In occasione del centenario della morte di Boccioni, una riflessione su questo grande artista italiano, riconosciuto oggi come uno dei “maestri di spicco dell’arte europea di inizio Novecento”. Segnaliamo che una grande esposizione sarà allestita a Palazzo reale di Milano per ricordarlo dal 25 marzo al 3 luglio 2016. Il titolo: “Genio e Memoria ». Un’occasione unica per ripercorrere la sua carriera e per ricordare l’originalità e l’attualità di questo grande visionario.
È l’anniversario della morte di Umberto Boccioni, mio concittadino per caso come ricorda una via quasi dimenticata verso il lungomare a Reggio Calabria e un istituto scolastico.
A Reggio Calabria era nato nel 1882.
La bizzarria della sua nascita in un posto cosi’ lontano e sperduto e decentrato rispetto alla vita da dandy di cui Boccioni diventerà sacerdote più che icona a Parigi, risponde alla bizzarria della sua morte per una caduta da cavallo, proprio oggi 17 gennaio 1916, cento anni fa, in quel di Verona. Il destino si diverte a tessere simmetrie improbabili.
Commemorare la data della sua morte significa riconoscerne il valore non solo storico di antesignano del futurismo, di esperto delle mutazioni di quella che chiamiamo Belle Epoque, e questo è affare di critici e storici, ma sopratutto interessa i lettori, i consumatori della sua arte, gli stupiti spettatori delle sue mirabili rappresentazioni. Significa comunicare le emozioni che il nuovo corso da lui inaugurato suscitano.
Colori intensi, bagliori, esplodono sulla tela, soprattutto il blu e il rosso. Non intendevo addentrarmi nel discorso delle avanguardie letterarie e pittoriche insieme e mi rendo conto che sto facendo uso di ampie preterizioni, ma indubbiamente Boccioni, autore del Manifesto sul Futurismo del 1910, aveva fatte proprie alcune idee fondanti delle avanguardie europee dell’epoca, l’idea della necessità di rinnovare il linguaggio poetico e pittorico, l’idea della trasgressione rispetto alla tradizione.
Era stato allievo di Giacomo Balla (1871-1958) e ne aveva assorbito i principi del Divisionismo, ma chi gli ha insegnato le vibrazioni del colore, gli archetipi simbolici del colore stesso? Chi gli ha insegnato la rivoluzione operata ne’ La città che sale (1910-1911), dipinto che si trova a NewYork, ma il cui bozzetto di preparazione è nell’Accademia di Brera.?
Il blu è un colore il cui significato simbolico è la spiritualità.
Al contrario il rosso esprime la materialità violenta.
Due archetipi che si incrociano costantemente, si sovrappongono, si accavallano nell’opera di Boccioni anche nella rappresentazione
delle icone del tempo, i cappellini rossi delle donne, il tramonto, la ferrovia, la velocità.
Arthur Rimbaud in maniera altrettanto ardita, aveva analizzato le associazioni dei colori connessi a Les voyelles, le vocali.
Ma qui, in Boccioni, ai colori vengono associati interi mondi inelencabili, inesplicabili, di cui sulla tela vengono raggrumati esemplari unici in volti ed in momenti. Il mondo, anzi i mondi spiegati con due colori intensi che trovano echi anche musicali.
Le avanguardie di fine Ottocento avevano molto insistito sulle sinestesie, sulla coniugazioni di interi settori artistici, musica e colore, odore e gusto.
Umberto Boccioni è un grande allievo della tradizione nel momento che la sconfessa e la tradisce.
Ed egli parte per la guerra, come Balla d’altra parte.
Deve rappresentare il mito della vita come arte e dell’arte che è vita.
Egli sa che si deve vivere intensamente e lo ha appreso dagli Sturmer, l’altra avanguardia dello Sturm und drang [[Lo Sturm und drang,”Tempesta ed Assalto”, fu uno dei più noti movimenti culturali tedeschi, nato tra il 1765 ed il 1785, sotto l’influenza di Goethe. Indica la nascita del Romanticismo.]], conosce l’importanza della gioventù nel rinnovamento.
Boccioni rappresenta l’incrocio di tradizione ed innovazione e di quanto possa l’arte, unita alla passione, al sentimento, alla convinzione profonda di una missione da compiere.
Questa la summa conclusiva. Essa soltanto puo’ spiegare la vita.
Una frase incisa nel cornicione al teatro Cilea di Reggio Calabria, ora perduta, distrutta, come tutto, diceva:
L’arte rivela ai cuori quello che nessuna scienza puo’ rivelare alle menti.
Carmelina Sicari