia, terra delle mode, a certe parole e frasi a un certo momento arride una gran fortuna: sono sulla bocca di tutti. A spese di una varietà di altre meno fortunate che, anche se più chiare ed espressive, tendono ad essere usate sempre di meno, perché messe in naftalina dal termine o dall’espressione in auge. E ciò ha l’effetto di ridurre la varietà del vocabolario di chi parla o scrive…

    « Tenere alta la guardia » è una di queste frasi prepotentemente alla moda. Un’altra è l’invito a « far chiarezza », espressione che esala superiorità morale, pragmatismo ed efficienza. E che ha eliminato il verbo « chiarire », il quale esigeva un fastidioso complemento oggetto: chiarire le responsabilità dell’accaduto, chiarire le circostanze, chiarire un fatto… Chi « porta avanti il discorso » si guarderà bene dall’appesantire il proprio vibrante appello a « far chiarezza » attraverso termini aggiuntivi, come « far chiarezza sull’accaduto », « sugli avvenimenti », « sulle circostanze », « sui retroscena », « sui risvolti ». Chi invita a « far chiarezza » non precisa quel che gli altri dovrebbero fare di concreto, perché il punto di forza della frase sta proprio nella sua vaghezza o se vogliamo nella sua mancanza di chiarezza. Ad aggiungere qualcosa si rischierebbe di perdere l’effetto ricercato, dato che « far chiarezza » è una frase assoluta dal potere taumaturgico alla « abracadabra » e con una risonanza poetica alla « m’illumino d’immenso ».

    Un giornalista che si rispetti non scriverà « XY ha voluto chiarire la sua posizione », frase d’anteguerra che sa di naftalina, di « bagnasciuga » e di « battaglia del grano », bensì: « XY ha voluto far chiarezza ». E così preferirà all’antidiluviano: « L’omicidio non è stato ancora chiarito », un contemporaneo: « Sull’omicidio non è stata fatta ancora chiarezza. »

    Ripeto: l’invito alla « chiarezza » ha spazzato via l’uso di termini e espressioni che servivano a precisare il pensiero, ma che, ahimè, non erano abbastanza icastici, omologanti, ufficiali. Finite quindi anche le frasi con i chiarimenti, le chiarificazioni, le verifiche, le delucidazioni, gli accertamenti, le prove (a dire il vero resistono ancora gagliardamente – ma sono i soli – i famigerati « riscontri« , termine a mio avviso ambiguo su cui occorrerebbe, questa volta sì, « far chiarezza »).

    Nella lingua italiana corrente non si delucida piu’, non si fa luce, non si chiariscono dubbi, retroscena e circostanze, non si accertano verità o responsabilità, non si stabiliscono fatti, non si determinano negligenze, non si fugano ombre. Non si mette più nulla né in luce né in chiaro. Si invitano invece gli altri a far chiarezza.

    Lo stesso presidente Napolitano, che non ha mai fatto chiarezza sull’incredibile, lunghissimo abbaglio, patito nel corso della sua carriera di professionista della politica, nei confronti dei paesi del comunismo affamatore e liberticida, visti da lui – fino alla caduta del Muro – come paesi modello per l’Italia… Ebbene il nostro simpatico, umano, patriottico presidente oggi è infaticabile nel lanciare, con accento partenopeo, il suo quotidiano invito a « far chiarezza ». Un invito.

    Fare chiarezza su cosa? Di volta in volta un po’ su tutto, poiché per gli appassionati della dietrologia e per i patiti del « cui prodest? » – legioni in Italia – niente è come appare, e ombre e sospetti incombono su tutto.

    Nella patria del pressapochismo, della confusione e della dietrologia l’invito a fare chiarezza è un coro possente, degno del Nabucco, dalle Alpi alla Sicilia. Ma nessuno dà il buon esempio cominciando a farla, lui, la chiarezza; la mancanza di chiarezza – ognuno di noi lo sa – è il male cronico degli altri.

    Spero, da parte mia, di essere stato chiaro.

    Il commento a questo scritto fattomi dall’amico Claudio Clemente, fiumano di Trieste:

    « Caro Claudio, il tuo discorso è chiarissimo ma non hai ‘fatto chiarezza’. Nelle tue corde non c’è il ‘Fiat Lux’ di biblica e marxiana origine. L’invito a ‘fare chiarezza’ è inteso ad illuminare la scena nella sua grandezza e non il particolare (del quale – presumibilmente – si sta discutendo) ottenendo così due risultati: apparire quale grande ‘illuminato’ e rimanere ‘abilmente vago’, evitando così di assumere anche vaghe responsabilità . Che le assumano quelli che devono fare ‘chiarezza’. Senza chiaramente chiarire ‘chi’ è chiamato a ‘far chiarezza’ su esattamente ‘cosa’. Si lascia, così, l’oscurità come era... »

  113. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana. « Piuttosto che », principe degli strafalcioni. In un libro 300 « tossine grammaticali ».
    I linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota hanno raccolto in un breviario le « cose da non dire » e gli « errori da non fare ». Dall’espressione divenuta così comune negli ultimi anni al congiuntivo soppresso al « facci » di fantozziana memoria

    di SILVANA MAZZOCCHI – Repubblica 23/04/2013

    La lingua parlata ai nostri giorni è piena di « tossine grammaticali », modi di dire o espressioni che sono entrate nel lessico comune, ma che fanno a pugni con la correttezza e la sensibilità linguistica. E al primo posto di un’ipotetica classifica degli errori, o « almeno ai piani alti », assicurano Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, raffinati linguisti, già autori del fortunato Ciliegie o ciliege, ci sarebbe proprio quel “Piuttosto che” divenuto ora titolo del loro ultimo libro (Sperling & Kupfer).

    Un manuale che, oltre a una sezione dedicata alla « tossina » più usata dagli italiani, con relativa analisi dell’espressione simbolo della degenerazione linguistica, comprende un breviario di ben 300 « cose da non dire ed errori da non fare ». E se è assodato che il famoso congiuntivo, regola prima della sintassi, compare ormai ben di rado sui giornali, nei blog e nelle chat, e se politici e personaggi pubblici lo ignorano nelle interviste radiofoniche o televisive, questa volta Della Valle e Patota concentrano la loro attenzione su un elenco infinito di scivoloni comunicativi. Da quel facci al posto di faccia, reso famoso dal ragionier Ugo Fantozzi in un suo film del 1975, con il suo celeberrimo facci lei…, all’uso improprio dell’accento sulla terza persona del verbo dare, mentre sulla seconda persona dell’imperativo che vorrebbe l’apostrofo (da’ retta a me) si mette erroneamente l’accento.

    Raggruppati in ordine alfabetico, gli errori più diffusi, sono seguiti dal modo corretto di dire e da citazioni di quanto scritto o detto dai personaggi colti in fallo. Perché, avvertono gli autori, mentre non è lecito né opportuno infierire su chi, per umile estrazione, non ha dimestichezza con la lingua italiana, è giusto fare le bucce a chi di comunicazione vive e si serve.

    Tra ben trecento strafalcioni, la palma va a Piuttosto che… Uso corretto e scorretto di uno dei più diffusi modi di dire.
    ……………………….ecc… ecc

    IL LINK DELL’ARTICOLO DI REPUBBLICA. LEGGI L’ARTICOLO:
    http://www.repubblica.it/rubriche/passaparola/2013/04/22/news/piuttosto_che-57212690/?ref=HREC2-15

  114. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Buongiorno, cerco una precisazione su un dubbio di grammatica.

    Vorrei sapere se è giusta la frase

    È arrivato Mario, Anna lo è andata a prendere.
    oppure
    È arrivato Mario, Anna lo è andato a prendere.

    Il participio passato deve concordare con il soggetto?
    A orecchio direi la prima, ma se penso:

    « ho visto Maria alla stazione »
    « l’ho vista alla stazione »

    allora mi vengono i dubbi!!!

    grazie
    Renato Bajardo

    • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
      Ecco la precisazione Renato: in italiano il participio passato si accorda al soggetto:
      1. quando il verbo ausiliare è « essere » (es. « Laura è andata » ma « Laura ha fatto »)
      2. quando davanti al passato prossimo appare un pronome diretto (lo, la, li, le) .
      Nel secondo caso quindi c’è accordo con il pronome diretto anche se l’ausiliare è avere
      (es. Laura ha fatto la spesa= Laura l’ha fatta: l’ha= la ha)

      Se fino a qui le cose ti sono chiare passiamo alla tua frase: Anna lo è andata a prendere? o Anna lo è andato a prendere?
      Come per la regola appena spiegata bisogna prevedere l’accordo con il pronome diretto
      Cosa c’è davanti a é andata a prendere? c’è « lo » (maschile) allora il participio passato di andare deve accordarsi con « lo » maschile (anche se il soggetto è femminile)perché prevale la « legge » dell’accordo con il pronome diretto (lo, lo, li, le)
      Quindi la frase giusta è: Anna lo è andato a prendere.
      Allo stesso modo sarà giusto dire:
      Laura è andata a prendere i bambini= li è andati a prendere!
      Laura è andata a predere le sue amiche= le è andate a prendere!
      Ma attenzione!! dovremo dire:
      Laura è andata a prenderlo
      Laura è andata a prenderli
      Laura è andata a prenderle.
      Perché?
      A questo punto spero che tu riesca a caprilo da solo; in ogni caso la spiegazione la trovi nell’osservazione: in queste frasi il pronome diretto (lo, la, li, le) non è davanti all’ausiliare « è » ma alla fine , « legato » all’infinito (variazione possibile in italiano) quindi l’accordo con il pronome non si applica.
      Spero di esserti stata utile! 🙂
      Silvia

      • Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
        Buongiorno. Con tutto il rispetto questa regola mi sembra insensata! Io purtroppo non la ricordo bene e mi astengo quindi dal controbatterla in toto
        ma mi chiedo, cosa ne’ e’ della regola in base alla quale e’ il soggetto che compie l’azione? Io sono andata aprendere i bambini, io li sono andata a prendere mi pare suoni anche meglio di « io li sono andati a prendere! Molto strana come regola, mi chiedo chi l’abbia stabilita. Cordiali Saluti.

  115. Novità! L’IIC di Parigi offre l’opportunità di sostenere l’esame DITALS
    Novità !

    L’Istituto offre ormai l’opportunità di sostenere l’esame DITALS. In Francia è l’unica sede d’esame.

    La Certificazione DITALS è un titolo culturale rilasciato dall’Università per Stranieri di Siena che attesta la preparazione teorico-pratica nel campo dell’insegnamento dell’italiano a stranieri e garantisce un certo grado di omologazione anche al di fuori di un percorso formativo specifico.

    L’esame di Certificazione DITALS è strutturato su due livelli.

    La Certificazione DITALS di I livello attesta una competenza di base in ambito glottodidattico e una competenza specifica mirata a un particolare profilo di destinatari: bambini, adolescenti, adulti e anziani, immigrati, studenti universitari, apprendenti di origine italiana, apprendenti di madrelingua omogenea (cinese, arabo, giapponese).

    La Certificazione DITALS di II livello certifica una competenza avanzata in didattica dell’italiano a stranieri e si rivolge a docenti che operano in qualsiasi contesto di insegnamento e con qualsiasi gruppo di apprendenti. Alcuni tra i prerequisiti richiesti per l’ammissione all’esame di II livello possono essere sostituiti dalla certificazione di I livello.

    L’Istituto Italiano di Cultura di Parigi diventa sede d’esame abilitata al conseguimento del diploma DITALS I e DITALS II.

    http://www.iicparigi.esteri.it/IIC_Parigi/Menu/Imparare_Italiano/Certificazioni/DITALS/

    Date degli esami

     DITALS I livello 7 ottobre 2013

    chiusura iscrizioni 5 agosto 2013

    (Università per Stranieri di Siena)

     DITALS II livello 15 luglio 2013

    chiusura iscrizioni 10 maggio 2013

    (Università per Stranieri di Siena)

    Per ulteriori informazioni:

    Istituto Italiano di Cultura

    Segreteria dei corsi

    Hôtel de Galliffet

    73, rue de Grenelle – 75007 Parigi

    (porta a vetri a sinistra sotto il portico, 1° piano)

    Telefono : 01 44 39 49 24

    e-mail : cours.iicparigi@esteri.it

    Orari d’ouverture du secrétariat

    Du lundi au vendredi de 10h à 13h et dans l’après-midi uniquement sur rendez-vous.

  116. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana
    Buongiorno a tutti, sono un pensionato che ha perso una causa per non aver interpretato correttamente il contenuto di una frase inserita in un’atto di vendita.La frase è la seguente: » Le spese per la sostituzione delle fosse biologiche e della rete fognaria saranno sostenute e ripartite in parti uguali ».
    Per me « le spese » sono il costo certo e definito dei due interventi, che essendo inseriti in un’opera più ampia a « misura » e non a « corpo » è determinabile solamente a fine lavori dietro presentazione della fattura. Essendo un intervento condominiale il pagamento va effettuato con acconti anticipati che però per me esulano dall’impegno assunto (nell’impegno non se ne parla).Anzi penso di dover concorrere alle spese solamente se ho la certezza che anche la controparte ha pagato o paga.
    L’inserimento della parola « necessarie » (Le spese necessarie per…)fanno scattare la autorizzazione a chiedere il pagamento anticipato od ha un’altro significato? Per il giudice dovevo pagare appena saputo che si sarebbero realizzati i lavori sulla base del preventivo di spesa. E’ così scorretta la mia interpretazione??? Grazie mille
    mario bettelli

  117. IcoN Italian Culture on the Net
    Salve,
    vorrei segnalare http://www.italicon.it, sito internet del consorzio interuniversitario ICoN Italian Culture on the Net, costituito da 19 università italiane con lo scopo di promuovere e diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo attraverso Internet: ICoN ha realizzato: corsi di italiano online(ICoNLingua, un corso di laurea
    online in Lingua e cultura italiana per cittadini stranieri e italiani residenti all’estero (laurea italiana triennale di I livello), master universitari.

    Può organizzare corsi di aggiornamento per insegnanti di italiano all’estero. ICoN opera in convenzione con il Ministero degli Affari Esteri italiano.

    Le iscrizioni al corso di laurea sono aperte fino al primo marzo. I corsi di lingua italiana si possono acquistare in un qualunque momento dell’anno.

    http://WWW.ITALICON.IT

    derenzis@italicon.it

  118. Il Linguaggio dei giovani
    Il linguaggio giovanile ha fortemente contribuito al formarsi del cosiddetto “italiano neostandard”. Altritaliani ospita un’intervento della linguista Patrizia Manili dell’Università per Stranieri di Perugia.

    Un excursus sulla recente evoluzione storica e sociologica della lingua italiana utile non solo ai docenti (anche all’estero) e agli studiosi, ma a tutti gli interessati a conoscere l’evoluzione della società. Oltre 4000 termini nuovi negli ultimi anni. La lingua italiana appare oggi più che mai viva, le forme scritte inaspettatamente prevalgono sul linguaggio orale, grazie alle nuove tecnologie. Mo non sono tutte rose e fiori.

    Ecco il link : http://www.altritaliani.net/cultura-e-cultura/letteratura-lingua-libri/article/il-linguaggio-dei-giovani

  119. Forum sulla lingua italiana: L’Italia è alla frutta
    L’ITALIA È ALLA FRUTTA

    « Essere alla frutta » è un’espressione facente appello ad abitudini ben note agli italiani, ma estranee alla maggioranza degli abitanti del nostro paese adottivo [il Canada]. Letteralmente essa significa: « essere al termine del pranzo », e figuratamente: « essere alla fine delle proprie risorse ed energie », o come anche si è soliti dire: « essere al capolinea ».

    I titoli dei giornali italiani sono delle vere cornucopie stracolme: « Ora Fini è proprio alla frutta », « La carta stampata è alla frutta », « Il governo è alla frutta », « Il Pd è alla frutta », « Il Pdl è alla frutta », « La democrazia è alla frutta », « Berlusconi è alla frutta »…

    In Nord America invece, l’abitudine di mangiare frutta ai pasti è una pratica quasi del tutto sconosciuta, preferendo i commensali terminare con un dolciume. Il che permetterebbe di dire che se gli italiani sono alla frutta, altri popoli, similmente inguaiati, sono al tiramisu; in attesa forse del caffè, momento finale del pasto.

    Ma l’espressione « essere al caffè » non riuscirà mai ad affermarsi, anche perché con il caffé molti iniziano la giornata. Non dimentichiamo poi che vi sono popoli dediti al tè… Ma vi è soprattutto da dire che l’equivalente nordamericano della nostra « tazzulella » di caffé è un contenitore di circa mezzo litro se non di piu’, di modo che l’adozione dell’espressione « essere al caffé », per indicare che si è quasi allo stremo, all’ultima tappa, al capolinea, con scarsissimo tempo a disposizione, darebbe un grandissimo vantaggio a Canadesi e Americani. E penalizzarebbe fortemente gli Italiani, a causa delle loro minuscole tazzine di caffé « ristretto » ch’essi svuotano in un sorso.

  120. La lingua batte, un nuovo programma di Radio 3
    LA LINGUA BATTE

    Il sabato alle 14.00 e in ascolto sul sito di Rai radio 3

    Un osservatorio sullo stato e sull’evoluzione della lingua italiana nei suoi vari aspetti: l’italiano della comunicazione e l’e-taliano digitale, l’italiano che si sente nelle canzoni e quello che s’insegna, il lessico e la grammatica, i linguaggi tecnici e i dialetti.

    Decisivo l’aiuto degli ascoltatori che potranno segnalare clamorosi errori linguistici, sottoporre i loro dubbi, che gireremo all’ospite della nostra Accademia d’arte grammatica, o indicare quella che secondo loro è La parola della settimana.

    Il tutto alla mail lalinguabatte@rai.it o sul gruppo Facebook LA LINGUA BATTE – Radio3

    http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-bafcbe62-da07-4e46-abd3-79a2a783a80c.html

    BUON ASCOLTO!

  121. Forum sulla lingua italiana: Compare e padrino
    COMPARE E PADRINO

    Lo pensavo e ne ho avuto di recente conferma leggendo « Gomorra »: « padrino« , termine usato in Italia per designare un capintesta della mafia, è un americanismo, di un tipo un po’ particolare.

    Ecco cosa scrive Roberto Saviano: « Nessuno, all’interno delle organizzazioni criminali, siciliane come campane, aveva mai usato il termine padrino, frutto invece di una traduzione poco filologica del termine inglese godfather. Il termine usato per indicare un capofamiglia o un affiliato è sempre stato compare. Dopo il film (Il Padrino) però le famiglie mafiose di origine italiana negli Stati Uniti iniziarono a usare la parola padrino, sostituendo quella ormai poco alla moda di compare e compariello« .


    Io preciserei che godfather è la traduzione inglese della parola italiana compare, e che padrino, termine mai usato dai nostri uomini d’onore, è a sua volta la traduzione italiana di godfather.

