L’Islam e la sua trentennale guerra interna che ci coinvolge.

L’attualità drammatica dei fatti di Parigi, la paura che serpeggia nell’occidente, le guerre alle porte suscitate dai Daesh e le tante contraddizioni tra Europa, America e mondo musulmano. Breve conversazione con il “nostro” Emidio Diodato, esperto di politica internazionale, per capirne di più.


A Parigi è caccia al terrorista

Avevo appena terminato di leggere “Tecnocrati e migranti” del politologo Emidio Diodato, fresco pubblicato dalla Carocci editore, e mi accingevo a scrivere una recensione di questo interessante ed attuale libro sulla politica estera italiana, da Maastricht fino ai recenti flussi migratori, che sono un po’ il centro di quella parola a volte abusata che è “globalizzazione”, che eccoci travolti da vicende terroristiche che coinvolgono tutti: l’Europa, l’occidente, il mondo islamico, fino all’Italia stessa.

Vicende che riportano ad attualità parole che ci sembrano lontane come guerra, guerra di religione, di civiltà, crociate, terrorismo e cosi via dicendo, sotto la frenesia dei media che rischiano di generare confusioni, di alimentare luoghi comuni.

Mi trovo a conversare con Emidio Diodato, professore associato di politica internazionale presso l’Università per stranieri di Perugia, ma soprattutto, da sempre, nostro politologo di punta, nonché un caro amico. Decidiamo cosi di rinviare ad un altro momento le riflessioni, magari più rilassate, sul suo libro, che pure tanti spunti offrirebbe anche per capire il maledetto venerdi 13 di Parigi, per tuffarci nella stringente attualità.

Ho delle domande da porgli che mi sembrano essenziali, mentre sfrecciano aerei sul medio oriente, mentre si muove una diplomazia non sempre chiara e coerente, mentre si rinfocolano vecchie inimicizie come quella russa e turca, mentre esplodono le contraddizioni europee e gli organismi come l’ONU appaiono ancora una volta in fatica, mentre in ogni angolo del mondo i musulmani e non solo loro si domandano ed interpretano il Corano, in un clima non facile e spesso ricco di preconcetti, mentre da ultimo la polemica politica nostrana esplode tra l’interventismo leghista e la prudenza di Renzi e del PD. Poche domande e risposte, magari per capirne un po’ di più.

N.G.: Caro Emidio, la realtà è che dovevamo parlare del tuo ultimo libro che ha un titolo di grande attualità: « Tecnocrati e migranti », ed un sottotitolo di grande interesse: “L’Italia e la politica estera dopo Maastricht ». Ma la realtà è che noi siamo a Parigi e quindi inevitabilmente occorre parlare dei recenti e drammatici fatti di questi giorni. Vorrei capire come valuti questa svolta del terrorismo Daesh, rispetto agli attentati di dieci mesi fa (Charlie Hebdo). Ho letto un’interessante analisi sulla rivista Limes, che parla in realtà di una guerra interna al mondo musulmano, una guerra ormai quasi trentennale, che fa supporre che questi attentati di Parigi suonino come un avvertimento all’occidente e all’Europa di tenersi lontano da quella che sembrerebbe una sorta di resa dei conti musulmana. A tuo avviso dovremmo assecondare questo desiderio del Califfato?

E.D.: Credo tu ti riferisca all’intervento di Mario Giro “Parigi: il branco di lupi, lo Stato Islamico e quello che possiamo fare”. Giro, che tra l’altro è sottosegretario agli Esteri, fa delle affermazioni di grande saggezza. Provo a riassumerle. Anzitutto, l’invito a mantenere la calma e la lucidità. Qui sottolineo che l’articolo è stato scritto a caldo, poiché pubblicato poche ore dopo l’attacco terroristico a Parigi. In secondo luogo, che non siamo in guerra. La guerra è infatti in Siria e in Iraq, dove si intrecciano gli interessi geopolitici di potenze regionali quali Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Iran e altri paesi del Golfo. In terzo luogo, che si tratta di una guerra intra-islamica, in cui noi europei e occidentali non siamo i protagonisti principali. Giro la definisce una “guerra dei Trent’anni islamica”, un conflitto che probabilmente risale al Gia algerino e lambisce diversi territori, seppure dal 2014 è concentrato in Siria dopo la nascita di Daesh. Infine, che comunque in questo conflitto siamo coinvolti, a causa della nostra antica e attuale presenza in quei luoghi.

