Riforma della scuola: Per carità liberateci dalla demagogia.

In primo luogo ecco a questo link il disegno di legge per la riforma della scuola. Potrebbero esserci delle modifiche. Il testo non è chiuso e come sembra nella volontà del governo il dialogo continua.

Non è che in passato interventi sulla scuola siano mancati. Personalmente ricordo l’innovazione dei decreti delegati negli anni settanta, con cui le famiglie e gli studenti entravano, a pieno titolo nella gestione delle scuole affianco ai docenti e al preside.

Erano i tempi dell’impegno politico, ogni lista aveva alle spalle un gruppo, un partito, un’ideologia. C’era il Collettivo Unitario che comprendeva i giovani del PCI e del PSI (comunisti e socialisti), poi c’erano le liste extraparlamentari, come il Collettivo Politico che comprendeva Lotta Continua, Avanguardia Operai, Potere Operaio ed altri, spesso non insieme perché anche allora l’estrema sinistra viveva di litigi e divorzi, c’era l’estrema destra, c’erano le liste cattoliche di Comunione e Liberazione.

Il ministro della pubblica istruzione Giannini

Personalmente non ricordo un tempo in cui la scuola funzionasse bene. Ad esempio, nel mio liceo molte classi erano ricavate da cucine di appartamenti, con la fontana in aula, i vetri alla finestra rattoppati con lo scotch marrone, che in inverno assicuravano spifferi gelidi ed insidiosi, con le mattonelle ancora al muro per proteggere le pareti dagli schizzi delle fritture.

Il laboratorio scientifico era chiuso e se occasionalmente veniva aperto era sempre sommerso dalla polvere. Ero in uno dei più prestigiosi licei di Napoli (dove studiarono fra gli altri Benedetto Croce e finanche per un periodo il poeta D’Annunzio), della biblioteca ricordo solo la porta inesorabilmente chiusa, per mancanza di personale e per fare economia. La palestra al piano terra era arredata con tre funi per arrampicarsi, un cavalletto da saltare e che diventava il simbolo della mia frustrazione, essendo in materia di sport un imbranato, due materassi e due assi con una fune per fare una specie di salto in alto. Della palestra al piano terra ricordo solo il gelo che proveniva dai rovinati infissi dei suoi finestroni.

Alcuni studiavano seriamente, altri erano troppo presi dai sogni rivoluzionari e quindi facevano lo stretto necessario, nella consapevolezza che la promozione era comunque a portata di mano, non si era certo di fronte alla scuola di Gentile o di Bottai. Alcune materie erano vissute come perdite di tempo: la religione e specialmente la storia dell’arte, il greco che banalmente si riteneva una materia inutile e molta sofferenza generava, il latino, con studenti che spesso non avendo le “famose” basi, faticavano non poco a capire e tradurre. Emarginata miopemente e con supponenza era la lingua straniera, nel mio caso l’inglese.

S’invocava il 6 politico, sotto il pretesto che molti alunni nella scuola di massa voluta sin dagli anni sessanta, non avevano gli strumenti economici per competere, si passava molto tempo a fare assemblee su tutto, tranne che sulla scuola. Si parlava di fascisti e comunisti, delle aree industriali della mia città, della guerra nel Vietnam, ma della biblioteca chiusa, della palestra fredda e della polvere nel laboratorio, sembrava non fregasse a nessuno.

Poi le ideologie sono cadute, sono arrivati altri giovani, figli di figli disorientati e che guardavano i loro genitori sempre più vecchi e che con un brivido si accorgevano, a volte troppo tardi, di essere genitori. Ad uno scadimento didattico sempre più profondo si sopperiva con la “cultura”, scritta cosi con la c minuscola, perché spesso frutto di iniziative velleitarie; progetti creati ad hoc con le istituzioni territoriali, per dare un po’ di soldi e un po’ di spazio ad associazioni “no profit” (bella questa), che alla buona e alla meglio proponevano cineforum, laboratori di teatro, ascolti musicali (rock, jazz, ecc.), proiezioni di diapositive, tutte cose fatte sempre senza grandissime competenze e senza un progetto chiaro, ma con tanta buona volontà.

I professori, una volta rispettati e riveriti in un mondo che sostituiva certe forme e certe regole con la forza dei denari, diventavano figure sempre meno rilevanti, spesso non supportati da una generazione di genitori che erano troppo intenti a dare comunque ragione ai propri figli finendo spesso per avvilire l’insegnante e il suo ruolo pedagogico. Anche cosi le istituzioni scolastiche nel tempo sono diventate qualcosa senza nerbo, senza poteri e senza doveri, immeschinite, impoverite economicamente e culturalmente. Con studenti non abbastanza formati né sul piano dell’istruzione, né alla vita.

Diciamoci la verità, in questi decenni si sono alternate tante riforme, modifiche, che tuttavia sostanzialmente sono scivolate via tra continue proteste studentesche, spesso con l’ausilio degli insegnanti, senza che nulla veramente cambiasse. Oggi sembra che finalmente si voglia fare una riforma che operi in profondità. Una riforma al passo con i tempi, che affermi seriamente il merito. Si vuole responsabilizzare i soggetti che compongono la scuola, individuando nel preside non più un passacarte ma una figura che catalizzi, in ultima istanza, tutte le responsabilità dell’istituto. Si afferma finalmente l’idea dell’autonomia scolastica, perché è evidente che le scuole vivono in realtà diverse e con esigenze diverse.

Dopo anni di tagli (otto miliardi in dieci anni) se ne investono tre, forse quattro, un’evidente inversione di tendenza. Nei prossimi anni con fondi già stanziati ci saranno 160.000 nuovi assunti, con l’esaurimento delle graduatorie dei supplenti del 2012, figura che va a scomparire nel nome della continuità didattica. Si dirà che i precari sono circa 600.000 generati da anni di malgoverno e dai tanti concorsi promossi anche senza posti da assegnare, una vera follia.

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Naturalmente le assunzioni devono essere fatte in funzione della scuola e non viceversa e quindi chi non ha avuto il posto perché non ha vinto (pur essendo abilitato) dovrebbe mettersi l’animo in pace e capire che in un paese normale chi non vince deve rifare il concorso.

Viceversa in Italia ogni categoria, predica il merito, ma poi lo teme, si chiede responsabilità ma poi puntualmente se viene nominato un responsabile( sorgono mille sospetti di clientelismo e favoritismo).

La scuola ha dimenticato l’istruzione che non è solo nozionismo ma che è un sistema di regole e di comprensione delle cose che pedagogicamente sono decisive nella formazione della coscienza di ciascun giovane. Ci si dimentica che ipocritamente l’istruzione è stata sacrificata per mille attività “culturali” spesso gestite con metodi clientelari, e favorendo amici ed amici degli amici (e li i poveri presidi non c’entravano nulla).

Allora sarebbe bello che per una volta vincesse il senso di responsabilità, il desiderio di autonomia, il merito. Che insomma non prevalessero sempre e solo gli egoismi di categoria.

Chiedo troppo?

Veleno

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