    Insomma, il nostro mammasantissima è partito dalla Sicilia da compare, ha preso i galloni di godfather in America, ed è ritornato da noi da padrino (ma ancora più spesso da boss).
Boss o padrino, noi gli baciamo le mani, anche se, purtroppo, la lingua italiana ha perso sul campo non solo il compare e il compariello, ma il mammasantissima, il pezzo da novanta, il capoclan, il capomandamento, il capo di tutti i capi…

    Tutto questo per volontà di Hollywood, fabbrica all’ingrosso di miti e assegnatrice di ruoli etnici (a noi italiani quello sempiterno di mafiosi). 
Con rispetto parlando.


  122. Fossi stato in volo
    « Se non fosse stato in volo in quel momento, avrebbe ricevuto il tuo messaggio »

    In nessun modo è possibile sostituire in volo con il verbo volare, esprimendo comunque un’azione continuata nel passato con il modo congiuntivo?

    « Avesse volato » non esprime l’azione continuata, e ovviamente non è utilizzabile « fosse stato volando », quindi l’unico sistema è una perifrasi?

    • Fossi stato in volo
      Bellissima domanda, filosofica… ed effettivamente l’unico modo sembra esser quello (v + s), anche se non lo definirei una perifrasi — il fatto è che alcune lingue distinguono rigorosamente fra verbi che indicano l’inizio, o la fine dell’azione, o ancora la sua durata, etc, e in generale sottolineano più la qualità dell’azione (compiuta, incompiuta) che il suo tempo. L’italiano, come il francese, lo fa a volte, e non rigorosamente: perché quel che più conta è appunto il tempo. Così, in questo bell’esempio, per esprimere la durata bisogna ricorrere a un’espressione « verbo + sostantivo »… Bello! GS

  123. Forum sulla lingua italiana – Uso nell’italiano neostandard
    Vorrei sapere se è in uso, nel linguaggio italiano neostandard, l’espressione « Tizio FA l’anniversario di morte », l’ho sentito dire nell’italiano meridionale, non so se l’uso è diffuso anche nel resto della penisola e se è stato attestato da qualche studio linguistico.
    Grazie

  124. Forum sulla lingua italiana: Salvare la lingua e la scrittura cinesi

    Noi ci preoccupiamo della lingua italiana, perché la vediamo minacciata, nella penisola, da pigrizia mentale, faciloneria, burocratese e dal continuo incalzare di un ridicolo «anglo-americano» d’accatto. Quest’ultimo suscita sorpresa e ilarità presso chi all’estero, attratto dall’armonia e dalla deliziosa sonorità della nostra lingua, decide di mettersi allo studio dell’italiano, imbattendosi poi nei vari «flop», «mix», «killer», «jackpot», «tilt» di una lingua che gli si rivela invece, per molti versi, da barzelletta.

    Il bresciano Nico Bignami, trapiantato da anni a Montréal, serio studioso della lingua cinese, che ha vissuto in Cina e ha persino visto pubblicate alcune sue poesie in riviste letterarie cinesi, esamina invece i pericoli che la lingua cinese sta correndo. Bignami non vorrebbe ch’essa finisse come il nostro latino, terminato in soffitta, anzi al cimitero. Leggendo la sua disamina-perorazione, capirete perché.
    Claudio Antonelli

    Salvare la lingua e la scrittura cinesi

    L’avvento del computer, se non si prendono provvedimenti a tempo, può costituire una grave minaccia per l’esistenza della lingua cinese.

    I bei caratteri della lingua potrebbero scomparire nel giro di pochi decenni. La lingua cinese scritta, cominciando dalla scrittura a mano, rimarrebbe appannaggio di pochi intellettuali che si ostinerebbero ad usarla, andando contro ogni moda corrente.

    Ma fino a quando ?

    Una modifica del Pin Yin potrebbe aiutare?

    Leggi l’interessante riflessione di Nico Bignami,

    a questo link:

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article1273

  125. Forum sulla lingua italiana
    Molto bene, caissimo Claudio ; tutto cio’ non mi sorprende affatto’ Come essere umano di confine nel nostro parlare c’erano sempre dei travasi dallo slavo all italiano e viceversa, o tedesco. soprattutto nei vecchi. .
    Per fortuna che il dialetto veneto era una parlata dominante e schietta, ed era quella che predominava su tutto. Ancora al giorno d’oggi , decisamente mi sento piu’ a mio agio quando parlo in veneto ; in veneto la mia lingua scorre e le parole escono come un zampillo d’acqua ( Curzio Malaparte diceva che nelle donne venete escono come bolle di sapone) spontanee e senza difficolta;. Nello scrivere la situazione cambia, e devo dire che in « italiano » il discorso scitto mi e’ piu’ facile. Qualcosa come con i numeri e le semplici operazioni aritmetiche: te li porti addosso per tutta la vita nella lingua in cui li hai imparati. Se parli francese o inglese, quando si tratta di contare il cervello « suiccia » subito in Italiano. Non e’ cosi ? Caramente Giuliano

  126. Forum sulla lingua italiana
    Scrivo da Toronto (Canada). L’intervento di Claudio Antonelli sull’”italianese” – misto di italiano e francese con un po’ d’inglese – mi spinge – anzi: mi “puscia” – ad intervenire. Per me è una questione vecchia, perché ha gli anni della mia permanenza – molto lunga – in Canada… E addirittura precede la data del mio arrivo in questa terra. Negli anni 1950 ero alla Home Lines – società di navigazione – e il reparto « passaggi prepagati » era tenuto dalla sig.ina Marilli Pacchione di Genova. Costei aveva da fare con italiani che prepagavano il passaggio per famigliari che dovevano raggiungerli in Canada. Beh, Marilli era in prima linea per l’italianese (o italiese che dir si voglia) e si divertiva un mondo a raccontarci le ultime novità linguistiche da lei udite, tanto che compose un vocabolarietto italiano/italianese. Talvolta doveva farsi spiegare il significato, quando si trovava di fronte a una nuova parola, un neologismo di questa strana parlata. Ad esempio, quando udì dalla bocca dell’italo-canadese, responsabile dei pagamenti, la frase: “Domani le porto il ‘buco’” che voleva significare il libretto di banca, da “book”. Ma penso che una tale metamorfosi del linguaggio avvenga in ogni dove. A Québec gli operai che lavoravano in porto avevano una serie di parole inglesi francesizzate. E anche noi da ragazzi non dicevamo nel gioco del calcio: opsaid, per off-side, ends per hands, goal per punto fatto etc.? È una legge linguistica alla Darwin, dove il soggetto tende a conformarsi all’ambiente. Niente di speciale, ma interessante da morire, almeno per me. Da noi a Fiume – la nostra indimenticabile Fiume divenuta ormai sempre e solo “Rijeka” – anche noialtri italiani dicevamo per salutarci “vighez”… Non so ancora cosa esattamente significhi o come si scriva, ma saluto tutti voi “altri italiani” con un caloroso “vighez!”

    Giuliano Superina

  127. Forum sulla lingua italiana: “L’italianese” – L’italiano comune parlato a Montréal, Québec.
    “L’italianese” – L’italiano comune parlato a Montréal, Québec. Un saggio di Bruno Villata,
    docente universitario (Concordia University)

    Noi, di origine italiana residenti a Montréal, che lingua parliamo quando, convintissimi di parlare la lingua della penisola, usiamo quel nostro italiano particolare? Mi riferisco alla nostra lingua locale, farcita di parole come: “montante” (al posto di ammontare, somma, importo), basamento (invece di seminterrato, scantinato), camera (al posto di macchina fotografica), colletta (in luogo di raccolta), fermare (invece di chiudere), benevolo (in luogo di volontario); o ancora a termini come plombiere (idraulico), baschetta (cesto, paniere), corno (angolo), fattoria (fabbrica), licenza (patente), pippa (tubo), iarda (orto, giardino, cortile), begga (sacchetto), giobba (lavoro), sciabola (badile, pala), sciomaggio (disoccupazione), fensa (siepe, recinto), moppa (spazzolone, strofinaccio), marchetta (mercato), pusciare (spingere), norza (infermiera), bosso (capo) sanduiccio (panino) e così via…

    Leggi l’articolo nella sua integralità cliccando qui

  128. Forum sulla lingua italiana: Esondare al posto di straripare
    Esondare AL POSTO di straripare

    La stampa italiana ha il vezzo di ricorrere al termine “nobilitante”, ossia alla parola poco usuale o straniera al posto di quella nostrana corrente, capita da tutti e che appunto per ciò i giornalisti che sono iscritti all’albo – l’albo d’onore – evitano allo scopo di distinguersi dalla massa.

    Per anni il verbo “straripare” è stato il termine consacrato per designare, appunto, lo straripamento di fiumi e torrenti italiani. Oggi non più. I giornalisti, dopo aver usato per un certo periodo “tracimare”, che non tutti in Italia all’inizio capivano ma che alla fine hanno finito col capire, sono passati al più prezioso “esondare”.

    L’importante per gli addetti ai lavori è di “portare avanti il discorso” con parole dalla patina nobile ed esotica. Col risultato di confondere le acque. Anche se non tutti capiranno bene, all’inizio, cosa significhi quella parola inusitata, lo intuiranno. O faranno finta di capire. E quando una parola come “esondare” non sarà più un mistero per nessuno, sarà giunto il momento per i giornalisti di tirare dal cilindro un nuovo termine che abbia il pregio di non essere troppo comprensibile per i non addetti ai lavori. L’importante è che la nuova parola per designare il “traboccare”, lo “straboccare”, lo “straripare”, l’“esondare”, il “tracimare”, lo “strabordare” intorbidi e confonda un po’ le acque per il comune dei mortali.

  129. Il « pressing » della parlata anglo-americana sulla lingua di Dante

    Nella lingua italiana troviamo tutta una serie di espressioni tratte dal gioco del calcio. Ma da un po’ di tempo anche i termini calcistici risentono della galoppante passione che gli italiani hanno per la parlata anglo-americana. Il tutto a scapito della ricchezza e della chiarezza della lingua nazionale…

    L’Italia è la terra dove non più il dolce e un po’ « gay » « sì » suona, ma dove risuona il virile e cinematografico « yes »; dove un ministro veglia sul Welfare di tutti, e dove a capo della Repubblica non c’è più un Pertini, partigiano e russofilo, ma un presidente « bipartisan » e campione di « moral suasion »: Napolitano (già russofilo ed oggi filoamericano). 
L’orgoglio nazionale e l’autarchia linguistica sono lontani anni luce dalla terra i cui abitanti hanno abbandonato il « fiasco » per passare in massa al « flop », certamente più degno di loro. Cosa volete: gli « Italians », grandi appassionati di « flop », sono campioni di « autogol ». E così, a causa del « pressing » insistente della parlata anglo-americana sulla lingua di Dante, il loro idioma è in un angolo, in un « corner », ormai alle corde, col rischio di andare, prima o poi, completamente « in tilt ».

    Prendiamo il termine « pressing » che ho appena usato, e di cui nessun giornalista che si rispetti può più fare a meno. « Pressing », da termine calcistico è divenuto termine tuttofare. Oggi si fa « pressing » come un tempo si faceva « footing » (divenuto poi « jogging »). Nelle redazioni dei giornali, l’anglo-americano con i suoi « killer », « mix », « rumors », « boss », « gossip », »in tilt », è un « jackpot » da cui gli indaffarati addetti ai lavori attingono a piene mani. Cosa volete: i redattori, nella scelta delle parole, sono « in pressing »; o, qualcuno direbbe borbonicamente, « vanno e’ pressa ».

    P. Battista (C. della S.) : « C’è un improvviso salto di qualità nel pressing che una parte del governo sta facendo sul governatore Antonio Fazio per indurlo alle dimissioni. » G. Cavallo (C. della S.): « Monti è stato oggetto di un vero e proprio pressing da parte di Silvio Berlusconi ». Anche i titoli sono pieni di pressing: « Il tesoro americano fa pressing »; « Zunino lascia dopo il pressing dei creditori »; « La Moratti in pressing su Cai »; « Giustizia, le toghe in pressing »; « Il Pd in pressing sui Radicali ». 
Colui che è « in pressing » subisce la pressione – il cosiddetto « pressing » – o invece la fa subire? Prendiamo « Sinistra in pressing sui lavori usuranti »; io mi chiedo: è la sinistra che fa pressione, o che, viceversa, la subisce? Vattelapesca, pardon « Who knows »…

    Sono però cosciente di non far testo con i miei autarchici e reazionari dubbi, anche perché non sono un tifoso di calcio, pardon un « supporter ». Per capire l’esatta sfumatura di « in pressing » occorrerà rivolgersi a un « Mister », oppure ad un arbitro. Arbitro che, molto probabilmente, gli italiani, campioni indiscussi di autogol, chiameranno fra non molto « referee ».

    
Anche l’ultimo passaggio sul campo di calcio a chi poi conclude con un gol si è nobilitato, divenendo un « assist ». Ed è tutto un pullulare, nei giornali, di « assist » usati in senso figurato. Dal « Giornale »: « L’assist che arriva dal G8 per Obama ha valore politico anche in chiave interna. » E ancora « Obama ha incassato con soddisfazione gli assist arrivati da Palazzo Chigi e dalla diplomazia guidata da Franco Frattini. » 
Che Dio « assist » – è proprio il caso di dire – questo senescente popolo esterofilo che non si riproduce più e che non usa nemmeno più la sua lingua…

  130. Di sana pianta! la prima raccolta delle parole inventate
    Quante parole contiene un vocabolario? Centinaia di migliaia tra lemmi e accezioni, sinonimi e contrari, varianti e calchi stranieri. Insomma, un mare magnum. Eppure certe volte la fantasia non si trattiene e sprigiona parole che non si erano mai sentite.

    Di sana pianta! è il tentativo di catalogare in maniera sistematica vocaboli e modi di dire nati dall’estro dei singoli e ancora privi di vera e propria cittadinanza linguistica; una raccolta alternativa e parallela che, pur se non ha pretese scientifiche, conta di fare breccia per l’intento giocoso che ne ha ispirato l’idea.

    La partecipazione è aperta a chiunque abbia lemmi da proporre. Il termine della campagna di recruiting è fissato per il giorno 30 novembre 2012.

    Questo lo schema standard che invitiamo ad adottare:

    Lemma

    Numero e genere

    Etimologia (inventata anch’essa, naturalmente)

    Significato

    Citazione
    Esempi:

    vuotalgìa s. f. (pl. -gie) [composto dal latino văcitum e -algia] Dolore acuto dei sensi e dell’animo dinanzi alla percezione di un vuoto esistenziale, smarrimento emotivo di fronte al buco nero della noia, il male del vuoto: Ho una v. da vertigini, anche da sdraiata, pure incollata a terra (ELENA MEARINI).

    nicotimìta s. m. [dai nomi fr. Nicot e gr. Nikodemos] Chi fuma ma non vuole che si sappia pubblicamente per paura di punizioni familiari o sociali, e pertanto si conforma apparentemente alle opinioni salutiste in voga: Molti adolescenti sono nicotimiti (MARCO FULVIO BAROZZI).

    N.B. Il nome e il cognome indicati tra parentesi devono corrispondere a quelli del proponente.

    Come nella migliore tradizione dell’Accademia della Crusca, tutto il materiale pervenuto sarà setacciato e selezionato al fine di dare vita a una compilazione organica e coerente.

    Di sana pianta! la prima raccolta delle parole inventate sarà pubblicata in formato eBook e disponibile nel Kindle Store del portale Amazon.it.

    Responsabile del progetto: Anna Petrazzuolo.

    Contatti:

    a.petrazzuolo@distanzelab.it

    • Forum sulla lingua italiana
      C’est comme en français. « Mi hai abbandonata ». Tu m’as abandonnée.
      Tu as abandonné Qui? Moi, complément d’objet direct placé avant le verbe, donc il y a accord.
      Si ça vous est arrivé, ci dispiace tanto…

      • Forum sulla lingua italiana
        No, non è come in francese, possiamo dire « abbandonato » o « abbandonata », l’accordo con mi, ti, ci, vi è facoltativo, è obbligatorio solo con lo, la, li, le, ne.
        Grazie dell’attenzione

    • Forum sulla lingua italiana
      se una donna è stata abbandonata da un uomo,come deve dire: mi hai abbandonata oppure mi hai abbandonato?
      Si dice come: mi hai abbandonato.

      Grazie,
      Signor Ahmed

  131. Insegnamento della lingua e cultura italiana in Armenia

    Ciao a tutti.

    Sono Ani Vardanyan, di nazionalità armena. Mi fa molto piacere avere questa possibilità di parlarvi dell’insegnamento della lingua e cultura italiana in Armenia.

    L’italiano si insegna in diverse università armene tra cui le più importanti sono l’Università Statale di Yerevan e l’Università Linguistica di Yerevan, presso la quale mi sono laureata e in seguito ho
    lavorato come docente di lingua italiana per 4 anni. Il popolo armeno ha sempre mostrato interesse verso la civiltà e la lingua italiana. E questo si conferma anche dal numero sempre crescente degli studenti che scelgono l’italiano come la loro specializzazione.

    Ogni anno centinaia di ragazzi scelgono la lingua come prima, seconda o terza specializzazione. Durante il loro percorso universitario, gli studenti mostrano sempre un grande entusiasmo e volontà e in seguito, dopo essersi laureati si inseriscono nel mondo lavorativo molto facilmente. Molti di loro prendono la decisione di continuare i loro studi presso le università italiane frequentando dei corsi di lingua e cultura italiana o facendo una seconda laurea.

    Inoltre vorrei notare che la tradizione dell’insegnamento dell’italiano in Armenia ha in base il concetto di life long learning. I docenti che lavorano nel dipartimento di Italianistica si distinguono per il loro approccio verso il proprio sviluppo professionale, partecipando in diversi corsi di aggiornamento e perfezionamento presso le Università degli Stranieri di Perugia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università di Siena, ecc.

    Inoltre, numerose conferenze, seminari e workshop vengono organizzati ogni anno, ai
    quali partecipano sia i docenti che gli studenti.

    Grazie all’interazione efficace tra l’ insegnante e lo studente, grazie alla varietà delle risorse e degli approcci metodologici utilizzati in classe, il processo dell’apprendimento della lingua diventa una co-operazione guidata delle conoscenze. L’analisi dettagliata dei bisogni degli studenti, la scelta accurata dei materiali da portare in classe e l’attenzione verso i singoli discenti fanno si che le lezioni della lingua italiana siano interattive, stimolanti e creative. Il proprio contributo nel successo straordinario dei discenti ha anche l’ambasciata d’Italia a Yerevan, la quale è particolarmente attiva nella promozione della lingua e cultura italiana in Armenia.

    L’ambasciata organizza diversi eventi culturali tra cui la settimana della lingua italiana e la settimana della cucina italiana che ormai sono diventate dei veri eventi amati da tutti.

    Il lavoro professione dei docenti, l’impegno costante degli studenti e l’amore verso l’Italia e la lingua italiana fanno sì che il processo dell’insegnamento/apprendimento della lingua italiana diventi sempre più produttivo e piacevole e che le sfide presenti nella nostra società plurilinguista siano facilmente affrontate.

