100 anni fa l’Italia in guerra.

Attualmente, il nostro mensile è dedicato alla letteratura italiana nella Grande Guerra ma propone anche un ulteriore spazio di discussione riguardante il conflitto del ’15-’18. Può quindi essere utile, specie per i lettori più giovani, una ricostruzione dei fatti storici, inevitabilmente non priva di qualche interpretazione, che portarono l’Italia ad essere protagonista di quella tragedia forse evitabile, avvenuta un secolo fa.

La prima guerra mondiale è stata una delle guerre più enigmatiche della storia. Molti storici l’anno definita una guerra sostanzialmente inutile, se almeno si considerano le sue premesse. L’Europa e il mondo aveva vissuto un mezzo secolo di pace, puntellato da qualche conflitto limitato, la guerra russo/giapponese, la guerra italo/turca per la conquista della Libia.
Giovanni Giolitti

La geopolitica europea appariva consolidata quando tutto ando’ a precipitare in breve tempo, diremmo brevissimo tempo. A far scatenare gli eventi è l’uccisione dell’arciduca d’Austria e della sua consorte a Sarajevo, per mano di un terrorista, un patriota serbo, Gavrilo Princip che operò, con coperture, se vi furono, mai chiarite, insieme ad altri complici. Francamente sembra ancora oggi, pur nella sua gravità, un episodio che la diplomazia europea avrebbe potuto diversamente risolvere ed archiviare.

Ma anche l’intervento bellico italiano, avvenuto nel maggio del 1915, presenta molti chiaroscuri, finendo cosi negli anni, malgrado la vittoria italiana, per non essere celebrata come una pagina luminosa della storia patria, ma piuttosto ricordata come una tragedia che, se è vero ha in parte contribuito all’unificazione degli italiani, ne ha segnato profondamente la coscienza, con il suo carico di lutti e le sue terribili conseguenze sul percorso storico italiano.

A premessa va ricordato che l’impegno italiano nella guerra contro la Turchia in Libia del 1911 era stato salutato da una parte dei socialisti italiani (ricordiamo il poeta Pascoli), come un impresa di civilizzazione, l’occasione per la diffusione degli ideali socialisti anche nel continente africano. Ben diversamente altri, in testa Giolitti, ma anche i nazionalisti, i liberali tutti, guardavano a quella impresa come un’occasione coloniale utile all’economia del Paese. Tra i contrari vi fu il socialista Benito Mussolini, che attacca le mire imperialistiche della monarchia dei Savoia.

Vittorio Emanuele III

Lo stesso Mussolini sarà l’anno dopo tra i protagonisti della “Settimana rossa”, quando contro le condizioni di lavoro terribili e i salari scarsissimi, tutta l’Italia operaia e contadina, specialmente del centro, con le Marche, l’Umbria, la Toscana e L’Emilia Romagna in prima fila, diedero vita a scioperi e scontri di piazza che fecero tremare il regno mettendo in discussione la stessa figura del re. Una ventata rivoluzionaria e politica più ancora che di rivendicazione sindacale che lascerà imperituro segno nella storia politica del Belpaese.

Insomma, ancora a pochi mesi dalla guerra, l’Italia appare un paese che evolve al socialismo, con un primo ministro Giolitti che conduce costantemente governi con mediazioni (oggi la chiameremmo politica dei due forni) tenendo in equilibrio liberali, socialisti ma anche cattolici e nazionalisti.

Ma torniamo al 1914. Giolitti e il Parlamento, diversamente dal re Vittorio Emanuele, sono contrari ad un entrata in guerra dell’Italia. Il paese è legato dalla triplice alleanza con Austria e Germania, viene già, come ricordato, dallo sforzo bellico per la guerra contro gli Ottomani per il possesso della Libia. Ancora pochi giorni prima dello scoppio della Grande Guerra, il 29 luglio 1914, Mussolini direttore dell’Avanti, organo del partito socialista, si scaglia contro ogni eventuale intervento italiano. Come il leader dei socialisti austriaci Fritz Adler, Mussolini ricorda l’impegno internazionalista dei socialisti, che impone di non intervenire in una guerra che interessa solo, a suo avviso, il capitalismo, il nazionalismo e le bellicose voglie di settori militari.

Diversamente da Adler, Mussolini è l’espressione, a quel momento, della linea dei socialisti italiani. Va anche detto che i socialisti italiani furono sostanzialmente i soli oppositori, nell’ambito della seconda internazionale socialista, alla guerra. Non è un caso che Adler sconfessato dal suo stesso partito, darà le dimissioni da segretario del partito.

La realtà è che tra i socialisti tedeschi, francesi, austriaci, serpeggia la convinzione che questa guerra possa determinare l’esplosione delle contraddizioni sociali e politiche dell’Europa con l’inevitabile affermazione del socialismo. E’ un po’ quanto avverrà nella Russia zarista, con l’avvento di Lenin.

L’internazionalismo, cosi come approvato nel congresso di Parigi, è la stella polare della sinistra europea che sarebbe contraddetta dall’adesione a valori ed interessi regionali, nazionali.
Benito Mussolini

Giolitti che, intanto, ha passato la mano al governo è stato sostituito da Salandra che nomina come ministro degli esteri Sonnino, che giocherà un ruolo chiave nell’interventismo italiano. Il parlamento resta leale alla triplice alleanza, che imporrebbe, quanto meno, la neutralità del paese. In realtà, a Vienna e in Germania, anche con manifestazioni di piazza, si invoca l’Italia al rispetto degli impegni e quindi all’intervento contro la Francia, la Russia, il Regno Unito e i suoi alleati, ritenuti (impropriamente*) gli aggressori.

