Benvenuti a Roma, capitale d’Italia.

Roma è diventata la vergogna d’Italia, ma purtroppo non è la sola. La realtà è che la politica è l’immagine dell’attuale società italiana. Ed è per questo che il governo perde consensi. Smuovere questo paese significa intaccare interessi e privilegi, favori e corporazioni. La realtà è che tanti italiani non perdonano al governo di voler fare sul serio.

Di Roma si fa un gran parlare. E’ la capitale, è normale, è la prima immagine che si ha del Bel Paese all’estero. Ma Roma appare sempre più una città malata, corrotta. Manlio Cancogni diceva che: “Capitale corrotta = nazione infetta”. Era diverso tempo fa e forse quella definizione cosi tranchante sembra più adatta oggi che ieri.
Roma appare avvelenata da ferite che si sono imputridite negli anni, diventando cancrene che chiedono cure dure e definitive.

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Si va dallo scandolo di “Roma Capitale” con l’arricchimento infame, della malavita, di cooperative e amministratori pubblici che con il placet di politici, sulla povertà e il degrado di profughi e rom, succhiando risorse pubbliche e finanche fondi europei sono arrivati a costruirsi autentici tesori. Altro capitolo: i servizi pubblici di trasporto, la famigerata ATAC, ormai nota finanche alle colonne del New York Times, dove, ogni giorno, su 19 mila impiegati (un record per una metropoli), ben 4mila sono assenti per malattia. Negli ultimi mesi si è valutato che i permessi per malattia sono saliti del 400/100, avete capito bene.

Roma ha solo due linee metropolitane, la terza, appena inaugurata pochi mesi orsono, ha già dovuto fermarsi a più riprese, perché bisognosa di nuovi lavori e aggiusti. Le altre due, sono da girone infernale, con guasti che bloccano a turno le linee, suscitando le ire degli esasperati pendolari che in alcuni casi si sono abbandonati a vere e proprie aggressioni nei confronti dei conducenti. Per non parlare della manutenzione delle stazioni, in una di queste, ultimamente, per un guasto ad un ascensore, un bimbo di quattro anni è precipitato nel vuoto ed è morto.

Gli autobus non hanno più orario, sono mezzi vecchi, obsoleti.

Nel 2014 ci sono state 361 interruzioni di servizio (specie per scioperi) nei trasporti con l’effetto che facilmente si può immaginare. Per non parlare delle strade cosparse da una serie di buche su cui qualcuno ironizzando ha proposto di adattarle a campi da golf.

E che dire dei rifiuti? Malgrado i tentativi di avviare la differenziata, questa risulta ancora in percentuali bassissime ed il risultato è che non solo le periferie sono sporchissime, lo sono sempre state, ma finanche il centro, finanche le strade e le piazze che hanno reso celebre Roma nel mondo. Il Colosseo, piazza Navona, piazzale degli Eroi, via dei Fori imperiali, via Condotti, Piazza di Spagna appaiono come delle fogne a cielo aperto. Strade maleodoranti e viste con crescente perplessità dai turisti che vedono deludere la loro immagine della capitale italiana. I giardini sono abbandonati e la realtà è che i moderni strumenti per la loro manutenzione, sono scomparsi, rubati, dai depositi e parcheggi municipali, da qui la difficoltà nella cura delle aree verdi. A Roma è possibile anche questo!

Il traffico è diventato una vera piaga. L’impossibilità di poter usare trasporti pubblici, per i motivi predetti, induce tutti all’uso di auto. In una città che storicamente ha pochi spazi di parcheggio, con vigili urbani che spesso non sono presenti e se lo sono risultano alquanto indolenti nel lavoro. Vale la pena ricordare che a Capodanno i due terzi del corpo dei vigili urbani si diedero per malati. Il Comune minacciò tuoni e fulmini, mentre la città eterna restava paralizzata eternamente. Alla fine spuntarono i tarallucci e del buon vino dei Castelli e tutto finì in sbornia. Tutti perdonati…si sa, italiani brava gente.

Il punto è che Roma è veramente l’emblema di gran parte dell’Italia. Non tutta. Esistono città efficienti come Bologna, Firenze, Trento, la stessa Milano, e mi scuso se ho mancato di citarne altre, ma come si fa a non accostare le irresponsabili défaillances e le colpe romane a quello che sta accadendo altrove, con l’Alitalia che appena salvata dal fallimento e con fatica dal governo, si lascia andare, in questo periodo cosi delicato per le vacanze, a scioperi improvvisi e a nuovi fenomeni di assenteismo. E che dire di quanto hanno raccontato le cronache per i fatti di Pompei con alcune sigle sindacali che hanno una trentina di iscritti che paralizzano gli scavi, lasciando chiusi a sorpresa i cancelli, con fuori migliaia di turisti arrivati vanamente da tutto il mondo ad attendere, senza alcuna assistenza per ore sotto un sol leone e quaranta gradi di temperatura.