  132. Forum sulla lingua italiana: Totò non è morto
    Sono lieto di farvi partecipi del discorso de, udite bene!, presidente della provincia di Napoli. Non è una questione di accento, in fondo quello di Bossi è altrettanto disturbante. Evidentemente è un problema diverso, inaccetabile, vergognoso. Totò l’avrebbe fatto un pò meglio, ma, almeno, era un vero comico. Qui di comico non c’è niente. Solamente, Desolazione e ribrezzo.
    qui il link da non perdere.
    http://video.repubblica.it/edizione/napoli/napoli-l-italiano-alla-toto-del-presidente-della-provincia/104320/102700?ref=HREC1-5

    Gianfranco Sebastio

  133. Forum sulla lingua italiana: Le autorità linguistiche italiane parlano l’anglo-americano

    Coloro che difendono l’alluvione, nel parlare e nello scrivere degli italiani, di parole inglesi e pseudoinglesi adducono le seguenti ragioni: l’inglese è il nuovo esperanto; gli apporti stranieri sono un arricchimento per la nostra lingua; la purezza linguistica non esiste; ogni tentativo di restaurare un nazionalismo retrivo è votato al fallimento; la lingua italiana è mobile, ricettiva, in continua evoluzione, e non accetta né pastoie né imposizioni dall’alto.

    
Soffermiamoci su quest’ultimo punto: gli italiani non accetterebbero regole e modelli linguistici imposti dall’alto. Il popolo italiano, vitalmente anarchico, che non sa fare la coda, che è sempre pronto a farsi beffe di chi detiene l’autorità, e che infrange gioiosamente ogni divieto, non accetterebbe mai i diktat provenienti da un’accademia o da altre autorità linguistiche. Così almeno la pensano i fautori dell’inevitabilità dell’accrescimento della parlata italo-inglese. 
In realtà, l’infiltrazione diarroica di parole ed espressioni angloamericane nella lingua italiana non va tanto dal basso verso l’alto, quanto dall’alto verso il basso; il che è una conferma del detto napoletano: « O pesce fete da ‘a capa » (il pesce puzza dalla testa). E a questi diktat linguistici provenienti dalle autorità, il popolo, pronto ad aderire « perinde ac cadaver » alle mode, si sottopone gioiosamente; o anche perché costrettovi.

    Infatti, chi si indirizza al « ministro del Welfare » reclamando la « social card », deve inevitabilmente ricorrere a parole come « Welfare » e « social card », che non ha mai usato prima, e che gli sono giunte dall’alto, dalle autorità, attraverso la Gazzetta Ufficiale. L' »election day », il « question time », lo « stalking », e le altre amenità linguistiche di un parlamento popolato dai nostri nuovi sciuscià superpagati, non salgono dal popolo ma discendono sul popolo; il quale poi, in verità, se ne pasce beato. E così anche la casta dei giornalisti e dei conduttori televisivi bombarda a tappeto, « dall’alto » – si fa per dire – lettori e spettatori con sempre nuove parole tratte dall’anglo-americano. 
E così l’anglo-americano finisce coll’entrare nel parlare comune, rimpicciolendo e immiserendo la lingua italiana, e complicando la comunicazione perché queste parole d’accatto sono spesso mal pronunciate, mal usate, mal capite, oppure sono intese in una sola delle accezioni originarie. 
Ma cosa volete: nel paese dove tutti vogliono apparire alla moda, la dignità nazionale non è di moda.

  134. Forum sulla lingua italiana: L’onorata società italiana

    Pare che gli Esquimesi possiedano un numero sterminato di termini per designare la neve e il ghiaccio. Nel vocabolario della lingua araba è invece il « cammello » a presentare un numero elevatissimo di vocaboli. Gli Italiani potrebbero vantarsi – ma si astengono dal farlo forse per modestia – di possedere un vocabolario straordinariamente ricco di parole designanti situazioni e comportamenti criminosi. Vedremo però in seguito come la tentazione di scimmiottare il lessico americano costituisca una minaccia per questa incomparabile ricchezza della lingua italiana nel campo del crimine.

    Infatti, gli organi d’informazione, nella loro fregola imitativa anglofona, preferiscono sempre di più far ricorso alla paroletta inglese, mal masticata e mal digerita, rinunciando così alla barocca varietà nostrana. Fortunatamente la nostra lingua dimostra di avere la pellaccia dura e negli ultimi tempi ha prodotto altre fioriture, tutte di stampo malavitoso. Tutto ciò è segno di una vitalità linguistica e criminosa a prova di accademici della Crusca e di Carabinieri.

    Chissà quante invidie linguistiche avrà suscitato all’estero la scoperta, per chi ancora lo ignorava, che in Italia, oltre a “Cosa nostra”, e a “Mafia”, esistono anche “ ‘Ndrangheta” e “Camorra”. Poi, dalla Puglia, da dove tradizionalmente arrivava un ottimo olio di oliva ed un vino a forte gradazione alcolica, è arrivata, come un regalo di Natale, la “Sacra corona unita”.

    Il tutto da aggiungere al banditismo sardo, al gangsterismo di tipo americano, ai malviventi, ai malavitosi, ai malintenzionali, ai malversatori, agli scippatori, ai ladri, ai grassatori, ai pedofili, agli attentatori, ai ricattatori, ai lestofanti, ai malfattori, ai rapinatori, agli assassini, ai sequestratori, ai faccendieri, agli intrallazzatori, ai pataccari, ai magliari, ai balordi, ai palazzinari, agli strozzini, ai tombaroli, e ai politici corrotti… E mi scuso con tutti quelli che non ho citato.

    Volutamente non mi addentro nella nebulosa del terrorismo con i brigatisti, tutti ormai pentiti a babbo – altrui – morto.

    Non si sa con esattezza quando “scippo”, “scippare” e “scippatore” si siano diffusi dal Vesuvio al resto dell’Italia, ma questo arricchimento linguistico è relativamente recente, più o meno coevo all’esodo dei “magliari”, che prima hanno marciato su Roma e poi sulle altre città. È un fenomeno comunque del dopoguerra. E se Napoli ha dato “camorristi”, “guappi”, “scippatori”, “malafemmine” e “magliari”, la città del Vesuvio ha dovuto subire i ricchi e spregiudicati “palazzinari” – voce abbastanza recente – partiti questi da Roma, insieme ai “tombaroli” e ai “magnaccia”. L’apporto della Sicilia alla ricchezza linguistica nazionale in materia di crimine non può essere sottaciuto né per omertà né per decenza. Oltre alla mafia, l’isola del sale e del sole ha dato il “pizzo”, l’“intrallazzo”, l’“omertà”, la “lupara”, i “picciotti” e i “pezzi da novanta”. E mi fermo qui. Scusate se è poco…

    Per gli stranieri, il raccapezzarsi in questa complicata realtà malavitosa diventa sempre più difficile. Ben presto un articolo di cronaca nera o di costume sull’Italia non potrà più essere scritto da un semplice inviato speciale – francese, spagnolo, o inglese – e ciò per la complessità del soggetto. I giornali stranieri, per capirci qualcosa, saranno costretti a inviare nella terra della “Mafia-Ndrangheta-Banditismo sardo-Camorra-Sacra corona unita- Federazione anarchica” un sociologo o un criminologo che abbiano al loro attivo almeno una tesi di laurea sul Belpaese.

    Il progresso linguistico, in questo dopoguerra, non è stato solo quantitativo ma qualitativo. Il lessico delinquenziale, infatti, non si è solo infoltito ma è si è fatto più sfaccettato e preciso, con un salto di qualità che ricorda un po’ quei pastori nostrani passati dall’abigeato ai sequestri di persona, o quei contrabbandieri che sulle coste italiane, di notte, non scaricano più “bionde americane”, ma marocchini ed albanesi.

    Prendiamo la “bustarella”. Vocabolo quasi d’altri tempi con la sua connotazione casereccia. Dal dopoguerra ad oggi, la realtà della corruzione si è appesantita, complicandosi. Di qui la necessità di far ricorso a tutta una gamma di termini nuovi, indispensabili per indicare un particolare modus operandi criminoso, o utili per variare la monotonia dello stile dei redattori di cronaca nera. Oltre alla “bustarella” abbiamo così avuto – anzi subito – il “pizzo”, la “protezione”, la “mazzetta”, la “tangente”.

    Le organizzazioni malavitose campane, pugliesi, calabresi e siciliane esigono non la bustarella, ma il pizzo, parola di origine siciliana. “La ‘ndrangheta imponeva pizzo, assunzioni e forniture”. (Corriere della Sera)

    Un certo processo di meridionalizzazione dell’Italia ha fatto un passo avanti anche grazie alla “mazzetta”, estesasi a tutto il territorio nazionale, e passata dal significato quasi innocuo di “mancia” a quello di tangente. (Se si ammette che mazzetta viene dal napoletano mazzetta = “mancia”, e non dall’italiano mazzetta = “pacchetto di banconote dello stesso taglio”). I giornali hanno accolto con sollecitudine questa variante, utilizzandola al posto della solita tangente, anche perché “mazzetta” sottolinea il ruolo attivo svolto da chi l’ha sborsata: “Incursione di Di Pietro alla ricerca di mazzette elargite alla Guardia di Finanza.” (Corriere della Sera).

    E mi fermo qui per il momento.

  135. Il cogniome italiano NOVETTI suona ….
    Il cogniome italiano NOVETTI suona ….

    Dear Colleagues,

    Mr. NOVETTI is supposed to be a personage of my new story and I want readers to consider and to accept Mr. Novetti intuitively as a rather positive man. Is it correct, or this name has some latent features that Ukrainians (I am Ukrainian) could not capture?

    I shall highly appreciate your kind assistance.
    Thank you in advance for your contribution.

    Volodymyr T. Sukhoteplyy

    • Il cogniome italiano NOVETTI suona ….
      Il cognome Novetti non ha significato negativo, nè un significato particolare. L’unica allusione, relazione, che mi pare avere è con la parola « nuovo », « novità », dunque qualcosa di generalmente positivo….

  136. Alla scoperta della lingua italiana all’estero. L’esempio Albania.
    L’italiano seconda lingua per gli albanesi

    L’italiano è la seconda lingua per gli albanesi, che da sempre incrociano la loro storia con la Penisola. Con l’italianista e poeta Arjan Kallço, docente all’Università “Fan S. Noli” di Korçe andiamo a conoscere i problemi che il Paese delle Aquile affronta per la lingua del Bel Paese dove il “sì suona”.

    Insegnare l’italiano in Albania non significa insegnare una lingua straniera L2, come il tedesco, l’inglese o il russo, ma insegnare le regole di una lingua che è la seconda lingua degli albanesi, quella che tanto ha dato all’umanità, la lingua con la quale hanno parlato i grandi della letteratura italiana da Dante a Manzoni fino ai nostri giorni ai Nobel del ‘900 e gli autori famosi del 2000.

    Sempre quando studi una lingua straniera ti trovi davanti a un crocevia e puoi farcela, soltanto impegnandoti totalmente. In aiuto corrono tutte le scuole che l’umanità ha finora istituito. A te la scelta, nonostante oggi si presti più attenzione a dei metodi nuovi e tecnologie nuove.

    Dopo gli anni ’90 sono fioriti anche in Albania tanti libri di testo, alcuni da autodidatta, altri libri veri e propri di base di autori italiani, ma anche albanesi, alcuni anche professori universitari. Sono arrivati anche cassette e cd in dotazione, è arrivato l’internet e tanti siti, ma un pilastro non cambierà mai, l’insegnante e il suo ruolo fondamentale in quanto attore e fattore indispensabile in classe….

    PER LEGGERE TUTTO L’ARTICOLO, clicca qui: http://www.altritaliani.net/spip.php?article1138

    • Alla scoperta della lingua italiana all’estero. L’esempio Albania.
      Quale è il verbo per definire il suono che i cavalli fanno con la bocca dopo una corsa?

  137. Forum sulla lingua italiana: Si dice nero e non negro
    SI DICE NERO E NON NEGRO

    « Obama è il primo presidente nero » hanno proclamato unanimi, a suo tempo, gli organi d’informazione della penisola. Nero, quindi, e non negro come si sarebbe detto fino a ieri. Ma come si è potuto verificare, nella lingua italiana, questa rapida caduta di « negro », sostituito dal politically correct « nero »? Se la parola « negro » ha assunto un significato peggiorativo, ciò è avvenuto per la sua condannabile assonanza con la parola « nigger », che in inglese è usata come insulto. Ancora una volta è stato l’esempio americano ad influenzare gli italiani, ultrasensibili ai suoni e alle mode d’oltreoceano. È già molto, oso dire, se giornali, radio e televisione non hanno puramente e semplicemente adottato il termine inglese « black ». Ma non è detto…


    Non è stata l’Accademia della Crusca, ma sono stati i giudici italiani, in un momento di tregua nella guerra contro Berlusconi, a tagliare il nastro inaugurale di questa rivoluzione lessicale. La Corte di Cassazione, ignorando i dizionari, ha sancito: « Sul piano linguistico, la parola negro, traslato di nero, non definisce semplicemente il colore della persona, a differenza di moro. Difatti è stata assunta nella recente epoca coloniale, nelle lingue neolatine ed anglosassoni, per la designazione antonomastica dell’indigeno africano, quale appartenente ad una razza inferiore (…) »

    
I linguisti si sono dovuti adeguare alla storica sentenza. E oggi, anche se diversi dizionari continuano a dare tranquillamente a « negro » la definizione di « appartenente, relativo alla razza negra », altri offrono una prudente messa in guardia.

    Il Garzanti: « La parola negro è stata spesso usata in modo spregiativo; per questa ragione si preferisce sostituirla con nero ed è quasi del tutto caduta in disuso in espressioni riferite alla cultura ».

    
Non vorrei adesso dare l’impressione che io inciti il lettore a boicottare il politically correct « nero ». No, non si può tornare indietro perché l’irreparabile è avvenuto. È l’uso e solo l’uso a dare un buono o un cattivo odore ad una parola. E i giudici togati hanno determinato l’uso, anzi il « non uso », di « negro » dandogli un cattivo odore. E io mi adeguo, seguendo l’esempio di Sergio Romano che sul « Corriere della Sera » ha scritto con molta saggezza: « Anch’io penso che la parola negro non sia spregiativa. Ma so che in questo momento offende la sensibilità di molte persone ed evito di usarla. Non è prudenza. È soltanto galateo. »

  138. Forum sulla lingua italiana: il nipote « abiatico »
    IL NIPOTE ABIATICO

    La lingua italiana abbonda di varianti: denaro-danaro, qui-qua, lì-là, innanzi-dinnanzi-dinanzi, starnutare-starnutire-sternutare-sternutire, comperare-comprare, insieme-assieme, in seguito di-in seguito a-a seguito di, degrado-degradazione, e cosi’ all’infinito… Tali varianti danno una falsa impressione di ricchezza, mentre complicano inutilmente la vita di coloro che cercano di servirsi di un italiano coerente e prevedibile.

    Malgrado questa varietà capricciosa di termini, l’italiano presenta delle lacune rispetto a lingue sostanzialmente più ricche come l’inglese e il francese. Per esempio, in italiano si dice « nipote » senza distinguere se si tratta di « nipote di zio » o di « nipote di nonno ». I linguisti ci dicono che per specificare che si tratta di nipote « figlio del figlio o della figlia » noi possiamo far ricorso all’espressione « nipote abiatico ». Abiatico, tra l’altro, tanto per complicare inutilmente le cose, è ammesso anche con due b: « abbiatico ». Ma chi si è mai servito di questo termine? Immaginate una conversazione estiva, sotto l’ombrellone, del genere: X rivolto all’amica Y: « Allora mio nipote… » E Y di rincalzo: « Abbi pazienza… di quale dei tuoi nipoti stai parlando, di tuo nipote abiatico o di quello non abiatico? »


    Un altro esempio di questa mancanza di precisione dell’italiano. Nella lingua francese esiste una distinzione tra « parmi » (« parmi nous ») e « entre » (« entre nous »). La lingua inglese, parimenti, distingue tra « among » (« among us ») e « between » (« between us »). Nella lingua italiana, invece, non vi è una tale distinzione. Ma ecco che noi accanto a « tra » abbiamo « fra » (« tra noi », « fra noi », « tra di noi », « fra di noi », e chi piu’ ne ha piu’ ne metta…) È la solita ricchezza linguistica fatta di ridondanze. Ma perché avere due preposizioni al posto d’una? Per la sempiterna schiavitù imposta dalla paralizzante regola italiana del « Suona bene? Suona male? » E così le grammatiche ci consigliano caldamente di non dire « Tra Trapani e Palermo » ma di dire invece « Fra Trapani e Palermo », a causa di quel « tra » che se pronunciato due volte di seguito rischia di trasformare la frase in un assordante tracco napoletano di fine d’anno e di scorticare orribilmente le orecchie dell’interlocutore.

    Sempre per l’ossessione dell’eufonia molti verbi italiani sono difettivi. A castrare questi verbi è la sempiterna regola del « Suona bene? Suona male? » Un solo esempio basterà. Nella Penisola nessuno mai si sognerà di usare il participio passato di risplendere: « risplenduto ». A quanto pare D’Annunzio fu il solo che osò farlo, ma noi sappiamo che con la lingua, e non solo con quella, il Vate osò questo e altro… « Risplenduto » per le caste orecchie degli italiani (oggigiorno morbosamente attratti, invece, dai suoni sgangherati di un inglese mal capito e mal parlato) « suona male ». Condanna suprema! Strano, perché il participio passato di perdere suona altrettanto male, eppure non ce lo siamo perduto.

  139. Forum sulla lingua italiana: Aeromobile al posto di aereo o aeroplano

    L’avrete notato anche voi: i termini “apparecchio”, “aereo”, “aeroplano” cessano di essere usati non appena si mette piede in un aeroporto, pardon in un’“aerostazione” prima del decollo. Qui, infatti, l’aereo diviene istantaneamente “aeromobile” o in altri casi si trasforma dannunzianamente in “velivolo”.

    Anche i mass media si compiacciono di usare “aeromobile”, “velivolo” al posto di “aereo” e “aeroplano”. “L’impatto dell’aeromobile è avvenuto un minuto dopo il decollo dall’aeroporto”, leggo in un quotidiano. E in un altro: “L’atterraggio di emergenza e l’inchiesta aperta hanno indotto ieri la società Atr a scendere in campo a difesa dei suoi vettori.” “Vettore” è anch’esso termine da addetti ai lavori che fa molto più serio d’“aeroplano” e “aereo”, termini evidentemente giudicati troppo semplici, quasi infantili. E cosi’ il pubblico si adegua.

    “Ho acquistato un volo di linea andata e ritorno Verona-Napoli e ho volato ambedue le volte con un velivolo di una compagnia straniera. I voli da me acquistati dovevano essere effettuati da aeromobili di Alitalia oppure di Alpi Eagles”, si lamenta un lettore nella rubrica delle lettere al giornale denunciando il disservizio subìto a bordo di un aereo, chiedo scusa « di un aeromobile ».

    Un qualcosa di simile succede alla parola “ospedale” che spesso deve cedere il passo nelle pagine dei giornali a “nosocomio” che ricorda tanto il compianto manicomio.

    L’importante, insomma, è che il discorso non sia troppo chiaro e che il “burocratese” abbia il posto che gli spetta.