Vengo quindi alla tua domanda. Se il califfo ci attacca per tenerci lontano da una guerra che non ci riguarda, dobbiamo assecondarlo? La mia risposta è ovviamente no. Ma sono d’accordo con Giro quando dice che fare la guerra in ordine sparso serve solo ad alimentare l’odio. Avevano forse ragione gli Stati Uniti che si sentivano Marte e indicavano nella Francia il principale interprete di quella Venere europea indecisa e incapace di rispondere al terrorismo? Non penso proprio. Faccio due esempi. La Francia fece bene ad opporsi fermamente alla guerra del 2003 in Iraq, il conflitto da cui deriva direttamente la nascita di Daesh. Così come ha fatto bene l’Italia a insistere, contro gli Stati Uniti spalleggiati da altri paesi europei, che Russia e Iran fossero invitate a Vienna per negoziare una comune strategia politica per la Siria.

N.G.: Eppure c’è chi dice che gli italiani, verrebbe da dire come sempre, non si sentono pronti ad una guerra e la posizione del governo, per bocca del suo ministro della difesa Pinotti, ma anche dalla posizione di Gentiloni, ministro degli esteri e per lo stesso Renzi, appare avere un profilo « basso »; in realtà sembra che sul piano dell’offesa bellica le nostre truppe non ci siano. Insomma, tolto l’addestramento degli iracheni, degli yazidi e dei curdi, tolti quattro aerei disarmati in missione di ricognizione, il nostro impegno si ferma li. Come valuti sul tema, la politica estera di Renzi? Specie dopo la richiesta di Hollande di aiuto all’Europa in base all’art. 42 comma 7 del trattato di Lisbona?

E.D.: Valuto positivamente la posizione di Renzi e del governo italiano, nonché l’azione dell’Alto rappresentante dell’Unione europea, ossia Federica Mogherini. Sarkozy ha trascinato l’Italia in una guerra sbagliata in Libia, nel 2011. Berlusconi è stato deriso al tempo, anche per i suoi discutibili rapporti personali con Gheddafi, ma i suoi timori sull’esito di quello sfortunato intervento erano fondati. Oggi la Libia è prioritaria per la sicurezza dell’Italia. Mi chiedo: se Bush avesse ascoltato Chirac ci troveremo a questo punto? Certo le analogie storiche tengono fino ad un certo punto. L’appello della Francia e la richiesta all’Unione devono trovare una risposta, ovviamente su un piano bilaterale come prevede il Trattato. L’Italia avrà un suo ruolo. Provo solo ad immaginare lo sconforto che vivete a Parigi, soprattutto fra i più giovani che si sono sentiti direttamente colpiti. Ma ti assicuro che anche in Italia siamo tutti molto scossi e davvero ci siamo sentiti colpiti, perché Parigi in qualche modo ci appartiene.

L'accordo sul nucleare a Teheran

N.G.: Certo sul piano della cittadinanza europea la vicinanza davvero non ci è mancata (mi capita spesso di pensare che c’è molta più Europa tra i cittadini che nelle nostre rappresentanze politiche), ma è l’Europa come istituzione che mi sembra si accinga a perdere una nuova grande occasione, per manifestare una sua unità di intenti. Se è vero che la Mogherini (voluta da Renzi, il quale, con questa nomina, segnò una rivalutazione nel ruolo estero dell’Italia) ha accolto la richiesta di Hollande, è altrettanto vero che alla fine non avremo un’azione comune europea, ma solo la possibilità francese di rivolgersi ai singoli paesi dell’Unione. Mi sa che siamo ad un ulteriore suicidio europeo a tutto favore dei nazionalismi; non solo, il non aver richiesto l’aiuto Nato dimostra, a mio avviso, anche un’altra cosa, ovvero che siamo di fronte ad un fallimento anche americano, parrebbe che oggi Hollande abbia più fiducia in Putin che nell’amico americano Obama. Io sono abbastanza critico sul ruolo che sta giocando l’America. Capisco il desiderio di evitare altre défaillances, dopo l’Afganistan e l’Iraq, ma una grande potenza dovrebbe giocare un altro ruolo. Cosa pensi di questa strana coppia Hollande/Putin? E alla luce di questi sviluppi ha ancora senso mantenere l’embargo contro i russi che tanti danni produce alla nostra, e non sola, economia?