Cancelli chiusi agli scavi di Pompei

Dove erano gli autorevoli sindacati della CGIL, CISL e UIL mentre tutto questo accadeva? L’Italia, fonte La Stampa di Torino, nel 2014 ha contato 1461 scioperi e interruzioni volontarie di servizio nei trasporti pubblici. Sono cose che sfuggono a qualsiasi mente possa definirsi normale.

Quanto avviene non è accettabile. E’ il sintomo di un paese che ha perso, ammesso che l’avesse, i suoi riferimenti sindacali, che ha perduto qualsivoglia senso di coscienza sociale, che si oppone ad un processo di responsabilizzazione che sta sottintendendo tutta l’azione dell’attuale governo.

La realtà è che prima di prendersela come sempre con i politici, dovremmo prendercela con noi. Con la nostra furba e stupida tendenza adattivo funzionale, con cui in tanti speriamo di trarre vantaggi personali da una condizione d’irregolarità diffusa. Siamo in tanti a non esigere fatture, a non voler pagare con le carte di credito, a chiudere gli occhi sugli abusivismi edilizi altrui per favorire i nostri, che arrotondiamo i nostri stipendi statali con attività in nero, che chiudiamo gli occhi sull’assenteismo altrui perché domani tocca a noi, che ci facciamo togliere dal vigile amico la sacrosanta multa ricevuta per divieto di sosta, che senza autorizzazione occupiamo il suolo pubblico per mettere sedie e tavolini al nostro ristorante, salvo poi offrire un “caffè” al milite della guardia di finanza che ci chiede conto, che evadiamo le tasse e mandiamo soldi all’estero, che corrompiamo anche per avere un passaporto con qualche giorno d’anticipo, che chiediamo raccomandazioni anche per un banale esame universitario, e cosi via dicendo.

E tuttavia, i politici non sono immuni da responsabilità. Come non rimarcare l’assoluta insufficienza del sindaco Marino che ha l’ardire di proporre (senza ridere) a qualche imprenditore di acquistare una quota, di minoranza, dell’ATAC, un’azienda fallita e che è la rappresentazione vivente di che cosa è stata la “parentopoli” imposta da Alemanno, uomo di Fratelli d’Italia, un partito che oggi ha finanche l’ardire di fare la morale all’attuale amministrazione capitolina. Un “assumificio”, con cui si sono sistemati parenti e amici che non si degnano di lavorare un giorno, ma che sono lesti a prendersi lo stipendio che il contribuente paga loro. E che dire dello scandalo dei vigili urbani a Capodanno, quanti ne sono stati licenziati? Nessuno!

I sindacati cosi sensibili verso la “buona scuola” al punto da fare ore e ore di sciopero, per il mantenimento di alcuni privilegi della categoria, perché non dimostrano uguale sensibilità verso la società chiedendo il licenziamento di coloro che hanno devastato, come a Pompei, l’immagine del paese?

La realtà è che i sindacati hanno perso credibilità, diventando non più una forza che difende il lavoro e i lavoratori, ma una forza che difende la conservazione di un sistema fondato sul favoritismo e sui privilegi. Solo in tal senso si può spiegare il fiorire di decine di sigle sindacali che, evidentemente non riconoscendosi più nei sindacati “storici”, sentono il bisogno di contrapporsi ad essi costruendo cosi una spirale che vede lavoratori contro lavoratori, favoritismi contro altri favoritismi.

E’ evidente che occorre a questo punto l’applicazione dell’art. 39 della Costituzione, una legge che renda i sindacati associazioni riconosciute dalla legge e soggette ad essa. Non è più concepibile che siano permessi scioperi fatti da una minoranza di lavoratori paralizzando centri nevralgici dell’economia nazionale (vedi Pompei o il Colosseo, chiuso improvvisamente a maggio) o addirittura capaci di fermare il paese come nel caso dell’Alitalia.