  140. Publication d’un nouveau Bescherelle « L’italien pour tous », Info SIES.

    Nous vous annonçons la publication d’un nouveau Bescherelle ‘L’italien pour tous’ publié chez Hatier.

    http://www.sies-asso.org/publications/436-bescherelle-l-italien-pour-tous

    Auteurs: Lisa El Ghaoui et Iris Chionne, Paris, Hatier.

    Date de parution : 20/06/2012

    L’ouvrage comprend : Grammaire, Du français à l’italien (avec les problèmes de traduction les plus fréquents), Faux-amis et Vocabulaire, Conjugaison, avec à chaque fois des « mini-quiz » et « traduction express » pour réactiver des points précis. Il est très agréable à lire, pratique et joliment illustré. Il peut être conseillé aux Licences 1, 2 et plus.. (niveaux de référence B1-B2 du CECR), mais aussi aux classes du secondaire).

    En savoir plus: [Editions Hatier->http://www.editions-hatier.fr/livre/bescherelle-litalien-pour-tous
    ]

  141. Forum sulla lingua italiana: I tabù linguistici
    E questo:

    I tabù linguistici

    I tabù linguistici riguardano parecchi aspetti del nostro modo di comunicare.
    Alcuni – quasi per superstizione – ci impediscono di dire parole « brutte » che, soltanto a pronunciarle, potrebbero portare sfortuna (il mal sottile per la tubercolosi, il brutto male per il cancro e poi tutti i modi di dire per sostituire il verbo « morire »: se n’è andato, non c’è più, è scomparso, si è spento ecc.)

    Ci sono poi quelli legati alla sfera sessuale: sull’omosessualità abbiamo già detto in passato (vedi « Europa culattona »); ma il vocabolario in questo campo è ricchissimo.

    E quindi una ragazza vergine può essere anche pura e illibata (se non addirittura come mamma l’ha fatta) mentre una prostituta diventa una di quelle, una donnaccia, una donna di facili costumi o perfino una donnina allegra. L’organo sessuale maschile passa dall’innocente pisellino alla ben nota espressione cazzo (lemma che occupa un ruolo altissimo nel dizionario di frequenza della lingua italiana); il tutto attraverso un’infinità di eufemismi dialettali e non (vedi Er padre de li Santi)
    Se fare l’amore (che prevede partecipazione sentimentale) è il nemico numero uno di scopare (che prevede invece solo partecipazione fisica), entrambi questi modi di dire si confrontano con i freddissimi fare sesso, copulare, avere un rapporto sessuale, congiungersi carnalmente, e più che mai con l’ironico conoscersi in senso biblico (del genere Abramo conobbe Rebecca e nacquero 18 figli).

    Ma è nel « sociale » che i tabù linguistici ci regalano gli effetti più gustosi, in particolare quando il tabù si trasforma in politically correct e poi in censura.
    Quella che in italiano era una innocentissima e correttissima definizione per una persona con il colore della pelle scuro, negro, per interferenza inglese, passa a nero, a di colore, afro-americano ecc.

    Quello che negli anni Sessanta era un normale drogato negli anni Ottanta era già un tossicodipendente.

    La servetta del primo Novecento che veniva giovanissima dalla campagna per lavorare nelle famiglie borghesi di città, diventa prima donna di servizio e ora colf, collaboratrice familiare! Mentre il mestiere di spazzino era sporco e umiliante (se non studi, da grande farai lo spazzino!, dicevano le mamme ai loro bambini), netturbino è già più igienico e operatore ecologico addirittura prestigioso. E allo stesso modo un paramedico sarà certamente più affidabile di un infermiere così come il talento di un operatore scolastico non si potrà mai confrontare con quello del bidello! (Poca fortuna invece ha avuto il tecnico di laboratorio specializzato nella lavorazione del cuoio che continua a chiamarsi calzolaio o ciabattino).

    Chi non aveva un lavoro stabile fino a qualche mese fa si chiamava co.co.co, parola foneticamente bellissima che ha avuto una discreta fortuna nella lingua parlata. L’origine di questo termine sta nel tipo di contratto di lavoro, di collaborazione coordinata e continuativa. La precarietà di questo lavoro richiedeva però un radicale cambiamento. E infatti oggi finalmente i co.co.co non esistono più. Oggi si fanno « contratti a progetto » che garantiscono un ruolo di lavoro parasubordinato.

    La paga è la stessa, l’incertezza pure, ma lo stile è salvo!

    La questione fra i « normali » e « diversi » è stata poi la causa dell’uso e dell’abuso delle virgolette e del modo di dire « fra virgolette ». Cieco diventa non-vedente, sordo diventa non-udente, handicappato diventa portatore di handicap, disabile o diversamente abile. In un recente articolo (La Repubblica, 6 novembre 2004, pag. 39) Umberto Eco, a questo proposito, definisce Berlusconi persona verticalmente svantaggiata intesa a ovviare una regressione follicolare (basso e pelato).

    È proprio in politica che il tabù linguistico si può trasformare in vera e propria arma di manipolazione del messaggio: l’Italia non farebbe mai la guerra ma può partecipare a missioni di pace o al massimo ad azioni di polizia internazionale. E sempre nell’ambito di un intervento umanitario. Gli iraqeni che sparano addosso agli americani sono terroristi, guerriglieri, ribelli o resistenti? Qualcuno in televisione li ha chiamati perfino partigiani, scandalizzando molti telespettatori.

    E i quattro italiani rapiti in Iraq, che lavoravano per imprese americane, che lavoro facevano? « Erano mercenari! » dicono i più accesi di sinistra; « No, erano emigranti! » rispondono quelli di destra. Meglio non prendere posizione e fare come hanno fatto molti giornali che hanno usato il termine inglese contractors (che in fondo in fondo significa co.co.co).

    Ma forse questi sono problemi che non interessano troppo gli italiani. Hanno questioni più immediate da risolvere, loro! Chi vive con 500 Euro al mese (e sono milioni) è certamente molto felice di non essere povero. Tuttavia si preoccupa molto di uscire dalla categoria di quelli che sono rimasti indietro.

    http://www.scudit.net/

  142. Forum sulla lingua italiana
    Facciamo le corna

    Mi sembra divertente questo testo:

    Una lettura sull’uso, e abuso, delle corna nella lingua italiana. E sulla superstizione.

    Fare le corna (con l’indice e il mignolo della mano) è un gesto portafortuna (così come in altre culture si usa per esempio toccare ferro). Questo gesto si fa per allontanare da sé il male o la jella (la jella è la sfortuna). Per esempio, se devo fare un esame difficile posso dire « Se supero quell’esame vado in vacanza per una settimana! » e nel frattempo faccio le corna (per allontanare la jella che può fare andare male l’esame). Oppure se sono in aereo e leggo sul giornale che quest’anno sono caduti più di dieci aerei, faccio subito le corna per allontanare questa possibilità
    .
    Fare le corna è un gesto così comune che a volte non è nemmeno necessario farlo: basta dirlo! Per questo è possibile sentire anche un dialogo così:

    – Come va la tua salute in questo periodo?

    – Bene, facciamo le corna!

    Le corna si possono poi anche fare verso o contro una persona: in questo caso hanno un senso diverso. Significa dire che quella persona ha le corna in testa, cioè è « un cornuto ». Un « cornuto » è una persona che ha una moglie o un marito infedele. In una coppia il traditore « mette le corna », il tradito « ha, porta le corna ».

    Dire a una persona « cornuto » può essere terribilmente offensivo: questa offesa si usa comunemente in macchina contro gli altri automobilisti (che vanno sempre troppo lentamente o troppo velocemente e comunque non sanno guidare) o allo stadio, contro l’arbitro delle partite di calcio che, tradizionalmente, « ha più corna di un cesto di lumache ».

    Ci sono infine le corna che si fanno sulla testa della persona che sta davanti a noi in una foto di gruppo: ma queste corna sono solo uno scherzo un po’ stupido e molto infantile che viene fortemente sconsigliato a tutti i bambini, anche perché la prova della stupidità resta poi impressa nella fotografia.

    L’ho trovato qui [http://www.scudit.net/mdjella.htm->http://www.scudit.net/mdjella.htm
    ]
    Ciao!

  143. Forum sulla lingua italiana
    Ho qualche dubbio linguistico che riguarda il testo della cazone di Roberto Vecchioni Celia De La Serna. Quindi il testo e’:

    a saperti la’
    sono orgogliosa e sola,
    ma dimenticarti…
    e’ una parala….

    Cominciamo dalla prima proposizzione « a saperti la' » e’ implicita, si tratta di una proposizione condizionale?, la’ e’ avverbio di luogo? Puo’ qualcuno spiegarmi? Sono studente.
    Grazie in anticipo.

    • Forum sulla lingua italiana
      Detto che non conosco la canzone, la sua grammatica mi sembra chiara: « a saperti là » è in effetti una proposizione implicita, del tipo « sapendoti là », che si può sciogliere « esplicitamente » in una proposizione di tipo causale (più che condizionale), del tipo: siccome ti so là, o anche temporale: quando ti so là… etc. E « là » è, effettivamente, un avverbio di luogo… Buono studio, GS

  144. Forum sulla lingua italiana: Corso specialistico di Lingua Italiana Contemporanea (CLIC) – Perugia
    Vi preghiamo di prestare attenzione al Corso specialistico di Lingua Italiana Contemporanea (CLIC), fondato da Ignazio Baldelli, che tutte le estati si tiene presso l’Università per Stranieri di Perugia.

    Il tema di quest’anno è “L’italiano contemporaneo e le scritture creative: letteratura, teatro, cinema e nuovi media” (10-14 settembre 2012).

    Per l’occasione abbiamo scelto una formula un po’ innovativa; infatti, oltre agli studiosi, « saliranno in cattedra » anche alcuni autori, tra cui il premio Strega Domenico Starnone.

    Ulteriori informazioni sono disponibili nella pagina web di CLIC

    http://www.unistrapg.it/didattica/corsi-di-alta-cultura-e-specializzazione/clic

    Sandra Covino

  145. Forum sulla lingua italiana: «Oh mia patria», antologia di Vanni Pierini. In che senso ‘ci sentiamo’ italiani.
    Dopo aver letto l’antologia in tre volumi di Vanni Pierini, Oh mia Patria: Versi e canti dell’Italia unita (1. Nascita di una nazione (1796-1870); 2. L’Italia regia (1871-1946); 3. L’Italia repubblicana (1946-2011). Roma: Ediesse 2011)

    In che senso mi sento italiano (oltre che per il fatto che lo sono)? Arrivato alla fine del viaggio, se mi costringo a dare una sola risposta, la più vera e intima, la mia attuale risposta è la seguente: mi sento italiano per la lingua, quella che parlo, e molto di più quella che leggo e scrivo. Amo l’italiano, il suo suono e tutto quel po’ che so usare dei suoi ‘armonici’ e dei suoi ‘ritmi’ lessicali e sintattici. Amo la sua letteratura, per l’importanza preponderante che il verso ha avuto in essa. …

    Leggi l’articolo di Giuseppe A. Samonà cliccando su questo link: [http://www.altritaliani.net/spip.php?article1085->http://www.altritaliani.net/spip.php?article1085
    ]

  146. Forum sulla lingua italiana: Al centro del mirino è il cosiddetto linguaggio « burocratese ». Un passo indietro, di Alessio Ganci
    Al centro del mirino è il cosiddetto linguaggio « burocratese »

    Corsi per imparare a scrivere in Italiano basico? Oramai non ci si stupisce più di nulla. Al centro del mirino, tanto per cambiare, è il cosiddetto linguaggio « burocratese ». Accusato di essere troppo « difficile » per la comprensione, il linguaggio burocratico viene considerato come una « piaga » da eliminare, in nome della chiarezza.
    Il progetto, finanziato dall’Accademia della Crusca e dall’Università di Firenze, comprende dei corsi per « insegnare ai burocrati a scrivere in Italiano più semplice ». Un passo avanti? Evidentemente, per la maggioranza di giornalisti e persone. Tuttavia non si capisce molto bene che cosa sia il linguaggio burocratico. Una notizia riportata in settimana dal TG3 presenta esempi di parole burocratiche quali « obliterare » o « erogare ». Termini che sono regolarmente parte della lingua Italiana, termini atti a delineare uno specifico significato ed uno specifico contesto amministrativo. Quindi la gente, quando riceve un messaggio sul cellulare con scritto « le abbiamo erogato … Euro di credito », non riuscirebbe a comprendere il significato di « erogare »? Per sanare il « problema », bisognerebbe scoprire come sostituire la parola in oggetto: la parola « accreditato » può essere un inizio, ma temo che sia considerata pur sempre burocratica. Quindi, bisognerebbe « riscrivere » tutte le parole adatte allo specifico significato, per « semplificare la vita » alla gente, ad esempio bisognerebbe scrivere « le abbiamo dato … Euro di credito »? Un progetto all’insegna della povertà di linguaggio e di lessico, l’ennesima goccia del degrado culturale, aggravato dal coinvolgimento di una tra le Accademie più antiche d’Italia: l’Accademia della Crusca di Firenze. A scuola non ci devono andare i burocrati, che scrivono in Italiano corretto, ma la gente che sa a malapena i lemmi base dell’Italiano. È proprio vero, troppo Facebook fa male (la stessa Accademia ha un profilo sul social-network)… con il risultato che sempre più frequentemente le Università italiane sono costrette ad istituire in fretta e furia corsi di Italiano ad-hoc. Un motivo ci sarà pure…

    Alessio Ganci.
    Fonte: Trucioli savonesi

    • Forum sulla lingua italiana: Al centro del mirino è il cosiddetto linguaggio « burocratese ». Un passo indietro, di Alessio Ganci
      A mio modesto parere, quello che piu’ rende il linguaggio burocratico italiano difficile per la gente comune sono in primis la sintassi e l’organizzazione del testo.

      A partire dall’intestazione, a seguire con la successione dei paragrafi, molto spesso non risulta chiaro di cosa si parla esattamente, cosa deve fare il cittadino, dove, quando e cosi’ via…..Senza parlare del fatto che mancano i chiari riferimenti alla persona referente del tale ufficio alla quale rivolgersi per chiarimenti….Questo è sintomatico! Infatti, il fatto che in Francia il referente sia sempre esplicitamente indicato con numero di telefono, orari…significa che la maggior parte dei riceventi non avranno bisogno di chiarimenti!!!! Chiaro,no ??!!

    • Forum sulla lingua italiana
      Gentile lettore si scrive qual è senza l’accento. Questo perché si tratta di un troncamento e non di una elisione. In effetti esistono parole (aggettivi, pronomi) che davanti alle vocali e finanche davanti alle consonanti prevedono un troncamento sull’ultima vocale. Es. Nel qual caso oppure « tal qual ». Spesso, nel linguaggio vivo questi troncamenti sono divenuti desueti, essendo appartenenti a registri linguistici ancora presenti nel tardo ottocento inizio novecento, ma che oggi sono superati dalle consuetudini linguistiche maturate. Non è, tuttavia, il caso di qual è che resta con la sua tronca.

    • Forum sulla lingua italiana
      Mi accorgo che per mera distrazione ho scritto che si scrive qual è senza l’accento là dove volevo dire senza l’apostrofo. Mi scuso con il signor Toniale. Per il resto quanto detto resta valido.

  147. Forum sulla lingua italiana: Un saluto “altro” ad Antonio Tabucchi, di Ilena Antici
    Antonio Tabucchi aveva qualcosa di un altritaliano.

    Capace di vivere tra ben tre paesi diversi e di essere presente nella vita intellettuale di tutte e tre. Ha reso grandi servizi a questa Italia mal messa e «così bella», ha regalato libri, parole e incontri alla Francia che non smetteva di ammirare dalla sua finestra parigina, ha amato e rispettato fino in fondo il Portogallo e la sua Lisbona che così tanto gli appartenevano.

    Tabucchi difendeva la sua lingua eppure non disdegnava di vivere dentro le altre, di assaporarle, di conoscerne i tic e le profondità. Parlava perfettamente francese e portoghese, ma la sua penna era italiana. Forse avrebbe sorriso, oppure si sarebbe indignato, nel sentirsi definire un “toscan francophone” da un articolo apparso in questi giorni su Le Monde: francofono? Proprio lui che anche da qui scriveva in italiano e fedelmente si faceva tradurre in francese da Bernard Comment?

    Era un italiano altro, anche da lontano sempre vicinissimo all’attualità politica e sociale dell’Italia. Sosteneva, riprendendo Pessoa, che «l’unica patria di uno scrittore è la sua lingua». Per questo la sua morte ci riguarda tutti. Perché segna la fine di percorsi linguistici unici che solo lui sapeva abitare. Finisce un inchiostro prezioso, dal quale fortunatamente ereditiamo terre e libri che per l’impegno e per lo stile furono scelti in Francia come programma dell’agrégation di italiano (nel 2007)….

    Per leggere tutto l’articolo, ecco il link: http://www.altritaliani.net/spip.php?article1029

  148. Forum sulla lingua italiana : Dante Alighieri, padre della lingua italiana ? Un’inchiesta alle radici della secolare « questione », di Noemi Ghetti
    Al bivio dello Stilnovismo, lo scontro sulla natura dell’amore e l’origine della poesia con Guido Cavalcanti, maestro e “primo amico”.

    Come la “pantera profumata”, la lingua volgare nata in Sicilia dalla rivolta di Federico II alla cultura ecclesiastica, adottata in Toscana dopo la sconfitta ghibellina, fu addomesticata, cresciuta e legittimata dal Sommo Poeta.

    Che il latino – al pari delle altre lingue romanze, dette appunto neolatine – sia la lingua madre dell’italiano e che Dante ne sia il padre è un’affermazione universalmente accettata, e tanto consolidata da apparire indiscutibile. La lingua è certamente l’elemento di più sicura identità per la fisionomia storica dell’Italia, e la “repubblica delle lettere” precede di almeno cinque secoli la nascita dello Stato italiano. In effetti circa il 90% delle parole del moderno vocabolario, come afferma il linguista Tullio De Mauro, è già presente nella Commedia………….

    Per leggere il testo completo dell’articolo, clicca su questo link :

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article949

  149. Forum sulla lingua italiana : L’italiano di oggi diventa neostandard. Come cambia la lingua italiana tra plastismi e nuovi registri linguistici. Un’ intervista al Prof. Natale Fioretto, Università per Stranieri di Perugia.
    Un’intervista a Natale Fioretto, linguista, prof. dell’Università per Stranieri di Perugia, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Italiano. Appunti e disappunti” (Graphe.it edizioni)

    Francesca Sensini, per Altritaliani:

    Presenterà il suo ultimo libro, “Italiano. Appunti e disappunti”, a Parigi il 3 dicembre (presso il Centre Italiance, 14 rue de Trévise, Paris 9e, ore 18) su invito di Altritaliani. Potrebbe riassumerci il suo contenuto, i suoi fruitori ideali e le ragioni che hanno indotta a scriverlo? In che modo si serve del suo manuale nel quadro dell’insegnamento all’Università per Stranieri di Perugia?