E.D.: La storia dell’integrazione europea è stata lunga e tortuosa, e non ha portato a una vera e propria politica estera comune e tantomeno a una politica di difesa comune. Ripeto che ad oggi si può seguire solo la via bilaterale. Non mi pare che nelle condizioni attuali si possa pensare di rilanciare il processo d’integrazione. Occorre agire con gli strumenti che ci sono, quelli a nostra disposizione. Tra questi c’è anche la Commissione europea, quindi l’Alto rappresentante Mogherini, la quale ha prima giocato un ruolo molto importante per l’accordo sul nucleare iraniano, ed oggi è impegnata al tavolo dei negoziati per la soluzione della crisi siriana, dove partecipa anche la Russia. Se Hollande si fosse rivolto alla Russia senza questo precedente, quando ancora a Bruxelles si voleva silurare la Mogherini poiché considerata filo-russa, allora sì che saremmo di fronte al fallimento dell’Unione. Non dobbiamo dimenticare che anche la Russia piange i suoi morti e paga il suo coinvolgimento nel conflitto intra-islamico. Inoltre come la Francia, per quanto con modalità molto diverse, è storicamente partecipe alle vicende siriane.

N.G.: Anche se in misura diversa da altre occasioni, si sente il pacifismo di sinistra (un fenomeno di cui parleremo prossimamente anche a proposito del tuo libro) molto critico verso l’opzione bellica, in tal senso fra le tante una presa di posizione quella di Gino Strada, fondatore di Emergency. È vero che mettere le mani sul medio oriente e sul golfo arabo, da dopo il colonialismo, non ha portato molto bene all’occidente e alle potenze europee e alla stessa ex Unione Sovietica. Ma si sente dire da taluni: « Ma contro chi combattiamo? Dove sono? » Perché tanta esitazione contro l’IS, che viceversa ha un territorio grande quanto l’Italia, più di dodici milioni di abitanti, un vero e proprio ordinamento giuridico (per quanto orrendo possa essere). Secondo i canoni weberiani potremmo dire che il califfato è un vero e proprio Stato, con il suo Pil, i suoi scambi « commerciali » finanche con un abbietto programma educativo e scolastico. Credo che Renzi abbia ragione a dire che la guerra non risolve tutto, ma non ti sembra importante che intanto si cancelli questo Stato, che peraltro evoca l’impero ottomano (con probabili suggestioni anche per la Turchia, che forse non ha caso, ha verso i Daesh una condotta quanto meno equivoca). Cancellarlo anche per non dare a tanti giovani un riferimento fisico, penso ai foreign fighters, che si organizzano per raggiungere la Siria e le zone di guerra, per poi tornare addestrati ed aggressivi a far danni e lutti nella nostra Europa. Si è attaccato Gheddafi in un batter di ciglia, si sono fatte prove false pur di attaccare alla svelta l’Iraq di Saddam Houssein, possibile che per i Daesh sia cosi difficile agire presto e con determinazione? Faccio presente che negli ultimi mesi i sunniti del califfato si sono impossessati finanche di armi chimiche. Che si aspetta? che prendano le atomiche del Pakistan? Come possiamo spiegare tanta prudenza?