Occorre un sindacato che sia responsabile, che politicamente non sia solo a tutelare i propri singoli iscritti e i propri interessi, ma che parli ai lavoratori e alle nuove fasce di sfruttamento. Si pensi agli immigrati, agli stessi giovani che cercano occupazione e che spesso sono costretti a lavorare in nero. Ma tenendo conto che sono stati denunciati casi d’impiegati al sindacato che erano pagati in nero, forse chiediamo troppo.

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Un sindacato che domina solo l’area dei pensionati, non può più essere considerato autorevole e pertanto la deroga al ricordato principio costituzionale che fu della prima repubblica non è oggi più sostenibile. L’assenteismo e le “malattie fittizie” che paralizzano interi comparti del pubblico impiego, diversamente da quanto avviene nel settore privato, impongono una riflessione su quelle che sono state le politiche, specie della vecchia sinistra, sulla pubblica amministrazione. Certi favori, anche alla luce di redditi più bassi, vanno rimossi. Il lavoro è lavoro ed un sano principio di responsabilità imporrebbe il licenziamento, come avviene nel lavoro privato.

Viceversa, noi siamo alle prese con sindacati e a volte con una magistratura del lavoro che difende e perdona anche le condotte a volte criminogene. Basti ricordare che i lavoratori di Milano Linate, colti a rubare nelle valige dei clienti delle compagnie aeree, sono stati riammessi al lavoro grazie all’intercessione dei primi e alla decisione dei secondi. Uno scandalo.

Ecco noi crediamo che se c’è una rivoluzione da fare questa è, parafrasando un buon libro di Alain Freedman, nell’ammazzare il gattopardo, ovvero quella antica ma sempre attuale idea italica che bisogna cambiare tutto per non cambiare niente.
Roma e non solo ci dimostrano che invece occorre cambiare e come! E’ questa l’unica rivoluzione che può avere un senso nella patria che non ha mai conosciuto rivoluzioni. Una rivoluzione che consenta un cambio di passo, una svolta culturale, che ci insegni a noi italiani cosa vuol dire essere responsabili verso la società.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Roma nei rifiuti “come Napoli”. Sbagliato! Il problema ora è tutto della Capitale.
    Riportiamo qui le parole del giornalista napoletano Angelo Forgione (vedi il blog di Angelo Forgione). Rendiamo giustizia ai Napoletani…

    La capitale d’Italia sommersa dai rifiuti.

    Una nuova figuraccia per l’immagine del Paese in affanno. « Stiamo diventando come Napoli », dicono nella capitale.

    Il paragone è facile, visto quel che si è visto qualche anno fa nel capoluogo campano. Nessuno può dimenticare le dolorose immagini di Napoli, città amata anche oltre oceano, invase dall’immondizia; quelle del lungomare, quelle del Parco Nazionale del Vesuvio pattumiera, quelle dei monumenti deturpati da sacchetti che in foto lasciavano immaginare l’olezzo. I napoletani non dimenticano la mortificazione d’esser stati additati come l’esempio massimo del degrado civile, mentre le cricche del Nord lucravano sulla gestione dei rifiuti all’ombra del Vesuvio ricattando l’amministrazione di Palazzo San Giacomo.

    Ma mentre le discariche di Roma esplodono – e non da oggi – i cumuli di rifuti napoletani abbandonati per giorni attorno ai cassonetti sono un brutto ricordo. Da anni Napoli ha dato la svolta grazie a una seppur lenta ripartenza nella differenziata (con stanziamenti decisamente inferiori a quelli destinati a Roma) e all’invio di parte dei propri rifiuti in Olanda su navi, un sistema meno costoso dei trasporti su gomma (cari alla malavita) e su treno.

    Certo, le estreme periferie restano trascurate e pure le strade centrali mostrano una carente nettezza causata da un servizio municipale inefficiente, soprattutto dopo la chiusura dei negozi. La dotazione degli impianti è ancora insufficiente e i napoletani sanno che, nonostante la svolta, potrebbe bastare un intoppo nell’ingranaggio per riaprire vecchie ferite. Ma quel che si vede oggi a Roma non si vede più a Napoli, e l’immagine dei rifiuti associata ai napoletani è niente più che uno stereotipo come troppi.

    Il problema, da qualunque punto di vista lo si osservi, è sempre politico. Quattro anni fa era il PD romano ad ammonire che la capitale stava facendo la fine di Napoli, lo stesso partito che oggi governa in Campidoglio e si difende dagli attacchi dell’opposizione.

    Dunque, non è Roma che è diventata come la Napoli di qualche anno fa ma è Napoli che, nella storia unitaria del Paese, è stata resa città-simbolo delle inefficienze italiane… che non sono mai state una sua esclusiva.

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