    Natale Fioretto :

    Sì, la presentazione del libro mi riporterà a Parigi. Sinceramente non lo speravo, ma ne sono felice. Il manuale nasce da uno studio durato una decina di anni. Anni nei quali ho insegnato presso l’Università per Stranieri di Perugia nei corsi avanzati di lingua di livello C1 e C2, che secondo il quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue corrispondono a un post-intermedio e un avanzato. Avevo l’esigenza di fare chiarezza e organizzare la vasta messe di materiale che nel tempo avevo raccolto. Tra l’altro volevo arricchire la bibliografia orientativa degli studenti dell’università con un manuale sintetico, chiaro ed efficace in cui trovare la classica “regola”, accanto alla possibilità di confrontarsi con testi autentici di varia provenienza. Il manuale è suddiviso in quattro parti: una teorica dedicata alla rappresentazione sincronica della lingua italiana. Una seconda più strettamente normativa in cui dedico particolare attenzione all’aspetto verbale. Segue un’antologia di testi con attività esercitative e, per concludere una batteria di esercizi classicamente intesi per riportare lo studente ai “vecchi tempi” in cui le regole venivano rinforzate da decine di esercizi.

    F.S. :

    Il titolo del suo manuale, “Italiano: appunti e disappunti”, suona modesto – per l’idea dell’annotazione breve a uso didattico – e, insieme, intrigante per la polisemia del “disappunto”. A quali presupposti teorici, in ambito generalmente linguistico, allude questa coppia ?

    PER LEGGERE L’INSIEME DELL’ARTICOLO, CLICCA QUI

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article899

  150. Forum sulla lingua italiana : IL PARLATO GIOVANILE, un intervento della linguista Patrizia Manili per Altritaliani
    Il linguaggio giovanile ha fortemente contribuito al formarsi del cosiddetto “italiano neostandard”. Ospitiamo un’importante intervento della linguista Patrizia Manili dell’Università per Stranieri di Perugia. Un excursus sulla recente evoluzione storica e sociologica della lingua italiana utile non solo ai docenti (anche all’estero) e agli studiosi, ma a tutti gli interessati a conoscere l’evoluzione della società. Oltre 4000 termini nuovi negli ultimi anni. La lingua italiana appare oggi più che mai viva, le forme scritte inaspettatamente prevalgono sul linguaggio orale, grazie alle nuove tecnologie. Mo non sono tutte rose e fiori.

    Il linguaggio giovanile, impostosi all’attenzione degli studiosi alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, viene oggi riscoperto in relazione alla video-scrittura ( la scrittura della posta elettronica, delle chat, degli sms).

    Poco più di una ventina di anni fa il linguaggio giovanile consisteva, secondo una definizione di Raffaele Simone, in una “rielaborazione addolcita” dei gerghi della malavita e, anche, del gergo militare, a cui attingeva una quantità di voci.

    LEGGI SU ALTRITALIANI L’ARTICOLO DI PATRIZIA MANILI, DOCENTE DI LINGUISTICA DELL’UNIVERSITA PER STRANIERI DI PERUGIA.

  151. Dedicato a Gigi VINCENZI: ora, senza di lui, il dialetto ferrarese non sarà più lo stesso…
    Nel giorno in cui arriva l’estate ci lascia Gigi VINCENZI, cultore e poeta di quella magnifica lingua regionale che è il ferrarese. Lo ricordiamo con questo intervento e con una sua lirica con traduzione italiana da cui si può ben apprezzare la ricchezza linguistica dell’Italia.

    La redazione di Altritaliani.net

    Ha ‘scelto’, per andarsene, il primo giorno d’estate, chissà perché.

    Lui era nato a novembre 1926, poco dopo un’altra estate, quella indiana, di San Martino, quella dedicata alle persone scomparse come lui, ora.

    E’ con grande dolore che ho appreso da poche ore della morte di Luigi Vincenzi detto Gigi un grande Maestro della Cultura e Civiltà Ferraresi, quelle davvero con la maiuscola e, per me, uno dei migliori mèntori, un ‘raro’ padre, quasi come il mio, mancato circa un anno fa.

    Aveva un altro simpaticissimo scutmai o nôm de plume che dir si voglia, nella migliore tradizione di casa nostra e di famiglia, TAMBA. Anche l’amatissimo zio materno, infatti, il colonnello Nino Tagliani, pure scrittore e poeta, ne possedeva uno, Fanghét.

    Era figlio del ‘suo’ Po, cui aveva dedicato tante liriche e persino nell’unica opera in prosa che aveva scritto, il dramma vagamente guareschiano I residuàt ad guèra, c’era il Grande Fiume tra i suoi ‘protagonisti. Era nato a Bondeno, territorio di passaggio, di confine dove l’acqua ‘la fa da padrona’

    Gigi è stato davvero un grande maestro, anche di scuola.

    Aveva insegnato in tutti i comuni della provincia di Ferrara: sue – a ragione e per diritto – tutte le lingue ferraresi parlate che per lui, le minime varianti comprese, non avevano segreti.

    Nel suo DNA erano talmente fissate quella cultura e civiltà totae nostrae che riusciva a trasmetterle ai bimbi a cui aveva insegnato anche a …vivere: la sua preparazione e la sua esperienza gli avevano consentito di mantenere nella memoria e di tramandare, con la docenza e l’ars poetica dei suoi scritti, le parole più antiche della nostra polifonica lingua dialettale, quelle che ormai pochi ancora sanno e, ancor meno, ricordano ed usano.

    “ …La scomparsa delle cose che, per loro natura, son riferite ad un peculiare tipo di cultura e civiltà come quella contadina, ad esempio, procede di pari passo con la ‘morte’ delle parole popolari e dialettali che, nello specifico, tutto ciò definivano e che resteranno sepolte per sempre, se nessuno mai le ‘resusciterà’ da tale oblìo o scomparirà l’ultima persona che le pronunciava…”.

    Cito a memoria questo passo fondamentale di Gian Luigi Beccaria, insigne linguista e saggista, e nessuna affermazione potrebbe esser più vera, riferita alle parole del nostro dialetto, dei dialetti e delle lingue in via di estinzione, in generale.

    Ed era proprio contro questa perdita inesorabile e definitiva che si rivolgeva Grépul, la silloge di poesie e testi in lingua ferrarese del Maestro Vincenzi, del 2003, un testo comprendente la sua opera omnia che ho avuto l’onore di curare e da cui traggo, in omaggio a Gigi, una lirica di speranza, Am par’d santir , una di quelle da lui scritte per la prima nipotina, l’adorata Lucrezia, quando al dì dla guàzza ad San Zuàn del 1998, il 24 giugno, la figlia Sabrina annunciò a lui ed alla moglie, la signora Mirella, che presto sarebbero diventati nonni.

    A loro, con un forte abbraccio, la dedico a mia volta, con molto affetto ed un ‘Non dimenticheremo mai Gigi: ora, senza di lui, il dialetto ferrarese non sarà più lo stesso…’.

    Am par’d santir

    Sì!…L’è sicur!…

    E’ dré rivar Lucrezia!

    Am par ’d santir…

    un pistazar ’d pidìn ch’al vién vèrs mi;

    am par ’d santir…

    il so manìn mulsìn che l’im fa ziéra;

    am par ’d santir…

    i so caviin ad séda

    ch’im fa scarmir intant ch’im fa gatuza.

    Déntar da mi as armisia i sentimént…

    Am par’d santir…

    la sò vuslìna frésca

    che cucaiand la ciama sò nunón.

    Mi pare di sentire

    Sì!…E’ sicuro!…

    Sta arrivando Lucrezia!

    Mi pare d’udire…

    uno scalpiccìo di piedini che viene verso di me;

    mi pare di sentire…

    le sue manine soffici che mi accarezzano;

    mi pare di sentire…

    i suoi capellini di seta

    che mi fanno rabbrividire

    mentre mi fanno il solletico.

    Dentro di me si rimescolano i sentimenti…

    Mi par d’udire..

    la sua vocina fresca

    che ‘cucaiando’ chiama suo nonno.

  152. « L’Italie, c’est avant tout une langue », Umberto Eco interviewé par « Le Monde », 18/03/2011
    Umberto Eco : « L’Italie, c’est avant tout une langue »

    « L’Italie fête les 150 ans de son unité. Anniversaire morose, galvaudé par les tensions récurrentes mais croissantes entre le Nord et le Sud, les scandales à répétition et les frasques de son président du conseil. Silvio Berlusconi ou la caricature d’une certaine Italie : truqueuse, comédienne, machiste, provinciale et vulgaire. Irritante et inquiétante. Mais une autre Italie demeure, géniale et envoûtante, l’Italie de l’harmonie du climat et des palais, des hommes et des choses.

    Umberto Eco appartient à cette Italie-là, cosmopolite et éclairée, il est l’un de ces chefs de file, un monument d’érudition, professeur émérite de sémiotique, de linguistique et de philosophie, spécialiste d’esthétique médiévale et romancier à succès : dans la lignée du Nom de la rose et du Pendule de Foucault sort ces jours-ci en France son dernier opus, Le Cimetière de Prague(Grasset), une fresque riche en rebondissements, en complots antisémites et maçonniques dans l’Europe de la seconde moitié du XIXe siècle. »

    Lire la suite de l’article et les propos d’Umberto Eco recueillis par Olivier Guez, envoyé spécial du journal à Milan.

  153. Forum sulla lingua italiana di Altritaliani.net. IL 22° SIMPOSIO INTERDIALETTALE DI PRIMAVERA NEL 150° ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA a Vattaro – Trentino / 17 aprile 2011
    Oltre che dal Trentino, dal Veneto,dall’Emilia e dalla Lombardia saranno presenti numerosi poeti e gruppi per attestare l’importanza della cultura dialettale.

    La prossima domenica, al teatro di Vattaro, in provincia di Trento, avrà luogo la 22a edizione del Simposio di Primavera, organizzata dal pluri-ventennale Cenacolo Trentino di Cultura Dialettale – è stato fondato, infatti, nel 1989. Un evento, che già dalle molte adesioni, costanti nel tempo, si rivela di notevole rilevanza.

    Saranno, infatti, presenti molti poeti e molti gruppi da varie regioni d’Italia. Dal Trentino: «Vozi en dialèt», «Il Tamburo del Sole» e il «Gruppo Culturale di Cognola», che operano sul territorio del Comune di Trento; il «Gruppo Poesia 83» con sede a Rovereto, il «Gruppo culturale «Judicaria» con sede a Tione; il gruppo poetico «El Ròcol» di Fiera di Primiero. Dalla provincia di Verona: il Cenacolo «Gino Beltramini» ed il Cenacolo «Berto Barbarani» di Verona; il gruppo dei «Poeti del Luni» di Negrar, il gruppo culturale «El Casteléto» di Dolcè, il «Gruppo poeti» di Belluno Veronese. Dalla provincia di Vicenza: l’«Academia Aque Slosse» e il gruppo «Amissi de’a poesia» di Bassano del Grappa, il gruppo poeti de «El Graspo» di Thiene, il gruppo poeti de «La Panòcia» di Schio, un poeta da Padova. Dalla Lombardia, il Cenacolo «Al Fogolèr» di Mantova, l’Associazione «Acaya» di Como; poeti da Bergamo e da Erba di Como. Dall’Emilia, poeti da Bologna e da Ferrara.

    Invitata, fra gli altri, da anni, anche chi scrive, appassionata e fedele sodale per il lungo e da loro riconosciuto lavoro di ricerca linguistico – letteraria, non solo dialettale.Perché, per dirla con le parole del prof. Elio Fox, presidente del Cenacolo Trentino:

    “(…) Si badi a quella che non è una sottigliezza accademica o una svista: Cenacolo trentino di cultura dialettale e non Cenacolo dialettale di cultura trentina. I promotori non volevano essere un circolo chiuso, ma lasciare fin dall’inizio la porta aperta verso altre realtà, convinti che l’«autarchia culturale» non giova a nessuno, soprattutto nel campo della cultura dialettale e popolare in decennale sofferenza (…). Come «nessun uomo è un’isola», neppure un’associazione lo è. Anzi proprio l’etimo suggerisce colleganza, comunione, amicizia (socius = amico). Quindi, dopo i primi incontri fra i soli soci, gli inviti sono stati rivolti prima ai gruppi trentini e poi via via, anno dopo anno, gli inviti sono stati allargati a gruppi del Veneto, della Lombardia ed infine anche dell’Emilia-Romagna. Gli inviti sono stati accolti da quasi tutti senza difficoltà, anche se venivano a spese loro.

    Si è così scoperto che era bellissimo trascorrere delle ore assieme, scambiando opinioni, avanzando proposte, individuando problemi comuni. Nel volgere di pochi anni, quello che era nato, nel 1989, come un incontro fra i poeti del gruppo e dei loro familiari, è gradualmente diventato un appuntamento interregionale di grande spessore sociale e culturale, ormai sempre atteso e sempre più frequentato, momento quasi simbolo di solidarietà e fraternità poetica interregionale. E dal 1996 si chiama «Simposio di Primavera».

    Che senso, dunque, dare all’evento in un contesto quale quello di quest’anno commemorativo del 150enario dell’Unità del nostro Paese?

    Forse, sic et simpliciter, il senso dell’Unità Italiana, nel rispetto delle peculiari identità linguistiche, è un accomunarci nel Non dimenticare di Ricordare le nostre radici, la lingua di latte, quella dialettale, tanto cara a Foscolo come a Pasolini, è il ‘tener presente’ da dove veniamo per non perdere di vista dove andremo, per meglio ricongiungerci con quella ‘madre’ seppur ancor ‘giovine madre’, quell’Italia appena centocinquantenaria che è anche loro ‘sorella’, poiché tanto anche le lingue dialettali – e, per l’appunto, quella Italiana – devono alla Grande Madre, quella Latina.

  154. Stage linguistique : Pratiquer la langue italienne en découvrant la Calabre, région méconnue du 11 au 18 septembre 2011
    Stage linguistique : Pratiquer la langue italienne en découvrant la Calabre, région méconnue du 11 au 18 septembre 2011

    Les diverses activités proposées seront centrées essentiellement sur l’expression orale, pour la rendre plus aisée et enrichir le vocabulaire. Néanmoins les moments consacrés à la lecture et à l’écriture ne manqueront pas.

    Le contenu du stage s’articulera sur quatre thèmes traités quotidiennement en prenant pour source les lieux visités (Calabre byzantine, Magna Grecia , Gerace , cascades, monolithes, villages typiques , maquis méditerranéen) et les rencontres avec les gens qui vivent où nous serons accueillis ( bergers, forestiers ,musiciens , membres d’associations socio-culturelles…)

    Pour toute information : Anna Pollini 01 55 86 29 55 ou 06 60 61 03 23 ou

    anna.pollini@wanadoo.fr

  155. Nascita della lingua italiana. Cavalcanti e Dante, pensiero e fede, di Gian Carlo Zanon su Altritaliani.net
    “Lo scontro sulla natura dell’amore e della poesia che oppone i due grandi scrittori del Duecento, Guido Cavalcanti e Dante, segna l’epilogo della ricerca nata con la rivolta dei poeti siciliani al latino della cultura ecclesiastica, e si rivela decisivo per le sorti della letteratura e della lingua italiana. »

    Così recita il testo esplicativo, stampato sul risvolto di copertina, del nuovo libro di Noemi Ghetti, ‘L’ombra di Cavalcanti e Dante’, Asino d’Oro Editore. E già questo piccolo prologo fa tremare i polsi al lettore: asserire che la lingua italiana nasce come “rivolta dei poeti siciliani al latino ecclesiastico” è un assolutamente nuovo. Ma anche dire che la lingua italiana si sviluppa nello scontro “sulla natura dell’amore” è un’assolutamente nuovo.

    Poi, leggendo il libro della Ghetti, laureata in lettere classiche all’Università di Padova con una tesi sulla storia greca, si scopre la sostanza vera di questa ricerca che affonda nelle profonde radici semantiche del nostro linguaggio: la passione. La passione, temprata in un nuovo metodo di pensiero, usata per decifrare la storia delle parole e degli uomini che hanno dato ad esse significato e senso, è la chiave usata dall’autrice per aprire le porte dell’invisibile, che occultano la verità sul farsi del nostro idioma.

    Eppure i più grandi sapienti e filosofi acclamati, tranne Bruno e Campanella, avevano sempre asserito che la passione, non solo è uno stato patologico della psiche, ma anche che impedisce la conoscenza della verità. Già in Platone ed Aristotele la passione ha il senso di un’alterazione patologica. Condillac nel trattato delle ‘sensazioni’ parla della passione come una “inclinazione dotata di grande intensità, che si impadronisce della mente dell’uomo impedendole di rivolgersi ad altro oggetto”. Per Kant le passioni sono “cancri della ragion pura pratica e generalmente inguaribili”. Cartesio ne ‘Le passioni dell’anima’, afferma che “le passioni sono modificazioni dell’anima, prodotte da ‘spiriti animali”. A quanto sembra, per i filosofi, la passione è uno stato di alterazione animale che impedisce di accedere alla conoscenza.

    Invece, l’autrice di questo importantissimo libro sulla lingua italiana, utilizza questa ‘patologia’ per uscire dai binari tracciati dalla ragione, e ciò le permette di indagare ombre, angoli bui e scoprire piccoli varchi di sapienza disseminati nella letteratura, per poi ‘ricreare’, ex novo, la storia delle origini della lingua letteraria italiana, che si sviluppa dopo essersi liberata dai lacci del latino ecclesiastico.
    …………….
    ……………..;;

    LEGGI TUTTO QUESTO INTERESSANTE ARTICOLO DI ALTRITALIANI CLICCANDO su :
    http://www.altritaliani.net/spip.php?article687

  156. Forum di Altritaliani sulla lingua italiana: Dai briganti ai festival la parola dei 150 anni
    Venticinque vocaboli che hanno accompagnato l’Italia unita scelti dai linguisti. Con la costante della famiglia e del burocratese, sconfitto solo dal testo della Costituzione composto da termini comprensibili quasi a tutti

    di MASSIMO ARCANGELI

    È il 1947. Per Leo Longanesi il tricolore dovrebbe portare impressa la scritta ho famiglia; la locuzione passerà di bocca in bocca come tengo famiglia. Ironie amare negli stessi mesi in cui viene approvato il testo definitivo della nostra Costituzione: 1.357 vocaboli – ha calcolato Tullio De Mauro – dei quali 1.002 riconducibili al lessico di base dell’italiano. Una sfida al Paese dei mille campanili e degli altrettanti dialetti: il 74% circa del vocabolario del testo costituzionale è perfettamente comprensibile alla maggioranza dei cittadini.

    Una vera anomalia, a pensarci bene, nella palude mortale del nostro linguaggio giuridico-amministrativo; quell’italiano burocratico colpito da tanti anatemi per la sua oscurità, prolissità, sgradevolezza, che raggiungono il massimo storico nell’Ottocento. Negli anni Settanta del secolo scorso viene coniato il termine dispregiativo burocratese. Darà vita alla genìa degli « -ese ». Fino al « politichese », sul quale ironizzeranno tanti giornalisti costretti a decifrare il frasario funambolico, complicato, criptico della Prima Repubblica. Non solo, ma soprattutto, democristiana.

