L’erede Renzi.

Su Matteo Renzi si sprecano i commenti e i luoghi comuni e a volte le due cose coincidono. Si è sentito dire che è sbrigativo, saccente, presuntuoso, di destra, uomo solo al comando, che ha resuscitato Berlusconi, che ha tradito Letta, che di lui non ci si può fidare, che è tutto chiacchiere e distintivo, che quindi non mantiene le promesse, ma certamente non si può dire che sia vile.

Dopo la vittoria delle primarie, si è fatto carico di mettersi alla testa di un governo di centrodestra, addirittura avviando un piano di riforme istituzionali concordato con il nemico principe della cosiddetta “sinistra”, Berlusconi (il patto del Nazareno), il tutto alleandosi con un partito che si chiama NCD (Nuovo Centro Destra). Il tutto con una rottamazione della vecchia dirigenza PD operata solo in scala romana e di poteri centrali, mentre sul territorio restavano, come vedremo pericolosamente, le vecchie dirigenze, quelle che per anni hanno messo sul fuoco una indigeribile zuppa, mescolandosi nelle amministrazioni locali, con cooperative, esponenti sindacali gestendo spesso il territorio come se fosse una cosa propria, facendo affari con gruppi e centri d’interesse, d’imprese e a volte con personaggi finanche poco raccomandabili.

Tutto questo, Matteo lo sa, non è stupido il fiorentino, eppure non si è tirato indietro, pur cosciente che nessuno avrebbe mosso un dito per aiutarlo, visto che la televisione è ancora quella degli anni d’oro del Berlusca, e che certamente, la stampa di sinistra (La Repubblica, Manifesto) e quella populista (Il fatto) e quella di destra (Il giornale, Libero) non gli avrebbero fatto sconti.

Ha accettato l’eredità, pur sapendo che il PD al parlamento non è il “suo” PD ma quello nominato da Bersani e soci e che se una gran parte si è adeguato al nuovo corso, tanti altri sono diventati i principali oppositori del suo governo e quindi del rottamatore, anche contro ogni regola democratica che vuole che alla fine la maggioranza di un partito decide e i dissidenti si adeguano oppure vanno via.

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Ha accettato di far ripartire l’Italia anche a dispetto di una nauseante palude politica che in realtà non vorrebbe cambiare nulla nel nome dei suoi privilegi.
Ma sono due i temi che rendono manifesta la pesantezza dell’eredità di Renzi e di contraltare ne evidenziano il coraggio.

Il PD dice che il risultato delle ultime regionali è stato positivo (5 regioni a 2) non sono malaccio, ma le cose non sono proprio cosi. Intanto, perché si è persa la Liguria (storica regione rossa), ma anche i successi di Emiliano in Puglia, De Luca in Campania e della Marini in Umbria, fanno riflettere. Si può dire che il PD che ha espresso quelle candidature alle presidenze con le primarie, sia frutto del rinnovamento renziano? Le primarie sono primarie e le regole vanno rispettate, ma certamente le federazioni regionali e cittadine di Liguria, Puglia, Campania e Umbria non sono gestiti dagli uomini del nuovo corso.

A ben vedere nessun candidato era del nuovo PD. La Paita in Liguria era figlia di Burlando, colui che gestisce la sinistra nelle sue varie composizioni e denominazioni da diversi decenni, colui che oggi è visto dai liguri come il principale responsabile dei dissesti del territorio, della mancata ripartenza del porto di Genova, coinvolto e invischiato in passato in alcuni scandali. Ma in Liguria il PD è ancora Burlando, al quale poco sarebbe importato se a vincere le primarie fosse stato Cofferati o la sua ex assessore Paita, tanto alla fine a gestire sarebbe stato sempre lui, Burlando.

Egualmente in Campania. De Luca, grande amministratore, ha il suo potere sul territorio. E’ radicato molto più di quanto lo possa essere l’attuale leader nazionale, e anche li, Renzi ha dovuto accettare le regole del gioco, che tuttavia sono nelle mani non sue ma degli uomini del testé eletto governatore. Si può dire che Emiliano sia un renziano? No! Ma in Puglia il PD è Emiliano. In Umbria vi è l’enclave più bersaniana d’Italia e non mi stupirei che molti renziani si fossero astenuti proprio per disperazione, facendo rischiare al PD il clamoroso successo del sindaco di Assisi alla testa di Forza Italia ed alleati. In verità, nello stesso Veneto la candidata Moretti era come tutti ricordano la portavoce di Bersani e questo la dice lunga sulla scarsa forza e presenza di Renzi segretario sul territorio.

Tutto quanto detto è confermato dall’altro fatto avvenuto in questi giorni e che fa riflettere, sulla eredità politica ricevuta da Renzi, ovvero le vicende di “Mafia capitale” a Roma.

Oggi i Cinquestelle e la Lega speculano chiedendo le dimissioni del sindaco Marino e addirittura del presidente della regione Zingaretti. Cosa che sorprende, perché nei loschi fatti su tutte le cronache italiane sono invischiati personaggi di ogni orizzonte politico e anche del PD, ma sempre per fatti precedenti all’attuale amministrazione capitolina e anzi per molti versi i suaccennati esponenti stanno ben cooperando con le forze dell’ordine e la magistratura per fermare questo ennesimo episodio di criminalità e mala politica che scuote il territorio.

Ma molti ricorderanno che Marino fu il candidato dell’estrema sinistra, gradito a Civati e a SEL, mentre Renzi sponsorizzava senza clamori Gentiloni, l’attuale ministro degli esteri. Zingaretti, addirittura era indicato da Cuperlo e Bersani come la futura alternativa a Renzi da contrapporre alla prossime primarie per la segreteria.

Questo fa capire che anche nella regione Lazio il rinnovamento renziano non è esploso, e questo a tutto danno dell’immagine del premier e della fiducia che i suoi stessi sostenitori hanno in lui. I quali si aspettano si le riforme necessarie al rilancio del paese (ed i primi frutti si stanno raccogliendo), ma anche che il segretario nazionale faccia pulizia nella periferia completando quella rottamazione che si è fermata alla testa del partito.

Insomma, la prossima mossa del PD è riconquistare la fiducia dei cittadini. Lasciasse perdere la sinistra PD, SEL e altre cose inutili, quelli parlano di una sinistra che è morta e neanche se ne sono accorti. Si vada a ripulire il partito dai troppi comitati d’affari, dalle collusioni con pezzi di sindacati che operano in modo clientelare, che spesso sono legati ad un mondo delle cooperative che non è sempre limpido e che spesso è anzi opaco, compromesso, come la terra di mezzo dell’affare Roma dimostra.

Si ridia spazio ai problemi veri, si cerchino nuovi modi per coinvolgere le cittadinanze e per restituire la fiducia nella politica, si cambino le classi dirigenti investendo sulla passione autentica.

L’erede Renzi ha sempre detto che la politica è una cosa bella. Che il suo sogno è di riportare i cittadini a credere e ad impegnarsi, per la politica, sul territorio come sulle tante e importanti questioni nazionali. Per fare questo bisogna rimuovere quel vecchio PD, quello che aveva in figure come Penati (il braccio destro di Bersani), il suo emblema più inquietante. Non riuscirci potrebbe avere lo sciagurato effetto d’incrinare definitivamente il rapporto tra Renzi e la maggioranza dei cittadini. Dopo davvero ci sarebbe solo Salvini e poi il baratro.

Veleno

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