Cosa resta della sinistra italiana

In un articolo pubblicato lo scorso giugno su Jacobin, e ripreso puntualmente da Internazionale (il titolo originale era Resurrecting the Italian Left), David Broder scriveva: “La sinistra italiana non si è ancora ripresa dalle disastrose conseguenze della partecipazione di Rifondazione ai governi di centrosinistra tra la fine degli anni novanta e gli anni duemila. Ossessionata dall’obiettivo di tenere Silvio Berlusconi lontano dal potere, Rifondazione ha esercitato una scarsa influenza sulle coalizioni di cui ha fatto parte, stemperando le sue posizioni fino al punto di votare a favore della missione militare in Afghanistan nel 2007 pur di non far cadere il governo di Romano Prodi”.
Bertinotti

In verità, il 21 febbraio 2007 il governo Prodi fu sconfitto al Senato proprio su un voto relativo alla missione in Afghanistan. Prodi si dimise dal suo incarico, ma Napolitano rifiutò le dimissioni invitandolo a chiedere la fiducia in Parlamento. La settimana successiva Prodi tornò in Sentato e ottenne la fiducia di governo, ma ciò avvenne grazie al voto poi divenuto determinante di alcuni senatori a vita.

Più che l’aver stemperato le sue posizioni quando era al governo negli anni duemila, a Rifondazione si potrebbe semmai imputare l’aver dato il suo appoggio esterno al governo Prodi alla fine degli anni novanta, quando entrò in vigore il Patto di stabilità e l’Italia fece il suo ingresso nella spazio di Schengen. Da quelle decisioni ebbe origine tutto ciò che, oggi, la sinistra più radicale indica come quel che un tempo si definiva reazione: ossia l’austerità delle politiche neo-liberiste e il respingimento europeo del proletariato migrante.

Comunque si legga l’ultima pagina della sinistra italiana, l’esortazione a creare una Syriza nostrana – contenuta nell’articolo di Broder – era nello scorso giugno di senso comune. Il quotidiano online affaritaliani.it titolò a luglio: “Tutto pronto per la Syriza italiana. Nicola Fratoianni sarà il leader”. Fratoianni è l’erede politico di Vendola, ossia colui che ha tentato (con tante difficoltà) di traghettare Rifondazione verso una resurrezione della sinistra italiana. Ma dopo quell’annuncio non vi fu seguito.

Viceversa, nello stesso mese di giugno un politico che non proveniva da Rifondazione, ossia Pippo Civati, lanciò il programma di Possibile (nome chiaramente ispirato al movimento Podemos, nato a sua volta dalle proteste degli indignados spagnoli) per proporre alcune campagne referendarie contro il governo Renzi: ossia l’Italicum, la nuova legge elettorale, e il jobs act, la legge sul lavoro che ha revisionato la Statuto dei lavorati. Pochi giorni prima, sempre in giugno, il sindacalista Maurizio Landini aveva lanciato la cosiddetta “coalizione sociale”, ossia una mobilitazione per i diritti dei lavoratori e il reddito di cittadinanza.

Sinistra Italiana al Quirino di Roma

Trascorsa l’estate, a novembre è nata al Teatro Quirino di Roma Sinistra italiana. Ma ciò è avvenuto senza la partecipazione di Civati e Landini, sebbene con il sostegno degli ex del Partito democratico, quindi con un ruolo da protagonista di Stefano Fassina il quale ha annunciato: “Siamo alternativi al liberismo Happy days di Renzi”. Nei fatti, si è trattato della nascita di un gruppo parlamentare, denominato appunto Sinistra italiana, che riunisce i deputati di Sinistra ecologia e libertà, ossia il partito di Fratoianni, ed alcuni che hanno lasciato il Partito democratico portando in dote, stando ai sondaggi, il 2% dei consensi.

Deridere l’alternativa a Happy days, ossia l’obiettivo di tenere Matteo Renzi lontano dal potere, sarebbe peggio che sparare sulla Croce rossa (o sulla Cosa rossa). Ma pare evidente che siamo lontani da Syriza, ossia dal modello greco di una coalizione di sinistra radicale capace di intercettare il disagio sociale. Probabilmente l’Italia non è più un laboratorio della sinistra europea, come fu nel lungo dopo-guerra, in modo diverso e con alterne fortune, da Togliatti a Berlinguer. Con questo non voglio dire che lo siano la Grecia o la Spagna.

Lo scorso mese a Berlino, un fiume di persone ha protestato contro il Ttip, il Trattato di libero scambio in corso tra Stati Uniti e Unione europea. Varie associazioni, tra cui Greenpeace, Oxfam, Confederazione dei sindacati tedeschi, hanno riaperto a sinistra il tema ecologico della sicurezza del lavoro coniugata alla tutela ambientale. Se la destra radicale intercetta il disagio sociale dandone la colpa ai tecnocrati europei e ai migranti africani, in cosa dovrebbe differenziarsi la sinistra radicale? Berlino ci ha ricordato che l’ecologia politica, una promessa post-guerra fredda in breve tempo colpita dalla sindrome dell’invecchiamento precoce, non è ancora morta in Europa. In Italia, la protesta contro il Ttip è condotta dal Movimento 5 stelle, se non altro meno provinciale delle tante sinistre nostrane.

Emidio Diodato

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia

1 COMMENTAIRE

  1. Cosa resta della sinistra italiana
    « In un articolo pubblicato lo scorso giugno su Jacobin, e ripreso puntualmente da Internazionale (il titolo originale era Resurrecting the Italian Left), David Broder scriveva: […] Rifondazione ha esercitato una scarsa influenza sulle coalizioni di cui ha fatto parte, stemperando le sue posizioni fino al punto di votare a favore della missione militare in Afghanistan nel 2007 pur di non far cadere il governo di Romano Prodi” in verità, il 21 febbraio 2007 il governo Prodi fu sconfitto al Senato proprio su un voto relativo alla missione in Afghanistan ».

    Infatti si tratta di una svista nella versione italiana (la quale non compare nell’articolo originale su Jacobin): ma sì, nel luglio 2006 Rifondazione ha votato per rifinanziare le missioni in Afghanistan. Questo fu l’oggetto di una polemica molto dura dentro il PRC.

    http://archiviostorico.corriere.it/2006/giugno/14/Afghanistan_Rifondazione_adegua_alla_missione_co_9_060614012.shtml

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