    SCEGLI LA PAROLA DEI 150 ANNI

    Costituzione, democristiano, tricolore, famiglia, burocrazia, dialetti. Sono sei fra le 25 parole selezionate da « Repubblica » per rappresentare 150 anni di storia unitaria. Il Regno d’Italia viene proclamato ufficialmente il 17 marzo 1861. L’11 marzo, all’atto della presentazione del progetto legislativo, Cavour aveva parlato dell’Italia come di una « nobile nazione » già unita nella « stirpe », nella « lingua », nella « religione », oltreché nel passato doloroso e nel futuro di una completa riscossa; quel paese, dopo tre secoli di servaggio, si era finalmente risvegliato e si apprestava a diventare « uno » anche « di reggimento e d’istituti ».

    Il cammino verso la meta, di una nazione una e indivisibile, sarebbe stato invece molto lungo; e anche la supposta unità cavouriana di « stirpe », « lingua » e « religione » si sarebbe rivelata una dura, faticosissima conquista.

    Delle questioni centrali o scottanti, dei problemi vecchi e nuovi da risolvere, dei drammi e delle tragedie italiane all’indomani dell’unificazione dicono abbastanza il « brigantaggio » e l’emigrazione. Il brigantaggio (parola invisa ai puristi ottocenteschi, proveniva dal francese), ripetutamente evocato nel dibattito storiografico e giornalistico successivo all’unificazione, fu il primo capitolo di quella che sarebbe poi diventata la dolente questione meridionale. L’emigrazione, ai suoi massimi storici – gli anni compresi tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento (il picco fra il 1906 e il 1910) – , dopo i contadini e gli artigiani del Nord vede spostarsi specialmente i giovani braccianti meridionali, che lasciano i propri paesi d’origine per gli Stati Uniti o per le città del triangolo industriale…

    FONTE / LEGGI L’ARTICOLO PUBBLICATO SU REPUBBLICA (04 gennaio 2011)

    http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/01/04/news/parola_dei_150_anni-10840880/?ref=HREC2-6

  157. dal sardo all’ italiano
    si è accesa una discussione con delle ragazze riguardo la frase: il minestrone vuole rifatto.
    in sardo si dice « cheret fattu » ma non ritengo si possa traslare direttamente nell’italiano corretto.
    io continuo ad affermare che è grammaticalmente scorretta poichè il verbo volere in modo passivo e inoltre accompagnato dal verbo rifare non può esser attribuito certamente al minestrone che è inanimato e incapace di volontà.
    se vi fossero anche altre spiegazioni e referenze documentabili ve ne sarei grato, non è uno scherzo e ha fatto nascere una vera e propria lite, grazie

  158. Forum sulla lingua italiana. Cosa c’è dentro la Slangopedia ? di Maria Simonetti. Fonte Repubblica.it
    Cosa c’è dentro la Slangopedia

    di Maria Simonetti

    Fonte L’Expresso


    « Slangopedia » è il vocabolario online dei linguaggi giovanili: la prima « enciclopedia dello slang », appunto, nata da un’inchiesta del 1998 (intitolata « Parliamoci in under 18 »).

    Comincia con « a come ammucchiarsi » e finisce con « z come zaccagnata » mettendo in fila più di 1200 voci e modi di dire: Slangopedia, autocompilato by mail e oggi anche by video (telecamera o telefonino), è il primo dizionario slang della digital generation, teenagers anni 2000 che riscrivono e reinventano ogni giorno l’alfabeto a botte di sms, mail e blog.

    Più di 3 milioni di 14-18enni che navigano abitualmente su Internet, più della metà dei quali possiede un Ipod o un lettore mp3 e che scrivono oltre 10 sms al giorno. In nome dell’imperativo categorico: comunicare, essere connessi con più persone possibile e in minor tempo.

    Scorrendo la Slangopedia salta agli occhi che sono digitali, sì, i nuovi teenagers, ma come i loro papà tra loro soprattutto parlano di sesso, adocchiamenti, abbordaggi e avvicinamenti carnali: espressi da Monza a Catania con neologismi come « carniforare », « pasturare », « misciarsi », « ammoccarsi » oltre a « quiko » (una sveltina), « domopack » (il profilattico), « profiterol » (uno che ci prova sempre), « stare a ferro » (non avere un fidanzato da tanto tempo).

    Di certo frequentano il mondo di spinelli e affini, i teeager, da cui vengono « barella »(cocaina), « paparina », « crecola », « geografica » « bonza », »bob marley »(spinello), « pepperepè ». Il look li classifica in « pariolini » (a Roma), « piazzarotti » (a Treviso), « crocettini » (a Torino), « fumobici » (a Bologna), « carlotte », « cozzale » e « vrenzole » (a Firenze, a Bari, a Napoli).

    Uno dei loro desideri più diffusi è marinare la scuola, che si dice da regione a regione in oltre 20 modi diversi, come « cagnare », « bossare », « jumpare », « nargiare », « fare lippe », « fare cavalla », « fare forca », « fare chiodo ». Infine, sono bravissimi a inventare neologismi dall’inglese, come « allipparsi » (to lip, baciare), « allokare » (to look, gaurdar fisso), « flettosa » (flat, piatta), « oddinico » (odd, vecchio), « drinkare » (to drink), « oneshottare » (one shot).

    E anche ad arricchire il « texting language », ossia il linguaggio sms vero e proprio, con parole abbreviate, raddoppiate e invertite, tipiche da gruppo a gruppo. Come « cisi » (ci ci vede), « brenso » (breve+ intenso), « gs » (già sai), LOL (laughing out loud, ammazzarsi di risate), CTM (cazzi tuoi mai?), « mela » (mail), MOM (‘miezz ‘o mercato, ossia taroccato).

    Partecipa alla Slangopedia :

    Continua ad arricchirsi il vocabolario giovanile, scherzoso e creativo fatto di sigle, metafore e neologismi rielaborati. Ora è possibile anche inviare all’Expresso video e audio ripresi con il computer o il vostro telefonino: così potremo conoscere il vero slang direttamente dalla vostra voce.
    Chiunque può contribuire ad arricchirla e ad aggiornarla: basta inviare usare il link qui di seguito con le nuove parole e/o i video che volete inserire.
    Clicca qui : http://temi.repubblica.it/espresso-slangopedia/2008/11/10/la-slangopedia-diventa-video/?com=1439#commenti

    • Forum sulla lingua italiana. Cosa c’è dentro la Slangopedia ? di Maria Simonetti. Fonte Repubblica.it
      Mi spieghi perche’ un enciclopedia di modi di dire nuovi diffusi tra i giovani italiani si debba chiamare « slangopedia »?Anche in questo forum dove si parla di lingua italiana si adottano arbitrariamente termini anglosassoni, senza necessita’ alcuna. Nell’articolo in questione inoltre ritroviamo: « parliamoci in under 18 »! Complimenti per l’incoerenza dell’autrice Maria Simonetti! Avrebbe fatto piu’ figura adottando termini corrispondenti in italiano!

  159. Forum sulla lingua italiana. Che fine faranno la lingua e la letteratura italiana?
    1 Aprile 2010

    In vista del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia si fa un gran parlare della difesa della lingua italiana, proprio mentre i dipartimenti di lingue e letteratura rischiano di sparire dalle università, con conseguente allarme dei docenti dei più grandi atenei. Che cosa accade: seconda una norma della riforma Gelmini, per formare un dipartimento ci vogliono fra le quaranta e le cinquanta cattedre, una misura condivisibile, con l’obiettivo di evitare sprechi, ma che va attuata con buon senso e che in questo modo – come precisa Marco Santagata – costringe gli studiosi ad allearsi con altre discipline. In nessun altro paese europeo è mai accaduta una cosa del genere: togliere rilievo, anche soltanto simbolico, alla lingua nazionale mentre In Italia, in qualche facoltà già avviene (come la facoltà di scienze della formazione di Bologna, dove ci si può laureare senza avere mai sostenuto un esame di lingua). Il principio che domina queste norme è corretto, votato al risparmio, ma le conseguenze sono folli e il prezzo da pagare, perdere uno dei profili essenziali della cultura italiana, è troppo alto.
    La scomparsa dell’italiano, 31 marzo 2010, La Repubblica, scarica l’articolo [pdf]

  160. 28/10/2010. Forum sulla lingua italiana di Altritaliani. « L’ora d’italiano ». Incontro con Luca Serianni della Università “La Sapienza” di Roma.
    Il Forum sulla lingua italiana di Altritaliani si arricchisce di un nuovo e importante contributo: un’intervista al Prof. Luca Serianni, docente di Storia della Lingua italiana all’Università “la Sapienza” di Roma, autore del libro “L’ora d’italiano. Scuola e materie umanistiche”, Editori Laterza, 2010. Alla luce di una lunga esperienza e di una grande sensibilità didattica, Luca Serianni, tra i “saggi” incaricati della supervisione dei nuovi programmi entrati in vigore nel settembre 2010, parla della lingua italiana, a scuola ma non solo, con riferimenti al latino e ai dialetti regionali.

    – In qualità di consulente del Ministero della Pubblica istruzione per la Riforma Gelmini, ha dovuto lavorare alla messa a punto dei programmi, nello specifico per le materie umanistiche, italiano, latino e greco. Quali sono stati i cambiamenti più importanti apportati ai programmi?

    A parte il greco, che è rimasto sostanzialmente immutato, per il latino si è dovuto fronteggiare il forte ridimensionamento orario nei licei scientifico e linguistico. L’orientamento è stato quello, almeno per questi due indirizzi, di depotenziare l’importanza della prova scritta, la tradizionale « versione », insieme col soggiacente apparato teorico, del resto non sempre adeguato per raggiungere un’accettabile padronanza della lingua di Roma……

    LEGGI TUTTA L’INTERVISTA : http://www.altritaliani.net/spip.php?article566

  161. Settimana della Lingua Italiana nel Mondo

    Tra i pilastri dell’identità italiana una funzione portante è stata assegnata alla lingua e alla letteratura. Noi siamo la nostra lingua perché l’idioma è la nostra prima caratterizzazione quando cominciamo a parlare. E proprio perché lingua, coscienza e identità formano un tutt’ uno, può risultare straniante confrontarci con la nostra lingua parlata da stranieri, espressione anche di sensibilità e mondi diversi. Ritrovarla stravolta, ma anche rinnovata, nella scrittura di autori che non sono di origine italiana. Vederla restituita a una purezza da libri di scuola, oppure piegata a sonorità che vengono da lontano. Per noi italiani sono queste esperienze recenti come il fenomeno che le ha prodotte, cominciato timidamente alla fine degli anni Ottanta, ed esploso nell’ultimo decennio con la trasformazione dei migranti in abitanti stabili del nostro Paese, con la crescita di giovani scrittori, italiani per formazione e sensibilità, ma portatori — per le origini della famiglia — di culture altre. “Broken italian”, è stata definita questa lingua ma opportunamente è stato osservato che più dell’italiano è l’Italia a rompersi e ad aprire nuovi spazi. Sono poi questi spazi condivisi che rendono più ricca l’avventura interculturale che caratterizza la vita sociale del nostro Paese e la stessa lingua parlata dagli italiani. All’italiano nostro e degli altri è dedicata la X edizione della Settimana della Lingua italiana nel mondo, il principale evento internazionale di promozione della nostra lingua, organizzato dalla Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale del Ministero degli Esteri, in collaborazione con l’Accademia della Crusca. La manifestazione, intitolata « Una lingua per amica: l’italiano, nostro e degli altri” si avvale come di consueto della partecipazione delle principali istituzioni culturali pubbliche e private italiane e si svolge sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. La collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca assicura alla Settimana una dimensione nazionale che, sottolineando i valori identitari del nostro patrimonio linguistico, realizza un collegamento ideale con la ricorrenza, nel 2011, dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Dal 18 al 24 ottobre gli Istituti di Cultura, le Ambasciate e i Consolati, i Lettorati universitari e le Scuole di italiano nel mondo propongono un ricco programma di iniziative, di incontri con scrittori italiani e di proiezioni di film legati al tema della Settimana. Il cinema e la musica, forme di espressione predilette dai giovani, protagonisti e pubblico d’elezione della Settimana, fanno la parte del leone tra gli eventi in programma. In particolare tra i progetti varati si segnala “Porta Parola: la lingua italiana in musica” che intende promuovere una serie di spettacoli di giovani cantautori di talento che hanno saputo esprimere lo studio della lingua attraverso la canzone d’autore. Dalla collaborazione instaurata con il MiUR è nato il Concorso dedicato agli studenti degli Istituti di Alta Formazione Artistica per la creazione di un logo per la “X Settimana” e sempre nell’ambito di tale collaborazione è stato esteso all’estero il progetto “Musica e Parole: 10 in poesia” , già in programma nelle scuole del territorio metropolitano, che vede la trasposizione in musica di poesie dei maggiori poeti classici italiani. Anche il consueto concorso letterario dedicato agli studenti delle scuole italiane all’estero ruota intorno alla musica: in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia è stato proposto agli studenti di comporre un testo in lingua italiana su basi musicali preregistrate e disponibili su un sito dedicato all’iniziativa. Il concorso per gli studenti di italiano delle Università straniere verte invece sulla creazione del finale di un racconto inedito di Claudio Magris. Da segnalare infine la mostra leggera (perché realizzata su supporto digitale tale da consentirne la condivisione e la fruizione simultanea presso le rappresentanze italiane sparse per il mondo) sul tema “Parole e luoghi in transito: l’Italia delle culture migranti” con cui la Società Geografica Italiana partecipa alla decima edizione della Settimana di cui è partner storico.

    Articolo tratto da Italica.rai.it

  162. Forum sulla lingua italiana: Storia della Lingua Italiana realizzata dal Prof. F.Bruni dell’Università Ca’ Foscari di Venezia
    Altritaliani vuole segnalare agli insegnanti d’italiano e gli appassionati della nostra lingua questa bella panoramica, quasi enciclopedica, sulle potenzialità della lingua, i suoi diversi aspetti, anche politici (emigrazione, nostra e di altri, diffusione nel mondo, etc.).

    Cliccate su questo link http://www.italica.rai.it/principali/lingua/storialingua.htm
    per leggere i diversi articoli elencati nell’indice

    INDICE

    I. Confini politici dell’Italia e confini linguistici dell’italiano

    1. Comunità e comunità linguistiche

    2. Comunità e migrazioni

    3. Al di qua e al di là dei confini di terra: l’italiano e le altre lingue

    4. La formazione dei confini politici italiani: implicazioni linguistiche

    5. I « confini » mediterranei.

    II. Un mondo in movimento: oggi

    1. Invasioni albanesi in Italia?

    2. Immigrazione e rapporti fra lingue

    3. Due modelli per l’immigrazione: integrazione o sviluppi separati?

    III. Un mondo in movimento: ieri

    1. Italia ed emigrazione

    2. L’italiano coloniale

    3. Fattori di diffusione dell’italiano fuori d’Italia

    4. Prima dell’Italia unita: la proiezione mediterranea di Venezia

    5. Gli scambi linguistici nel Mediterraneo e la lingua franca.

    IV. Lingue diverse dall’italiano in Italia

    1. Le « penisole » linguistiche: ancora sulla situazione linguistica dei confini di terra

    2. Le « isole » linguistiche

    3. Gli insediamenti albanesi in Italia

    © COPYRIGHT RAI 2001

  163. Forum sulla lingua italiana. Convegno internazionale : La piazza delle lingue 2010: L’italiano degli altri (Firenze, 27-31 maggio 2010)
    Un Evento organizzato dall’Accademia della Crusca

    Programma :

    LA PIAZZA DELLE LINGUE intende essere un momento non solo di riflessione scientifica, ma anche di divulgazione, con tavole rotonde, letture e veri e propri momenti di spettacolo, sui temi dell’incontro delle lingue e del multilinguismo. Il tema di quest’anno è L’italiano degli altri.

    L’italiano degli altri è certamente quello di chi vive fuori d’Italia e parla italiano perché è la lingua nazionale del proprio Paese o di una parte del proprio Paese (Svizzera, San Marino, Città del Vaticano), o perché egli stesso è di origine italiana (emigrato o figlio o nipote di emigrati). La definizione vale anche per chi, per libera scelta e, vorremmo dire, per “amore” si è fatto, attraverso lo studio o l’esperienza di vita, tramite appassionato all’estero della lingua e della cultura italiana: insegnante o “facilitatore” di contatti.

    L’italiano degli altri è anche quello di chi, nato altrove, oggi sempre con maggiore frequenza e intensità è spinto dalle necessità della vita a migrare in Italia ed è costretto a confrontarsi – lui e i propri figli – con una nuova lingua (che è anche una diversa cultura). Pensiamo soprattutto alla complessa realtà scolastica di oggi e alle nuove prospettive che si aprono e, insieme, alla crescente presenza di scrittori di altra lingua materna che scelgono l’italiano, senza passare attraverso una traduzione.

    Per scaricare il programma dei diversi incontri del convegno internazionale, delle tavole rotonde :
    http://www.accademiadellacrusca.it/img_usr/Programma_piazza_2010.pdf

    segreteria@crusca.fi.it + 055.454277 + 055.454278
    http://www.accademiadellacrusca.it

  164. Forum sulla lingua italiana. Il Glottodrama, una nuova metodologia per l’insegnamento delle lingue straniere
    Siamo lieti di

    portare alla vostra attenzione il Glottodrama, una nuova metodologia per
    l’insegnamento delle lingue straniere sviluppata dal Laboratorio di
    Ricerca Linguistica della società Novacultur, editrice della
    rivista Culturiana, con il sostegno finanziario del Lifelong Learning
    Programme della Commissione Europea.

    Il metodo integra l’approccio comunicativo con le tecniche teatrali ed è stato
    concepito e sperimentato per l’apprendimento dell’italiana come LS/L2 in
    otto paesi dell’Unione Europea. I test sperimentali hanno mostrato risultati eccellenti, soprattutto nel miglioramento delle abilità orali, e gli esperti della Commissione Europea hanno deciso di continuare a sostenere questa metodologia candidata nel 2010 al Label Europeo per le Lingue, riconoscimento riservato ai progetti d’eccellenza. Nell’ambito dell’attuale progetto europeo di disseminazione dei risultati, proponiamo corsi di formazione (2 settimane) per
    le insegnanti. I corsi sono eleggibili per borse di studio erogate dai
    Programmi Comenius e Grundtvig:

    http://ec.europa.eu/education/trainingdatabase.

    Per trovare i nostri corsi digiti il nominativo del soggetto organizzatore: Novacultur. Si Può visionare ulteriori informazioni generali sul metodo e sui corsi di formazione anche sul nostro sito ufficiale: http://www.glottodrama.eu

    Vi segnaliamo pertanto la preziosa opportunità di queste borse di studio pregandola di far circolare la notizia tra i professori d’italiano e anche di altre lingue. Le borse possono coprire l’intero costo del corso (viaggio, vitto, alloggio e quota di iscrizione) e possono essere ottenute facendo domanda entro il 30 aprile alla propria agenzia nazionale Comenius/Grundtvig.