E.D.: Caro Nicola, credo che oggi l’ultimo problema sia il pacifismo di sinistra. Strada fa il suo lavoro, che da sempre non è solo quello di medico ma anche di militante della causa pacifista. Nel 1907, il premio Nobel per la pace fu conferito, insieme con il giurista francese Louis Renault, all’italiano Ernesto Moneta. Di lì a poco, con la penetrazione italiana in Tripolitania, oggi Libia, e il montante clima di guerra, Moneta si convinse che le scelte armate allo scopo di civilizzare sono legittime. Ecco: se la situazione dovesse precipitare (cosa che temo moltissimo) allora spero che Strada continui a far sentire la sua voce pacifista. Per quanto concerne il Daesh, non credo si tratti di uno stato in senso proprio. È un gruppo armato fatto di ex-militari iracheni e soprattutto di brigate internazionali, i cosiddetti foreign fighters. Sono riusciti a trovare uno spazio nel quadro geopolitico della globalizzazione, che, come ricordava sempre Giro, ha rimesso la storia musulmana in movimento, anche per quella sua parte che risiede in Europa.

Sono certo che se si troverà un accordo con la Russia, nonostante l’ostilità turca, e soprattutto se si riuscirà a mediare tra i contrastanti intenti egemonici di potenze a maggioranza musulmana, in particolare tra Arabia Saudita, Turchia e Iran, allora sconfiggere il Daesh richiederebbe uno sforzo adeguato ma alla portata. Ma non sono certo che ciò chiuderebbe la guerra del Trent’anni.

Tra le macerie siriane i bambini sognano.

N.G.: Di recente l’ONU ha dato, un po’ genericamente, il via a qualsivoglia azione contro i Daesh, ma mi sembra che questa deliberazione non abbia avuto sostanzialmente seguito. Come giudichi questo organismo che sembra francamente perdere sempre più di carisma e di ruolo? Ed infine, io ho fiducia che Parigi, l’Europa, l’occidente e soprattutto quel mondo islamico che soffre il califfato, ne verranno fuori e vittoriosi. Ma se questa guerra (che Papa Francesco da tempo chiama: La terza guerra mondiale) è anche figlia di questa fase convulsa di globalizzazione, allora non occorrerà ricostruire un nuovo ordine mondiale come fu quello che nel tuo libro chiami dell’anno zero (ovvero il 1945, il dopoguerra), un ordine per cui le diverse potenze, grandi o medie, possano prendersi in carico le varie aree calde del pianeta, così da scongiurare crisi cosi pericolose come l’attuale. E’ un utopia oppure è proprio li che bisogna arrivare?

E.D.: Sicuramente è una speranza giungerci pacificamente, ma occorre avere tanta fiducia, poiché ci sono segni opposti. Comunque è proprio lì che occorre arrivare, ad un nuovo equilibrio. Malauguratamente la storia ci insegna che l’umanità, spesso per errore (senza calma e lucidità), giunge a quel punto solo dopo guerre disastrose. Per fortuna non siamo ancora in guerra, speriamo di evitare la terza guerra mondiale. Soprattutto dopo il recente abbattimento del velivolo russo, c’è un disperato bisogno di quel vecchio Palazzo di Vetro, con il suo Consiglio di sicurezza. Con tutti i limiti, l’Onu rimane pur sempre una sede diplomatica di ultima istanza.

Emidio Diodato

Professore associato di politica internazionale

Università per stranieri di Perugia.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. L’Islam e la sua trentennale guerra interna che ci coinvolge.
    Egregio Prof. Diodato
    nel 2005 ho avuto l’onore e la fortuna di frequentare il Suo corso di « politica internazionale » all’Università per Stranieri di Perugia. All’epoca ero iscritta al primo anno del croso di laurea magistrale in Comunicazione internazionale. L’esame finale è andato anche bene e durante il corso avevo imparato a comprendere meglio certi concetti inerenti alla politica e la geopolitica.
    Mi ricordo ancora molto bene le Sue lezioni e Le scrivo per esprimerLe la mia gratitudine per quanto ho imparato nelle Sue lezioni. Ora ho l’onore di insegnare anch’io all’Università e mi occupo di studi italiani. Leggendo il Suo articolo qui, Le confesso caro Professore, che mi sono sentita di nuovo in una delle Sue lezioni per me preziosissime. Lo stesso stile sobrio, sottile e raffinato nell’aprire il cuore di certi discorsi politici molto comlicati. Complimenti caro Professore. Non finirò mai di sentirmi una Sua studentessa.
    Con i migliori auguri, La saluto con viva cordialità.

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