Già sul finire dell’estate il governo con Sonnino e la benedizione del re, spingono sull’Austria per ottenere concessioni territoriali. La monarchia vuole serrare i tempi per completare il risorgimento italico recuperando quei territori (in primis) del Trentino e quelli di lingua italiana che andavano condotti sotto il tricolore.

Mentre Giolitti preme sulla diplomazia tedesca affinché interceda sull’Austria per ottenere quelle concessioni, senza colpo ferire, il governo italiano è corteggiato dalla corona inglese e in particolar modo dalla repubblica francese, che prospettano ampie concessioni territoriali all’Italia, che sin dalla sua unità aveva sempre coltivato l’ambizione ad essere una superpotenza capace di avere voce anche rispetto a paesi di vecchio colonialismo come la Francia, il Regno Unito e gli stessi Imperi centrali.

Si arriva cosi al trattato di Londra con cui l’Italia rompe la triplice alleanza e sostanzialmente e piuttosto repentinamente si allea con i principali avversari di Austria e Germania.
Sidney Sonnino

Nelle piazze italiane monta lo scontro tra chi invoca l’intervento per riunificare gli italiani tutti nel sangue, cosi com’era ricordato il risorgimento e chi viceversa (socialisti in particolare, ma non solo) invoca la neutralità.

Il papa è contrariato. E’ contro la guerra e ancor più ad una guerra contro la cattolicissima Austria. Il parlamento è messo sotto pressione dal re, ma anche dalla veemenza delle manifestazioni degli interventisti e non solo ma da un’opinione pubblica rappresentata da buona parte della stampa e dalle prese di posizioni di artisti, letterati ed intellettuali che attaccano la viltà delle istituzioni italiane, il lassismo della nostra politica, sempre più intontita tra dubbi e perplessità.

A questo punto Salandra si dimette, sarà un’abile mossa politica, che ancora di più scalderà i toni della polemica e dello scontro. Ritorna Giolitti che cerca di pilotare l’Italia fuori dal tunnel che conduce all’impegno militare. Sarà un tentativo breve e vano. In primo luogo, perché si troverà contro tutta quella che oggi chiameremmo l’opinione pubblica, che per la prima volta reciterà un ruolo essenziale nella comunicazione politica.

Sostanzialmente isolato, Giolitti, convintamente per il sovrano (e il re la guerra la vuole) sente che la sua ostilità rischierebbe di mettere in crisi la stessa istituzione monarchica. Richiamato in carica Salandra, questi invoca al parlamento i pieni poteri con la promessa di riportare tutti i territori di lingua italiana al regno.

Manifestazione interventista

Gli ex alleati austriaci e tedeschi parleranno di perfidia e tradimento italiano. A nulla serviranno le concessioni che ancora nell’aprile del 1915 gli austriaci prospettano (concessioni che effettivamente renderebbero vano ed inutile l’intervento), ormai il dado appare tratto.

Lo stesso Mussolini cambia idea. E’ ormai convinto che la guerra travolgerebbe comunque il paese, e che la partecipazione italiana potrebbe essere un motivo di coesione tra gli italiani ed in particolare per il proletariato, uno strumento importante per farne crescere la sua coscienza di classe.

Ormai, la realtà è che anche in Italia matura uno scontro interno alla sinistra e al suo principale partito, quello socialista. Uno scontro da cui Mussolini si vedrà prima deposto da direttore dell’Avanti e poi indotto ad uscire dal partito, a fondare il Popolo d’Italia, ad insistere nelle sue posizioni interventiste e a costruire le premesse del suo partito fascista.

Il 2 settembre del 1915 il futuro duce dirà che depone la penna ed imbraccia il fucile. Si tratta di una scelta senza ritorno.

In Austria Adler, conduce un percorso diverso ed opposto a Mussolini. In un gesto estremo di dissenso contro la guerra, attenterà nel 1916 alla vita del primo ministro austriaco, Karl Sturgkh, per riaffermare la sua posizione contraria alla guerra.
E’ un gesto individuale, anarchico, che contraddice la filosofia politica dei socialisti austriaci e dello stesso internazionalismo, un atto che paradossalmente indebolisce ulteriormente le tesi antibelliche che furono di una parte di quella sinistra europea che continuava a dissentire.
Antonio Salandra

L’adesione alla guerra era ormai, drammaticamente, condivisa dalla moltitudine dei cittadini, un elemento di contraddizione della stessa sinistra e non a caso nello stesso 1916 viene sciolta la seconda internazionale.

Personalmente credo che esistano guerre sbagliate come quella recente in Irak voluta pretestuosamente dall’America di Bush, una guerra dannosa i cui effetti nefasti sono ancora oggi nella cronaca quotidiana dei giornali e delle televisioni. Esistono guerre necessarie, come fu quella contro l’imperialismo crudele di Hitler. In casi come questi, le guerre andrebbero, forse anticipate per contenerne i devastanti effetti.

Altre guerre appaiono inutili come fu la grande guerra. Che certamente a posteriori degli effetti li ebbe è anche giganteschi; la fine degli imperi centrali, la dissoluzione dell’impero Ottomano, la nascita di paesi e la scomparsa di altri. In Italia furono la premessa di quel drammatico ventennio fascista che tanto peserà sul futuro nazionale italiano ed europeo. Gli effetti peseranno ed in qualche misura saranno a presupposto della seconda tragica guerra mondiale.

Eppure credo che una riconsiderazione sul significato dell’Europa e l’aspirazione alla sua unità derivi proprio anche da quel grande e tragico evento che segnò il cosiddetto secolo breve.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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