    Carolina Drago

    Relazioni Internazionali

    Edizioni

    Novacultur – Tutors in Rome

    LLP European Project Glottodrama

    Via Bocca di Leone,36

    00187 Roma

    Tel.+39.06.99700347

    Fax +39.06.99701566

    http://www.glottodrama.eu

    info@glottodrama.eu

    http://www.tutorsinrome.it

    info@tutorsinrome.it

    http://www.culturiana.it

    info@culturiana.it

  165. Forum sulla lingua italiana. I risultati di una ricerca linguistica sui testi del festival di San Remo.
    Sono venti i sostantivi più ricorrenti. Vince, naturalmente, « amore ».

    Sul palco sessant’anni di parole
    a ben guardare, sempre le stesse.


    di MASSIMO ARCANGELI e LUCA PIRODDI

     La Repubblica(12 febbraio 2010)

    IL festival per antonomasia compie sessant’anni. Molti, e li dimostra tutti. Fenomeno di costume, prelibatissimo piatto per i golosi di gossip, cavanserraglio ineguagliabile di esibizioni, « prestazioni » e effetti speciali, da oltre mezzo secolo il Sanremo fa accumulare parole, parole, parole: parole su Sanremo.…………………………….

    Il tempo, la natura, i sentimenti. A ripercorrere le strade tematico-lessicali più battute, sempre rimanendo ai sostantivi, la più gloriosa gara canora italiana ci racconta del privilegio accordato al « tempo » e alle sue partizioni (« giorno », « notte », « sera », « anni »); alle componenti ambientali ritagliate nello spazio cosmico o planetario, che vanno ad aggiungersi al « sole » (« mondo », « terra », « cielo », « luna », « stelle »); agli elementi di una natura di forze e impulsi elementari (« mare », « vento »); alla « vita » e ai suoi spaccati quotidiani (« casa », « gente », « strada », « città »); alle categorie di genere (« uomo », « donna »); alla sfera dei sentimenti, dei desideri, dell’immaginazione (« paura », « voglia », « sogni », « ricordi », « pensieri »); agli universi di senso vagamente religiosi (« anima », « luce »); ai tratti fisici più casti o inoffensivi del partner femminile o maschile (gli « occhi », le « mani », il « sorriso ») e alle reciproche, timide concessioni amorose (« baci »). Ognuna di queste parole-temi vanta almeno duecento presenze; supera abbondantemente quota mille « vita », sfiorano il migliaio di attestazioni « mondo » e « giorno », oltrepassano le ottocento « notte » e « occhio », si collocano fra le cinquecento e le seicento « cielo » e « tempo », « mare » e « mano », « volta e « sogno »……………

    Per leggere l’articolo di Reppublica, clicca su questo link :

    • Forum sulla lingua italiana. I risultati di una ricerca linguistica sui testi del festival di San Remo.
      FESTIVAL DI SAN REMO E LA LINGUA
      Ho letto l´articolo sui ricorrenti sostantivi utilizzati a San Remo nelle canzoni, e in realtá penso che sia un´altra caratteristica, un altro « made in Italy »; vuol dire che sono romantici fino al punto di perdere il seno, ma no come Astolfo.
      Nonostante la morfologia dal singolare al plurale o la parte semantica o la funzione logica, i sostantivi italiani diffendono l´immagine portata da loro qua in Argentina : « Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace ».
      Angela

  166. Forum sulla lingua italiana. Ma cosa vuoi che sia una canzone, Edizioni del Mulino.
    Ma cosa vuoi che sia una canzone

    Mezzo secolo di italiano cantata


    Edizioni del Mulino

    pp. 264, € 16,00

    978-88-15-13406-6

    anno di pubblicazione 2010

    in libreria dal 11/02/2010

    La storia siamo noi, le nostre canzoni stonate urlate al cielo lassù. C’è chi dice che nell’amor le parole non contano, conta la musica, ma proprio quando pensi che sian troppe le parole, ti accorgi che sono gocce di memoria: parole, parole, parole per questo amore fatto solo di poesia (la citazione è il sintomo d’amore al quale non sappiamo rinunciare). Questo libro riconsidera i testi delle mille canzoni italiane più vendute negli ultimi cinquant’anni, nell’intento di ricostruire – attraverso quelle parole – mezzo secolo di storia della nostra lingua. Mille testi spogliati della musica e fatti a brani; mille testi scrostati dalla vernice dello stile e della retorica e raccontati da un linguista appassionato di canzonette. Quelle delle canzoni, però, sono parole speciali: parole che restano così, nel cuore della gente. Sarà dunque il lettore a ridare a quei versi il ritmo e l’intonazione giusta, facendo di questo libro uno spartito da sfogliare, da leggere, da consultare, ma sempre canticchiando.

    Giuseppe Antonelli insegna Linguistica italiana nell’Università di Cassino. Ha pubblicato, tra l’altro, « Lingua ipermedia. La parola di scrittore oggi in Italia » (Manni, 2006), « L’italiano: istruzioni per l’uso » (con L. Serianni, Bruno Mondadori, 2006) e, con il Mulino, « L’italiano nella società della comunicazione » (2007).

  167. Forum sulla lingua italiana. PRENDERE SANREMO ALLA LETTERA
    Repubblica — 12 febbraio 2010 pagina 53 sezione: CULTURA

    Il testo che pubblichiamo è da oggi online sul sito http://www.mulino.it. Il linguista è autore di « Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantato », edito dal Mulino. Una delle cose che succedono quando si legge il testo di una canzone senza conoscerne la musica è di canticchiarla seguendo un’ altra musica, già nota. Così, quando nel testo di Arisa si trova il verso «ma l’ amore, ma l’ amore no», l’ istinto di scandirlo come in una canzone di Arbore («ma la notte, ma la notte no») è quasi irresistibile. È quel fenomeno che i filologi chiamano memoria involontaria: calchi ritmici interiorizzati che ritornano quando meno ce l’ aspettiamo. (Con le canzoni questo succede spesso, perché proprio il ritmo – con la melodia fa sì che quelle parole restino così, nel cuore della gente). Lo stesso meccanismo porta ad accostare «c’ è l’ Italia paese di santi / pochi idraulici e troppe badanti» (Cristicchi) a «buongiorno Italia con i tuoi artisti / con troppa America sui manifesti» (Toto Cutugno)………………….

    PER LEGGERE TUTTO L’ARTICOLO CLICCA SUL LINK SOTTO :

  168. Forum sulla lingua italiana. L’uso della lingua nella canzone italiana, di Luisa Tramontana, docente di lingua italiana dell’ Università per stranieri di Perugia – esperta in linguaggi giovanili.
    L’uso della lingua nella canzone italiana. La linea verde nelle canzoni. Gli esempi emblematici di Celentano e Gaber. venerdì 12 febbraio 2010

    L’evoluzione del costume italiano, negli anni sessanta passò anche attraverso l’uso dell’italiano. Vediamo sul tema della “città” il confronto poetico-linguistico tra due note canzoni di Adriano Celentano e Giorgio Gaber. Due esempi emblematici del rapporto tra la poetica della canzone e il linguaggio del suo tempo. Cambiava il modo degli italiani di percepire il mondo, così anche la lingua andava “rivoluzionandosi”.

    Partendo dal 1966, dalla canzone Il ragazzo della via Gluck, nel cui testo ci sono molti riferimenti autobiografici ( la via Gluck è la via dove Adriano Celentano viveva con la famiglia, e gli 8 anni passati sono un riferimento all’inizio della carriera discografica del cantante), partendo dalla via dove viveva, dove gente tranquilla lavorava, dove i ragazzi si divertivano, dove c’era l’erba ….. arriviamo alla domanda finale: perché continuano a costruire le case, perché non lasciano l’erba? …………. ………………

    Per leggere l’articolo, clicca sul link seguente :http://www.altritaliani.net/spip.php?article347

  169. Forum sulla lingua italiana.L’italiano neo-standard: Per parlare l’italiano di oggi. Di Natale Fioretto
    Il forum sulla lingua italiana di Altritaliani si arricchisce di un nuovo contributo di Natale Fioretto, docente di linguistica dell’Università per Stranieri di Perugia.
    lunedì 8 febbraio 2010.

    Spesso l’italiano che si studia (specie all’estero – italiano standard) non corrisponde ai registri linguistici attuali (italiano neostandard). In una Europa che cresce ai tempi della globalizzazione, appare interessante diffondere una migliore conoscenza della nostra lingua e dei suoi mutamenti. E’ lo scopo che si propone il nostro sito. Un nuovo contributo di Natale Fioretto, docente di linguistica, per aiutarci a capire come si parla nell’Italia di oggi, utile per gli operatori e neofiti della lingua. Se è vero che l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo è bene farla conoscere.

    In tutte le tradizioni linguistiche, accanto alla norma linguistica si afferma un uso più flessibile, proprio dei registri informali del parlato che interpreta le esigenze comunicative di una fascia media di parlanti e che tende ad accogliere dei tratti e delle innovazioni un tempo oggetto di sanzione negativa. Vorrei riprendere e sintetizzare, in questa sede, buona parte dei materiali proposti tratteggiando quello che è stato più volte definito italiano dell’uso medio o italiano neostandard.………….

    Per leggere l’articolo, clicca sul link sotto

  170. Forum sulla lingua italiana. Il 2009 letterario : Tra anniversari, ristampe e novità, da Sciascia, Camilleri a Tabucchi.
    Variazioni sul tempo che invecchia. Un percorso nella narrativa italiana, di Giovanni Capecchi, docente di letteratura italiana dell’Università per Stranieri di Perugia (30/01/2010).

    LEGGI L’ARTICOLO CLICCANDO SUL LINK SOTTO :

  171. Forum sulla lingua italiana. Di Repubblica, lunedi 18 gennaio 2010. Leggi l’articolo.
    Molte domande sui congiuntivi, sul plurale di euro o sul femminile di avvocato.L´ortografia è in testa ma vengono inviati anche quesiti sul lessico o sui neologismi

    Sul web la Crusca scioglie i dubbi sull’italiano, lingua sconosciuta.

    Di LAURA MONTANARI

    FIRENZE – C’è una finestra da cui si vede l’italiano che ci tormenta, i dubbi di ortografia che fatichiamo a confessare, i neologismi che maneggiamo incerti: si scrive qual è o qual’è? Si dice cioccolata o cioccolato? Si può usare per gli immigrati il termine « respingimenti »? E in un tema la parola « tronista »? Il servizio di pronto soccorso sulla nostra lingua tutti i giorni raccoglie in una casella di posta elettronica sul sito dell’Accademia della Crusca, dieci o venti cose che non sappiamo sulle parole e sulla grammatica della lingua italiana. Una piccola redazione di esperti, a Firenze, risponde on line o via e-mail gratuitamente: nel 2009 l’hanno fatto 900 volte, spiega Raffaella Setti docente (a contratto) alla facoltà di Scienze della Formazione. Un aumento progressivo delle richieste a dimostrazione che la lingua è un terreno minato. A inviare quesiti non sono soltanto insegnanti, docenti universitari, persone che frequentano abitualmente il sito del principale istituto che si occupa di ricerche sull’italiano, ma famiglie, studenti, professionisti e curiosi, persone anche lontane dagli studi umanistici. Un signora di Bologna per esempio, vuole sapere se ha ragione la maestra di sua figlia nel dire che si scrive « sogniando » e non « sognando »…………….

    Leggi l’articolo di Repubblica cliccando sul link sotto :

  172. L’italiano come necessità : gli alunni stranieri nella scuola italiana, di Giovanni Solinas per Altritaliani (12 gennaio 2010)
    Cosa significa insegnare l’italiano agli alunni stranieri presenti nella scuola italiana? Cosa significa farlo in tempi in cui l’Italia è divenuta ormai meta di immigrazione, e quello dei flussi migratori può essere considerato il fenomeno sociale più rilevante degli ultimi decenni per il nostro paese?

    Una premessa: in italiano, quando si fa un mestiere difficile, che prevede il confronto diretto e quotidiano con questioni sociali complesse, o magari brucianti, si usa l’espressione figurata « essere al fronte ». « Sono al fronte », cioè metto direttamente le mani nella cosa; lo faccio io, senza mediazioni fra me e il suo corpo scottante. A dire la verità ho sempre nutrito un certo sospetto verso questa espressione……………….

    LEGGI TUTTO L’ARTICOLO DI GIOVANNI SOLINAS CLICCANDO SUL LINK.

  173. Forum sulla lingua italiana. Bella e scialla: ecco come parla la « generazione 20 parole », di Alessio Balbi
    La Repubblica.it (12 gennaio 2010)

    Secondo una ricerca inglese che analizza il linguaggio dei ragazzi sul web i termini utilizzati dai coetanei su internet o cellulare sono appena 800

    Bella e scialla: ecco come parla la « generazione 20 parole »di ALESSIO BALBI

    ……………..
    Applicando gli stessi criteri alle comunicazioni elettroniche tra ragazzi italiani emergerebbero verosimilmente gli ormai proverbiali « xke » al posto di « perché », « tvb » per « ti voglio bene » o « cmq » invece di « comunque ». Ma anche nuove forme di saluto, come « bella », rivisitazione del vecchio « ciao ». O slittamenti del significato, come nel caso di « pisciare », ormai usato come sinonimo di « lasciare », « abbandonare ». Oppure « accollarsi », sostituto di « mettersi in mezzo », « dare fastidio ». Termini che spesso nascono per esigenze di spazio, per rispettare gli angusti limiti degli sms o dei cinguettii su Twitter. E che altre volte vengono scelti per marcare una distanza da chi guarda da fuori ed è abituato ad esprimersi in un altro modo………….

    PER LEGGERE L’ARTICOLO di Alessio Balbi, VAI AL SITO DI REPUBBLICA. BASTA UN CLIC :

  174. CHE LINGUA CHE FA? I PROBLEMI DELLA LINGUA ITALIANA
    Intervista alla Dott.ssa Maraschio, presidente dell’Accademia della Crusca pubblicata sul portale Agoravox Italia, il 15 dicembre 2009

    L’Accademia della Crusca rappresenta sicuramente la più prestigiosa istituzione linguistica italiana. Raccoglie studiosi ed esperti di linguistica e filologia italiana e, fra quelle esistenti, è la più antica accademia italiana.
    Siamo riusciti ad intervistare il presidente. Anzi la presidente. La dottoressa Nicoletta Maraschio, prima donna a ricoprire tale carica, dal 1582.

    Dottoressa Maraschio, ci descrive in poche parole come nasce e di cosa si occupa l’Accademia della Crusca?

    L’Accademia della Crusca nasce nel 1582-83 con l’obiettivo chiaro e definito di occuparsi dei testi e della filologia della lingua italiana. Intorno agli anni novanta del ‘500, si orienta verso un vocabolario che uscirà nel 1612, cui faranno seguito quattro edizioni, diventando un testo fondamentale per chiunque volesse scrivere in italiano. Un vocabolario imitato dai grandi vocabolari europei che ha contribuito a diffondere la consapevolezza che proprio in un vocabolario si poteva concentrare e dare espressione all’identità linguistica e nazionale di un popolo. Il vocabolario è stato appena ripubblicato in anastatica con un volume di accompagnamento e un dvd.

    Qual è il rapporto tra “lingua ufficiale” e dialetti?

    Al di sotto dell’italiano come lingua testo hanno svolto un ruolo importante i dialetti, una vera e propria ricchezza della nostra storia linguistica. Dal punto di vista dell’uso, ad esempio in famiglia o nei luoghi di lavoro, i dati Istat registrano un uso calante del dialetto anche se la percentuale degli utilizzatori è molto alta, oltre il 30%, con picchi molto elevati in in alcune ragioni come Sicilia, Veneto e Campania. Ma anche i dialetti, come la lingua, hanno subito una trasformazione: sono meno utilizzati dalle nuove generazioni, che li conoscono meno, e si sono italianizzati, cioè hanno subito l’influenza dell’italiano, per cui molte parole non sono quelle originali ma sostituite da vocaboli prettamente italiani.
    Il dialetto viene recuperato in ambito letterario – si veda l’esempio di Camilleri o la poesia dialettale – e recuperato dai giovani (internet, blog) con una funzione non solo comunicativa ma espressiva. Si usa per scherzare, per giocare, per esprimere sentimenti che con la lingua ufficiale potrebbero apparire banali.

    C’è un decadimento o un impoverimento della lingua, soprattutto di quella parlata?

    Per rispondere dobbiamo anzitutto considerare la lingua in maniera astratta. L’italiano, dal punto di vista delle sue potenzialità, resta una lingua complessa e ricca, con un vocabolario particolarmente ampio. E questo deriva dalla sua storia, perché l’italiano nasce come lingua letteraria, come lingua scritta, particolarmente elegante e ricca di varianti.
    Questo dal punto di vista astratto. Poi, però, bisogna guardare agli usi della lingua, c’è il lato della concretezza degli usi, direttamente influenzati dalle situazioni comunicative in cui la lingua è utilizzata. Anche qui è necessario distinguere tra diverse persone perché la formazione linguistica delle stesse è molto carente. E questo è da imputare principalmente alla scuola perché di fatto è lì che si registra una scarsa attenzione alle diverse potenzialità della lingua, e quindi a un addestramento ai diversi usi: gli stessi insegnanti non hanno una formazione propriamente linguistica e di tutto quello che sarebbe necessario per usare bene una lingua. C’è alla base una carenza di formazione degli insegnati e carenze della scuola per quanto riguarda la formazione linguistica, ignorando il potere e la centralità della lingua.

    Cosa pensa dell’analfabetismo di ritorno e del fatto che una percentuale importante della popolazione italiana dispone di una competenza molto bassa della lingua nazionale?

    Questo problema è strettamente connesso alle nuove forme di comunicazione (email, skype sms), dove non importa utilizzare tutte le potenzialità della lingua ma è fondamentale ottenere certi risultati e quindi che la lingua venga utilizzata in maniera efficace…………

    PER LEGGERE TUTTA QUESTA INTERESSANTE INTERVISTA, CLICCA SUL LINK SOTTO

    http://www.agoravox.it/attualita/cultura/article/che-lingua-fa-i-problemi-della-11427

  175. Il linguaggio giovanile, di Luisa Tramontana
    Cari amici, si arricchiesce di un nuovo, importante ed utile intervento il nostro forum sulla lingua italiana.

    Interviene la Prof. Luisa Tramontana dell’Università per Stranieri di Perugia, che peraltro è una esperta dei linguaggi giovanili. Proprio del linguaggio giovanile ci parla prendendo spunto da un brano letterari dello scrittore Stefano Benni.

    Con l’occasione vi invitiamo a partecipare al nostro forum sulla lingua, intervenite! Raccontateci le vostre esperienze nello studio o nell’insegnamento della lingua italiana. Inviateci idee, proposte, suggerimenti, opinioni.
    Grazie
    Nicola Guarino
    per Altritaliani.net

    Aspettiamo le vostre reazioni !
    Per leggere l’articolo della Prof. Luisa Tramontana :

    http://www.altritaliani.net/spip.php?article281

  176. L’emotività del verbo, di Natale Fioretto, docente di linguistica italiana dell’Università per Stranieri di Perugia.

