La pace è finita. Occorre resistere e difendere i nostri valori.

Per decenni abbiamo vissuto felicemente la pace, ma da dopo l’11 settembre ed ora con gli attentati al cuore di Parigi, siamo attaccati da fondamentalisti islamici che vogliono distruggere i nostri valori simbolizzati proprio dal tricolore francese. Avremmo preferito stringerci intorno alla bandiera stellata dell’Europa. Ospitiamo volentieri l’articolo che ci ha affidato Annita Garibaldi Jallet. Nata in Francia si è da sempre impegnata, anche in memoria di suo padre Sante e dell’illustre antenato Giuseppe Garibaldi, nelle associazioni di reduci della Resistenza al nazifascismo in Italia e all’estero. A proposito della situazione francese e internazionale, racconta in modo toccante il suo dolore e l’assenza di un’Europe che riesca a fronteggiare le difficoltà comuni.

A noi Volontari Garibaldini “Camicie Rosse” che siamo una associazione combattentistica e partigiana, a noi che portiamo viva la memoria della sofferenza dei nostri avi e di parenti ancora prossimi, di milioni di morti tra le Forze Armate e nella popolazione civile, a noi che ricordiamo le guerre dichiarate ma anche il razzismo, la xenofobia, e la miseria generata dai conflitti, la fame, le malattie, le città distrutte, le famiglie disperse … a noi tocca non lasciarci trascinare sulla strada della violenza, che sfortunatamente attrae società nelle quali viviamo.

Foto del giornale Politis

La guerra, spesso evocata, è quanto dovrebbe succedere solo dopo il fallimento di tutti i mezzi umanamente immaginabili per evitarla. E’ forse persino superata nell’attuale configurazione della società internazionale, dove nessuno ignora che gli Stati nazionali non rappresentano più nulla che sia in grado di regolare gli equilibri del mondo. Nascono altrove gli equilibri politici, e soprattutto economici. Sono sempre più oscuri e lontani i centri reali di decisione. La diffusione di armi micidiali, il commercio delle stesse fino a livelli impensabili (ragazzini, quasi bambini, armati di terribili mitragliatrici alle terrazze di un caffè a Tel Aviv, per evocare solo una
“fotografia“ che non posso scacciare dai miei occhi ) già fanno presagire la fine di conflitti armati dichiarati, tra eserciti regolari, ormai inutili i manuali atti a regolare i combattimenti. La società internazionale non ha maturato le istituzioni moderatrici dei conflitti, seppur si sia data alcuni meccanismi operativi. Non parliamo dell’Europa, che non ha ne politica comune di difesa ne politica estera, seppur sia spinta dalle circostanze a coordinamenti e cooperazione che tuttavia non sono meccanismi atti a consentire decisioni tempestive e unitarie.

Un mese dopo. Place de la République, Paris. Foto di Carla Cristofoli.

Il fatto che per la seconda volta in pochi mesi sia stata la Francia colpita dalla nuova forma di guerra che semina terrore tra le popolazioni, distruggendo l’animo ancor prima che i corpi delle nazioni, è istruttivo. Era quasi evidente che la prima forma di questa nuova “guerra“ dovesse svolgersi contro gli Stati Uniti, prima potenza mondiale, e contro le loro giustamente orgogliose Twin Towers. Le forme più eclatanti nell’ondata ininterrotta di terrore che da allora ha investito il mondo si sono ora scatenate contro la patria-simbolo della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità.

Non voglio con questo dire che la Francia sia sempre esemplare nei suoi comportamenti, ieri ed oggi, ma è pur vero che per quei meccanismi misteriosi che danno vita ai miti, essa è, essenzialmente attraverso Parigi, il faro di una cultura che sa rinnovarsi abbastanza per essere sempre giovane e moderna. Oggi, sanguinante com’è la Francia, impaurita ma degna nella sua paura, è nella Marsigliese che si riassume ancora il nostro canto più libero e forte: dice che troveremo modo di resistere, e di lottare.

Certo dispiace che il silenzio sia calato da noi europei dopo i fatti di “Charlie Hebdo”.

Certo dispiace che non sia chiaro a tutti che questa non è una “guerra“ di religione, perché siamo tutti laici, e religiosi come ci pare, in un mondo libero, dove si è cristiani, musulmani, buddisti, liberamente e con tolleranza verso gli altri, e verso tutte le diversità. Per lo meno ci si prova.

Chi sparge terrore, usando con diabolica capacità i mezzi moderni di informazione di massa, vuole snervarci, seminare in noi il dubbio, renderci inermi nello spirito, e se lo siamo saremo sconfitti senza combattere. La risposta è una sola, come sempre: resistere, opporre alla sofferenza di nuovo imposta le nostre intime certezze, la nostra fede nel valore della democrazia.

Un mese dopo. Place de la République, Paris. Foto di Carla Cristofoli.

Noi vogliamo la pace, l’abbiamo vissuta felicemente, magari senza accorgerci più, svegliandoci alla mattina, che eravamo in un mondo di pace, nel quale sono cresciuti i figli del dopoguerra e i giovani di oggi. Le guerre della decolonizzazioni sono passate spesso lontane, e così il Vietnam e tanti altri conflitti. Noi europei siamo stati protetti. I fatti di oggi ci dicono che questo è finito, e che di nuovo non siamo popolo, che siamo divisi, e che un manipolo di criminali armati fino ai denti anche e soprattutto degli strumenti più moderni della propaganda politica ci può prendere tutti in ostaggi, e conquistare i nostri giovani. E non capita solo, sia ben chiaro, agli altri.

Certo sarebbe stato bello in questa circostanza che fosse sventolata la bandiera blu stellata dell’Unione su noi tutti europei, ma non è così. Essa non ha ancora assunto il valore emotivo del tricolore che sventolò sulla Bastiglia e che fu simbolo della Repubblica, tanti anni or sono. Ebbene conserviamo quest’ultima, unita alla nostra, come fu ai tempi della vittoria di cui celebreremo presto il Centenario, come fu ai tempi della vittoria di settant’anni or sono, preparata Oltralpe dal fiore dell’Antifascismo, finché sarà matura l’unità.

Non posso dimenticare che la Francia volle che tutti gli orfani di persone non francesi, italiani, spagnoli, polacchi, ecc, che avevano lasciato la vita nella Resistenza al nemico nazista combattendo a fianco dei francesi, siano “adottati dalla nazione “. Fui tra questi, senza che mi fosse mai chiesto di abbandonare la mia nazionalità, ma mi si regalò quella della nazione fraterna. Se mio padre Sante era “Mort pour la France“ come i fratelli Bruno e Costante, questo voleva significare che era morto per una certa idea della libertà, non potendo in quei frangenti lottare per una nazione che l’aveva dimenticata. E questo non lo aveva predicato lo stesso Giuseppe Garibaldi? Grande lezione di globalizzazione degli ideali.

Dobbiamo insegnare con i fatti a chi ci aggredisce che la violenza impressiona a termine breve, ma che sarà la cultura della pace che li manterrà liberi, anch’essi, nelle loro nazioni, come noi nelle nostre. E che per questo vale la pena di lottare, vivere e morire.

Annita Garibaldi Jallet

Articolo pubblicato sulla rivista dei Volontari Garibaldini “Camicie Rosse”.

Le foto dell’articolo e del portfolio sono di Carla Cristofoli : UN MESE DOPO, PLACE DE LA REPUBLIQUE, PARIS.

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