Sebben che siamo donne!

Marco Ferreri era un regista che sapeva leggere il presente e guardare al futuro.
Lo faceva con un gusto dell’ironia e del paradosso che oggi i suoi allievi non sembrano possedere. Era appartenente ad un cinema ideologico, il meglio di sé lo diede proprio nei fatidici anni settanta, quando autori come Petri, Rosi, Maselli, Montaldo, Bellocchio e lo stesso Ferreri, fra gli altri, andando oltre il neorealismo, costruirono un cinema che potremmo definire con un termine politichese di quegli anni “militante”.

Un cinema che non si limitava a mostrare la realtà ma che ne denunciava gli errori, i soprusi, le violenze ed ingiustizie. Rivedendo i suoi film si può apprezzare, come Ferreri fosse un anticipatore dei nuovi temi della società occidentale. Aveva percepito in anticipo l’orrore del consumismo ferreri.jpg (La grande abbuffata), le difficoltà della fede nell’incontrare i bisogni degli uomini (L’udienza), l’alienazione di una società in crisi di valori etici e fatta sempre più di solitudini (Dillinger è morto). Aveva finanche, ma qui si sbagliava, puntato, con numerose opere, su una società sempre più femminista o al femminile. Basta ricordare opere come: L’ultima donna; Ciao Maschio o Il Futuro è donna. Vedeva il tramonto di una società da sempre maschilista e l’avvento (per lui positivo) di una società in cui il ruolo della donna sarebbe stato importante.

Mi sono lasciato sfuggire un “ma si sbagliava”. Mi spiego meglio.

Gli anni settanta e ottanta sembrarono effettivamente dare un nuovo ruolo alle donne. Vi erano state leggi come il divorzio, l’aborto, il nuovo diritto di famiglia, con la fine della patria potestà e l’avvento della potestà congiunta dei genitori sui figli. Le donne accedevano a ruoli che ancora venti anni prima erano ritenuti esclusivi per gli uomini. Entravano in magistratura, divenivano dirigenti d’azienda, assumevano ruoli decisivi nella Pubblica Amministrazione, si aprivano finanche le porte alla possibile carriera militare. Il “Sebben che siamo donne…” cantato dalle femministe denunciando così una storica subalternità al maschio, sembrava ormai vecchio e non più riferibile all’attualità della vita quotidiana.

L’attuale decadenza culturale espressa anche dalla pochezza politica dei nostri rappresentanti politici e dalla imperante cultura del “berlusconismo” dimostra quanti passi indietro le donne abbiano fatto.

Confrontando i giornali di allora con quelli di oggi il dato è sconfortante. Allora si sottolineavano le conquiste delle donne, la loro affermazione in settori chiave della vita sociale ed istituzionale del Paese. Le donne erano le protagoniste del tempo. Oggi, sfogliando i giornali, si parla delle donne come veline, se non escort (o peggio). La rappresentazione mediatica della donna è spesso volgare se non vuota. Si fanno selezioni perché le poche deputate candidate (altro che quote rosa, per le donne la partecipazione alla politica continua ad essere una chimera) siano prima di tutto belle. Le ministre devono essere belle prima che capaci o intelligenti.

Finanche lo sforzo di ministre come la Gelmini o la Carfagna di imbruttirsi oggi, è solo dovuto ad una rinnovata subalternità ai maschi o meglio al maschio che è l’attuale padrone del governo, che reclama per gli altri una sobrietà di facciata che lui neanche sa sostenere.

Caro Ferreri, se da lassù ci ascolti sappilo: su questo ti sbagliavi; il futuro non è donna, anche se aspettiamo, con infinita pazienza, che le donne lo capiscano e ne traggano le dovute conseguenze.

(nella foto Marco Ferreri)

Veleno

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