    Quando seguiamo un pensiero e cerchiamo di tradurlo in un messaggio ordinato e coerente, non sempre siamo attenti alle immense possibilità plastiche che ci offre la lingua come sistema di corrispondenze e opposizioni. Volendo sorvolare, intenzionalmente, sulla ricchezza di un lessico attento, vorrei soffermarmi sulla, definiamola così, emotività dei verbi. Il verbo, oltre ad assolvere il compito di conferire dinamicità all’enunciato, in italiano si fa carico di marche di significato estremamente importanti.

    Talvolta ce ne accorgiamo, se lasciamo risuonare qualche frase letta o detta. Un passato remoto, tanto per fare un esempio, etichettato come tempo della lontananza, non viene considerato come aspetto della partecipazione. Dai tempi della scuola siamo stati abituati a identificare modi e tempi verbali, senza prenderne in considerazione l’aspettualità. Siamo, per così dire, attenti al tempo in cui l’azione descritta dal verbo accade, alla sua eventualità, alla realtà che esprime, ma non a quanto di noi trasmettiamo. L’aspetto, detto in modo molto semplice, è l’atteggiamento con cui il parlante compie linguisticamente un’azione. Ora, nella frase

    Un mese fa incontrai Maria

    si mette in rilievo che l’azione è “remota” cioè che non ha relazioni evidenti con il momento presente, ma non dobbiamo dimenticare che il parlante scegliendo il passato remoto mette in evidenza che egli sente distante l’azione. Sarebbe come dire:

    Maria è talmente antipatica che non mi va ricordare un incontro sgradevole.

    Il locutore, dunque, si pone in una prospettiva che non è più solo temporale.

    Un altro esempio, volutamente estremo, può servire per mettere in evidenza l’atteggiamento del parlante. Se io dovessi mostrare a dei miei ospiti la biblioteca di casa mia – tale biblioteca esiste, ma non ha nulla a che vedere con l’ordine e l’organizzazione di una vera biblioteca – potrei dire:

    Questa sarebbe la mia biblioteca.

    Perché il modo condizionale? Alle tante sfumature modali – la virtualità, la probabilità, il dubbio soprattutto con i verbi volere, dovere, potere, il desiderio –, potremmo aggiungere un valore aspettuale molto intenso. Nel presentare la mia biblioteca, mi dispongo mentalmente in una posizione di subalternità nei confronti degli ospiti che vengono lasciati liberi di decidere sulla bontà o meno della mia biblioteca, dal momento che intenzionalmente, l’ego comunicante si ritrae per lasciare spazio all’interlocutore. Ecco perché, generalmente, il condizionale viene sentito gentile: il soggetto si ritrae dando maggiore peso alla volontà dell’altro.

    Un vero esercizio di umiltà!

  177. Convegno internazionale. L’Italia e l’America Latina: migrazioni, interscambi, influenze. 26-28 novembre 2009
    Convegno Internazionale organizzato all’Università di Nantes in
    collaborazione con l’Università di Groninga (Paesi Bassi):
    26-27-28 novembre 2009. A Nantes, UFR de Langues, aula 410.

    Le forti relazioni che legano l’Italia ai paesi latinoamericani, non
    esclusivamente in campo linguistico e culturale, saranno al centro di
    questo convegno. Gli organizzatori intendono associare a questa
    manifestazione scientifica università e istituzioni italiane e, in
    particolar modo, specialisti di queste problematiche provenienti dai
    paesi latinoamericani (Argentina, Brasile, Uruguay, ecc.).

    Oggi più di 40 milioni di abitanti di origine italiana vivono in diversi
    paesi latinoamericani, di cui più della metà in Brasile, e i nostri
    interessi vertono sui vari e molteplici aspetti di questo metissaggio
    culturale.

    Gli atti del convegno saranno pubblicati entro il 2010, presso le
    edizioni Peter Lang.

    Programma del convegno : 26-28 novembre 2009

    26/11/09

    14,00 apertura e discorsi di benvenuto

    Hervé QUINTIN – Preside della facoltà di Lingue
    Pierre CARBONI – direttore del centro di ricerca CRINI

    14,15 Valentina Porcellana (Università degli Studi di Torino)
    « Sono partiti per fare la Merica. Autobiografie sociolinguistiche di
    italo-brasiliani e italo-argentini »

    14,45 Giovanni Bonato (Université de Paris X Nanterre)
    « La concessione della cittadinanza italiana per discendenza e il suo
    utilizzo in Europa »

    15,15 : Luca Marsi (Université de Paris X Nanterre)
    « Gli scambi commerciali Italia – America Latina: dati statistici e temi di riflessione »

    15,45 : Discussione
    16,15 : Pausa

    16,30 Proiezione del film documentario/ La Merica/ di e in presenza del
    regista Federico Ferrone*

    17,30 Tavola rotonda (Gloria Paganini, Giovanni Bonato, Luca Marsi,
    Valentina Porcellana, Federico Ferrone)

    18,30 fine

    27/11/09

    10,00 Antonio Folquito Verona (Faculdade de Ciências e Letras de Assis – Campus da Universidade Estadual Paulista (UNESP), Brasil)
    « Chiesa e immigrati italiani: nascita e espansione della ‘Congregação
    Cristã no Brasil (CCB)’, nello Stato di São Paulo, tra il 1910 e il 1940 »

    10,30 Nicolas de Ribas (Université d’Artois)
    « Iter Toscanium : influences politiques et interférences culturelles «
    italiennes » dans la construction du projet de libération du Pérou du
    jésuite Viscardo y Guzmàn (1748-1798) »

    11,00 Nuncia Maria S de Constantino (Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul, Brasil)
    « Voci delle donne immigranti nel Brasile meridionale: Memoria e
    Soggettività »

    11,30 Pausa

    11,45 Maria Carmela D’Angelo (Université de Groningen, NL)
    « L’Italia e gli italiani nella narrativa di Griselda Gambaro»

    12,15 Laura Toppan (Université de Nancy 2)
    « Un lettore dell’altro mondo » : Mario Luzi (1914-2005) e la
    letteratura sudamericana

    12,45 Discussione

    14,30 Karine Cardini (Université de Nantes)
    « Dal vissuto al narrato : De Amicis e l’America latina »

    15,00 Paul Colombani (Université de Nantes)
    « La Patria lontana : un viaggio transoceanico con lo sguardo rivolto
    all’Italia (Corradini-De Amicis)»

    15,30 Yasmina Khamal (Université Catholique de Louvain)
    «Il Messico di Pino Cacucci : tra racconto e resistenza»

    16,00 Pausa

    16,15 Costantino Maeder (Université Catholique de Louvain)
    « Il Cristoforo Colombo di Illica: narrazione di un sogno perduto »

    16,45 Walter Zidaric (Université de Nantes)
    « Il Guarany di Carlos Antonio Gomes e Antonio Scalvini: il mito
    fondatore dell’opera in Brasile »

    17,15 discussione e fine

    28/11/2009

    10,00 Gabriela Rodriguez (Université de Toulouse)
    « Lunfardo, luogo di un processo d’integrazione ? »

    10,30 Bob de Jonge (Université de Groningen)
    « Influenze della lingua italiana sullo spagnolo del Río de la Plata »

    11,00 Vera Lúcia de Oliveira (Università degli studi di Lecce)
    « La mia patria è la memoria? »

    11,30 Pausa

    11,45 Amandine Mélan (Université Catholique de Louvain)
    « Guerra di popolo in Cile di Dario Fo: dal Cile all’Italia, dalla
    denuncia alla messa in guardia tramite un teatro impegnato »

    12,15 Stefania Cubeddu (Université de Nantes)
    « Partir para volver, Oscuramente fuerte es la vida e La tierra
    incomparable di Antonio dal Masetto »

    12,45 Discussione finale

    Per saperne di più, vedete il sito del Convegno :

    http://odur.let.rug.nl/~dejonge/invest/nantes/

  178. 9a settimana della lingua italiana nel mondo
    Carissimi amici

    la lingua che ci accomuna e magari ha fatto conoscerci (intendo almeno i colleghi perugini 🙂 celebra la sua festa nel mondo. Così anche in Slovacchia. L´Istituto italiano di cultura in collaborazione con alcune scuole, docenti e altre strutture ha organizzato una serie di eventi di cui natura varia dalla pittorica a quella letteraria e che adesso propongo alla vostra attenzione in programma allegato…
    [
    http://www.iicbratislava.esteri.it->http://www.iicbratislava.esteri.it/NR/rdonlyres/BDA540A5-F967-46C9-9153-D0C1C3583C97/58946/brozura.pdf]

  179. Forum sulla lingua italiana : La Lingua italiana? Un autentico successo!
    Mi scuso con i lettori, ma per una volta (è già capitato) sarò meno “velenoso” del solito. Ho una scusante, infatti l’editoriale che segue è, come suole dirsi, “veramente” un editoriale, ovvero l’espressione della linea del nostro sito Altritaliani.net, ed ha una finalità: aprire un dibattito sul valore della cultura e della lingua italiana oggi nel mondo. Apriremo un forum su questo tema e speriamo di avere tanti contributi che ci aiutino a capire il perché di tanto successo dell’italiano nel mondo. Sì, perché di questo si parla. Può forse, per vari motivi sorprendere o no (non lo so), ma l’italiano e la sua cultura hanno ovunque successo. Non vi è continente dove non siano operativi Istituti governativi di Cultura italiana, dove non sia presente la gloriosa fondazione Dante Alighieri (dovuta al Carducci), ma anche la presenza in diverse scuole ed università “straniere”, di corsi di lingua e civilizzazione italiana testimoniano questo interesse.

    Fino all’anno scorso, la lingua italiana era al terzo posto nel mondo come lingue più studiata. Questo anno è stata superata dal colosso cinese. Tuttavia si tratta di un quarto posto molto lusinghiero, ma che pone come vedremo delle domande. Intanto ricordiamo che l’inglese è al primo posto seguito dallo spagnolo e dal new entry Cina. Segue l’italiano, più studiato del francese (dodicesimo posto), lingua che, per tutto il XIX secolo e parte del XX, per non parlare di epoche più antiche, fu la lingua del mondo. Meglio dell’arabo, malgrado la considerevole importanza geografica e politica di quell’area che si estende dal Maghreb fino alle porte dell’estremo oriente. Più del tedesco, che fu lingua di un paese colonizzatore, che con l’Austria aveva dominato buona parte dell’Europa e del mondo. Più dell’emergente russo e per citare un ultimo esempio, più del giapponese. Il Giappone è pur sempre la seconda potenza economica mondiale.

    E….allora? Qual è il segreto di tanto successo dell’Italia? Il nostro Bel Paese ha certamente conosciuto giorni migliori degli attuali. Non si può dire che siamo al top della popolarità, in politica, ma anche in economia o in tante attività culturali (cinema, editoria, per citare solo due esempi), la nostra coraggiosa ricerca scientifica è sempre meno finanziata, tanto da indurre alcuni dei nostri migliori cervelli a cercare spazio, risorse e lavoro altrove. La nostra influenza politica nel mondo è sempre più scarsa, anzi su alcuni temi come l’informazione, l’immigrazione, siamo visti all’estero in modo più che critico. Né, invero il nostro governante si mostra come esempio da esportare di rettitudine, serietà e sobrietà.

    E….allora? Qual è il segreto di tanto successo della lingua italiana? Io non propongo risposte, domanderemo, nel nostro forum, ai tanti formatori e professori che in Armenia come in Australia, in Brasile come in Russia, in Marocco come in Argentina o negli Stati Uniti o nel lontano Iran, s’impegnano, in diversi istituti ed università per far conoscere la nostra lingua e la nostra cultura. Spero che leggeremo attraverso il loro racconto vissuto, le ragioni di tanto successo.

    Credo, tuttavia, ma potrei sbagliarmi, che non si possa credere che il segreto sia solo nel “peso” storico, artistico e culturale di una terra che fu di Giulio Cesare, ma anche di Leonardo da Vinci, Dante, Caravaggio e Beccaria. Ho il sospetto che dietro questo successo vi possano essere anche altri motivi di maggiore attualità. Saremo a vedere.

    Veleno

  180. Forum sulla lingua italiana
    A proposition dell’editoriale di Veleno sul successo della lingua italiana nel mondo, ci scrive Françoise Lamblin. Studia l’italiano con passione.

    Non insegno l’italiano, anzi lo imparo da 5 anni, da quando sono andata in pensione. Da allora è diventato una vera passione; non riesco nemmeno io a spiegarmelo. Il vostro articolo offre un pretesto per una riflessione sull’argomento.

    In primo luogo credo che il successo dell’italiano in tutto il mondo abbia molto a che vedere con l’emigrazione italiana durante il secolo scorso.

    Per tutta la vita ho avuto contatti stretti con figlie di emigranti, sia durante l’infanzia che al liceo, che all’università, erano numerose quelle che portavano cognomi italiani. Erano allieve povere come noi e i loro genitori si erano adattati alla Francia con molte difficoltà. Ho sentito profondamente la loro nostalgia della « terra madre », di un paese lontano, col sole, che avevano dovuto lasciare loro malgrado. Da quel tempo anche per me l’Italia ha un pò il sapore di un « paradiso perduto »

    Quando 5 anni fa ho letto per caso sul giornale locale l’invito « Benvenuti in Italia! », si trattava di lezioni per principianti nel circolo culturale della Sardegna, dove si incontravano gli emigranti di una volta, cioè « Altritaliani », o i loro figli o nipoti. Ho colto l’occasione senza indugiare.

    Ho potuto notare che la motivazione della gente per imparare l’italiano era di nuovo una conseguenza dell’immigrazione. La metà degli iscritti volevano imparare la lingua perché avevano uno zio, una nonna o un cugino da trovare in Italia o perché volevano conoscere le radici della loro famiglia. Gli altri volevano andarci per turismo.

    In secondo luogo mi pare che sottovaluti il « peso » artistico e culturale dell’Italia. Infatti molta gente sogna di visitare le grandi città turistiche e spesso , col primo viaggio, alcuni scoprono di più: cioè che la lingua è bellissima, che gli Italiani sono aperti, accoglienti e cordiali. Dunque c’è una terribile frustrazione quando non si può parlare e conversare. Allora si torna a casa con una nuova motivazione.

    I due primi anni ho imparato le basi, poi sono andata in Sicilia. Durante la preparazione del viaggio ho scoperto l’immensità della mia ignoranza su questo paese. Dopo il viaggio sono rimasta incantata dalla sua bellezza ma anche sbalordita di fronte alla sua povertà. Volevo capire come mai un’isola tanto grande, ricca, affascinante aveva potuto lasciare partire i suoi figli. Allora per un anno ho letto tuttto quello che poteva portarmi informazioni. Per caso ho trovato la migliore chiave per accedere alla Sicilia: Leonardo Sciascia. 

    Nel frattempo sapevo già leggere un pò in italiano e Sciascia è diventato presto il mio scrittore preferito. I suoi tre primi libri sono stati per me una rivelazione sulla storia, sull’emigrazione, sull’umanesimo, sulla letteratura. Sono tornata in Sicilia e ho fatto un pellegrinaggio a Racalmuto, alla sua fondazione e al cimitero, è stato davvero commovente.

    Terzo e ultimo punto. Forse Lei, come « native speaker » non è abbastanza consapevole della bellezza della sua lingua. Non per niente è la lingua della musica. Quando si comincia ad imparare, ascoltare, conversare, leggere, non si può più smettere, si deve andare avanti.

    Allora i fatti politici attuali – miserabili e pietosi – non possono alterare il mio entusiasmo. Ed ogni autore che scopro adesso da autodidatta diventa – come sulla bella fotografia del suo editoriale – una finestra, un’ apertura sul mondo.

    • Forum sulla lingua italiana
      Gentilissima signora,
      condivido un po’ tutta la sua analisi. Aggiungo solo che probabilmente il successo della lingua italiana è dovuto anche al made in Italy, un certo stile italiano che penetra in molte nazioni, sia come moda, sia nell’economia, che nella cultura e finanche in certi modelli di vita sociale che, all’estero, piacciono e seducono. Da qui il desiderio di conoscere questa bella e viva lingua. Debbo anche dire che questo decantato « stile italiano » è messo sempre più a dura prova da esempi pubblici e privati della nostra società che non definirei certo edificanti.
      Grazie del suo intervento.
      Nicola Guarino

    • Forum sulla lingua italiana
      Cara Signora,
      sono sconcertata (in senso positivissimo) dalla padronanza che lei ha della lingua italiana. se é vero che la studia da soli 5 anni, le faccio i miei più sentiti complimenti, e la invito a continuare, e, perché no, a fare degli adepti intorno a lei!!!
      Brava, mille volte brava.

  181. Italiano, lingua di plastica di Natalino Fioretto
    Sono un ospite – sia in Italia, sia nella lingua italiana – e vorrei aggiungere una considerazione al famoso « attimino » che divenne da concetto temporale anche un concetto spaziale: « Gentilmente, si sposti un attimino più in la! »

    • Italiano, lingua di plastica di Natalino Fioretto
      Segnalo a Natalino Fioretto l’uso ormai ahimé generale e consolidato non solo nella comunicazione interpersonale ma anche nella Tv, nei dialoghi e nel doppiaggio dei film, nelle formule postali, etc. del vero e proprio « sproposito » linguistico, ossia l’uso del termine « spiacente ». Dovrebbe essere pacifico che spiacente è semplicemente il contrario di piacente, e che quindi dichiararsi spiacente equivale a dire più o meno che chi parla è sgradevole, disgustoso, schifoso o giù di lì. Mi sorprende la definizione che ne da il Devoto Oli: « spiacente : dispiaciuto rammaricato » peraltro in aperta contraddizione con il lemma successivo: « spiacére: causare rammarico, rincrescimento, amareggiare, provocare delusione », quindi…?

      • Italiano, lingua di plastica di Natalino Fioretto
        In questo caso il Devoto Oli registra uno slittamento semantico ampiamente testimoniato sia a livello scritto che orale. L’osservazione che Lei fa sull’origine è corretta, ma « scivoloni » di questo genere – a volte autentiche frane – sono frequenti in un sistema linguistico. Si pensi, ad esempio, all’aggettivo « interessante » che sta lentamente acquisendo un significato valutativo,sì, ma molto più pallido dell’originale in cui l' »interesse » marca semplicemente un disappunto lieve, ma a volte imbarazzato del parlante.
        Se, ad esempio, mi presentassi in classe con una camicia, diciamo, verde a pois rosa, un o una collega per non esprimere in modo diretto un moto di chiara oppoizione, potrebbero dirmi « interessante » facendomi capire, abbastanza chiaramente, che non approvano il mio gusto.

    • Italiano, lingua di plastica di Natalino Fioretto
      Ottima osservazione. Diciamo che nello spostamento di « attimino »da valore temporale a spaziale ha avuto un’influenza decisiva l’uso settentrionale – socioculturalmente prestigioso – dell’espressione. Lo stesso sta accadendo, a livello lessicale, con « tirare tardi » che corrisponderebbe a »fare le ore piccole ». « Tirare tardi » è espressione milanese, ma ampiamente testimoniata su quasi tutto il territorio nazionale.
      Grazie!

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.